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INTRODUZIONE
Questo lavoro intende analizzare il fenomeno dei giovani non occupati, né
inseriti in un percorso di studio o formazione (secondo l’ormai noto acronimo, i
Neet, Not in Education, Employment or Training), che ormai coinvolge due
milioni e 250 mila giovani (il 23,9%). L’articolazione dei capitoli è quella che
segue.
Il primo capitolo verte sull’analisi del processo di transizione demografica e
sociale (noto come Seconda Transizione Demografica) che ha determinato
rilevanti cambiamenti nelle modalità di formazione della famiglia (il
prolungamento della permanenza dei giovani nella famiglia d’origine, la riduzione
del numero dei matrimoni, la diminuzione della natalità e l’aumento dei divorzi).
Per quanto riguarda la permanenza dei giovani in famiglia, viene riportato il
dibattito tra gli autori che sostengono con forza le ragioni di ordine culturale
legate alla presenza del familismo nella società italiana (Reher, 1998; Dalla
Zuanna, 2001; Micheli, 2003) e chi, invece, pone l’accento su ragioni di ordine
materiale, legate non solo al problema del reperimento di un impiego, ma anche
agli elevati costi delle abitazioni e all’assenza di forme di sostegno al reddito per
chi è senza lavoro (De Luigi, Rizza, 2011). Accanto alla prolungata permanenza
dei giovani presso la famiglia d’origine, verranno analizzati i cambiamenti,
connessi al secondo processo transizionale, che hanno invece riguardato
l’istituzione matrimoniale (la diminuzione del numero dei matrimoni, la
posposizione dell’età alle prime nozze e la riduzione della durata media delle
unioni). Successivamente verranno affrontati la tematica relativa al calo delle
nascite, quindi lo spostamento della maternità verso età più avanzate, ma anche
l’aumento dell’instabilità coniugale, che hanno contributo a definire i caratteri
della Seconda Transizione Demografica. Tuttavia, come si vedrà, la tendenza
all’“allungamento della giovinezza” tende ad assumere tratti diversi all’interno
dei diversi paesi dell’Europa occidentale poiché l’intervento dello Stato, insieme
ai sistemi educativi e alle culture familiari, strutturano le diverse modalità di
ingresso nella vita adulta.
Il secondo capitolo sposta invece l’attenzione sulla formazione scolastica e
l’accesso al mercato del lavoro dei giovani durante la crisi economica. Per quanto
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riguarda la dimensione formativa, verranno esaminati i tassi di partecipazione
scolastica dei giovani, i livelli di istruzione raggiunti nel nostro paese, le
percentuali di diplomati e laureati, i livelli di competenza degli studenti e i tassi di
abbandono scolastico. Per quanto riguarda l’accesso al mercato del lavoro, invece,
verranno analizzate le difficoltà derivanti dalla concentrazione dei giovani
nell’area dei lavori atipici (un’elevata insicurezza occupazionale, associata nella
gran parte dei casi a bassi livelli retributivi, limitate prospettive di carriera, poca
formazione sul lavoro, scarse tutele e una debole protezione sociale). Come è stato
messo in luce da numerosi studi, uno dei rischi maggiori che l’avere un contratto
atipico comporta è quello di restare intrappolati a lungo in carriere discontinue,
nelle quali si alternano impieghi di durata limitata e periodi di disoccupazione più
o meno lunghi. Verranno inoltre analizzati i tassi di disoccupazione e di inattività
della popolazione giovanile e le percentuali di quanti, di fronte all’emergere di tali
condizioni, decidono di lasciare il nostro paese ed emigrare all’estero, dove le
chance occupazionali offerte sono più vantaggiose, sia in termini di tipologie
contrattuali che di retribuzioni percepite.
Il terzo capitolo analizza, invece, gli effetti della crisi economica sulle pratiche
quotidiane, in particolare sui consumi, e il sostanziale aumento della quota di
Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Per quanto riguarda gli effetti
della crisi sui consumi, verranno riportati i dati Istat e Coldiretti che hanno
rilevato il cambiamento nei comportamenti d’acquisto che, a partire dal 2007-
2008, hanno interessato molte famiglie.
Per quanto riguarda, invece, l’aumento dei giovani che non studiano e non
lavorano, verranno approfondite le diverse definizione dei Neet date da ciascun
paese e dalle istituzioni statistiche internazionali. Verranno inoltre esaminati i
diversi fattori che possono incidere sulla probabilità di diventare Neet in Italia
(quali ad esempio le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro soprattutto
per i giovani con bassi livelli d’istruzione, lo skill mismatch per le persone con
titoli di studio elevati, e l’inattività che coinvolge molti giovani in particolare
nelle fasi iniziali di ingresso nel mercato del lavoro). Infine, verranno riportate le
principali politiche adottate dal Regno Unito per ridurre il numero dei Neet, e le
strategie di riduzione suggerite invece dalla Commissione europea.
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L’ultimo capitolo presenta invece un’incursione empirica nella vita dei Neet,
che ha consentito di dare risposta a una serie di interrogativi. In particolare, si è
cercato di rilevare quanto la scuola, il mercato del lavoro e il contesto socio-
economico di provenienza incidano sulla probabilità di entrare a far parte del
gruppo dei giovani che non studiano e non lavorano.
Sulla base della maggiore o minore dotazione di capitali (culturale, economico
e sociale) è stato possibile distinguere due tipi di giovani che non studiano e non
lavorano: i Neet agiati e i Neet disagiati. Nel primo caso, si tratta di giovani che
provengono da famiglie che presentano maggiori risorse (in termini di capitale
culturale, economico, sociale) e si trovano nella condizione di poter scegliere di
‘non studiare e di non lavorare’, aspettando, in un certo senso, il lavoro che più si
adatta alle loro vocazioni, interessi e passioni. Nel secondo caso, si tratta di
giovani provenienti da famiglie più svantaggiate, in termini di risorse economiche,
culturali e relazionali, che non scelgono volontariamente di essere Neet, in quanto
la loro condizione è causata da fattori esterni all’individuo (come ad esempio la
difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, spesso associata all’assenza di un
titolo di studio, o lo skill mismatch per i giovani laureati).
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Capitolo Primo
1. I processi di transizione alla vita adulta
1. Premessa
In tutte le società occidentali, già a partire dalla metà degli anni Sessanta, è in
corso un importante processo di transizione demografica e sociale, indicato
tipicamente come Seconda Transizione Demografica (Van de Kaa, 1987;
Lestaeghe, 1991; 1995 cit. in Stranges, 2009), caratterizzato da rilevanti
cambiamenti nella sfera sessuale e della contraccezione, da radicali modificazioni
delle strutture familiari, da un’accentuata instabilità coniugale, da una riduzione
ancor più marcata della natalità e, soprattutto, da una ridefinizione di tutti i tempi
sociali connessi alla formazione della famiglia (uscita dal nucleo d’origine, età
media al matrimonio, età media alla riproduzione etc.) (Stranges, 2009).
In Italia, così come negli altri paesi dell’Europa meridionale, il secondo
processo transizionale è iniziato con un certo ritardo rispetto al resto dell’Europa:
fino a metà degli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, nel nostro paese il
matrimonio era ancora un’istituzione dotata di una forte centralità (ibidem). In
seguito, però, anche in Italia hanno iniziato a manifestarsi i caratteri propri del
processo transizionale: una permanenza prolungata dei giovani nella famiglia
d’origine, una progressiva riduzione del numero dei matrimoni, una diminuzione
della natalità e un aumento dei divorzi. All’analisi di questi fenomeni verrà
dedicato questo capitolo.
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2. La permanenza dei giovani italiani in famiglia
Per quanto riguarda la permanenza prolungata dei giovani nella famiglia
d’origine, si osserva che negli ultimi anni la quota di giovani che vivono con
almeno un genitore è molto aumentata, come possiamo apprezzare osservando i
dati della tabella 1.
Tabella 1 - Giovani di 18-34 anni celibi e nubili che vivono con almeno un genitore per sesso,
classe di età e condizione - Anno 2012 (per 100 giovani di 18-34 anni con le stesse caratteristiche).
CLASSI DI ETÀ
CONDIZIONE
Maschi Femmine Maschi e femmine
18-19
99,4 95,5 97,5
20-24
91,6 83,9 87,9
25-29
69,0 53,1 61,1
30-34
38,6 20,7 29,6
Occupati
52,5 40,4 47,4
In cerca di
occupazione
78,9 62,5 70,9
Casalinghe
- 6,9 6,9
Studenti
95,9 93,1 94,4
Altra condizione
82,5 64,5 74,5
Totale
68,3 53,9 61,2
Fonte: Istat, Indagine annuale Aspetti della vita quotidiana, 2013.
Nel 2012 vivono in famiglia il 61,2% dei giovani tra i 18 e i 34 anni (Istat,
Aspetti della vita quotidiana, 2013). Nella classe di età 18-19 anni vivono in
famiglia il 97,5% dei giovani, un dato che può considerarsi normale. Tuttavia tale
quota, pur abbassandosi nelle successive classi di età, resta piuttosto elevata, e ben
al di sopra di quella registrata nel contesto europeo. Le percentuali di giovani che
vivono ancora all’interno della famiglia d’origine sono maggiori per i maschi che
per le femmine. Il genere sembra, dunque, essere un fattore che incide sulla
possibilità di rimanere o uscire dalla propria famiglia. Inoltre, se si analizzano i
dati sulla distribuzione dei giovani che vivono in famiglia per condizione, si può
osservare che il 94,4% sono studenti, il 70,9% sono in cerca di un’occupazione e
il 47,4% sono occupati (cfr. tab. 1) (ibidem). E’ chiaro quindi che più della metà
sono disoccupati e che, probabilmente, avere un lavoro permetterebbe ai giovani
di uscire dalla famiglia d’origine.
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I tentativi di fornire spiegazioni esaustive e convincenti della prolungata
permanenza in famiglia dei giovani italiani hanno seguito molteplici direzioni,
alimentando un dibattito particolarmente intenso negli ultimi anni.
Alcuni hanno messo l’accento su ragioni di ordine culturale legate alla
persistenza del familismo nella società italiana, inteso come elevata stabilità
economica ed affettiva della famiglia e ampia disponibilità a farsi carico dei figli
da parte dei genitori (Reher, 1998; Dalla Zuanna, 2001; Micheli, 2003 cit. in De
Luigi, Rizza, 2011). Sarebbe questo specifico tratto culturale a spingere i giovani
italiani a prolungare la permanenza in famiglia oltre i trent’anni, come testimonia
il fatto che in non pochi casi si tratta di soggetti che oltre ad aver già completato il
ciclo di studi dispongono anche di un impiego (De Luigi, Rizza, 2011).
Sempre ponendo l’accento su ragioni di ordine culturale, diversi autori
sostengono che i giovani italiani siano bloccati all’interno di una gabbia, “ma una
gabbia parzialmente dorata”(ibidem). Una gabbia, in sostanza, che i giovani stessi
si sarebbero creati per continuare a beneficiare dell’aiuto economico dei genitori,
senza però vedersi limitata “molta della loro libertà personale e sociale” (Cook e
Furstenberg, 2002, cit. in De Luigi, Rizza, 2011). Del resto, anche i rapporti tra le
generazioni all’interno della famiglia si sono trasformati in senso maggiormente
negoziale negli ultimi tempi, con un’ampia diffusione di relazioni più aperte
rispetto ai tempi passati, più attente alla tolleranza e alla partecipazione dei figli
nella vita domestica (De Luigi, Rizza, 2011). La tradizionale distanza basata su
relazioni asimmetriche tra genitori e figli in termini di potere e autorità sembra
essersi fortemente attenuata, anche perché i secondi hanno raggiunto titoli di
studio mediamente più elevati dei primi. I giovani e le giovani (seppur queste
ancora in misura minore) hanno così conquistato inediti “spazi di autonomia
dentro la famiglia che un tempo si acquisivano soltanto uscendo da essa”(Cavalli,
2004).
Altri autori ritengono invece che non si possono sottovalutare le ragioni di
ordine materiale alla base dell’autorealizzazione tardiva dei giovani italiani, tra le
quali si possono indicare le insicurezze in ambito occupazionale, legate non solo
al problema del reperimento di un impiego, ma anche alle crescenti difficoltà di
stabilizzare i propri itinerari lavorativi, gli elevati costi delle abitazioni e la rigidità
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del mercato degli affitti, l’assenza di forme di sostegno al reddito per chi è senza
lavoro o deve ancora terminare gli studi (De Luigi, Rizza, 2011). A confermare la
rilevanza di motivi di ordine culturale e materiale concorrono diversi riscontri
empirici (cfr. tab. 2).
Tabella 2 - Giovani da 18 a 39 anni celibi e nubili che vivono con almeno un genitore per
motivo della permanenza in famiglia, sesso e classe di età - Anno 2009 (per 100 giovani dello
stesso sesso e classe di età che vivono con almeno un genitore).
CLASSI DI
ETÀ
Motivo della permanenza in famiglia
Sta
ancora
studiando
Sta bene
così, ha la
sua
libertà
Non se
la sente
di andar
via
Dovrebbe
rinunciare
a troppe
cose
Non
trova un
lavoro/un
lavoro
stabile
Non può
sostenere le
spese di un
affitto o
dell'acquisto
di una casa
Dispiacerebbe
ai genitori
I genitori
hanno
bisogno
Altro
motivo
MASCHI
18-19
61,6 27,4 2,8 4,7 13,4 14,7 10,5 0,6 5,5
20-24
29,5 32,5 6,4 5,3 22,3 30,3 5,6 3,1 7,1
25-29
14,4 31,8 9,9 3,8 20,0 34,2 4,7 4,4 10,1
30-34
2,2 36,3 8,4 7,0 18,4 27,4 3,2 10,5 14,2
35-39
0,9 42,9 6,3 4,6 17,2 31,1 1,9 14,6 17,7
Totale 22,1 33,4 7,2 5,0 19,3 28,8 5,2 5,6 10,0
FEMMINE
18-19
65,0 22,4 5,4 3,5 13,0 18,7 8,9 0,7 3,8
20-24
44,2 22,7 5,4 3,9 21,6 32,5 5,1 2,6 5,6
25-29
21,2 27,4 6,7 2,2 23,9 30,6 7,3 6,0 10,3
30-34
7,2 25,6 5,6 5,6 25,1 28,7 7,7 8,8 15,0
35-39
1,9 24,8 10,1 2,4 21,1 30,1 5,3 14,1 23,3
Totale 34,7 24,3 6,1 3,5 20,9 28,8 6,7 4,7 8,9
TOTALE
18-19
63,4 24,8 4,2 4,1 13,2 16,8 9,7 0,6 4,6
20-24
36,3 28,0 5,9 4,7 22,0 31,3 5,4 2,9 6,4
25-29
17,2 30,0 8,6 3,2 21,6 32,7 5,8 5,1 10,2
30-34
3,9 32,6 7,4 6,5 20,7 27,9 4,7 9,9 14,5
35-39
1,3 36,4 7,7 3,8 18,6 30,8 3,1 14,4 19,7
Totale 27,5 29,5 6,7 4,4 20,0 28,8 5,8 5,2 9,5
Fonte: Istat, Indagine multiscopo Famiglia e soggetti sociali, 2013.
I dati dell’Indagine multiscopo Istat su Famiglie e soggetti sociali (relativi al
2009, ma pubblicati nel 2013) segnalano un’ampia varietà nelle motivazioni con