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INTRODUZIONE
Il nucleo originario del Sendebar si è formato presumibilmente in età
precristiana, raggiungendo in epoca medievale e tardomedievale l’Oriente e
l’Occidente. Trattandosi di un testo persiano, di cui non possediamo la redazione
originale, ho ritenuto necessario procedere a un’analisi storico-filologica
dell’opera, che ha interessato dapprima la linea orientale, ovvero quel tragitto che
ha portato l’originale pahlavi alle versioni in siriaco, greco, ebraico, arabo e
castigliano (l’ultima delle quali è l’oggetto della mia disamina), e poi la linea
occidentale, lungo la quale sono attestate almeno quaranta redazioni diverse. Del
ramo orientale sono sopravvissute unicamente otto versioni che appartengono a
epoche e culture diverse, ma che quasi sicuramente provengono, anche se non
direttamente, da un archetipo comune. Di queste, tuttavia, il Sindban siriaco è il
prodotto orientale più antico che possediamo.
Si è rivelato piuttosto ostico il tentativo di ricostruire in senso diacronico
una classificazione delle suddette versioni orientali e di quelle occidentali. I
maggiori studiosi che si sono occupati del Sendebar, dei cui contributi mi sono
avvalsa per questa indagine, quali Comparetti (primo editore del testo), Perry,
Campbell, Paltrinieri ed altri, ne hanno di volta in volta messo in evidenza limiti e
difficoltà. La problematicità risiede nell’impossibilità di risalire agli originali e
alle epoche in cui essi vennero concepiti, così come nella perdita di numerose
versioni intermedie.
Di qui si è proseguito nel tentativo di stabilire un’origine del Sendebar,
spinoso problema che ha dato luogo alla formulazione di teorie differenti e
discordanti. Alcuni studiosi ne hanno supposto un’origine indiana, tesi fondata su
fattori che prescindono da altri più probanti che conducono, invece, al
riconoscimento dell’autorevolezza della «teoria persiana». Essa, più acclarata di
altre, è avvalorata da diversi elementi di natura strutturale, onomastica e narrativa
e dalle testimonianze arabe e persiane di scrittori quali Hamza di Iṣfahān e Mūsā
ben Isa al-Kesrawi.
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La cornice narrativa del Sendebar risulta di nodale importanza ai fini
comparatistici. Ho preso, difatti, in considerazione l’illuminante contributo di B.
E. Perry, il quale ha ritenuto la storia-cornice utile a rintracciare la più antica
forma del libro, poiché presente in tutte le versioni che ne sono derivate. Al
termine della sua indagine egli è arrivato a stabilire una datazione approssimativa
e un terminus ante quem per la più antica versione araba del testo, collocandola
tra l’ultimo quarto dell’VIII secolo e il primo del IX.
Il viaggio di propagazione del Sendebar dall’Oriente all’Europa non può
essere delineato con precisione, ma il transito dell’opera da una lingua all’altra e
da una società all’altra lo ha portato ad adattarsi alle peculiarità culturali dei
diversi luoghi d’approdo. Il libro è stato tradotto in castigliano per volere
dell’infante don Fadrique nel 1253, con la conseguente «acclimatazione» dei temi
e dei motivi contenuti nell’originale arabo allo specifico contesto che lo
accoglieva, nella fattispecie quello della Spagna del XIII secolo. Le deviazioni
rispetto al testo originale sono consentite e facilitate anche dalla nuova forma di
presentazione introdotta dall’ondata migratoria di racconti orientali, nel caso
concreto la cornice e il sistema del «racconto nel racconto». Questo artificio, che
nell’antichità era stato sporadicamente utilizzato (si pensi alle Metamorfosi di
Ovidio), diventa nel Medioevo motivo frequente della letteratura occidentale. Tale
aspetto mi ha spinta a studiare la portata dell’influenza orientale sul Sendebar e ad
adottare una chiave di lettura che faccia riferimento alle varie epoche in cui il
libro è attestato: esso, infatti, accoglie al suo interno lo stadio arabo antico, lo
stadio spagnolo medievale e le premesse per le particolarità narrative che si
svilupperanno nella novella del XIV secolo.
Il Sendebar è parte del grande flusso di materia orientale che permeò le
letterature europee nel Medioevo. Nel XIII secolo appaiono, allo stesso modo, le
versioni del Calila y Dimna, del Barlaam y Josaphat e, anche se
frammentariamente, delle Mille e Una Notte, oltre ad un numero indefinito di altri
testi arabi e orientali.
Nella seconda sezione del lavoro presento un’analisi storico-letteraria,
partendo dalla Persia del VII secolo quando il Sendebar, oggetto di interesse per
quella società impegnata a tradurre dal pahlavi un numero considerevole di opere,
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venne tradotto in arabo. Mi sono dunque occupata dello studio dei cambiamenti
operati sul testo durante il suo passaggio dal mondo islamico (e quindi dalla
versione araba) a quello spagnolo, concentrando l’attenzione alla cornice
narrativa. Mediante il confronto, infatti, tra la storia-cornice del testo spagnolo e
quella dei testi arabi ho cercato di definire se queste versioni possono discendere o
meno da uno stesso modello.
Il periodo in cui l’influsso della cultura araba si fece sentire maggiormente
in Spagna fu certamente il regno di Alfonso X. Prima di allora l’epoca di
maggiore splendore si era avuta con la creazione dei «Reinos de Taifas», quando
Sevilla, Toledo ed altre città si erano convertite in importanti centri di cultura.
Nella seconda metà del XIII secolo, dunque, il gruppo ebraico di Toledo rifiorì
con la spinta culturale innovativa messa in atto da Alfonso el sabio, il quale si
mosse nel tentativo di accorpare tutto il sapere dell’epoca in lingua castigliana,
contribuendo, in tal modo, a forgiare la prosa narrativa spagnola. L’interesse della
classe aristocratica della Spagna medievale ad un tipo di raccolta ludico-
didascalica come il Sendebar è ascrivibile alla fonte di approvvigionamento
morale che vi si rintracciò. Il testo si candidava come lo strumento adatto a
consolidare il profilo sociale e culturale della Spagna e a catalizzare e fortificare
l’immagine di una monarchia cristiana.
Sono stati delineati, poi, i temi peculiari del libro castigliano, tipici del
folclore universale, e ne è individuato il fil rouge che li lega: il valore assegnato
alla parola e al sapere. Rinvio qui al titolo del mio lavoro, citazione desunta
dall’intervento del saggio Çendubete nel libro, allorché asserisce: «[…] qu’el
mayor saber que en el mundo ay es dezir». La forma didascalica del Sendebar
proviene da un tipo di letteratura gnomica o sapienziale, di cui è riflesso il circolo
dei sabios che si riunisce attorno al re per dispensare consigli. Nel prologo del
libro si rende esplicito lo scopo della traduzione, che sarebbe quello di «aperçebir
a los engañados e los asayamientos de las mugeres»; tuttavia, la conoscenza,
rintracciata da don Fadrique nell’eredità musulmana, e la trasmissione del sapere
sembrano essere gli elementi fondanti del testo.
I cuentos del Sendebar, exempla il cui messaggio è trasmesso spesso
attraverso un linguaggio allegorico e allusivo, istaurano un legame referenziale
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alla storia principale e mirano a procrastinare o ad accelerare la morte dell’infante
a seconda che i narratori siano i consiglieri del re o la matrigna del giovane.
Infine, nell’ultima parte del lavoro, ho tratteggiato gli influssi che il
Sendebar ha esercitato sulla letteratura successiva, nel caso specifico sulla novella
di autori quali Boccaccio e Juan Manuel, rielaborando quei motivi intrisi di
cultura araba in modalità narrative più dinamiche, oramai distanti dalle costanti
fisse della letteratura esemplare.
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I
IL DISCORSO FILOLOGICO
«[…] e porque es de poca vida
e la çiençia es fuerte e luenga
1
».
I.1. Origine e tradizione del testo
Prima di addentrarsi in un discorso letterario, che prenda in analisi finalità
didascaliche, aspetti di ordine strutturale e stilistici dell’oggetto della mia analisi,
ritengo utile ricostruire diacronicamente la tradizione del Sendebar.
Una delle prime tracce del Sendebar è rinvenibile in un testo redatto nel
978 dall’erudito arabo musulmano Muhammad b. Isḥāq Ibn al-Nadīm, con il titolo
Kitāb al-Fihrist. Nell’opera, il cui fine era quello di indicizzare tutti i libri
dell’epoca scritti in lingua araba, si menziona il Sendebar in due versioni, una più
estesa, l’altra ridotta:
There was the Book Sindbădh Al-Hakīm, which is in two transcriptions, one long
and one short. They disagreed about it, too, just as they desagreed about Kalīlah wa-
Dimnah. What is most probable and the closest to the truth is that the Indians
composed it
2
.
La questione posta da Ibn al-Nadīm ha portato i maggiori studiosi che si
sono occupati del Sendebar a postulare l’esistenza di due testi. Comparetti,
Nöldeke e Perry si sono chiesti, dunque, se le versioni conservateci derivino dalla
1
Dal prologo del Sendebar. Libro de los engaños de las mujeres (cito il testo dall’edizione a cura
di P. TARAVACCI, Sendebar. Il libro degli inganni delle donne, Carocci, Roma 2003); è, inoltre,
il primo degli aforismi di Ippocrate (vita brevis, ars longa), che si diffuse ampiamente nell’ambito
della letteratura gnomica medievale. Eccone la traduzione in italiano di Taravacci: «E poiché la
vita è breve, mentre difficile e sconfinata è la scienza».
2
Questa è la traduzione inglese del brano del Fihrist (The Fihrist of Al-Nadim, B. DODGE ed. and
transl., 2 voll., Columbia Univ. Press, N. Y and London 1980, cap. VIII: Story-tellers and Stories,
p. 715).
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redazione più estesa o da quella più breve. Il primo
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ritiene che esse provengano
dalla redazione lunga, che consisterebbe in una versione ampliata del testo ridotto.
Nöldeke
4
suppone, invece, che le versioni conosciute del Sendebar derivino
dall’edizione più breve e riscontra, inoltre, nei due manoscritti del Fihrist un titolo
differente per l’opera estesa: Aslam s-Sindibâd. Perry
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rinuncia invece a formulare
un’ipotesi; egli considera impossibile fornire un’interpretazione sicura alle parole
di Ibn al-Nadīm, secondo le quali una delle due edizioni menzionate potrebbe
persino essere individuata in una delle versioni del Sendebar oggi esistenti.
Ma il primo riferimento sicuro al Sendebar si rinviene nel prologo al testo
greco, il Syntipas, del tardo XI secolo, dove apprendiamo che il testo fu tradotto
da una redazione siriaca, la quale proveniva da un testo arabo dello scrittore
persiano Mūsā (VIII secolo).
Il nucleo originario del Sendebar si è formato presumibilmente in età
precristiana e in ambito buddista, raggiungendo in epoca medievale e
tardomedievale l’Oriente e l’Occidente. La linea orientale ha prodotto otto
versioni che appartengono ad epoche e culture diverse, ma che quasi certamente
discendono da un archetipo comune. E. Paltrinieri
6
suggerisce una enumerazione
degli otto prodotti orientali, che possono essere così elencati: Sindban siriaco;
Syntipas greco; Mishlè Sendebar (o Sandabar o Sindibar) ebraico; la versione
castigliana, Sendebar o Libro de los engaños; le tre versioni persiane (il Sindibad-
Nāmeh in prosa di as-Samarqandī, il Sindibad-Nāmeh in versi e l’ottava notte del
Tūtī-Nāmeh di Nāshēbi) e le versioni arabe dei Sette Visir.
Costruire una classificazione in senso diacronico delle suddette versioni
risulta piuttosto ostico, sia perché non siamo in grado di risalire agli originali e
alle epoche in cui essi vennero concepiti sia perché non disponiamo delle versioni
intermedie, che ci permetterebbero di ricostruire i rapporti tra le tradizioni
3
D. COMPARETTI, Ricerche intorno al Libro di Sindibâd, in «Memorie dell’Istituto Lombardo
di Scienze e Lettere», Milano 1869.
4
TH. NӦLDEKE, Sindban oder die Sieben Wiesen Meister. Syrish und Deutsch, von Friedrich
Baethgen, in «Zeitschift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft», XXXIII, 1870, pp. 513-
36.
5
B. E. PERRY, The Origin of the Book of Sindbad, in «Fabula», III, 1959-1960, pp. 5-6.
6
E. PALTRINIERI, Il libro degli inganni tra Oriente e Occidente. Traduzione, tradizione e
modelli nella Spagna alfonsina, Le Lettere, Torino 1992, p. 130.
9
narrative e culturali dei paesi coinvolti
7
. La critica ha però messo a punto una
cronologia sulla base delle indagini iniziate nel XIX secolo.
Nöldeke
8
ha datato la versione siriaca, il Sindban, intorno al X secolo;
Comparetti e Maltese collocano alla fine dell’XI secolo il Syntipas greco; il testo
ebraico, il Mishlè Sendebar, è databile fra i secoli XII e XIII
9
; la versione
castigliana, Sendebar o Libro de los engaños, è stata redatta nel 1253, così come
indicato nel prologo
10
; il Sindibad-Nāmeh è stato composto intorno al 1160
11
, il
Sindibad-Nāmeh è del 1375 circa
12
e il Tūtī-Nāmeh del 1300; le versioni arabe
sono indicate con il titolo Sette Visir nelle notti 578-606 delle Mille e una notte e
in varie notti delle Cento e una notte e sono databili intorno al XIV secolo
13
.
Per ciò che riguarda la trasmissione della raccolta all’Occidente, non è
possibile indicarne un percorso certo, al contrario di ciò che avviene, ad esempio,
per un testo come il Calila y Dimna, la cui migrazione è attestata con maggiore
certezza. I radicali mutamenti subiti dal Sendebar nel passaggio da Oriente a
Occidente possono soltanto suggerirci un ipotetico numero di varianti perdute. Le
supposizioni elaborate a riguardo sono numerose e discordanti e con certezza si
può unicamente sostenere che il testo occidentale più antico che possediamo è il
Dolopathos, il quale, tuttavia, non costituisce l’archetipo. Quanto alle versioni
orientali, i punti di convergenza riscontrabili tra il Mishlè Sandabar ebraico e i
testi europei hanno condotto a supporre che questo sia stato il modello principale
della primitiva versione occidentale. Ciò non è però sufficiente a sostenere siffatta
tesi. Tali circostanze ci autorizzano a pensare che vi fu un prodotto mediano tra il
ramo orientale e quello occidentale, ma possiamo supporre si trattasse di un
intermediario sul piano di una tradizione orale
14
.
7
Cfr. TARAVACCI, op. cit., p. 71.
8
NӦLDEKE, op. cit., pp. 513-36.
9
G. PARIS, Deux rédactions du roman des Sept sages de Rome, Société des Anciens Textes
Français, Paris 1894, pp. 24-39.
10
L’anno indicato nel prologo è il 1291 dell’era ispanica, o «cesariana», che corrisponde al 1253
dell’era cristiana.
11
Cfr. PERRY, op. cit., pp. 34-35.
12
Cfr. S. KANTOR, El libro de Sindibad. Variaciones en torno al eje temático “engaño-error”,
“Anejos del Boletín de la Real Academia Española”, 42, Real Academia Española, Madrid 1988,
p.11.
13
Ibidem.
14
Cfr., più avanti, il paragrafo su «La linea occidentale» del Sendebar.