1.0 – INTRODUZIONE: IL TEMPO, LA SUA PERCEZIONE
«Che cos’è dunque il tempo? Quando nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chiede e
voglio spiegarglielo, non lo so. » (Agostino d'Ippona, Confessiones XI, 14, 17: 20, 26; 26, 33).
1.1 – Il tempo nella filosofia e nella scienza – il problema del tempo: caratteristica propria
dell'uomo, in grado di differenziarlo da ogni altra creatura con cui egli è fin qui entrato in contatto, è
la capacità di astrarre dal sensibile e dall'immediato alla ricerca delle verità nascoste, ponendosi
quelle che – con un pizzico di ironia – sono definite “domande esistenziali”: quella sulla natura del
tempo è senza dubbio una di queste.
Possiamo infatti dire di sapere cosa sia il “tempo”? Ne abbiamo senza dubbio una certa familiarità:
lo sentiamo continuamente scorrere e giorno dopo giorno ne constatiamo gli effetti su tutto ciò che
ci è caro; nonostante ciò, non siamo in grado di definirlo senza provare al tempo stesso un senso di
insoddisfazione, come se ci fosse sfuggito un qualcosa di indefinibile. ¨ per questo motivo che sono
state elaborate nella storia del pensiero umano così tante teorie circa la sua natura: loro caratteristica
comune è di cercare di sottrarlo alla pura percezione soggettiva, oggettivandolo in un concetto per
noi piø semplice da comprendere, quello dello spazio. Il problema del tempo è stato in questo modo
sostituito dal problema grafico di quale forma sarebbe opportuno dargli qualora lo si volesse
rappresentare per iscritto: lineare o circolare?
La prospettiva piø vicina al sentire comune di noi occidentali è senza dubbio quella scientifico-
aristotelica, che concepisce il tempo come l'alternarsi del ciclo di causa-effetto, dunque
immaginabile come una linea che proceda dal passato al futuro: l'idea che anima questa
rappresentazione è che il tempo consista in ultima istanza con il divenire stesso, motivo per cui
nell'ipotetico momento in cui il ciclo delle cause e degli effetti avrà fine si dovrà constatare anche la
fine del tempo stesso. In realtà all'interno di questa prospettiva lineare le posizioni su come esso
debba essere concretamente rappresentato sono molte: se sia meglio disegnare una retta, ovvero se
il tempo e la causalità siano ingenerati ed eterni; o una semiretta, alla cui origine si ponga una
“causa incausata” analoga al “motore immobile” aristotelico ma dallo scorrere infinito; oppure un
segmento, forgiato da un'entità creatrice –l'Eterno – e destinato a scomparire in esso.
Di stampo completamente differente è invece la rappresentazione circolare del tempo,
concretizzatasi nel ciclo dell'eterno ritorno. In occidente questa prospettiva è stata elaborata da
Anassimandro – per il quale causa del suo trascorrere sarebbe il periodico tentativo compiuto dai
contrari (il caldo ed il freddo, il secco e l'umido, la salita e la discesa e via dicendo) di sottomettersi
reciprocamente – ma è a Nietzsche che se ne deve la piø completa definizione: per il filosofo
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tedesco il tempo sarebbe infatti infinito, mentre la materia che compone il mondo no, motivo per cui
– in un arco di tempo infinito – si verificherebbero necessariamente tutti i possibili aggregati di
materia infinite volte. Tutto quello che avviene, tutto quello che sarebbe potuto avvenire, è in realtà
già successo, e succederà ancora, ab eternum.
Questo pensiero ricorsivo, che di solito si abbina ad una concezione pessimistica della vita, ebbe
particolare successo nel mondo filosofico e religioso orientale: un ottimo esempio ne è infatti il
samsara – il ciclo di reincarnazione delle anime in aggregati sempre nuovi ma dipendenti dalla
propria storia precedente, in quanto sottomessi all'assoluta legge del karman – la quale compensa
nella vita successiva il comportamento tenuto dal soggetto nella vita precedente dando forma al
nuovo corpo in accordo alla purezza dello spirito. Il vertice massimo delle teorie della ricorsività
viene però raggiunto con una religione cinese, il taoismo, per il quale il principio ultimo della realtà
è l'essenza stessa del mutamento, il Tao: se il tempo è circolare non esistono differenze fra passato e
futuro; è perfino possibile che eventi attuali trovino la propria causa nel futuro anzichØ nel passato,
giacchØ il futuro è anche passato e viceversa. In questo gioco di paradossi, dove anche il concetto di
causalità viene sovvertito, spetta al saggio prendere coscienza della Verità, abbandonare il mondo
dell'apparenza e riconoscersi parte di quel Tutto senza tempo che è l'unica vera realtà.
Questo dualismo teorico, tempo lineare/tempo circolare, non è però limitato alla sola teorizzazione
filosofico-religiosa, ma si ripresenta identico nella scienza fisica, in particolare in riferimento al
destino ultimo dell'Universo: le teorie piø accreditate ritengono infatti che esso sia nato da una
singolarità, il Big Bang, ma che dire della sua fine? Di nuovo, tutto dipende dalla forma del tempo,
che – sulla scorta di Einstein – sappiamo anche essere la forma dello spazio: in un universo chiuso,
circolare, in cui la forza gravitazionale è superiore a quella dell'energia oscura (una misteriosa forza
repulsiva in grado di allontanare i corpi astronomici gli uni dagli altri sulla cui natura il dibattito fra
i fisici è aperto), le galassie si avvicineranno sempre di piø, fino a fondersi in un unico punto. Si
verificherà così il Big Crunch, la nascita di una nuova singolarità, cui forse seguiranno un nuovo
Big Bang e quindi un nuovo universo. Se invece viviamo in un universo aperto, detto iperbolico, in
cui la forza dell'energia oscura è superiore a quella gravitazionale, il destino cui l'universo andrà
incontro sarà quello dell'eterno reciproco allontanarsi delle galassie, del disgregarsi dei sistemi
stellari, dei pianeti e di ogni altro ammasso di materia (Big Rip), fino a quando la distanza fra le
particelle sarà tale da impedire qualunque interazione: fine della causalità, fine del divenire, fine del
tempo.
E' chiaro come la concezione del tempo della fisica moderna sia particolarmente complessa: da
Einstein in avanti sappiamo infatti che tempo e spazio non sono concetti assoluti, come creduto fino
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ad allora, ma relativi al sistema di riferimento; l'unica entità ad essere veramente assoluta è infatti la
velocità della luce, la quale viaggia a circa 300.000 km/s indipendentemente dalla velocità della
fonte che ha emesso il fascio luminoso considerato. Dalle equazioni di Einstein emerge inoltre che
tempo e spazio siano le due facce della stessa medaglia e che la velocità abbia un effetto di
contrazione sui primi e di dilatazione sui secondi: emblematico è in tal senso il paradosso dei
gemelli, un esperimento mentale nel quale il primo di due fratelli identici in tutto partirebbe per un
viaggio interplanetario a velocità prossime a quelle della luce mentre l'altro rimarrebbe sulla terra.
PoichØ il primo sperimenterebbe, in accordo con la teoria, una dilatazione del proprio tempo rispetto
a quello del fratello rimasto a casa, una volta ritornato egli risulterebbe anche molto piø giovane del
secondo. Con il proseguire della propria teorizzazione, Einstein scoprì anche che la gravità non era
altro che una “curvatura” dello spazio indotta dalla massa di un corpo in esso inserito: apparve così
chiara l'esistenza di alcuni luoghi nello spazio in cui la forza gravitazionale è talmente potente da
imprigionare perfino la luce, luoghi che sfuggono alle normali leggi della fisica: questi luoghi sono
ciò che resta di una stella quand'essa termina il suo ciclo di vita, dei veri e propri buchi neri in grado
di distorcere lo spazio al punto tale da dilatare all'infinito il tempo di un incauto astronauta che
voglia avventurarsi oltre il punto di non ritorno, il cosiddetto orizzonte degli eventi.
La prospettiva filosofica e la prospettiva scientifica ci pongono in definitiva di fronte a due
domande: cosa esso sia veramente e come esso si manifesti nel mondo. ¨ però possibile individuare
anche una terza prospettiva: accettando la classica distinzione fra passato, presente e futuro si deve
comunque ammettere – come nota Agostino – che il passato non sia piø, il futuro non sia ancora, e
che quindi sia il presente l'unico a esistere veramente. ¨ di conseguenza chiaro che quello che noi
chiamiamo “passato” non sia altro che il ricordo che noi stessi abbiamo di esso, il quale esiste solo
grazie alla memoria, e che di rimando anche il futuro non sia altro che aspettativa dello stesso:
dall'estrema oggettività siamo così passati alla pura soggettività, nella quale il tempo esiste solo nel
momento in cui vi è qualcuno a percepirlo. Non è quindi piø importante sapere cosa esso sia, e
nemmeno se esso esista o meno: la domanda giusta è “in base a quali meccanismi si forma nella
nostra mente quella particolare rappresentazione che è il tempo soggettivo?”
1.2 – La percezione del tempo: la percezione del tempo è una facoltà fondamentale per ogni essere
vivente che voglia sviluppare un corretto adattamento all'ambiente: gran parte di quello che
ciascuno di noi compie durante la propria vita presuppone infatti un adeguato coordinamento, il che
richiede a sua volta la corretta stima di durate di gran lunga inferiori al secondo. Lo stesso concetto
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