ridefinita. Questo perché, anche per le piccole realtà economiche, la
globalizzazione non permette scollamenti o ripensamenti, pena il pagamento di
un prezzo altissimo in termini di emarginazione e sudditanza rispetto ai poli più
attenti e integrati con la logica della società più avanzate e aperte al mercato.
La dimensione sovranazionale dell’attività economica si è accompagnata
all’aumentata circolazione dei capitali, soprattutto in Europa, e alla
globalizzazione dei mercati che si è determinata a seguito degli importanti
fenomeni di cambiamento tecnologico. Ma in particolare, il processo di
integrazione e globalizzazione dei mercati finanziari internazionali ha registrato
una forte accelerazione, con la crescente partecipazione delle cosiddette
economie emergenti, sia con la componente relativa al credito bancario, sia con
la presenza di tali paesi sui mercati azionari ed obbligazionari. Tuttavia questa
relazione piuttosto stretta tra aree economiche e movimenti di capitali è
interpretata: a) come la conseguenza della riduzione dei costi di transazione
collegati al progresso tecnologico che si determina sui mercati finanziari
(processi simili a quelli che si verificano sui mercati reali per il commercio
intra-industriale); b) come il risultato dell’imperfetta integrazione dei mercati di
beni e servizi che riduce la mobilità dei capitali; c) come l’effetto della crescita
e delle strategie di localizzazione delle imprese multinazionali.
Tuttavia la recente crisi asiatica e la sua rapida estensione hanno cambiato
fortemente l’atteggiamento della cultura mondiale nei confronti della
globalizzazione. È ormai rarissimo sentir tessere le lodi dei meriti illimitati del
mercato, trovare sostenitori di un liberismo senza compromessi e fautori della
libertà assoluta dei movimenti di capitale, così frequenti nella prima parte degli
anni Novanta. Si diffonde invece una ricerca di terze vie tra mercato e Stato, o
meglio, si fanno più frequenti i tentativi di addolcire e mitigare il modello del
mercato senza perdere quelli che vengono percepiti come i suoi indiscussi
vantaggi sui modelli socialisti di un passato recente.
I risvolti della globalizzazione possono essere positivi e negativi. Tra le
conseguenze positive figurano efficienza e incremento della produzione; se però
la globalizzazione è retta dalle pure leggi del mercato applicate secondo la
convenienza dei potenti, le conseguenze non possono essere che negative. Si
opera così una netta distinzione tra il modello teorico, di cui si ammettono, pur
se limitati, caratteri positivi, e il suo uso finalizzato al potere, che comporta
invece una serie di conseguenze nefaste: tali sono, ad esempio, l’attribuzione di
un valore assoluto all’economia, la disoccupazione, l’aumento delle differenze
tra ricchi e poveri, la concorrenza ingiusta che pone le Nazioni povere in una
situazione di inferiorità sempre più marcata.
In molti paesi avanzati dell’Occidente, la ricerca di una “terza via” nasce dalla
constatazione della crescente difficoltà a conciliare lo Stato assistenziale con il
mercato globale; nei paesi emergenti, il mercato globale appare come
un’esperienza ambivalente, da un lato motore indispensabile di crescita, non
fosse altro che per i flussi di capitale che è in grado di generare, dall’altro denso
di valenze distruttive.
In campo istituzionale si osserva un passaggio da programmi e progetti volti ad
allargare l’ambito del mercato ad altri volti, in vario modo a tutelarlo e a
restringerlo. La svolta istituzionale in senso limitativo del mercato può essere
data dall’affossamento del Mai (Multilateral Agreement on Investments), un
trattato internazionale, proposto dall’OCSE, che avrebbe dovuto rappresentare
per gli investimenti ciò che in particolare il WTO (World Trade Organization)
aveva rappresentato per il commercio internazionale: si voleva, in luogo di
centinaia di trattati bilaterali, costruire un contesto mondiale uniforme sulle
modalità degli investimenti. Si sarebbe così conferita alle imprese la massima
libertà di investire in ogni parte del mondo, con pochissimi vincoli da parte dei
governi locali relativi alla durata, al tipo e all’oggetto dell’investimento.
Come conclusione a questa prima introduzione nel mondo e quindi negli aspetti
della globalizzazione, possiamo enunciare cinque verità di “buon senso”
sull’economia globale: l’insufficienza del solo motivo del profitto che, senza
una normativa adeguata, si traduce in una vera e propria “sofisticata rapina”;
l’esistenza di svantaggi oltre che di vantaggi legati alla crescente
interdipendenza economica; la rischiosità dei prestiti internazionali a breve
termine; la necessità di un nuovo Piano Marshall, rivolto alla Russia da tutto
l’Occidente; la maggiore importanza delle “emozioni” rispetto ai fondamentali
dei mercati nei momenti critici, il che spiegherebbe molte delle instabilità
recenti.
1.2 Dal Gatt alla creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
(World Trade Organization, WTO)
Per realizzare un programma di cooperazione economica internazionale sono
stati creati diversi organismi, tra cui il Gatt. Esso è un trattato firmato nel 1947,
secondo il quale attraverso un accordo generale per i dazi
2
e il commercio, si
mira a: a) ridurre l’impiego dei contingentamenti di importazione e dei premi
all’esportazione; b) armonizzare le politiche tariffarie dei Paesi aderenti; c)
ridurre progressivamente i dazi. Nonostante tali obiettivi, bisogna dire che il
Gatt è stato vittima del suo stesso successo. Col crescere del numero dei paesi
che hanno accettato questi accordi, della globalizzazione e dell’interdipendenza
dell’economia mondiale, i problemi del commercio mondiale sono diventati
sempre più complessi. Comunque, nell’ambito del Gatt sono state organizzate
diverse conferenze, tra cui l’Uruguay Round.
Certamente uno dei più importanti risultati dell’Uruguay Round è costituito dal
notevole rafforzamento della struttura istituzionale del Gatt, che formalmente
non è neppure una organizzazione internazionale, attraverso la creazione
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Essa si occupa di amministrare
l’Accordo generale e gli altri strumenti connessi, come modificati dall’Uruguay
Round, nonché tutti i nuovi accordi da esso introdotti, tra cui quelli in materia
di servizi e di diritti di proprietà intellettuale. Le parti Contraenti del Gatt che
hanno accettato la totalità degli impegni derivanti dall’Uruguay Round, sono
membri originari della WTO. Nuovi membri si sono aggiunti all’organizzazione
sulla stessa base, non sarà cioè più possibile una partecipazione parziale al
sistema commerciale multilaterale. Uniche eccezioni sono al momento
2
Secondo la giurisprudenza, vanno ricondotti ai dazi doganali (ed alle tasse di effetto equivalente) gli oneri
pecuniari che colpiscono le merci in ragione del solo fatto che esse varcano la frontiera e ciò a prescindere dalla
denominazione e dalla struttura dell’onere in parola e dagli effetti (discriminatori o protezionistici) che esso
produce. Una diversa soluzione sarebbe possibile soltanto qualora l’onere di cui trattasi costituisse il
corrispettivo di un servizio effettivamente prestato all’importatore - di importo proporzionato al valore di tale
servizio - oppure facesse parte di un sistema generale di tributi interni gravanti, sia sulle merci nazionali, sia su
quelle importate.
rappresentate dai c.d. “accordi plurilaterali”, che, pur se amministrati dalla
WTO, sono stati negoziati da un numero limitato di paesi e rimangono in vigore
solo tra essi.
Oltre a gestire i vari accordi che compongono il sistema commerciale
multilaterale in modo da favorire il raggiungimento dei loro obiettivi, la WTO
costituisce il foro per i futuri negoziati tra i suoi membri in materia di relazioni
commerciali multilaterali, amministra il sistema di risoluzione delle
controversie ed il meccanismo di esame delle politiche commerciali nazionali e
coopererà con il FMI e la Banca Mondiale al fine di garantire una maggiore
coerenza nelle politiche economiche a livello globale.
La struttura istituzionale della WTO prevede una Conferenza Ministeriale che si
riunirà una volta ogni due anni. Il Consiglio Generale, anch’esso composto da
rappresentanti degli Stati Membri, si occuperà di espletare tutte le funzioni cui è
preposta la WTO negli intervalli tra le sessioni della Conferenza Ministeriale. Il
Consiglio Generale inoltre gestirà, nella sua veste di Dispute Settlement Body,
il sistema di risoluzione delle controversie. È altresì prevista la creazione di un
Consiglio per il commercio delle merci, un Consiglio per il commercio dei
servizi ed un Consiglio per gli aspetti commerciali dei diritti di proprietà
intellettuale che operano sotto la supervisione del Consiglio Generale. La
Conferenza Ministeriale è incaricata di nominare un Direttore Generale che è a
capo del Segretariato dell’Organizzazione.
La procedura decisionale della WTO permane, in generale, quella del
consensus. Ove questo si riveli impossibile le decisioni saranno prese a
maggioranza dei voti espressi, salvo ove diversamente stabilito.
L’accordo prevede infine una importante disposizione secondo la quale gli stati
membri devono provvedere ad assicurare la conformità delle proprie leggi,
regolamenti e procedure amministrative alle obbligazioni previste negli accordi
amministrati dalla WTO. Tale norma è volta a rafforzare la prevalenza degli
impegni presi in sede internazionale rispetto alle normative interne, in tal modo
consolidando il funzionamento del sistema multilaterale degli scambi.
L’intesa sulle regole e sulle procedure che governano la soluzione delle
controversie contribuirà anch’essa a limitare il ricorso a misure unilaterali da
parte degli stati. L’accordo ribadisce infatti, che le Parti contraenti debbono far
uso e rispettare le procedure multilaterali da esso stabilite per la risoluzione
delle dispute. Inoltre, a differenza di quanto avveniva in precedenza, le stesse
regole e procedure, con limitate eccezioni e modificazioni, si applicano a tutte
le controversie, incluse quelle riguardanti i nuovi settori dei servizi e della
proprietà intellettuale. Le nuove regole sono applicate per un periodo di quattro
anni, al termine del quale è prevista la possibilità di una loro revisione.
L’efficienza del sistema di risoluzione delle controversie risulta rafforzata anche
dalla previsione di precise scadenze temporali.
Altro importante risultato è l’accordo generale sul commercio di servizi. La
categoria generale dei servizi comprende svariati settori tra cui le
telecomunicazioni, i trasporti, il turismo, i servizi bancari assicurativi e
professionali. L’aver chiaramente posto la regolamentazione del commercio di
servizi nell’ambito del sistema multilaterale degli scambi e l’aver in tal modo
aperto la strada ad una progressiva maggiore liberalizzazione possono
certamente dare un importante contributo alla crescita dell’economia mondiale e
all’efficienza dei sistemi economici delle parti contraenti.
1.3 La Carta dei Diritti e Doveri economici degli Stati
Grande importanza assume la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati,
con cui sono stati enunciati i principi fondamentali che, nelle intenzioni dei
redattori, devono regolare le relazioni economiche tra gli Stati. Tra questi, il
nucleo principale è rappresentato dalla “sovranità permanente” degli Stati sulle
risorse naturali.
Con l’attributo “permanente” riferito alla sovranità nella Carta, così come nelle
citate dichiarazioni dell’Assemblea generale, si esprime il carattere inalienabile
del potere degli Stati sulle proprie risorse. Ad essi deve essere garantita la
libertà di disporre anche mediante convenzioni concluse con altri Stati o privati
stranieri e di modificare o chiedere la revisione dei rapporti convenzionali
instaurati, al principio della sovranità permanente sulle proprie risorse, definito
anche con il termine di autodeterminazione economica, deve essere
evidentemente riconosciuto carattere cogente. Ne consegue che eventuali
accordi i quali pretendano di limitarlo o di ostacolarne l’esercizio si devono
considerare in contrasto con quel principio fondamentale e pertanto illegittimi.
Tra i diritti che costituiscono espressione della sovranità degli Stati sotto il
profilo economico abbiamo: il diritto di ogni Stato di regolamentare gli
investimenti stranieri esercitando in tal modo la propria autorità; di controllare
le attività delle società multinazionali; di nazionalizzare, espropriare e trasferire
la proprietà dei beni stranieri in cambio di una “indennità adeguata, tenuto
conto delle proprie leggi e regolamenti e di tutte le circostanze che lo Stato
consideri pertinenti.
Altre disposizioni, invece, presentano carattere dichiaratamente programmatico
e non consentono di individuare degli obblighi di comportamento determinati in
assenza di disposizioni che ne specifichino il contenuto. Essi tracciano piuttosto
le linee dell’azione che l’intera comunità internazionale deve intraprendere per
correggere le ingiustizie e le ineguaglianze più gravi e porre fine all’egemonia
politica ed economica delle potenze più sviluppate, ma affidano all’iniziativa
degli Stati l’individuazione delle modalità concrete secondo le quali quegli
obiettivi possono essere perseguiti. Infatti, viene enunciato il dovere degli Stati
di contribuire allo sviluppo del commercio internazionale, mediante la
stipulazione di accordi che tengano conto degli interessi sia dei produttori, sia
dei consumatori, e di assicurare prezzi stabili ed equi scambi commerciali con i
paesi in via di sviluppo. Altro dovere degli Stati è quello di cooperare
all’espansione ed alla liberalizzazione del commercio mondiale, secondo
modalità che devono essere precisate in accordi internazionali o in atti adottati
da organizzazioni internazionali.
Taluni articoli presentano infine un contenuto esortativo, auspicando le linee di
una strategia d’azione che gli Stati devono perseguire di fronte al
deterioramento delle relazioni economiche internazionali. Infatti, alcune
disposizioni della Carta vengono enunciati strumenti attraverso i quali si può
realizzare una effettiva solidarietà con gli Stati in via di sviluppo, e consentire a
questi ultimi di partecipare al benessere economico e sociale
3
al pari dei paesi
industrializzati, condizione essenziale affinché venga garantita l’eguaglianza
sostanziale, e non puramente formale tra gli Stati. Si stabilisce tra l’altro il
diritto di tutti gli Stati di dar vita ad associazioni di produttori di materie prime
e il dovere di promuovere condizioni commerciali eque e remunerative; il diritto
degli Stati di partecipare alla cooperazione a livello regionale e mondiale, per lo
sviluppo economico, sociale e culturale, ed ai vantaggi forniti dalle nuove
tecnologie per accelerare la propria crescita economica. Gli obblighi previsti da
tali disposizioni si riferiscono prevalentemente agli Stati industrializzati.
3
Il benessere, ossia lo “stare bene” degli individui dipende da molti fattori difficilmente quantificabili. È
indubbio per esempio che si viva meglio in una città pulita, con poco inquinamento atmosferico e acustico, in cui
le persone siano cortese e i servizi pubblici siano efficienti. Le attuali capacità di raccolta e di elaborazione,
consentono di approssimare il benessere sociale con una variabile alquanto imperfetta il PIL (vedi nota 3 pag.82).
Per tale motivo due economisti W.Nordhaus e J.Tobin, hanno cercato di misurare quello che hanno definito
“benessere economico netto (Ben)”. Al PIL hanno sottratto i fattori che influenzano negativamente il benessere,
aggiungendo quelli che hanno un influsso positivo nonché il valore delle attività non destinate al mercato.
Anche riguardo alla tutela dell’ambiente, la Carta può essere considerata uno
dei primi atti internazionali nei quali sono stati enunciati obiettivi considerati
prioritari dalla maggioranza degli Stati, che hanno costituito oggetto di
importanti convenzioni internazionali negli ultimi anni. La protezione,
conservazione e valorizzazione dell’ambiente per le attuali e le future
generazioni, costituiscono un dovere generalizzato, trattandosi di materia che
rientra nella responsabilità comune a tutti gli Stati, sia industrializzati, sia in via
di sviluppo.
Tale interpretazione appare conforme all’idea che in materia di tutela
dell’ambiente gli interessi degli Stati siano necessariamente interdipendenti e
che si debba accogliere una nozione “integrata” di ambiente, che prescinda dai
confini territoriali o dalle zone marittime riservate all’uno o all’altro Stato.
1.4 Contenuto dei Principi della Carta relativi alle imprese
Infine, dei cinque strumenti adottati in ambito OCSE, i principi direttivi per le
imprese multinazionali presentano certamente gli aspetti di maggiore novità,
pur con i loro limiti di efficacia. Data la mancanza di soggettività internazionale
delle imprese multinazionali, la disciplina delle loro condizioni di
funzionamento spetta comunque a ciascuno Stato, né gli Stati membri
dell’OCSE hanno preteso di sovrapporre un testo internazionale alla
legislazione di ciascun paese che ospiti imprese multinazionali.
I principi indicano in materia circostanziale le limitazioni e gli obblighi ai quali
le imprese possono essere sottoposte da parte degli Stati ospitanti, fornendo in
tal modo una traccia che gli Stati interessati possono seguire nell’adottare
misure legislative volte alla regolamentazione dell’attività di tali imprese.
Una significativa innovazione è rappresentata dall’inserimento nella sezione
delle Guidelines, dedicata a “occupazione e rapporti di lavoro”, della
disposizione in base alla quale si fanno rientrare tra le pratiche contrarie al
comportamento in buona fede il trasferimento di dipendenti da un’entità
all’altra della stessa impresa insediate in paesi diversi, allo scopo di esercitare
una pressione sleale sulle trattative con i rappresentati dei dipendenti stessi o di
ostacolare l’esercizio del diritto di organizzarsi.
Tra gli scopi fondamentali del codice ECOSOC, vi è quello di rafforzare la
cooperazione economica e sociale internazionale tra gli Stati, per consentire alle
società multinazionali di contribuire con le loro attività allo sviluppo ed alla
crescita economica degli Stati, e quello di assicurare il rispetto da parte delle
imprese multinazionali delle leggi e degli obiettivi economici e sociali dei paesi
ospitanti. Questa prospettiva si differenzia notevolmente da quella di tipo
liberista nella quale si colloca il codice OCSE, il cui obiettivo è essenzialmente
quello di eliminare gli ostacoli agli investimenti internazionali e di incentivare
questi ultimi instaurando un clima di cooperazione tra le società multinazionali
e gli Stati.
Dato che il codice non costituisce uno strumento giuridico innovativo sul piano
del diritto internazionale, le regole indirizzate alle multinazionali in esso
contenute hanno natura esortativa, e sono finalizzate ad influenzare il
comportamento delle società multinazionali anziché stabilire veri e propri
obblighi giuridici.
Tra gli obblighi delle società multinazionali, alcune disposizioni riproducono
principi ormai acquisiti nel diritto internazionale in materia di diritti dell’uomo,
o il divieto dell’apartheid. In relazione a tali principi, gli Stati hanno l’obbligo
di adeguare ad essi la propria legislazione e di farli rispettare dai soggetti
operanti nell’ambito del proprio territorio.
Taluni dei principi ai quali fa riferimento il codice, presentano contenuto più
generico e pertanto richiedono l’adozione da parte degli Stati di norme di
dettaglio che ne precisino il contenuto. Altre disposizioni invece, stabiliscono
regole di comportamento che presentano carattere dettagliato. Esse forniscono
una traccia per l’adozione da parte degli Stati di una normativa sulla disciplina
delle società multinazionali, risultato da realizzare possibilmente attraverso
convenzioni internazionali di diritto uniforme.
Infine, può essere considerata un’importante novità a vantaggio delle imprese,
la regola nella quale si stabilisce che gli Stati ospitanti devono garantire un
trattamento equo alle imprese. Espressione con la quale si individua una
maggiore garanzia a confronto con il principio del trattamento nazionale, basata
non soltanto su di uno standard puramente comparatistico. In tal modo la
disciplina in materia di trattamento delle società multinazionali appare più
favorevole alle imprese straniere a confronto della formulazione contenuta nel
codice OCSE.