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Introduzione
Il 23 febbraio 2012 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia di
aver violato alcune norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo avendo
intercettato e rinviato illegittimamente un gruppo di cittadini somali ed eritrei. Il caso è
noto come Hirsi Jamaa e altri contro Italia.
L’elaborato si propone di analizzare tale sentenza, sulla base di una visione generale
degli strumenti di protezione dell’immigrato previsti dall’ordinamento italiano, europeo
ed internazionale. L’intento è quello di dimostrare come da una parte vi sia un’ampia
gamma di strumenti di protezione, dall’altra come questi spesso non siano riconosciuti e
garantiti e, come ancora oggi, manchi una chiara, completa ed efficace armonizzazione
ed implementazione normativa della protezione degli immigrati, materia che coinvolge
sia la tutela dei diritti umani inviolabili, sia il controllo dell’immigrazione clandestina.
Nelle pagine che seguono si analizzeranno, prima di tutto, le modalità di
allontanamento di cui dispone il Governo Italiano nel caso di arrivo di migranti
irregolari. Nello specifico, si farà riferimento al provvedimento di respingimento,
secondo quanto è previsto dal Codice frontiere di Shengen (Regolamento Europeo
562/2006) e dal Testo Unico italiano delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero (D.Lgs 286/1998 e
successive modifiche). La volontà di orientarsi principalmente sulla modalità di
respingimento, e non sull’espulsione, è data dal fatto che è proprio su di questa che si
discute nella sentenza di cui si parlerà nel dettaglio, nel secondo capitolo.
La seconda parte del primo capitolo è, invece, volta a definire un quadro generale in
merito al sistema di protezione dei migranti. Verranno passati in rassegna i principali
strumenti di tutela degli stranieri, riconosciuti e garantiti, dall’ordinamento
internazionale, europeo ed infine italiano. L’obiettivo è di descrivere in modo esaustivo
i diritti di cui gode il migrante, anche irregolare.
Saranno presi in esame: la Convenzione di Ginevra del 1951 e la Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per quanto riguarda
l’ordinamento internazionale, le quattro direttive europee che disciplinano la materia
dell’immigrazione, la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il Codice
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Frontiere di Schengen (Regolamento 562/2006), in merito alla normativa
dell’Unione Europea, ed infine alcune norme costituzionali italiane e la legislazione
secondaria, soprattutto di recepimento degli obblighi presenti nelle direttive: il Testo
Unico sull’immigrazione, D. lgs 286/1998 e la legge Bossi-Fini introdotta all’interno di
esso.
In ogni fonte presa in esame l’attenzione verterà soprattutto sul diritto d’asilo e su
quelli ad esso connessi: il principio di non refoulement, il divieto di espulsioni
collettive, il divieto di tortura e il diritto alla difesa.
Il secondo capitolo dell’elaborato verte sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti
dell’uomo del 23 febbraio 2012. Con questa sentenza la Corte ha dichiarato illegittima
la prassi italiana di intercettare in mare aperto e immediatamente respingere verso i
porti di partenza, per lo più libici, centinaia di individui, quasi sempre provenienti dai
Paesi africani vicini alla Libia, in particolare Somalia ed Eritrea, che tentavano di
raggiungere e oltrepassare la frontiera italiana.
Le operazioni di respingimento sono state messe in atto successivamente all’entrata
in vigore, del Trattato di “amicizia, partenariato e cooperazione” tra Italia e Libia,
firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 ed entrato in vigore il 19.2.2009 a seguito della
legge di ratifica ed esecuzione del 6.2.2009, n. 7. Le operazioni hanno visto coinvolte
navi italiane, le quali hanno respinto verso i porti libici le imbarcazioni intercettate in
acque internazionali, con a bordo migranti, ritenuti clandestini, a prescindere dalla loro
condizione di richiedenti asilo, impedendo di fatto, a quanti cercavano di approdare
sulle nostre coste, di accedere a qualsiasi forma di protezione internazionale.
La seconda parte, dunque, analizzerà il testo della sentenza, mettendo in evidenza la
posizione presa dalla Corte Europea e in base a quali considerazioni è giunta alla sua
conclusione ed infine sarà messo in evidenza come tali respingimenti costituiscano, non
solo una violazione della Convenzione europea, ma anche dell’ordinamento italiano.
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I. La disciplina dei respingimenti tra ordinamento interno, Unione europea e
diritto internazionale
1- La disciplina dei respingimenti
In generale, il respingimento può essere definito come uno degli strumenti di cui
dispone uno Stato per combattere l’immigrazione clandestina. Il respingimento consiste
in un provvedimento di allontanamento, forzato e immediato, di stranieri che, tentando
di entrare illegalmente nel territorio di uno Stato, vengono intercettati e respinti dalle
autorità di competenza verso i Paesi di provenienza. Si potrebbe dire, una forma di
rimpatrio forzato.
Per poter meglio chiarire che cosa si intenda per respingimento e quali sono le
modalità di attuazione di questo tipo di provvedimento, bisogna far riferimento a due
fonti, uno comunitario e uno interno all’ordinamento italiano.
1.1. Il Regolamento 562/2006, Codice frontiere di Schengen
La normativa europea di riferimento è il Regolamento (CE) N.562/2006 del
Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006. Esso istituisce un codice
comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone,
detto anche, Codice frontiere di Schengen.
Come afferma l’art. 1, il Regolamento si applica a chiunque attraversi le frontiere,
interne o esterne, di uno Stato appartenente all’Unione Europea e l’art. 5 elenca le
condizioni per l’ingresso dei cittadini di Paesi terzi:
- possedere sia “uno o più documenti di viaggio validi” (art. 5, par. 1, lett. a) sia “un
visto valido, se richiesto (…), salvo che si sia in possesso di un permesso di soggiorno
valido” (art. 5, par. 1, lett. b);
- provare sia “lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto» sia il godimento «dei
mezzi di sussistenza” tanto per il soggiorno quanto per il ritorno nel Paese di origine o
di transito (art. 5, par. 1, lett. c);
- “non essere segnalato” nel Sistema d’Informazione Schengen (art. 5, par. 1, lett. d);
- “non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la
salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri” (art. 5, par. 1,
lett. e).
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Il Codice, tuttavia, sempre all’art. 5, paragrafo 4, riporta delle deroghe alla disciplina
contemplata, tali per cui i cittadini di Paesi terzi, non in possesso dei requisiti necessari,
possono comunque essere ammessi
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.
Nello specifico il respingimento è regolato dall’art 13 e dall’allegato V, parte A.
Come afferma l’articolo sopracitato, i cittadini di Paesi terzi sprovvisti di suddette
condizioni e coloro che non rientrano nelle categorie di persone di cui all’art 5,
paragrafo 4, sono respinti dal territorio degli Stati membri. È bene sottolineare che,
secondo quanto previsto dallo stesso articolo, paragrafo 1, la mancanza di tali
condizioni non pregiudica l’applicazione di disposizioni particolari relative al diritto
d’asilo e alla protezione internazionale. Da ciò si può evincere che la volontà del
Parlamento Europeo e del Consiglio è quella di garantire una forma di parità di
trattamento ai cittadini stranieri regolari e a quelli irregolari in relazione ai diritti
fondamentali, indipendentemente dal loro status giuridico.
Il provvedimento di respingimento viene adottato da un’autorità competente,
secondo la legislazione nazionale ed è di applicazione immediata. Esso però, deve
essere motivato e deve indicare le ragioni precise del respingimento. Sempre alla
stregua dell’art. 13 del Regolamento, “Le persone respinte hanno il diritto a presentare
ricorso. I ricorsi sono disciplinati conformemente alla legislazione nazionale. Al
cittadino di paese terzo sono altresì consegnate indicazioni scritte riguardanti punti di
contatto in grado di fornire informazioni su rappresentanti competenti ad agire per
conto del cittadino di paese terzo a norma della legislazione nazionale”. Il
respingimento, pertanto, consiste in un provvedimento amministrativo e non in una
mera attività di polizia. Essendo il provvedimento un atto amministrativo si garantisce il
diritto alla difesa anche allo straniero irregolare che, in caso di respingimento, può
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Art %, Paragrafo 4: a) i cittadini di Paesi terzi che non soddisfano tutte le condizioni di cui al paragrafo 1 ma sono
in possesso di un permesso di soggiorno o di un visto di ritorno rilasciato da uno degli Stati membri o, se richiesto, di
entrambi i documenti, sono ammessi ad entrare nei territori degli Stati membri ai fini di transito, affinché possano
raggiungere il territorio dello stato membro che ha rilasciato il permesso di soggiorno o il visto di ritorno, a meno che
non figurino nell’elenco nazionale delle persone segnalate dallo Stato membro alle cui frontiere esterne essi si
presentano e che tale segnalazione sia accompagnata da istruzioni di respingere o rifiutare il transito
b) i cittadini di Paesi terzi che soddisfano le condizioni di cui al paragrafo , salvo la lettera b) che si presentano alla
frontiera possono essere ammessi nei territori degli Stati membri se è stato loro rilasciato un visto alla frontiera a
norma del Regolamento (CE) n. 415/2003 del Consiglio, del 27 febbraio 2003, relativo al rilascio di visti alla
frontiera, compreso il rilascio di visti marittimi in transito
c) i cittadini di Paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di cui al paragrafo 1 possono essere
autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di
obblighi internazionali