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Introduzione
Il lavoro che andrò a presentare è nato da un personale interesse verso il
mondo della criminologia, intesa come “scienza sociale”. Una definizione
apparentemente azzardata e che farebbe, ancora oggi, discutere molti studiosi e
teorici delle più diverse discipline. Per questo motivo mi sono posta da subito il
problema di una definizione corretta sia del concetto di “devianza”, principale
tematica della mia dissertazione, sia di “criminologia”. Attraverso un’analisi
dettagliata dei diversi approcci teorici che nel corso dei secoli hanno tentato di dare
la loro spiegazione al fenomeno della devianza, e con esso a quello più specifico
della criminalità, è possibile tracciare un valido excursus storico dell’evoluzione del
concetto stesso di “soggetto deviante”, andando a scoprire come naturale
conseguenza l’evoluzione dei significati di “pena” e “castigo”. Non a caso uno dei
testi a cui farò frequentemente riferimento è un saggio di Emilio Santoro dal titolo
“Castigo e delitto”, contenuto all’interno del più ampio volume a cura di Pier Paolo
Giglioli, docente di sociologia all’Università di Bologna, dal titolo “Invito allo studio
della società”. È attraverso questa “poetica” della “lettura sociologica” che mi
interessa vedere l’apprendimento della criminologia. Il rischio di questo tipo di
studio è stato per molti anni quello di essere ricondotto a una “falsa scienza”, molto
più simile ad un sistema di sintesi del “sistema dei delitti e delle pene”, tipico di una
civiltà illuminista e imperniata sui concetti liberistici del diritto penale.
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Per fortuna l’enorme valico è stato superato e proprio attraverso la mia tesi
intendo mettere in evidenza questo superamento e celebrare il definitivo incontro
tra la criminologia e la sociologia. A proposito di quest’ultima è inevitabile affermare
la sua necessità di “disciplina-strumento”, a partire dal carattere stesso dei suoi
contenuti: nella definizione più comune, infatti, la sociologia è la scienza sociale che
studia i fenomeni della società umana
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indagando i loro effetti e le loro cause, in
rapporto con l'individuo e il gruppo sociale. O per dirla alla maniera di Max Weber,
uno dei padri fondatori dello studio moderno della sociologia, può essere definita
una scienza che “punta alla comprensione interpretativa dell'azione sociale”.
Impossibile dunque esimersi dagli strumenti messi a disposizione da tale disciplina
per analizzare un fenomeno sociale come quello della devianza. Emersa in risposta
accademica ai cambiamenti della modernità, la sociologia cercò sin dal XIX secolo di
capire e studiare i gruppi sociali per dedicarsi subito dopo ai temi principali del
dibattito dell’epoca: il sistema sociale, le classi, il genere, le norme. Poco dopo è lo
studio delle istituzioni a diventare tema fondamentale della materia, soprattutto a
proposito della famiglia e della scuola, per poi passare, più in particolare, ai
problemi della società stessa, come la devianza e il crimine, articolandosi per molti
nello studio della criminologia. La sociologia moderna, dunque, anche dopo lo
sviluppo della metodologia della ricerca sociale, del metodo quantitativo e del
metodo qualitativo, si è sempre interessata dei diversi aspetti della vita quotidiana
come delle istituzioni, e di come queste “entità” riescano ad influenzare la società.
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Definizione da Enciclopedia Treccani, consultata su http://it.wikipedia.org/wiki/Sociologia
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Per questo motivo sono nate diverse sottodiscipline autonome che non
escludono una base comune, ovvero i fondamenti della sociologia. È di questi ultimi
anni, ad esempio, l’affermazione di un nuovo orientamento critico verso i
tradizionali modi di spiegare e trattare anche il problema della devianza. Tale
orientamento è nato sia dal contributo teorico di psico-sociologi come Lemert e
Becker, sia dall'autocritica fatta da una ristretta minoranza di psichiatri e
psicoanalisti verso il ruolo ideologico delle loro conoscenze e pratiche istituzionali.
Da un punto di vista concreto questo ha contribuito a rimettere in discussione
concetti come quello di "normalità" e "patologia", ormai acquisiti stabilmente. In
questo orientamento non si è più cercato di spiegare o interpretare l'agire del
deviante partendo dal tradizionale quadro concettuale basato sull'idea dell'esistenza
di comportamenti normali e patologici. Il modello teorico interazionista, ad
esempio, di cui cercheremo in questo scritto di sviluppare alcune sue implicazioni,
ha innescato un vero e proprio salto di paradigma e lo sviluppo di una nuova area di
ricerca e di spiegazione del comportamento sociale, partendo appunto, dallo studio
degli aspetti normativi che caratterizzano l'interazione umana. Se si vuole infatti,
comprendere pienamente il significato che sta alla base di un'azione deviante
compiuta da un ragazzo e le sue difficoltà a "cambiare" bisogna tener conto di tutti
quei processi che producono e stabilizzano la sua identità deviante, nel contesto
delle azioni e delle situazioni che rendono molte volte immodificabili le sue scelte di
vita.La "devianza", in quanto costruzione sociale, non è un fatto in sé, una proprietà
o una realtà ontologica che si insinua o permea la personalità del tossicomane o di
ogni altro soggetto percepito come deviante. La devianza è l'ombra che ogni norma
violata, e pubblicamente sanzionata, proietta su certi comportamenti piuttosto che
su altri.
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È l'effetto di un processo sociale di attribuzione che, date certe condizioni,
porta all'identificazione con un ruolo (per esempio quello di tossicodipendente), con
tutto quello che ne consegue. Ogni diversità, socialmente stigmatizzata, può essere
rivestita dalle immagini prototipiche e stereotipiche che le conferiscono, di fatto,
una serie di tratti e di attese negative considerate per l'appunto devianti. Quindi
deviante non è chi devia da una norma, in questi termini sarebbe una tautologia di
scarso valore, ma chi incappa nelle norme che stigmatizzano una qualche sua
trasgressione o diversità. Le norme contengono tutta una serie di processi di
definizione, di linguaggio e di regole che di fatto costruiscono la percezione sociale
del deviante, ovviamente a seconda dei contesti, della cultura, dei momenti storici e
delle leggi. Come prescindere allora nello studio della devianza e del crimine, dalla
natura del legame tra società ed individuo? E ancora: come poter rischiare di
perdere di vista la costituzione sciale di ogni devianza o atto criminale? Questi sono
gli interrogativi che mi sono posta prima di intraprendere il cammino di tesi qui da
me presentato. Affascinata dal mondo dagli attuali ruoli giocati dalla criminologia
nella nostra società, entusiasmata dalle letture dei fenomeni secondo un approccio
sociologico e interessata allo studio di discipline psicopedagogiche e formative, ho
scelto di trattare il tema della devianza con l’intento di fare la differenza con il
concetto di “crimine” e da tale confronto tentare di capire cosa sta all’origine di ogni
fenomeno deviante e di ogni delitto, interrogandomi viceversa sulle ragioni e forze
che trattengono colui che “non oltrepassa il limite”. Al centro di tutto porrò dunque
l’organizzazione sociale, il suo sistema di regole e di norme che presuppone che la
gente si comporti secondo schemi prevedibili.
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Poi il tradimento della regola e della routine, l’eziologia di tale tradimento, per
giungere alle varie teorizzazioni sui sistemi di controllo, istituzionalizzato e sociale,
capaci di riordinare i sistemi di valore societari e individuali. A tal proposito, oltre ad
un elenco di possibili meccanismi riabilitativi e rieducativi del reo o del semplice
deviante, sarà interessante affrontare l’argomento della colpevolezza e delle
reazioni della società e del singolo individuo di fronte al deviante. Quando la gente
vede, infatti, degli individui che non seguono le norme tende a comportarsi non solo
secondo quanto ritiene giusto attenendosi al proprio giudizio, ma cerca anche di
correggere la devianza osservata. Una risposta sarà, ad esempio, escludere i deviati
dall'interazione sociale: cioè, dare loro una punizione. Questo processo può
condurre a intolleranza e includere la privazione dei diritti per alcuni individui. Ma
un'altra risposta possibile comporta l'adozione di comportamenti finalizzati a
riportare il deviato sulla retta via, modificando il suo comportamento affinché si
conformi alle norme della comunità. Saranno dunque valutati effetti e conseguenze
delle due possibili reazioni: da una parte la penitenza, dall’altra la rieducazione.
Una monografia centrale sarà trattata nel terzo capitolo sul tema particolare
della devianza minorile, caso che rimanda ad un sistema di idee per cui il deviante
non è solo e semplicemente colui che commette un delitto o un reato, ma colui che
ha un comportamento che si discosta dalle aspettative di normalità. Un tuffo
nell’attualità ci permetterà di capire che la distanza tra il deviante e il criminale non
è poi così accentuata, se si vuole. Dopotutto dimostreremo in diversi modi che i
parametri per definire qualcuno come deviato cambiano secondo la cultura,
pertanto secondo la comunità, in base al tempo e al luogo, quindi al giudizio
riguardo ai limiti e alla dimensione dei valori.