5
Obiettivo principale di tutta la trattazione è, dunque, dimostrare che lo
sport in generale e particolarmente il calcio, sono oggi fenomeni che esulano dalla
semplice cornice agonistica e dalla sfera esclusivamente ludica ed interessano,
invece, settori tradizionalmente distanti dal mondo sportivo, l’economia e la
finanza prima di tutto.
A questo scopo, il lavoro, articolato in quattro capitoli, parte dall’ipotesi
che principale imputato di tale cambiamento sia la televisione: legatosi allo sport
fin dagli anni del monopolio, il tubo catodico ha saputo sfruttare la natura
intrinsecamente “notiziabile” del fenomeno sportivo e, consacrandolo
definitivamente come prodotto esclusivo dell’offerta generalista, ha imposto allo
stesso profonde trasformazioni.
Lo sport, portatore dei valori tipici della festa, infatti, si presta
perfettamente alle logiche dei media e, soprattutto, alla produzione incessante di
discorsi spettacolari da parte della tv.
La televisione, d’altro canto, nel suo incontro con il soggetto sport, ci svela
un aspetto noto da tempo, ma spesso celato da un velo di retorica e di ipocrisia: lo
sport è sempre stato spettacolo e, come tale, si è sempre piegato alle leggi di
mercato.
Le pagine iniziali di questo studio si soffermano, dunque, su un’analisi,
cronologica e qualitativa, del binomio sport-televisione, focalizzando l’attenzione
in maniera particolare sulla disciplina del calcio, che, da sola in Italia, traina la
maggior parte dell’attività sportiva nel suo complesso. Tale impostazione, in
realtà, pervade anche il resto del lavoro, con osservazioni che, pensate
appositamente per il mondo del pallone, se sufficientemente soppesate in contesti
diversi, possono allargarsi anche ad altri settori sportivi.
Emerge, da questo primo approccio al problema, una reciproca
compenetrazione fra i due mondi, della pratica agonistica da un lato e del mezzo
elettronico dall’altro, i quali, mettendo a disposizione ciascuno le proprie
potenzialità e le proprie caratteristiche, traggono, da questa sovrapposizione,
indiscutibili vantaggi. Dall’intreccio di calcio e televisione nasce un nuovo
soggetto televisivo: il “telesport”, l’evento sportivo teletrasmesso, un prodotto che
non ha più i connotati dello spettacolo originario, ma è a tutti gli effetti un calcio
nuovo, altrettanto vivace ed ancora apparentemente genuino, che la televisione ha
saputo plasmare su di sé, esaltandone la naturale spettacolarità e la sua innata
componente rituale.
6
Grazie alla presenza delle telecamere, inoltre, il fenomeno calcistico
acquista dimensioni planetarie e, attraverso il processo di democratizzazione dello
spettacolo sportivo che esse mettono in atto, ad audience sempre più vaste è
finalmente garantita una partecipazione almeno vicaria all’evento. Restituendo
agli spettatori un’esperienza unica ed invidiabile del “non assistere” alla
cerimonia, la televisione rende possibile un’epifania dello sport come fatto sociale
totale, come fenomeno di costume e festività popolare, che travalica distinzioni di
sesso, età, religione, cultura.
Il calcio, in particolare, diventa argomento largamente mediatizzato,
macro-spettacolo contenitore, camaleonte in grado di adattarsi completamente alle
esigenze del medium che lo ospita: un calcio, cioè, le cui connotazioni sono
sempre più simili a quelle di un media event, di un Grande Evento televisivo, di
una cerimonia mediale, che invita alla partecipazione e non soffoca le istanze di
socialità.
Sullo schermo domestico scorrono, dunque, le immagini di un calcio
onnipresente, a volte irrispettoso e persino invadente, un fenomeno che riesce a
catturare l’attenzione di tutti ed a trasportare tutti in un tempo sacro, una
dimensione parallela, che obbliga alla sospensione delle routines quotidiane, in un
clima di rinnovata comunità.
Analizzate le caratteristiche e la natura festiva del calcio televisivo, la
parte centrale del lavoro si interroga, invece, sui mutamenti che hanno interessato
parallelamente il fenomeno calcistico dal suo interno e quelli imputabili
all’introduzione di nuove tecnologie legate al mezzo televisivo.
Sul fronte calcistico, il palazzo conservatore dello sport riceve, negli anni
‘80-’90, tre forti scossoni: la gestione Fininvest del Milan, la sentenza Bosman, il
riconoscimento del fine di lucro, sui quali non intendo soffermarmi adesso.
All’analisi di questi tre fenomeni è, infatti, dedicato il secondo capitolo, che
intende in questo modo certificare l’avvenuto passaggio dal calcio “sport” al
calcio “business”, da uno spettacolo tradizionale e spontaneo ad un settore in cui
diventano fondamentali l’attività di programmazione, di comunicazione e le
strategie competitive.
Si assiste alla nascita della “squadra-azienda”, il club concepito come
attività produttiva all’interno di un più vasto impero finanziario, che va gestita
secondo criteri di efficacia e redditività, tipici di una cultura manageriale.
L’indagine, dunque, serve a testimoniare la frattura evidente fra la dimensione
7
ludica e l’aspetto utilitaristico del fenomeno sportivo e fotografa, alla luce di
questi cambiamenti, un calcio che esce dal suo centenario isolamento e, con una
forte vocazione sovranazionale, si vede finalmente riconosciuta una precisa
dignità economica e, soprattutto, la possibilità di ottenere dei profitti.
Sul fronte televisivo, invece, negli anni ’90 il testimone passa da una
programmazione generalista, di “broadcasting”, indistintamente rivolta a tutti,
dominata da un flusso televisivo che sappia accontentare la maggior parte dei
telespettatori, ad una programmazione di “narrowcasting”, mirata, di nicchia,
un’offerta più segmentata, in grado di soddisfare le esigenze di gruppi ristretti.
Il terzo capitolo, perciò, indaga la nascita della televisione tematica a
pagamento nel nostro paese, con particolare rilievo alle conseguenze che questo
mutato panorama determina sul piano della programmazione sportiva.
La ricostruzione di questo nuovo stadio televisivo segnala, ancora una
volta, la centralità dell’offerta sportiva nella realizzazione e nel buon esito dei
palinsesti televisivi. Il lento e progressivo diffondersi della tv a pagamento, infatti,
risulta profondamente legato alla capacità dell’emittente di confezionare un
bouquet ricco di appuntamenti sportivi in esclusiva.
Le sorti del primo operatore-pay italiano, Tele+, e le più recenti vicende di
Stream, suo concorrente, pure analizzate nel corso del lavoro, attribuiscono al
calcio una nuova sfaccettatura: esso diventa la killer application della nuova
televisione, l’offerta più appetibile da proporre ai consumatori, l’attrattiva di
maggior interesse per il pubblico, il buttering ram, l’ariete che serve agli operatori
per vendere i propri pacchetti, sfondare e dominare il mercato della tv a
pagamento.
Nella parte conclusiva della ricerca, l’attenzione si sposta, infine, sulla
situazione attuale del calcio televisivo. La rivoluzione digitale ha ormai imposto la
moltiplicazione dell’offerta ed ha ampliato a dismisura le capacità di trasmissione.
In questa cornice, sono i contenuti di maggior richiamo, fra cui lo sport, a
svolgere un ruolo strategico e decisivo. Il nuovo business del Duemila, allora, è
rappresentato dal mercato dei diritti sportivi, un mercato caratterizzato da una
costante inflazione dei prezzi, capace di generare un consistente flusso di denaro,
di provocare agguerrite battaglie fra i principali operatori televisivi e di
impinguare, senza sosta, le casse dei club di calcio.
8
Sono questi ultimi, in fin dei conti, a beneficiare maggiormente di questa
“corsa al diritto”: dalla televisione giungono, infatti, imponenti liquidità che
rinvigoriscono i deboli bilanci delle società italiane di football. Cambia, perciò, la
tradizionale composizione degli introiti e, con i diritti tv, è possibile programmare
attività collaterali che contribuiscano a dare stabilità ai bilanci.
Ampio spazio verrà, quindi, riservato a queste nuove attività, canali
tematici e pay-per-view autonome per i singoli club, merchandising, gestione e
proprietà degli impianti, ed alla necessità di coltivare tali settori con maggiore
efficacia, al fine di incentivare gli asset tangibili del patrimonio dei club, di fronte
alla volatilità degli investimenti tradizionali.
Si tratta, fra l’altro, di attività da cui è impossibile prescindere in una
prospettiva di quotazione in Borsa dei titoli calcistici, un’avventura già tentata da
alcune società italiane e meta conseguita da tempo dalla Premier League
britannica.
Il punto d’arrivo del lungo percorso così effettuato è una valutazione
conclusiva di quello che il calcio rappresenta oggi, imponendosi come fenomeno
di business e strumento di comunicazione. Le società di calcio conservano
nell’evento sportivo, con il suo carattere emotivo e passionale, l’essenza di ogni
loro attività, ma, attorno ad esso, offrono servizi e strutture che possano garantire
un’esperienza di intrattenimento e divertimento per tutta la famiglia.
Il cerchio a questo punto si chiude: il calcio, trasformato dalla televisione
in media event, grazie alla televisione, diviene ora esso stesso media, mezzo di
comunicazione a 360°, che rivolge i propri interessi all’esterno del rettangolo di
gioco. In definitiva, il plurale “media”, qui usato nell’accezione più moderna,
come pluralia tantum, indica sostanzialmente le molteplici sfaccettature che il
fenomeno calcio ha acquistato nel tempo e che il presente lavoro cercherà, si
spera, di mettere in luce con sufficiente chiarezza.
9
CAPITOLO PRIMO
SPORT E TELEVISIONE: LE RAGIONI DI UN INTRECCIO
1.1 Paleo-televisione e sport: un terreno di sperimentazione
Si apre il sipario del terzo millennio. Il baco dei computer ha disatteso le
più fosche previsioni, lasciando sul terreno solo pochissime delle vittime che si
erano preventivate, ma il Duemila presenta ugualmente una grossa novità.
Dopo essersi mangiato ogni spazio pomeridiano e serale, il pallone
onnivoro prende posto alla tavola degli Italiani e sperimenta la partita all’ora di
pranzo
1
. E’ il millennium-bug del calcio italiano, il dilagare del caos nei calendari,
l’occasione d’oro per milioni di spettatori di seguire, in chiaro o in criptato, le
gesta dei propri beniamini, rafforzando, con la dose più massiccia di calcio
televisivo che sia mai stata somministrata, la propria fanatica passione di sportivi.
Siamo solo a pochi mesi di distanza da quando qualcuno, in realtà pochi
incalliti cineasti, guardava compiaciuto le immagini di un film
2
, ideato e
realizzato da un lama buthanese, nel tentativo di descrivere la superiorità brutale
della cultura dell'Occidente su quella buddista.
La pellicola, lontana dai clamori della stampa e dagli incassi record al
botteghino, racconta la spiritualità di un monastero che da secoli s'impegna
affinché la smania non s'impadronisca dei suoi inquilini, un mondo, in sostanza,
lontano anni luce da quello appena descritto.
Eppure, basta che nel quieto monastero si accenda una televisione e che
sullo schermo passino le azioni del Campionato del Mondo di calcio, il volto
simpatico di Ronaldo e le basettine di Del Piero, perché questi due universi tanto
lontani, almeno in superficie, si uniscano e si elimini qualsiasi separazione: i
monaci più giovani si trasformano in tifosi accaniti ed il contagio si trasmette
anche ai vecchi maestri, pronti a tutto, persino ad imbrogliare, pur di non perdersi
la finale tra Francia e Brasile.
1
Il 9 gennaio 2000, le squadre italiane vanno in campo alle 12.
Su questa “rivoluzione”, vedi E. CURRO', “Calcio al mattino idea da bocciare”, la Repubblica,
20/05/1999 e E. CURRO', “La partita all’ora di pranzo”, la Repubblica, 19/11/1999.
2
Il film in questione, uscito nelle sale italiane a novembre, è “La Coppa”, di Khyentse Norbu.
Si veda M. LODOLI, “Fede calcistica”, diario, a. IV, n. 45, 10 novembre 1999.
10
Sembra lecito, a questo punto, affermare che lo sport in televisione, ed il
calcio in particolare, abbiano raggiunto oggi un indice di penetrazione molto
elevato, che, incoraggiando la partecipazione del pubblico, è in grado spesso,
specie in occasione di grandi eventi di importanza mondiale, di esaltare quella
natura "fredda"
3
propriamente riconosciuta al mezzo televisivo.
Nell’intento di verificare questo assunto, mi pare opportuno ripercorrere in
breve il cammino compiuto da sport e televisione fin dalle origini, ricordando che,
da sempre, i mass-media hanno riservato la loro attenzione al fenomeno sportivo,
considerandolo come una realtà autonoma, dotata di un significato proprio.
1.1.1 Dai primi esperimenti in Rai alla fine degli anni ’70
Il primo incontro fra sport e mezzi di comunicazione di massa produce
pagine memorabili nei quotidiani di inizio secolo ed ha per protagonisti letterati di
fama indiscussa come Buzzati. Questi scrittori, a cui si aggiunge più tardi la prosa
affascinante di Pasolini, o, ancora più di recente, l’estro di Gianni Brera, cercano
di far rivivere un avvenimento già trascorso, raccontando, con enfasi e spesso con
toni drammatici ed in forma teatrale, le gesta eroiche degli atleti in gara, in un
racconto sportivo che è più storia che cronaca.
Con le radiocronache degli eventi, si riesce, in un secondo momento, a
recuperare quella contemporaneità con l'avvenimento in precedenza perduta,
cercando di "far vedere", attraverso le parole del cronista, quelle immagini non
ancora disponibili sullo schermo, lasciando alla fantasia dell'ascoltatore ed alle
abilità oratorie dei commentatori il compito di ricostruire quello che accade sul
campo di gioco, le azioni, i falli, i goal e persino i "quasi goal" dell'ormai storica
voce di Nicolò Carosio.
Quando lo sport approda in televisione, dunque, vi arriva con una
consolidata tradizione giornalistica alle spalle, che contribuirà a rendere fruttuoso
quell'incontro fra due mondi, della pratica agonistica da un lato e del mezzo
elettronico dall'altro, che, con felice intuizione di Iozzia e Minerva (1986), diventa
3
Sulla distinzione fra “mezzi caldi” e “mezzi freddi”, cfr. M. MC LUHAN, Gli strumenti del
comunicare, Milano, il Saggiatore, 1967, p. 42 e sgg.
11
subito un "matrimonio d'interesse in cui ciascuno dei due partner dà e riceve
qualcosa"
4
.
Se spetta all'Inghilterra, nel 1936, il primato di aver trasmesso la prima
partita di calcio, Everton-Arsenal, è della Germania nazista il primo grande sforzo
organizzativo per le Olimpiadi dello stesso anno, le cui immagini in diretta
raggiungono centomila berlinesi, nel primo vero incontro fra sport e televisione
5
.
In Italia, invece, la Rai avvia nel '49 le prime riprese sperimentali, dallo studio C
di Radio Torino, ai piedi della Mole Antonelliana, mandando in onda, fra varietà e
sketches comici, anche qualche incontro di pugilato
6
.
Con l’introduzione delle telecamere mobili, è possibile realizzare riprese
fuori dallo studio, e, con questa tecnica, il 5 febbraio 1950, per la 23a giornata di
campionato, si tenta anche la prima telecronaca sportiva italiana, con la voce di
Carlo Balilla Bacarelli. La partita in questione è Juventus-Milan, terminata
clamorosamente per 1-7, con grande disappunto dei tanti tifosi bianconeri, che
avevano affollato i pochi locali torinesi in cui il servizio era disponibile.
Su scala nazionale, invece, il 13 dicembre del 1953, viene trasmesso il
secondo tempo di Italia-Cecoslovacchia (risultato finale 3-0) e, con l'avvio delle
trasmissioni regolari, un anno dopo, lo sport partecipa al battesimo della
televisione. Alla puntata numero uno della Domenica Sportiva (a quei tempi
Domenica Sport), andata in onda sul Primo Canale alle 23:15 del 3 gennaio 1954,
seguiranno gli appuntamenti televisivi con la Nazionale
7
ed i primi collegamenti
in Eurovisione per la quinta edizione della Coppa Rimet in Svizzera. Il primo
Campionato del Mondo televisivo già lascia intravedere le relazioni di interesse
che si intrecciano fra il calcio, ancora lontano dai fasti e dagli ingaggi miliardari
di oggi, e la televisione, ultimo medium in ordine di apparizione, a caccia di
telespettatori: nella fase finale si fa di tutto per portare avanti le squadre migliori,
4
Cfr. G. IOZZIA, L. MINERVA, Un matrimonio d'interesse. Sport e televisione, Vqpt Rai, nr. 75,
Roma, ERI, 1986, p. 5.
5
La seconda partita di calcio in tv, il 15 agosto 1936, è proprio la finale dei Giochi Olimpici di
Berlino, Italia-Austria, vinta dall'Italia per 2-1. In quell'occasione, le telecamere del sistema
sperimentale tedesco hanno un cameraman d'eccezione, un certo prof. Brach, allora sconosciuto ai
più, ma diversi anni dopo noto a tutti come l'inventore del sistema Pal per la trasmissione del
colore.
Per questa ed altre notizie storiche, cfr. L. MINERVA, Il pallone nella rete. Storia e numeri, vizi e
virtù del calcio televisivo, Vqpt Rai, nr. 99, Roma, ERI, 1990 e G. IOZZIA, L. MINERVA, Un
matrimonio d’interesse. Sport e televisione, op. cit.
6
I primi incontri trasmessi vedevano opporsi atleti provenienti dalle scuderie degli ex campioni
Merlo, Preciso e Garzena.
Per un'analisi più approfondita si veda RAI, La radio e la televisione per lo sport, Roma, 1962.
7
E' di Pandolfini il primo goal dell'era televisiva. L'incontro era Italia-Egitto, valevole per le
qualificazioni ai Mondiali e conclusosi 5-1 per la squadra di casa.
12
garantendo lo spettacolo ed al tempo stesso favorendo i paesi televisivamente più
attrezzati.
Per le Olimpiadi invernali di Cortina d'Ampezzo del 1956, la Rai progetta
un massiccio impiego di mezzi, anche in esterno, cercando di assicurare agli
spettatori delle immagini efficaci ed interessanti, le cui tecniche di ripresa variano
a seconda delle discipline, alcune delle quali si svelano come "geneticamente
televisive", mentre altre necessitano di una sorta di "traduzione" per il video. Da
esperienze come questa o, più tardi, dai Mondiali di Svezia del 1958, che
consacrano, fra l'altro, il primo mito del calcio televisivo, il giovane diciottenne
Edson Arantes do Nascimento, da lì in poi Pelè, fino a giungere alle Olimpiadi di
Roma nel 1960, lo sport dimostra di essere un terreno molto fertile per la
sperimentazione. Difatti, molte delle innovazioni degne di essere annoverate nella
storia della televisione hanno trovato negli avvenimenti sportivi un campo di
applicazione immediato ed incoraggiante, che, nonostante non abbia riscontrato
sempre il successo del pubblico (si pensi alla tecnica delle "finestre” su due partite
in contemporanea o all'uso del telebeam
8
), tuttavia ha fatto dello sport in
televisione un volano di nuove tecnologie.
Osserva acutamente Gilberto Evangelisti
9
che "la presenza della diretta
migliora la qualità organizzativa delle manifestazioni; per tecnici e giornalisti le
riprese sportive restano una palestra di professionalità. Si cresce insieme.".
Di fronte ai rischi imprevedibili della diretta e con le società calcistiche
che nutrono perplessità e sospetti nei confronti della tv, temendo una diminuzione
delle presenze negli stadi, l'introduzione dell'Ampex o, tecnicamente, Rvm
(Registrazione video magnetica), viene accolta con grande favore nel mondo del
calcio: dal 1958, in forma del tutto sperimentale, e con una sistematicità crescente
negli anni a seguire, è finalmente possibile registrare le immagini del campionato,
riducendo i tempi di ritrasmissione rispetto a quelli dell'avvenimento.
Dall'ottobre del 1960, ogni domenica, con questo sistema, il nuovo popolo
di telespettatori può seguire, in differita, un tempo di una partita più le fasi salienti
dell'altro, per la quale la Rai conserva l'impressione della diretta, non fornendo il
8
Il telebeam, secondo la definizione dell’Enciclopedia della televisione Garzanti, è un “computer
grafico in grado di ricostruire in 3 dimensioni uno spazio ripreso da una telecamera (…) a partire
dalla metà degli anni ’80 è stato adottato in gare ufficiali e in trasmissioni sportive per riproporre
azioni di gioco o prove atletiche da vari punti di vista e verificare la correttezza o meno di
decisioni arbitrali”.
9
Cfr. G. EVANGELISTI, Le trasformazioni dello sport, in A. BORRI (a cura di), Sport e mass
media, Bari, Laterza, 1990, pp. 54-57.
13
risultato nei notiziari che ne precedono la messa in onda. Anche gli accordi fra
l'emittente di Stato e la Federcalcio sono oggetto di precise attenzioni: gli incontri
registrati ogni settimana sono due ed il riserbo su quale andrà in onda è sciolto
solo pochi minuti prima della "finta diretta".
Il 1960, comunque, è una data cruciale per i rapporti fra sport e televisione
anche e soprattutto perché è l'anno dei Giochi Olimpici di Roma, per i quali la
Rai, con 106 ore di trasmissione, fra riprese dirette, collegamenti ed immagini
registrate, assicura la copertura dell'evento per 21 Paesi di tre continenti. Lo
sforzo produttivo ed organizzativo è senza precedenti, le difficoltà da superare
sono tante e provengono da direzioni diverse: il numero dei campi di gara e la
simultaneità delle gare che in essi si svolgono; il numero dei telecronisti inviati
dagli organismi stranieri; il tentativo di realizzare programmi che, per contenuto
ed orario, soddisfino contemporaneamente tutti i Paesi cui sono destinati; la
grande richiesta di programmi "unilaterali" per l'estero ed infine la distanza
geografica e la differenza dei fusi orari di taluni Paesi cui sono inviate le
trasmissioni. Nel far fronte a queste difficoltà si intuisce immediatamente la
necessità di concentrare tutte le operazioni in un Centro Olimpico, allestito al
Foro Italico, da cui vengono trasmessi suoni ed immagini che portano le
Olimpiadi nelle case di tanti telespettatori
10
, richiedendo un ammodernamento
della dotazione tecnica per le riprese e, di conseguenza, agendo da sprone per una
crescita delle potenzialità produttive della Rai.
Con questa edizione delle Olimpiadi, inoltre, lo sport, fenomeno già
affermato ed ora in grado di tenere incollati al video milioni di spettatori, facilita
la diffusione del nuovo mezzo elettronico, in quanto capace di trainare l'acquisto
di un numero considerevole di televisori
11
.
Succede con lo sport, dunque, quello che pochi anni prima era successo, in
10
Sulla quantità e sul modo in cui vengono dispiegati i mezzi di trasmissioni Rai per le Olimpiadi
del 1960, si veda A. RICCOMI, “Lungo viaggio dei suoni e delle immagini”, Rivista Rai, La Rai
per la IV Olimpiade dell’era televisiva, Roma, 1972.
11
A questa funzione non secondaria dello sport televisivo avevano già pensato, con notevole
acume, le grandi aziende produttrici di televisori. Per l'edizione svedese del Campionato mondiale
di calcio del 1958, infatti, in cui la presenza delle telecamere fu in dubbio fino all'ultimo momento
a causa di trattative logoranti fra emittenti e Fifa, il problema viene risolto dalla Philips,
ampiamente presente sul mercato europeo e dunque fortemente interessata, che stipula con i
Lloyd's di Londra una polizza assicurativa per garantire al comitato organizzatore la copertura dei
biglietti invenduti.
Cfr. L. MINERVA, Il pallone nella rete. Storia e numeri, vizi e virtù del calcio televisivo, op. cit.,
p. 33.
14
modo più eclatante, con il programma culto "Lascia o raddoppia?", il cui
appuntamento settimanale, dal 1956, consentì il nascere, nel nostro paese, di una
massa critica di apparecchi televisivi, segnando il decollo definitivo della tv in
Italia, fino ad allora in timida fase di sviluppo.
Le analogie con la trasmissione di Mike Bongiorno, in effetti, non si
fermano qui: i concorrenti in gara, che si sfidano su diversi terreni del sapere,
somigliano, con i loro sforzi in cabina per ricordare la risposta esatta, agli atleti
sui campi di gioco, impegnati, con tutte le energie a disposizione, a raggiungere
una vittoria, che, di solo prestigio o anche di rilievo economico, è anche una
"trasparente metafora delle difficoltà dell'affermazione sociale"
12
e, dunque,
dell'idea dinamica di una società in cui il successo è possibile, ma solo al costo di
impegno e sacrifici costanti. Altri due episodi legano le telecronache sportive al
progenitore di tutti i quiz, negli anni d'oro della tv: Paola Bolognani diventa
campionessa di "Lascia o raddoppia?" rispondendo a domande sul calcio italiano,
che si innalza, in questo modo, a dimensione di "sapere", e Edy Campagnoli,
valletta del programma, sposa, in un matrimonio che precede gli accordi Rai-
Lega, Lorenzo Buffon, allora portiere del Milan.
Cronache di questo tipo testimoniano, dunque, che lo sport, ed il calcio in
particolare, sono ormai entrati a pieno diritto nella programmazione televisiva
italiana, in un'epoca, i primi anni '60, che rappresenta per l'industria europea della
comunicazione un periodo di continui studi e sperimentazioni.
I Mondiali di calcio del Cile (1962), ad esempio, sono gli ultimi dell'era
presatellite: il 23 luglio viene lanciato dalla Nasa Telstar I, il primo satellite
intercontinentale, progettato nei laboratori Bell (At&t), che ha però ancora
funzioni prevalentemente telefoniche. Trattandosi di un satellite asincrono "a
defilamento", infatti, consente collegamenti piuttosto brevi, uno svantaggio
alquanto serio per la trasmissione dei segnali televisivi. A soli due anni di
distanza, però, questo difetto viene superato con il primo satellite
"geostazionario", Syncom, che mette a punto una tecnologia particolarmente
12
Cfr. E. MENDUNI, La televisione, Bologna, il Mulino, 1998, p. 58.
15
adatta alle telecomunicazioni, non essendo soggetto a limiti di tempo
13
.
Lo sport, ancora una volta, viaggia ad alta velocità: le Olimpiadi di Tokyo
nel 1964 sono il primo evento internazionale trasmesso via satellite e, nel 1966,
con i Mondiali d'Inghilterra, il calcio televisivo fa il suo primo vero salto di
qualità. Un consorzio fra Bbc, servizio pubblico, ed Itv, emittente commerciale,
collabora alla realizzazione di riprese che raggiungono tutto il mondo, mostrando
per la prima volta il gioco da angolazioni diverse. Le telecamere utilizzate sono
sei o otto, a seconda della grandezza dello stadio, e per ciascun operatore c'è un
compito preciso da ottemperare ed una singola zona del campo da seguire. Nella
nazione d'origine del calcio moderno, si sperimentano anche le camere a
bordocampo, che forniscono i primi piani dei calciatori, riportando lo spettatore al
vecchio contatto del tifoso dietro la rete di recinzione.
Nonostante la sconfitta clamorosa degli azzurri ad opera di una Corea del
Nord fino ad allora sconosciuta nel pianeta calcio, i mondiali inglesi restano nella
memoria degli Italiani anche per la primogenitura del replay, che, proprio nella
finale tra Inghilterra e Germania, farà a lungo discutere per un goal fantasma
dell'inglese Hurst e che, da quel momento, diventerà strumento imprescindibile
per qualsiasi telecronaca. Anche una rete di Rivera, nel derby Inter-Milan del '67 è
fra quelle che fanno discutere, ma stavolta per stabilire la verità c'è uno strumento
in più, la moviola, anch'essa entrata di prepotenza nel corredo di ogni trasmissione
sportiva
14
.
Le tecniche si vanno perfezionando e dal 1977 è possibile anche in Italia
vedere immagini a colori, seppure con notevole ritardo rispetto al resto d’Europa,
perché la nazione è impelagata nella scelta dello standard fra il sistema tedesco
Pal e quello francese Secam. La televisione ha ormai raggiunto livelli di
penetrazione molto consistenti ed il numero di appassionati che seguono
13
Si definiscono satelliti "a defilamento" quelli che ruotano attorno alla Terra descrivendo
un'orbita ellittica, con movimento asincrono rispetto a quello del pianeta, in grado, dunque, di
svolgere la propria funzione solo per pochi minuti, esattamente il tempo in cui il satellite è visibile
contemporaneamente dagli Stati Uniti e dall'Europa.
Sono, invece, definiti satelliti "geostazionari" quelli che, posizionati a 36.000 km dalla Terra,
viaggiano alla sua stessa velocità, mantenendo sempre la stessa posizione rispetto al pianeta.
Per un'analisi più approfondita sulla tecnologia dei satelliti, si vedano, fra gli altri, G. BETTETINI,
F. COLOMBO, Le nuove tecnologie della comunicazione, Milano, Bompiani, 1993, p. 119 e sgg.;
E. MENDUNI, La più amata dagli Italiani. La televisione tra politica e telecomunicazioni, il
Mulino, Bologna, 1996, pp. 86-87 e E. MENDUNI, La televisione, op. cit., pp. 72-73.
14
Già nei Mondiali svedesi del '58 c'era stato chi pensava ad un uso delle immagini televisive
come verifica filmata. I Cecoslovacchi, infatti, recriminando per un "goal fantasma" nella partita
contro la Germania occidentale (2-2), realizzano una documentazione cinematografica da
sottoporre al vaglio della Fifa. Anche se il reclamo è respinto, l'idea è comunque da antesignani.
16
fedelmente gli spazi settimanali dedicati allo sport è in continua crescita, un vero e
proprio popolo di telespettatori che raggiunge cifre record in occasione di eventi
di particolare attrattiva
15
.
La crescita di sport e tv è complementare: si infittiscono gli appuntamenti
ed aumenta il numero degli abbonati, si introducono innovazioni tecniche e si
sviluppa in questi ultimi una competenza sempre maggiore sulle modalità di
ricezione dello sport televisivo.
"Quando un satellite-relais trasmette una partita di calcio si può essere
sicuri che, in caso di fuori gioco, centinaia di migliaia di telespettatori di razza,
lingua e cultura diversa lo sanzioneranno dalla loro poltrona: ci sono più uomini
che conoscono le regole del football che non i capisaldi della messa o del culto
protestante" è il commento di Lucot
16
, che fornisce, con questa affermazione,
un'idea di quanto approfondita sia la conoscenza della sintassi calcistica da parte
dei telespettatori.
Il pubblico si è ormai dilatato al di fuori delle gradinate e delle tribune
degli stadi e, comodamente in casa, può seguire le vicende sportive che più gli
interessano, ormai spalmate su tutto il corso della programmazione
17
e corredate
da informazioni grafiche, inquadrature sperimentali, nuove fonti audio ed altri
traguardi dell'elettronica.
Nel frattempo, a fine anni '70, appaiono anche sul mercato europeo i primi
videoregistratori, destinati ad avere, in tempi più o meno lunghi, un ampio
successo presso il pubblico, ormai in grado di svincolarsi dagli orari rigidi della
programmazione e di simulare un palinsesto più personalizzato
18
, finalmente
15
Per la storica semifinale Italia-Germania (4-3) ai Mondiali del Messico, nel 1970, le cronache
parlano di 17.700.000 spettatori all'ascolto, divenuti poi 28.000.000 per la finale Italia-Brasile,
nonostante gli incontri, non ancora omologati ad esigenze puramente televisive, finissero in piena
notte.
Cfr. L. MINERVA, Il pallone nella rete. Storia e numeri, vizi e virtù del calcio televisivo, op. cit.,
p. 38 e G. IOZZIA, L. MINERVA, Un matrimonio d’interesse. Sport e televisione, op. cit., pp. 16-
17.
16
H. Lucot, citato in J. M. BRÖHM, Lo sport-spettacolo e i mass media, in G. BOCCARDELLI,
Signori del gioco. Storia, massificazione, interpretazione dello sport, Napoli, Liguori, 1982, pp.
209-218.
17
Dal 1969 Maurizio Barendson commenta nel telegiornale delle 13:30 le notizie principali della
giornata sportiva. A queste, poi, viene riservato uno spazio sempre più autonomo e nascono le
prime rubriche tematiche: è del 1971 "Novantesimo minuto", che, mandando in onda i goal della
domenica a metà pomeriggio, diventa un appuntamento fisso per milioni di spettatori. Con
"Sprint" e "Dribbling", invece, si fanno conoscere anche sport meno popolari come il volo a vela o
le immersioni.
Cfr. G. IOZZIA, L. MINERVA, Un matrimonio d’interesse. Sport e televisione, op. cit., p.17.
18
Sebbene questo fosse l’obiettivo primario del nuovo apparecchio, va precisato che, con gli anni,
si è cristallizzato un uso del videoregistratore soprattutto per la visione di prodotti homevideo.
17
plasmato sulle proprie abitudini e sui propri gusti, un'idea, vedremo
19
,
commercialmente sfruttata dalle televisioni tematiche.
In questa sede, comunque, assume un aspetto più interessante l'utilizzo del
videoregistratore da parte degli allenatori nella preparazione degli incontri. Carlos
Bilardo, Arrigo Sacchi e Giovanni Trapattoni, intervistati da Luciano Minerva
20
,
sono concordi, ad esempio, nel reputare la televisione un utile strumento di studio,
non soltanto per conoscere meglio qualità e tattiche degli avversari, ma anche e
soprattutto per valutare gli errori che si commettono sul campo e cercare di
evitarli nell'incontro successivo.
Si chiude così, a fine anni '70, una prima fase del rapporto sport-
televisione, che ha già in sé alcuni tratti caratteristici di questo binomio, destinati
a perdurare anche negli anni seguenti, ma che presenta pure peculiarità specifiche
della televisione di monopolio.
1.1.2 Tutti a lezione di sport
La missione di "istruire, informare, intrattenere"
21
, cui si ispira tutta la
programmazione paleo-televisiva, permea di sé anche i palinsesti sportivi della
Rai di monopolio. Lo sport, infatti, al pari di altre tematiche, è visto e presentato
sotto un'ottica strettamente pedagogica. Fin dai primi anni gli accordi stipulati fra
Rai e Federazioni sportive puntano ad un reciproco vantaggio: da un lato
potenziare le riprese televisive sotto il profilo tecnico, dall'altro assicurare una
propaganda esclusiva anche a specialità agonistiche poco diffuse. L'intento
educativo trae la sua ragion d'essere nei valori positivi da sempre veicolati dallo
sport e puntualmente sottolineati da una sociologia, che, purtroppo, si è troppo
spesso arenata a questo tipo di analisi, senza essere in grado di produrre indagini
più approfondite.
19
Infra, cap. III.
20
Cfr. L. MINERVA, Il pallone nella rete. Storia e numeri, vizi e virtù del calcio televisivo, op.
cit., p. 79 e sgg.
21
Sono queste le celebri parole di John Reith, primo direttore della Bbc, che ispirarono in tutta
Europa una concezione della tv pubblica come servizio culturale, potenzialmente erogato dallo
Stato a tutti i cittadini.