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La scuola rappresenta l’asse portante della vita di ogni Stato, in considerazione
del fatto che ad essa compete l’incarico, assegnatale da parte di tutta la comunità, di
formare le giovani generazioni, coloro che porteranno avanti le sorti del Paese. Da
quanto detto, emerge la necessità che la scuola venga costantemente appoggiata e
accompagnata da un chiara progettualità politica che ne rispetti i principi e le finalità:
tutto questo è però possibile solamente se si ha la netta consapevolezza che tra scuola e
politica non deve esserci nessun tipo di prevaricazione e quindi di inevitabile
strumentalizzazione dell’una sull’altra, ma che si deve necessariamente promuovere una
armonizzazione tra le due parti.
La storia del nostro Paese, in particolare, evidenzia però un fatto spesso
sconcertante: troviamo infatti moltissimi esempi che ci documentano come la politica -
e specialmente le classi egemoni al potere - abbiano prevaricato la scuola, le sue finalità
e i suoi obbiettivi, trasformandola in inutile strumento, perchè la scuola stessa, essendo
usata come mezzo, cessa di avere una propria utilità e diviene trasfigurata nella sua
essenza.
Come ho ricordato, nella storia del nostro Paese troviamo molti indizi di questo
tipo e il mio interesse, in modo specifico, è focalizzato in un contesto storico ben
preciso, quello cioè del ventennio fascista, al fine di mettere in luce il processo di
strumentalizzazione della scuola attuato dal regime.
La scelta di inquadrare il mio lavoro sulle vicende del ventennio è guidata della
consapevolezza che tale periodo storico, oltre a rappresentare un tema di grande
importanza nella nostra storia nazionale, è di certo interesse per la maggioranza delle
persone; inoltre la mia preferenza è dettata anche da motivi personali: spesso infatti mio
nonno paterno, reduce di guerra dai campi di detenzione per prigionieri gestiti dai
tedeschi, mi raccontava le sue esperienze fin da bambina, ovviamente in modo molto
superficiale.
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Nel condurre quindi la mia indagine, la mia riflessione vuole concentrarsi in
modo concreto, tra tutti gli interventi messi in atto dal regime fascista, sul particolare
rapporto esistente tra fascismo e scuola, scuola che, completamente snaturata nei sui
principi viene usata agli scopi del regime per la costruzione dell’ ”uomo nuovo”, nella
lode del mito di Roma e nell’elogio incessante della persona del Duce, il tutto in un
clima di evidente esaltazione della violenza.
In quest’ottica non si può quindi parlare di una vera scuola, cioè autonoma,
laica, unitaria, che presenti la totalità della sua offerta, ma solamente di una scuola come
puro strumento dell’ideologia politica.
La mia analisi si strutturerà principalmente in due diverse parti, complementari
tra di loro:
nella prima sezione - comprendente i capitoli 1, 2 e 3 - il mio interesse si
concentrerà inizialmente su una breve panoramica storica, grazie alla quale poter
avere un’ idea ben precisa del periodo preso in considerazione. Successivamente
andrò ad esaminare nel dettaglio le riforme scolastiche messe in atto nel regime,
partendo dalla Riforma Gentile per poi passare al vaglio gli innumerevoli
“ritocchi” ad essa apportati, per l’adeguamento della scuola alle linee politiche
del regime.
nella seconda ripartizione - inerente i capitoli 4, 5 e 6 - entrerò nel vivo della
pratica scolastica quotidiana, soffermandomi prima di tutto ad approfondire
l’importanza dell’introduzione del Testo Unico di Stato nelle scuole elementari,
al fine di metterne in luce ed analizzarne le maggiori tematiche educative in esso
divulgate. In particolare, la mia attenzione verso tale ordine di scuola è dovuta al
fatto che essa può essere considerata come il principale mezzo tramite il quale il
regime ha cercato, nella sua costruzione di una “scuola fascista”, di ottenere il
massimo consenso, essendo l’istituzione maggiormente diffusa nel nostro Paese.
In un secondo tempo, porrò l’accento su come e soprattutto su che cosa il
fascismo insegnava ai giovani specificatamente nella dimensione extrascolastica,
in questo caso quindi rivolgendo una minuziosa considerazione verso le
organizzazioni giovanili fasciste ( cioè l’ ONB e la GIL): sapere che cosa il regime
trasmetteva ai giovani, quali credenze di vita e stili comportamentali è infatti
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basilare, in quanto per il regime era di importanza fondamentale plasmare le
giovani generazioni ai suoi principi, in modo tale che potessero un giorno
battersi per la grandezza della Nazione, animati da una incondizionata fedeltà.
Il mio intento principale è, partendo dall’analisi di un periodo storico fondamentale nel
nostro Paese, quello di cercare di mettere in luce come una scuola completamente
trasformata e usata come strumento dall’ideologia politica, cessa di avere una sua utilità
fondamentale nella vita di tutta la comunità per poter comprovare, nella sezione finale
del lavoro, che solamente tramite il saldo e totale rispetto dei sui principi fondamentali,
se ne può garantire una sua efficiente funzionalità, non solo per il bene dei cittadini del
mondo di oggi, ma anche per il futuro di tutta l’umanità di domani.
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1.
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI.
Il fascismo rappresenta un periodo storico che ha segnato il nostro Paese e spesso,
davanti alla sua complessità, ci si sente confusi e viene da chiedersi come il susseguirsi
degli eventi ad esso collegati possano aver portato a tanto dolore e atrocità. Al fine di
comprendere appieno il fenomeno, è necessario quindi partire da una sua breve indagine
storica e tale analisi prende avvio dalla situazione europea in generale ed italiana in
particolare del primo dopoguerra.
Nel considerare la situazione immediatamente successiva alla prima guerra
mondiale, avvenuta tra il 1914 e il 1918, emerge che in tutta Europa sorse una grave
crisi di enormi proporzioni che andava ad interessare tutti i settori sia sociali che
economici.
Per quanto riguarda i cambiamenti avvenuti nella vita sociale, è da considerare che il
conflitto, coinvolgendo direttamente la totalità della popolazione, dette uno slancio
decisivo nel modificare sia lo stile di vita delle persone e sia le loro aspettative
esistenziali. Questa situazione influenzò anche, in maniera decisiva, la decadenza della
struttura della famiglia tradizionale, cioè quella di tipo patriarcale, a causa del fatto che
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le donne non si limitavano più ai soli lavori domestici, alla cura dei figli e del marito
come un tempo, ma erano ora impegnate attivamente nel lavoro fuori casa, in fabbrica o
nelle campagne, subentrando così agli uomini mentre questi ultimi erano al fronte a
combattere.
In questo clima era presente anche il problema dell’inserimento nella vita civile dei
reduci, i quali dopo anni di combattimenti avevano maturato la piena consapevolezza
dei loro diritti e credevano fermamente che la società dovesse loro riconoscere i servigi
svolti per la difesa della Nazione durante la guerra.
Nelle persone prendeva vita sempre di più la consapevolezza dell’importanza di
aggregarsi in una moltitudine compatta per acquisire la possibilità di esercitare una
partecipazione attiva alla vita decisionale del Paese: fu per questo che, sostanzialmente,
le manifestazioni pubbliche acquistarono un peso determinante nella vita delle persone,
contribuendo ad elevare le iscrizioni ai partiti e ai sindacati.
Oltre alle problematiche sociali sopra descritte, in questo quadro andarono a
sommarsi anche i gravi dissesti economici: infatti, tutti i Paesi partecipanti al primo
conflitto mondiale, ad eccezione degli Stati Uniti, alla fine della guerra si trovarono in
una gravissima crisi economica, che era stata provocata dall’inflazione, la quale rendeva
le condizioni di vita dei ceti meno abbienti ancora più precarie che in passato e
contemporaneamente coinvolgeva anche la popolazione più agiata
1
.
In particolar modo, per quanto riguarda l’Italia, benché vincitrice del primo conflitto
mondiale, è da mettere in risalto che essa “si trovò di fronte ad una crisi di proporzioni
mai viste”
2
, come infatti Carocci afferma al proposito.
Nel dettaglio, l’economia italiana, oltre che ad attraversare una grave crisi
inflazionistica, era contraddistinta da un enorme sviluppo di alcuni settori industriali (in
particolar modo quelli destinati alla produzione di materiali bellici) e da un commercio
con l’estero del tutto in dissesto, perchè le esportazioni erano state sospese durante il
conflitto.
1
Cfr., A. Giardina, S. Sabatucci, V, Vidotto, Guida alla storia del Novecento vol. 3, Roma –
Bari, Laterza, 2000, pp. 974
2
G. Carocci, Storia del fascismo, Milano, Garzanti, 1972-73, p. 6