I
Introduzione
Le teorie criminologiche che si sono susseguite negli anni si sono sempre basate sull’analisi
dei dati, da Lombroso, il quale rilevò che la “maggioranza” dei criminali aveva la stessa
conformazione del cranio, alla Scuola di Chicago, che formulò varie teorie supportate da indagini
sul campo. Ogni teoria era, in qualche modo, giustificata con i fatti, quindi, con i dati raccolti nella
realtà.
Nell’arco di tutta la storia della criminologia soprattutto due studiosi si fecero strada usando
solo tecniche statistiche, essi non formularono teorie ma conclusioni logiche che risultavano
dall’analisi dei dati raccolti: Quetelet e Guerry. Il primo era uno statistico vero e proprio, mentre il
secondo era un avvocato che si avvicinò al mondo della osservazioni quantitative mentre lavorava
al Ministero di Giustizia. I due studiosi vengono sempre ricordati insieme ma non lavorarono mai
congiunti e sono considerati i maggiori esponenti della Statistica Morale. È da questi due studiosi,
spesso lasciati in ombra, che inizia questo lavoro.
La prima parte della tesi è una descrizione degli studi di Quetelet e Guerry sulla base delle
metodologie che utilizzarono, degli obiettivi che raggiunsero e delle osservazioni che riuscirono ad
estrapolare per comprendere il fenomeno della criminalità. La particolarità dei lori studi, che
affascina chiunque si addentri tra i documenti che citano questi statistici, è, prima di tutto, la
capacità di utilizzare tecniche statistiche all’avanguardia per quel periodo; in secondo luogo, molte
delle loro conclusioni sono tutt’oggi verificabili.
L’ipotesi, da cui entrambi partirono, era quella che il comportamento umano fosse
condizionato da fattori sociali e ambientali, come l’età, il sesso, il clima e la ricchezza, da loro
definiti come “variabili morali”, quindi screditavano la teoria base del padre della criminologia,
Lombroso, il quale affermava che un criminale è tale perché biologicamente predisposto ad esserlo.
La conclusione a cui arrivarono fu che alcuni fattori creano delle condizioni per le quali la
criminalità si sviluppi in maniera differente, non definirono quale fosse lo stereotipo di criminale,
ma parlarono della probabilità o del legame che un tipo di crimine sia presente rispetto ad un altro
in determinate condizioni ambientali e sociali.
Quetelet affermava, infatti, in una delle sue opere:
“Le leggi che governano la società sono fisse e immutabili, come quelle che governano i corpi
celesti ed esistono fuori dal capriccio degli uomini.”
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Recherches sur le penchant au crime aux differents âges, L.A.J. Quetelet, Hayez,1831.
II
Il libero arbitrio non viene messo al bando, anzi, influenzati dalla corrente positiva
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di quegli
anni, sostengono la possibilità che un uomo possa decidere a quale percentuale appartenere, se a
quella del deviante o a quella dell’essere comune, anche se i fattori sociali hanno una influenza
maggiore sul comportamento umano tanto da rendere il libero arbitrio una causa accidentale,
soprattutto per Guerry. Lo stesso spirito positivo influenza la metodologia di approccio allo studio
della criminalità, tanto che Quetelet formulò alcuni canoni di logica statistica allo scopo di poter
interpretare correttamente i risultati di una ricerca, canoni che si dimostrano tuttora validi:
«Non si devono avere idee preconcette sul risultato che si otterrà dalla ricerca;
Non si deve eliminare arbitrariamente alcun dato;
Non si devono comparare elementi che non siano tra loro comparabili.»
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Questi tre canoni non sono mai stati persi di vista nell’arco di tutto il percorso del presente
lavoro, soprattutto nell’ultima parte, dedicata all’analisi dei dati sulla criminalità nelle varie regioni
italiane.
La seconda parte della tesi riguarda l’Italia ed il suo approccio alle statistiche criminali,
nello specifico, vengono illustrate le varie metodologie di raccolta dei dati esistenti in Italia e cosa
risulta dalla loro elaborazione. Senza allargare troppo il campo, per cercare di concentrare
l’attenzione su un unico obiettivo, è stata analizzata la metodologia utilizzata dall’Istituto
Nazionale di Statistica, tralasciando tutto ciò che viene prodotto dagli enti privati di statistica.
Questo perché, principalmente, l’Istat utilizza come fonte dei dati sulla criminalità solo ciò che
proviene da istituzioni giudiziarie (Magistratura, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza),
secondariamente, perché le sue possibilità economiche e strutturali permettono di avere un quadro
più completo della realtà, sicuramente, bisogna anche ricordare che le statistiche elaborate da questo
ente sono di dominio pubblico.
L’ultimo passo è rappresentato dall’analisi dei dati, raccolti sempre dall’Istat, regione per
regione. L’anno di riferimento di tutti i dati raccolti, sia quelli appartenenti alle statistiche
giudiziarie sia quelli che descrivono altri aspetti della nostra società, è il 2003; questo perché
rappresenta l’ipotetica mediana se consideriamo il periodo che va dall’inizio del 2000 alla fine del
2006, ultimo anno di cui sono disponibili i dati.
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Contemporaneamente al lavoro di analisi della realtà di Quetelet e Guerry, l’Europa conobbe la teoria di A. Comte,
padre del positivismo, il quale credeva che era possibile adattare il metodo scientifico allo studio del comportamento
umano, l’uomo perciò viene inglobato nel mondo della scienza come fenomeno da osservare ed analizzare con
metodologie precise senza lasciare spazio alla metafisica.
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Fisica sociale ossia svolgimento delle facoltà dell'uomo, L.Adolphe J. Quetelet, Utet 1890.
III
Gli atti devianti considerati non sono stati scelti a caso, al contrario, si è cercato di
ripercorrere la strada fatta da Quetelet e Guerry; quindi, si è scelto di lavorare solo sui suicidi, i
crimini contro le persone e i crimini contro la proprietà. Attraverso metodologie statistiche è stato
possibile descrivere i vari fenomeni sia isolati dal contesto, cioè scegliendo di fare un’analisi
descrittiva di ciascuna distibuzione univariata, sia incrociandoli con altri valori di fenomeni di
natura sociale, come il numero di immigrati regolari. L’obiettivo finale viene individuato nel
tentativo di capire se le “variabili morali”, care ai due studiosi ottocenteschi, abbiano ancora
qualche legame con i comportamenti criminali degli uomini, cioè, se quelle leggi dal carattere
scientifico siano ancora valide nell’era della globalizzazione.
Come un cerchio che si chiude nell’ultima parte della tesi torna alla luce la stessa ipotesi da
cui era partita l’analisi di Quetelet e Guerry: analizzando l’ambiente che si presenta in una
determinata zona si può determinare il numero di crimini commessi e la loro natura, senza però
osare delineare i tratti del “delinquente nato”.
Tutto questo è stato possibile realizzarlo tenendo presente che si descrive e si analizza solo
ciò che si è sicuri che sia accaduto, quindi, anche la stessa situazione italiana presentata, è uno
spaccato della realtà, non la sua completa rappresentazione, cioè non bisogna dimenticarsi che
sfugge alla rappresentazione fatta il “numero oscuro” della criminalità. Esso è un concetto creato
dagli studiosi per rappresentare quel dato che non può essere verificato, ossia il numero dei crimini
commessi e non denunciati.
Gli studi di Quetelet e Guerry
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Capitolo Primo
Gli studi di Quetelet e Guerry.
1.Il contesto storico ed intellettuale.
Prima di addentrarci nell’analisi degli studi dei due statistici presi in considerazione,
Quetelet e Guerry, per comprendere meglio il loro pensiero, è bene cercare di capire il contesto, sia
storico che intellettuale, in cui hanno vissuto, tanto importante da incidere sul tipo di studio da
affrontare.
Entrambi questi due studiosi, che vengono sempre ricordati in coppia ma che non hanno mai
lavorato insieme, svolgono le proprie ricerche nello stesso periodo. Il secolo che fa da sfondo a tutta
la loro ricerca è l’Ottocento, uno dei periodi più fecondi nella storia dell’umanità, è il periodo post-
napoleonico in cui l’Europa è ancora al centro del mondo, gli equilibri internazionali sono in mano
soprattutto alla Gran Bretania e alla nascente Germania guidata dal cancelliere Bismark e che prima
dell’unificazione agiva come Regno di Prussia. La Francia durante tutto il secolo fu teatro di
continui capovolgimenti, dopo la Restaurazione ci fu il ritorno del re, i moti rivoluzionari del ’48
con cui cadde la monarchia e venne nominato un governo repubblicano provvisorio e poi, dopo la
sconfitta di Sedan nel 1870, ci fu la Comune di Parigi, ed in fine la Terza Repubblica. Per tutti
questi eventi, per questa mancanza di stabilità politica e di riflesso economica, che la Francia
registrò uno dei tassi di criminalità più alti di tutta l’Europa.
Dall’Ottocento in poi i processi di immigrazione nelle città, causate dall’ industrializzazione
massiccia di alcuni poli, di pauperizzazione
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creata dalle continue guerre e, più generale, il formarsi
di patologie sociali e igenicosanitarie in vaste aree urbane, resero sempre più urgenti nuove ricerche
di strumenti d’analisi scientifica capaci sia di spiegare il formarsi della criminalità, sia sintetizzarla
in delle forme per documentarla e combatterla.
La Rivoluzione americana prima , quella francese poi, spostarono l’attenzione, sia dei grandi
intellettuali che dei singoli individui, verso i problemi sociali lasciando in un angolo il problema
politico tanto caro al secolo precedente guidato dall’Illuminismo. Date le grandi scoperte che
costellano tutto il secolo, dall’illuminazione elettrica alla penicillina, dalle teorie di Freud
all’automobile, la gente iniziò a pensare che chi si occupava dei problemi dell’umanità poteva
trovare le soluzioni nel campo delle scienze empiriche. Non è un caso che tutte le varie scienze
sociali, dalla psicologia alla statistica sociale, dall’ antropologia culturale alla sociologia, si
separano in questo momento dalla filosofia per crearsi un’entità propria.
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Deriva da pauperismo, fenomeno per cui, mancando risorse naturali e capitali, o in conseguenza di guerre, carestie,
crisi economiche, si ha una larga diffusione della miseria tra i meno abbienti di una popolazione.