11
studentesca italiana, in particolare, colpisce progressivamente tutti gli aspetti del
potere e dell’autorità, mettendo in discussione l’intero assetto della società
capitalistica.
La forma istintiva e spontanea con cui la rivolta si manifesta un po’ ovunque è
costituita da metodi del tutto nuovi o parzialmente mediati dalla tradizione operaia.
La protesta finisce così per incidere su due aspetti della realtà, uno etico-
comportamentale (i modi e i costumi), l’altro più specificamente politico (il potere). Gli
amori e gli odi da cui la contestazione fu circondata (ma bisogna considerare che anche
i più accaniti oppositori ne rimasero influenzati) sono in gran parte da attribuire
proprio all’atteggiamento di rottura attraverso il quale la nuova cultura giovanile si
afferma e si impone.
In Italia si comincia a parlare di ‘movimento’ solo tra la fine del 1967 e l’inizio del
1968. Il malumore che da anni serpeggia nelle università italiane riesce ad unificare le
iniziative dei gruppi politici studenteschi sparsi per il paese attorno alla protesta
contro il progetto di riforma universitaria avanzato dal ministro Gui. Decine di
Facoltà di tutte le sedi entrano in agitazione, maturando per la prima volta la
consapevolezza di costituire un unico fronte politico di notevoli proporzioni.
Lo stesso processo di aggregazione era già avvenuto con alcuni anni di anticipo negli
Stati Uniti attorno alle mobilitazioni promosse dal movement contro la guerra del
Vietnam, e stava per interessare anche la Germania occidentale e la Francia.
Il nascente movimento degli studenti rende subito l’idea di un magmatico fiume,
ribollente di contenuti politici ostili al tradizionale concetto di potere politico, di
qualunque colore esso sia (basti pensare ai moti studenteschi nei paesi dell’Est). Per
anni, soprattutto in Italia, il movimento continuerà ad assumere forme spontanee - e
solo relativamente organizzate - di protesta, non identificandosi in un partito politico,
ma bensì con l’indefinita area di aggregazione e di mobilitazione giovanile.
Tra le formazioni che emergono dallo sgretolamento del movimento italiano, nel 1969
nasce “Lotta continua”, il gruppo che meglio di ogni altro in Italia raccoglie l’eredità
delle agitazioni studentesche del ‘68. Negli anni successivi alla sua fondazione, “Lotta
continua” sarà sempre più considerata come l’organizzazione del movimento degli
studenti, l’unica capace di esprimere tutta la carica di ribellione maturata nelle prime
occupazioni contro la ‘scuola di classe’.
Nel volgere di pochi mesi una prima piccola rivoluzione sconvolge il modo di
esprimersi e di rappresentarsi delle ultime generazioni. Tramontano improvvisamente
i canali ufficia li di espressione politica (partiti e ‘parlamentini’ universi tari) e
affiorano forme di aggregazione più adatte a rappresentare l’emergente sete di
partecipazione diretta (gruppi e movimenti). Secondo la nuova logica, la discussione
non avviene più in sedute stabilite ‘dall’alto’ (riunioni per delegati), ma attraverso
convegni ‘di massa’ (le assemblee generali). Si afferma in modo largo e diffuso l’uso del
volantino, il principale mezzo di comunicazione scritta del Sessantotto, del quale si
dirà a parte.
La rivoluzione espressiva attuata dal ‘68 condiziona indubbiamente il metodo di studio
di chi vi si avvicini con intento storiografico. La grande abbondanza di materiale
documenta rio pone infatti di fronte a non poche difficoltà di ordine archivistico
determinate dalla natura stessa delle fonti scritte.
12
“Il Sessantotto non è descrivibile nei termini tradizionali della storia politica: non
esistono verbali di direzioni e comitati centrali, non esistono neppure gruppi
dirigenti stabili e risultati elettorali a cui fare riferimento [...]”
2
.
La stessa definizione delle aree politiche e delle tendenze interne al movimento risulta
problematica, in un contesto documentario costituito da una miriade di scritti molto
approssimativi, affidati più all’immediatezza che alla ponderata elaborazione politica.
“Le fonti scritte, sovrabbondanti anche se disperse, sembrano testimoniare per lo
più stati d’animo ed evoluzioni ideologiche anziché processi reali [...]”
3
.
Per questo si è costretti a seguire unicamente le tracce più consistenti e stabili di un
complesso ed eterogeneo quadro locale. Inevitabilmente qualcosa sfugge alla
ricostruzione a posteriori; ma è lo scotto da pagare alla necessità di tenere dietro, nella
rivisitazione dei fatti e delle idee, ad un filo logico quanto più possibile univoco e
continuativo.
Sono proprio le principali fonti scritte del Sessantotto a porre i primi problemi
metodologici, a risolvere i quali si è rivelato prezioso l’ausilio di opportuni strumenti
tecnici.
Il maggiore ostacolo che ha minato la fase preliminare di questo studio sul ‘68 a Pavia
è stato opposto dalla natura e dalla quasi ‘eccessiva’ disponibilità delle fonti primarie.
Volantini e dispense del movimento studentesco pavese sono in fatti reperibili in gran
copia, soprattutto per la notevole tiratura con cui venivano ciclostilati (di ogni
originale ne venivano stampate quasi sempre centinaia di copie).
Tra l’altro, occorre tenere presente che il repertorio dei fondi analizzati - la cui
completezza sarebbe tutta da dimostrare - riflette l’esperienza di chi questi documenti
ha potuto o voluto raccogliere. Questo, per sottolineare la non assoluta
rappresentatività del pur consistente campione disponi bile di documenti, riferito
comunque per la più parte all’attività della Facoltà ospite della più politicizzata
frangia del movimento pavese
4
.
Nel presente lavoro sono stati presi in esame i fondi di archivio (relativi ai primi
cinque anni di attività del movimento pavese) depositati presso tre diversi Istituti per
la Storia della Resistenza
5
. Dei quattro fondi a disposizione a Milano, Pavia e Roma,
solo il fondo Quoex e il fondo Bolis erano stati preventivamente organizzati secondo un
ordine cronologico e per argomenti. Gran parte del materiale - centinaia e centinaia di
documenti spesso senza data e senza firma imponeva invece un preventivo spoglio
analitico. Senza contare l’inconveniente, inevitabile dato il tipo di documenti
depositati, di disporre in archivi diversi di materiale in parte analogo (a volte solo
molto simile), senza poter operare un confronto diretto del contenuto dei vari fondi.
Il metodo adottato per superare questa notevole difficoltà lo ha offerto l’utilizzo di un
sistema di archiviazione elettronica dei dati. Questo sistema ha reso possibile
l’organizzazione di una dettagliata banca dati costituita da schede indicanti la forma,
2
GIANPASQUALE SANTOMASSIMO, Vent'anni dopo. Il Sessantotto di carta, in "Passato e presente",
3 (1988), p. 89.
3
Ibidem.
4
Si tratta della Facoltà di Lettere. Solo il fondo appartenente alla raccolta di Silvia Andreani è ben
fornito anche di documenti di Medicina, evidentemente raccolti dal marito, allora studente del
Policlinico.
5
Fondo Andreani e fondo Quoex, in I.S.M.L. di Pavia. Fondo Bolis, in I.N.S.M.L. di Milano; fondo
Crainz, in I.R.S.F.R. di Roma.
13
il contenuto e la collocazione di ogni singolo documento
6
. Ogni voce contenuta nelle
schede è stata resa facilmente richiamabile alla sola condizione di fornire alla
macchina (un computer) adeguate specifiche di ricerca. Lo schema messo a punto per
la compilazione delle schede è il seguente:
EMITTENTE nome dell’organizzazione o di chi firma il documento.
TIPO DOCUMENTO volantino, dispensa, bollettino...
DATA EMISSIONE secondo il formato anno-mese-giorno
LOCALITÀ luogo di edizione, se indicato
TITOLO non sempre presente
ARGOMENTO contenuto sommario
CONTENUTO citazione più dettagliata del testo
FONDO indicazione dell’Istituto presso cui il documento è disponibile
RIFERIMENTO indicazioni interne al fondo.
Con l’adozione di questo sistema di catalogazione è stato possibile razionalizzare la
vasta analisi svolta su più di 3000 documenti, fino ad ottenere, grazie a un’operazione
di confronto delle schede relative ai quattro fondi, un archivio ‘in provetta’ di circa 800
differenti ‘pezzi’, spesso disponi bili in più copie e presso più di un fondo.
L’organizzazione di questo archivio non ha tenuto conto del l’eventualità di reperire
altro materiale documentario per completare i fondi già depositati presso i citati
istituti. Anche questa possibilità va segnalata tra le indicazioni di ricerca di cui questa
tesi ha l’ambizione di rendersi promotrice.
Superata questa fase, restava da risolvere un problema intrinseco alla natura del
volantino e al contesto in cui si pone la sua singolare forma espressiva. Se infatti i
manifestini redatti negli anni della contestazione si presentano origina li in quanto a
forma esteriore (la grafica, le vignette) e a registro linguistico (la lingua parlata), non
altrettanto si può dire per il loro contenuto, troppo spesso stereotipato e soggetto a
formule ripetitive. Del resto va precisato che la redazione di questi documenti
avveniva nel breve volgere di poche ore, tra discussioni in assemblea, una veloce (e
approssimativa) battitura e ciclostilatura, spesso notturna, per consentirne la
mattutina distribuzione presso le fabbriche e le scuole della città.
Il gran numero di firme con le quali gli studenti in lotta si qualificano in calce ai loro
documenti ha reso necessaria la loro ripartizione in tre aree (del resto molto vicine e in
parte coincidenti) di appartenenza: l’area di Potere proletario-Lotta continua; l’area
“Operai e studenti”; l’area del movimento, talvolta indicata dalla sigla “MS”, talaltra
determinata da firme disparate (“studenti di...”, “assemblea di...”, “Comitato...” e
simili)
7
.
A tale proposito si deve precisare che, nel testo, la definizione ‘movimento’ va riferita a
tutta la vasta area politica comprendente l’avanguardia riconosciutasi nella linea di
“Potere proletario “, prima, e di “Lotta continua”, dal ‘69 in poi. Al contrario la
6
Il programma contenente i dati è reperibile presso l'I.S.M.L. di Pavia.
7
Si veda, qui di seguito, la tabella riportante la suddivisione dei documenti esaminati per
organizzazione firmataria.
totale: 813 1967 1968 1969 1970 1971 1972
n documenti 12 156 220 222 107 16
% sul totale 1.4 19.1 27.0 27.3 13.1 1.9
14
definizione abbreviata “MS” è adottata esclusivamente per definire le iniziative
attuate (e i documenti siglati) dal “Movimento studentesco”. Le dizioni più generiche,
“movimento degli studenti” e “movimento studentesco” (per esteso), sono da ritenersi
definizioni relative a tutta l’area della contestazione. Netti confini di demarcazione tra
le varie tendenze non dovevano tuttavia essercene, in un’area che raggruppava in
unico ambito - senza soluzione di continuità - posizioni politiche eterogenee, non
sempre facilmente allineabili.
Una volta stabilito di sviluppare la ricerca a partire dalla prima fase della
contestazione e dal processo di formazione della sede pavese di “Lotta continua”, si è
delineata la necessità di dividere il lavoro in due parti, direttamente connesse, ma
distinte: un periodo di incubazione e di sviluppo del movimento degli studenti (che
definiamo ‘fase di puro movimento’), coincidente con le prime occupazioni universitarie
e con la successiva espansione delle lotte sul fronte del le fabbriche e su quello
‘sociale’; ed un periodo caratterizzato dalla definitiva affermazione politica di una
frangia del movimento che aderisce e partecipa attivamente al progetto ‘rivoluzionario’
legato al collegamento nazionale di tutte le avanguardie operaio-studentesche (il
progetto di “Lotta continua”).
Questa suddivisione corrisponde del resto a una periodizzazione valida anche per
quanto riguarda tutto il movimento studentesco italiano, interessato nel corso del
1969 da una tendenza alla frantumazione per la nascita di ‘partitini’ di estrema
sinistra, ognuno rivendicante a sé la diretta eredità del Sessantotto. A Pavia, la
stragrande maggioranza dei quadri militanti del movimento - compresa il suo nucleo
più ‘duro’ - confluisce in “Lotta continua”, continuando ad esercita re un rapporto
chiaramente egemonico su tutta l’area rivoluzionaria pavese.
Se la determinazione di una data, pur approssimativa, d’inizio delle vicende della
contestazione appare piuttosto scontata (è consuetudine, nel caso italiano, assumere
come punto di partenza la fine del 1967), non altrettanto si può dire per la fissazione
di una cesura che rappresenti la fine di una prima fase delle lotte studentesche
inaugurate dalle agitazioni universitarie.
La scansione più diffusa - relativa soprattutto agli sviluppi delle lotte operaie e
studentesche nei grandi centri urbani - fa concludere il primo ciclo del movimento
italiano tra il 1972 e il 1973, periodo in cui si esauriscono le ultime battaglie del più
longevo movimento studentesco, quello milanese.
Nel caso di Pavia questa cesura appare tuttavia inaccettabile. Come si vedrà, infatti,
ben prima di quella data avviene una sorta di ideale ‘staffetta’ fra i dirigenti pavesi di
“Lotta continua” (e di tutto il movimento) protagonisti delle battaglie politiche del
periodo 1968-70 ed una nuova leva di aderenti all’organizzazione rivoluzionaria. Tale
ricambio generazionale ai vertici della sezione pavese comporta un inevitabile
contraccolpo sul quadro politico locale, fino a quel momento ancora molto
movimentato
8
. D’altronde i più navigati dirigenti dell’organizzazione preferiscono a
8
Il dato quantitativo relativo ai documenti contenuti nei fondi esaminati sembra confermare la validità
delle considerazioni sull'opportunità di una cesura cronologica posta intorno al 1971. Si veda, qui di
seguito, il quadro riportante la suddivisione delle fonti esaminate per anno di edizione (1967-72).
totale: 813 Lotta continua Potere
Proletario
Movimento
Studentesco
(di Pavia)
altre Operai e
Studenti
Senza firma
n° documenti 288 78 142 168 48 89
% sul totale 35.4 9.5 17.4 20.6 5.9 10.9
15
quel punto mettere la propria esperienza a disposizione delle sedi organizzative
divenute più importanti (Milano, Roma, Torino, Napoli); ma anche di città minori e
più tranquille, bisognose del l’apporto di esponenti di una certa esperienza.
E’ ovvio che esistono, nel passaggio dal periodo analizzato alla fase successiva, motivi
di continuità, costituiti per lo più (a Pavia) dalle ininterrotte iniziative sostenute da
una sede ‘rivoluzionaria’ comunque sempre molto attiva e presente nel panorama
politico locale.
E’ fin dal 1970, tuttavia, che l’importanza precedentemente assunta dai moti
studenteschi pavesi subisce una sensibilissima flessione, in gran parte condizionata
dai gravi episodi susseguitisi nella cronaca nazionale dopo il dicembre 1969.
Sebbene passibile di eventuali discussioni, la scelta conclusiva di far coincidere
l’analisi storica con il periodo 1968-70 è sostanzialmente condivisa dalla maggioranza
degli ex-militanti chiamati a contribuire con la loro diretta testimonianza alla
ricostruzione degli eventi di quegli anni
9
.
La stessa natura delle fonti primarie utilizzate per la ricerca ha suggerito il ricorso a
ulteriori mezzi di interpretazione della politica attuata dal movimento degli studenti
nel periodo considerato. I volantini e le dispense esaminate presentano infatti toni
dialettici poco utili per una precisazione circostanziata degli argomenti e degli eventi
legati al la contestazione, restando piuttosto legati a formule linguistiche volutamente
superficiali allo scopo di rendere più accessibili i termini della rivolta in atto.
Un utile compendio è stato offerto dallo spoglio dei giornali locali, la cui attenzione
verso i moti studenteschi ha il pregio non indifferente di rappresentare i sentimenti
dell’opinione pubblica moderata di fronte a quanto stava avvenendo fuori e dentro
l’Università.
Fondamentale tuttavia si è rivelata la decisione di rivolgersi agli ex-militanti di “Lotta
continua” per chiedere un loro personale contributo alla ricostruzione degli episodi
cardinali della contestazione a Pavia. Ci si è trovati così di fronte a un altro problema
metodologico costituito dalla necessità di integrare fonti scritte e fonti orali, tenendo
presente anche il rischio - implicito in questo tipo di ricerca - di assumere un
atteggiamento eccessivamente simpatetico nei confronti dell’oggetto di studio.
Va altresì sottolineato come la ricerca si ponga in un’ottica ‘interna’ al movimento,
prescindendo volutamente dalla metodica considerazione delle fonti esterne ad esso
(fatta in qualche caso eccezione per il solo PCI e per alcuni dei principali interlocutori
della politica studentesca). Per sopperire almeno in parte alle lacune determinate da
questo vizio di fondo, si è voluto dare ampio rilievo alle testimonianze personali di
alcuni dei principali protagonisti del ‘68 pavese, cercando in questo modo di utilizzare
tutti gli strumenti messi a disposizione dalla ricerca storica.
Del resto la dignità storica assunta dalle fonti orali, grazie all’opera di rivalutazione
attuata soprattutto dagli storici impegnati nella storia della Resistenza, pare non
poter essere messa in discussione.
Nell’avvalorare questa tesi, Luisa Passerini afferma:
“Asserendo che i grandi eventi, le datazioni, le decisioni dei potenti contano per noi
meno della vita quotidiana degli uomini e delle donne comuni, la storia orale si
pone - intenzionalmente - come storia alternativa rispetto a quella tradizionale che
9
Cfr. a riguardo le testimonianze rese all'autore da Franco Bolis (il 9 marzo 1989), Guido Crainz (il 3
gennaio 1989), Alberto Moggi (il 9 febbraio 1989) e Renzo Pezzia (il 5 febbraio 1989), in I.S.M.L. di
Pavia, Archivio Fonti Orali.
16
non ha mai guardato a ciò che importa veramente e quindi ha parlato
erroneamente di fatti significativi. Ma ciò che ne risulta [...] è una sorta di
atomizzazione del fatto storico, sì da escludere un’impostazione positivistica
secondo cui la ricerca storica deve solo scoprire e descrivere un ordine predato. [...]
Se credeva all’inizio di essere rivoluzionaria solo perché accentuava il ruolo delle
masse, la storia orale lo diventa alla fine proprio perché sottolinea il ruolo dello
storico”
10
.
Nel caso specifico di una ricerca sui movimenti giovanili, notevole si presenta tra
l’altro la vicinanza fra linguaggio del ciclostile (i volantini), portatore di una parola
“diffusa” ed “effimera”, e linguaggio orale; argomento che rende tanto più preziosa la
scelta di integrare le fonti scritte con le testimonianze dei personaggi legati al ‘68
11
.
Chiamando in causa otto testimoni diretti dell’esperienza movimentista pavese, si è
potuto appurare come “le testimonianze orali di più protagonisti in un certo episodio
tendano a integrarsi piuttosto che a contraddirsi”
12
. Se si esclude infatti qualche
circostanza in cui son trapelate alcune contraddizioni tra le versioni fornite dai
militanti, la registrazione (a mezzo di magnetofono) delle spontanee dichiarazioni
rilasciate dagli interpellati si è dimostrata sempre preziosa per una più puntuale
definizione del quadro storico tracciato dai documenti scritti.
Malgrado la moltitudine di fonti rese disponibili nell’ambito della ricerca, il ruolo del
documento scritto resta tutta via centrale ed emblematico della immediatezza
espressiva caratteristica dei movimenti di tutto il mondo.
Onde evitare di spezzettare eccessivamente il discorso con continue citazioni dai
volantini - ma anche per valorizzare il lavoro di analisi e di ordinazione dei fondi di
archivio - è stata organizzata, a parte, un’appendice contenente i documenti più
significativi del periodo trattato. Il vantaggio di questa scelta è costituto dalla
riproduzione ‘visiva’ di uno degli aspetti più singolari della contestazione studentesca,
la enorme produzione ciclostilata, significativa espressione della creatività apportata
dalle lotte studentesche. Si è per questo preferito cercare di rendere le schede
d’appendice quanto più fedeli ai volantini originali, allo scopo di non snaturarne il
contenuto ‘di rottura’ che risiede più nella asprezza dei toni (soprattutto dei titoli e
delle parti del testo maggiormente evidenziate) che nelle spesso logorroiche e ripetitive
argomentazioni.
La sequenza dei documenti pubblicati in appendice rappresenta d’altro canto un
tentativo di ripercorrere la storia della contestazione a Pavia passando attraverso quei
comunicati che, realizzati febbrilmente di notte, contrappuntavano con il loro, spesso
schematico, commento ogni avvenimento mondiale o locale e ogni tappa delle lotte
operaie e studentesche.
La ricostruzione di questo percorso, lungo tre anni, fatto di lotte, di assemblee, di
piccoli tafferugli, mette anche in evidenza il graduale e progressivo inasprimento dei
toni dialettici e del linguaggio politico usati dall’avanguardia studentesca pavese,
fornendo tra l’altro una valida chiave di lettura dei più esasperati fenomeni giovanili
degli anni ‘70 (la “disgregazione”, l’”autonomia”, il terrorismo).
10
LUISA PASSERINI, introduzione a AA.VV., Storia orale. Vita quotidiana e cultura materiale, Torino
1978, pp. XVII-XVIII.
11
SANDRO PORTELLI, relazione al convegno 1968-88, venti primavere dopo. Un bilancio, Brescia 9-11
marzo 1989.
12
CESARE BERMANI, Dieci anni di lavoro con le fonti orali, in "Primo maggio", 5 (1975), p. 42.
17
PARTE PRIMA
LA FASE DI PURO MOVIMENTO (1968-69)
18
I. La rivolta studentesca in Italia e nel mondo
1. Il contesto internazionale
Il quadro storico della seconda metà degli anni ‘60, che fa da palcoscenico
all’esplosione dei movimenti giovanili di pro testa (dopo esserne stato la culla) è
caratterizzato dagli sviluppi dell’ultimo conflitto mondiale, con la manichea
polarizzazione del dominio assoluto attorno ai due blocchi, pro tesi verso un equilibrio
fondato sulla sproporzionata eccedenza dei loro arsenali atomici. Al periodo della
‘guerra fredda’ negli anni ‘50, era seguito quello della distensione senza che si
verificassero effettivi spiragli di superamento della contrapposizione tra il mo dello
economico capitalista nordamericano e quello socialista sovietico. L’Unione Sovietica
continuava di fatto a imporre agli alleati del ‘Patto di Varsavia’ una linea di totale
chiusura ad ogni riforma, nonostante il processo di destalinizzazione intrapreso da
Kruscev dal 1956. Nell’agosto del 1968 in Cecoslovacchia il tentativo riformista
inaugurato da Dubcek, fautore di un ‘comunismo dal volto umano’, viene stroncato
dall’intervento delle truppe sovietiche. L’avvenimento farà affondare nel discredito
ogni residua considerazione del modello sovietico da parte degli studenti del
movimento occidentale.
Anche la Polonia viene attraversata da moti a carattere nazionale e antisovietico; ma
gli studenti, scesi in lotta nel marzo del 1968 a Varsavia, non trovano l’alleanza degli
operai che scenderanno in agitazione solo due anni più tardi, a Danzica e Stettino,
contro l’aumento generale dei prezzi. La rivolta non sortisce altro effetto se non la
dura repressione governativa
1
. Sull’altra sponda, dopo cinque anni di conflitto, gli
Stati Uniti si ritrovano impaludati con più di 500.000 uomini nella penisola
indocinese, in una guerra che sfugge al loro controllo, nonostante la mobilitazione di
forze massicce e di enormi capitali. Una delle principali ‘molle’ della contestazione
giovanile, scatta appunto nel 1964, all’inizio dell’impegno bellico nella penisola
asiatica, quando i giovani americani inaugurano una dura protesta contro la guerra
del Vietnam. Proprio intorno al 1968, a causa del progressivo deteriorarsi della
situazione in Indocina, il tentativo del neoeletto presidente degli Stati Uniti Richard
Nixon di risolvere la questione con l’intensificazione della guerra aerea si rivele rà un
fallimento. Mentre i rapporti tra il governo americano e i governi dell’URSS e della
Cina popolare vanno gradualmente consolidandosi (in tempi diversi, visto il perdurare
della tensione tra i due colossi comunisti), gli Stati Uniti vivono un’altro momento di
grave turbamento, allorché, in pieno 1968, viene assassinato Martin Luther King, il
pastore protestante leader del movimento nero per i diritti civili. Il paese viene
pervaso dalle rivolte dei ghetti neri capeggiate dai militanti del “Black Power”. Pochi
mesi prima, nell’immediata vigilia del 1968, cadeva ucciso in America Latina, durante
un combattimento contro le truppe del regime boliviano. Ernesto Che Guevara, già
capo con Fidel Castro della vittoriosa insurrezione cubana del 1959. La sua figura di
guerrigliero, immediatamente mitizzata dagli studenti di molti paesi, assurge a
simbolo della lotta contro l’imperialismo americano, definito da Guevara “il gran de
nemico del genere umano”
2
. Anche la Cina sullo scorcio degli anni ‘60 vive un
momento di grande fermento. La “rivoluzione culturale”, dopo aver mutato
profondamente (tra il ‘65 e il ‘66) l’arte e la letteratura ufficiali, sferra il suo attacco
1
GUIDO VIALE, Il Sessantotto. Tra rivoluzione e restaurazione, Milano 1978, pp. 124-125.
2
VIALE, Il Sessantotto cit., p. 80.
19
dissacratore ai centri del potere burocratico. Dalla rivoluzione culturale cinese i
movimenti studenteschi occidentali mutueranno la condanna contro i due sistemi
imperialisti sovietico e americano
3
, e (ma questo vale soprattutto per le frange più
politicizzate e filomaoiste del movimento) l’idea della necessità di sciogliere i partiti
comunisti per rifondarne la politica su presupposti di massa. Più tranquilla la
situazione in Europa, dove solo la Francia, dopo l’avvento della Quinta Repubblica nel
1958, aspira ad una politica autonoma da vera e propria potenza, velleità confermata
dall’uscita dalla NATO nel 1966. La Gran Bretagna era invece tutta protesa a
rafforzare e privilegiare i rapporti con i paesi del Commonwealth, ormai sulla via
dell’indipendenza politica ed economica dall’impero coloniale inglese. La Germania e
l’Italia vivono il loro “miracolo economico”, seguìto agli anni difficili della
ricostruzione. La costruzione del “muro di Berlino” nel 1961, oltre a dividere
definitivamente le due Germanie, aveva finito per innestare pericolose frustrazioni di
carattere nazionale nella già delicata contrapposizione dei due blocchi in Europa. In
America Latina dominava lo squilibrio tra paesi avviati all’industrializzazione
(Messico, Brasile e Argentina) e paesi ancora soggetti allo sfruttamento delle
multinazionali nordamericane. In questo quadro allignavano regimi nazionalisti, privi
di solide basi e resi ancora più instabili dalle pressioni politiche ed economiche
esterne. I paesi del Terzo Mondo, per lo più ex-colonie, sono interessati, tra il 1955 e il
1965, dal complesso processo di decolonizzazione e di indipendenza politica. L’ascesa
della Cina popolare è l’emblema del nuovo ruolo che i paesi meno sviluppati si
apprestano a ricoprire.
L’esplosione diffusa dei moti studenteschi nel 1968 coinvolge, in modo più o meno
radicale, tutte queste differenti realtà . Il mondo, rigidamente diviso in blocchi
ideologici e da interessi economici, viene improvvisamente attraversato da una
ventata di idealismo, con i giovani in prima fila nel rifiuto senza riserve di una realtà
tanto diversa dalle illusioni maturate durante e appena dopo l’ultimo sanguinoso
conflitto.
2. Una crisi generazionale
Il ‘68 studentesco è un fenomeno storico che trova riscontri più o meno simili in tutto il
pianeta. La complessità del le sue origini e la eterogeneità delle sue manifestazioni, lo
cali e nazionali, ne fanno un oggetto di assai difficile interpretazione. I caratteri che lo
rendono invece in parte omogeneo sono anche componenti di quello spirito che, diffuso
dai media, ha superato ogni barriera nazionale e culturale: l’egualitarismo e
l’internazionalismo. È tuttavia giusto chiedersi se, malgrado la generalizzazione
storica, sia lecito parlare di un ‘68, o piuttosto di “tanti diversi ‘68, differenziati per
paese, ma anche per città, e per strati e raggruppamenti sociali distinti”
4
.
Molto è stato scritto sulle ragioni che hanno innescato, al la fine degli anni sessanta,
l’esplosione pressoché contemporanea dei movimenti giovanili di protesta. L’unica
chiave di lettura possibile è fornita tuttavia dal contesto storico del secondo
dopoguerra, un terreno fecondo per la fermentazione di una diffusa crisi
generazionale. Che di crisi si tratti, non v’è dubbio; né si può negare il fatto che abbia
riguardato quasi esclusivamente le giovani generazioni, tanto che una prima analisi
3
Ibidem, pp. 95-9.
4
Il dubbio è avanzato da ORTOLEVA, Saggio sui movimenti cit., p. 7.
20
superficiale del fenomeno relativo alla contestazione giovanile ridusse il conflitto ad
una passeggera “rivolta edipica”
5
. La crisi riguarda, non solo i protagonisti della
rivolta, presi dalla loro inquieta ricerca di nuovi valori alternativi rispetto a quelli
imposti dal sistema in cui vivono, ma anche e soprattutto lo stesso sistema politico
culturale e istituzionale, sia esso capitalista o socialista. La messa in discussione dei
capisaldi dell’ideologia dominante finisce per minare le fondamenta su cui poggia
l’intera struttura della società moderna. I motivi di fondo della rivolta risiedono
dunque là dove affonda le sue radici la rottura verificatasi tra la nuova cultura
giovanile e le tradizioni politiche e culturali precedenti. La discontinuità
generazionale che emerge in questi anni (ma, in forme più implicite, già nei primi anni
‘50 con la “beat generation” e poi con il movimento “hippy”) affonda le radici nel
contesto storico del dopoguerra. E tuttavia è un fenomeno che presenta caratteri
contraddittori:
“Se gli aspetti di continuità con il mondo adulto venivano spesso vissuti dal
movimento con irritazione e preoccupazione, a un altro livello però la ribellione
giovanile manifestava una forte ansia di radici, l’esigenza di darsi comunque un
passato, di rompere l’isolamento generazionale. [...] Il movimento manifestò
[l’esigenza] di tradurre nel linguaggio, nei gesti, del passato un conflitto che era in
effetti radicalmente nuovo”
6
.
Forse proprio pensando a questa “ansia di radici”, Melucci ha messo in evidenza un
aspetto che la realtà dei movimenti degli anni ‘60 sembrerebbe negare:
“Come sempre accade nella storia dei movimenti, i nuovi attori parlano sempre
vecchi linguaggi perché non hanno ancora un linguaggio proprio. Mentre si
formano, utilizzano l’eredità dei movimenti che li hanno preceduti, si radicano
nella memoria e nei simboli del passato”
7
.
Quest’analisi è sicuramente valida per le frange più politicizzate del movimento (in
Italia, il MS della Statale di Milano e l’area marxista-leninista). Un’altra componente
essenziale della contestazione è costituita dalla ‘ribellione morale’ contro l’autorità
intesa come oppressione:
“Il movimento studentesco dava voce in Occidente a una crisi, quella che veniva
definita allora ‘crisi di credibilità’, che coinvolgeva i rapporti tra istituzioni e
cittadinanza in quasi tutte le democrazie; mentre in Europa orientale prendeva
apertamente di mira la totale separazione fra potere e società. La autorità politica
e quella delle istituzioni pubbliche appariva delegittimata in quanto mistificante e
menzognera, fondata sul segreto, sul rifiuto della trasparenza, e sull’accorta
manipolazione dell’opinione pubblica”
8
.
L’irriverenza rispetto al tradizionale rapporto con l’autorità e l’uso della beffa in ogni
manifestazione d’idee rappresentano due aspetti consequenziali al sostanziale rifiuto
del concetto di autorità. Il concetto di fermento innovativo è presente in tutte le
5
ORTOLEVA, Saggio sui movimenti cit., p. 43.
6
ORTOLEVA, Ibid., p.51.
7
ALBERTO MELUCCI, L’invenzione del presente. Movimenti, identità, bisogni individuali, Bologna
1982, p. 77.
8
ORTOLEVA, Op. cit., p. 45.
21
interpretazioni del Sessantotto che tendono a sottolineare le dimensioni ecumeniche
del fenomeno:
“Qualcosa agiva anche sul livello dell’immaginario sociale, c’era anche il contagio
di altre esperienze, la sensazione che una generazione stesse dando, da Berkeley a
Pechino, da Berlino a Praga, da Belgrado a Tokio, uno scrollone alla vecchia
società, e che dunque fosse possibile cambiare il mondo”
9
.
Ma il ‘68, soprattutto nei paesi dell’occidente europeo, sembra rappresentare anche il
tramonto dell’istituzione universitaria intesa come organismo preposto alla
formazione di un’élite di tecnici e di intellettuali:
“Non soltanto l’università stava perdendo, agli occhi degli studenti in rivolta, la
sua funzione di formazione in favore di quella, puramente burocratico-repressiva,
di fabbrica selettiva di laureati, ma il concetto stesso di ‘educazione’ andava
assoggettato a una critica radicale, in quanto presupponeva una dissimmetria di
partenza fra ‘educatore’ e ‘educato’, ed era in molti casi la legittimazione di
pratiche autoritarie e manipolatorie”
10
.
Dalla crisi della ‘Cultura’ scaturivano le premesse di un incontro difficile e, a suo
modo, storico:
“Da due punti lontani e contrapposti della costellazione sociale definita dalla
grande espansione [...] degli anni posteriori alla seconda guerra mondiale, si
staccano e si ritrovano a convergere due movimenti di massa”
11
.
L’incontro tra studenti ed operai, che in Francia e in Italia ha monopolizzato una gran
parte delle risorse mobilitate dalla contestazione, caratterizzerà l’esperienza del ‘68
pavese e, sul piano nazionale, determinerà la nascita di Lotta continua. La
contestazione giovanile gode comunque di un contesto internazionale ricco di fermenti
e di contrasti. C’è da chiedersi cosa sarebbe stato del ‘68 senza le forti ispirazioni
offerte dall’emergere dei movimenti per i diritti civili e delle lotte anticoloniali nel
terzo mondo, senza il Vietnam e la Cecoslovacchia, senza la rivoluzione culturale
cinese e la guerriglia in America Latina.
3. I fermenti nella sinistra extraparlamentare. I prodromi del Sessantotto
italiano
L’area politica a sinistra del Partito Comunista Italiano pullula negli anni ‘60 di
gruppuscoli e partitini, ognuno rivendicante a sé la giusta interpretazione
dell’ortodossia marxista. Sono gruppi, questi, che rinnegano il ruolo storico del PCI
come partito dei lavoratori e che vengono praticamente ignorati dallo stesso PCI
(atteggiamento che il partito manterrà per diversi anni anche nei confronti della
nuova sinistra nata dal movimento). L’incubazione di gruppi comunisti al di fuori del
PCI attorno al 1960 è la conseguenza del dibattito suscitato dal XX congresso del
PCUS del 1956 nel movimento comunista internazionale. Kruscev, attaccando e
9
ORESTE SCALZONE, Il biennio rosso. Figure e passaggi di una stagione rivoluzionaria, Milano 1988,
p. 106.
10
ORTOLEVA, Saggio sui movimenti cit., p. 64.
11
VIALE, Il Sessantotto cit., p. 10.
22
demolendo il mito di Stalin, “getta nello sbalordimento milioni di militanti” ancora
saldamente legati all’idea staliniana della “dittatura del proletariato”
12
. All’interno del
PCI si produce una frattura tra coloro che restano fedeli al modello sovietico e chi si
allinea ai partiti comunisti cinese e albanese, entrambi schieratisi contro il
mutamento in senso riformista della dirigenza moscovita. Il rapido deteriorarsi dei
rapporti Cina-URSS acuisce ulteriormente le distanze tra le due posizioni. Negli anni
successivi, nell’area politica marxista, è tutto un fiorire di formazioni e di riviste. Nel
1962 comincia ad essere pubblicata, a cura di Raniero Panzieri, la rivista “Quaderni
Rossi”, una pubblicazione nella quale intellettuali dell’area socialista intervengono sui
temi proposti dalle lotte operaie. Ne escono pochi numeri, ma attorno ad essa sorge un
dibattito la cui eco arriverà fino agli anni del movimento. Nello stesso anno
cominciano a uscire anche i “Quaderni Piacentini”, “la rivista più importante per
capire i presupposti teorici del movimento studentesco”
13
. Dal 1964 inizia le
pubblicazioni anche “Giovane Critica”, che s’occupò prima di critica cinematografica,
per poi aderire nel 1967 alle posizioni politiche del “Potere operaio” pisano. Anche il
periodico di letteratura “Nuovo Impegno” seguirà la stessa parabola di avvicinamento
all’attività del gruppo pisano, grazie al contributo di Luciano Della Mea. Più tardi, nel
1968, comincerà ad essere tradotta per l’edizione italiana la “Monthly Review”, la
rivista marxista americana redatta da Sweezy e Baran, due teorici del
“terzomondismo”. Nel 1964 si costituisce il primo gruppo “m-l” (marxista-leninista)
italiano attorno al mensile “Nuova Unità” che, ripudiando il PCI, abbraccia le cause
albanese e cinese. In questa iniziativa si riconoscono gruppi di militanti m-l di tutta
Italia. La storia dell’area politica marxista-leninista è interessata in questi anni da
continue scissioni. La prima, nel 1965, dà luogo alla nascita della “Lega dei comunisti
m-l”, un gruppo su posizioni minoritarie
14
. Nel 1966 si realizza l’idea di creare un
partito “m-l”; al congresso di Livorno dei marxisti.leninisti viene fondato il PCdI
(Partito Comunista d’Italia), ufficialmente riconosciuto dal governo cinese. I gruppi
marxisti-leninisti, attraverso le diverse pubblicazioni sopravvissute alle frequenti
scissioni (“Nuova Unità”, “Il partito” e “Servire il popolo”), riescono a conquistare
adepti tra gli studenti; assai meno tra gli operai, sia per la loro esasperata
propensione per l’analisi teorica, sia per il profondo radicamento tra gli operai stessi
del partito operaio per eccellenza, il PCI. Tuttavia la loro presenza nel l’ambito del
movimento studentesco fu modesta, anche per una connaturata insofferenza nei
confronti dello ‘spontaneismo’
15
. Il movimento studentesco che si sviluppa in Italia a
partire dalle occupazioni dell’autunno del 1967 è un fenomeno non direttamente legato
all’area politica sedimentata negli anni precedenti; nonostante il suo carattere
spontaneista, la rivolta studentesca ebbe tuttavia a giovarsi dello spazio politico
creatosi a sinistra del PCI. Negli anni precedenti l’esplosione manifesta del
movimento, si poteva riscontrare già negli atenei italiani un fermento indicativo della
tensione che stava accumulandosi tra le mura di un’università sottodimensionata
rispetto alle esigenze dettate dalla crescente scolarizzazione e sempre più inadeguata
alle richieste di rinnovamento espresse dalle ultime leve studentesche. La prima
12
GIUSEPPE VETTORI (a cura di), La sinistra extraparlamentare in Italia, Roma 1973, p. 32.
13
VETTORI, La sinistra cit., p. 24.
14
Per una precisa ricostruzione delle scissioni in seno al movimento m-l, si veda TOBAGI, Storia del
Movimento studentesco cit.
15
All’università di Pavia i militanti m-l non era no che poche unità e con poco seguito. Solo nel
l’ostentazione di spille raffiguranti Mao, gli studenti del movimento seguirono l’iconografia tipica dei
gruppi marxisti-leninisti.
23
occupazione è attestata nel lontano 1957 a Torino, allorché gli istituti di Architettura
vengono presidiati dagli studenti “con il consenso e l’appoggio del preside della
facoltà”, per protestare contro l’introduzione dell’esame di stato
16
. Le agitazioni
successive, peraltro non frequenti, conservano un carattere sindacale ed uno spirito
alieno da accenti politici radicali. Le associazioni studentesche presenti nei
‘parlamentini’ erano a capo di ogni iniziativa, man tenendo la conflittualità in termini
rigidamente istituzionali. Un primo elemento perturbatore di questo clima
sostanzialmente tranquillo, fu introdotto dalla presentazione in parlamento del
disegno di legge per la riforma universitaria da parte del ministro Gui nel 1965. Il
malcontento suscitato da questo progetto di riforma si manifestò costantemente in
tutte le agitazioni successive, fino al massiccio avvento della contestazione
studentesca. Nella primavera del 1966 si verificò un episodio che, sembrerebbe già
calato nel clima degli anni caldi del movimento: la protesta per l’uccisione di Paolo
Rossi, lo studente socialista fatto cadere, durante un tafferuglio, dall’alto di una
scalinata dell’ateneo romano da parte di giovani estremisti di destra
17
. La
mobilitazione “mostrò il potenziale protestatario” disponibile nell’ateneo romano, ma
anche “la mancanza di sbocchi in cui questa protesta veniva a dibattersi”
18
.
L’alluvione che mise in ginocchio Firenze il 4 novembre del ‘66 fu un’altra occasione
per gli studenti di tutto il paese di dimostrare la loro volontà di protagonismo e un
nuovo impegno in direzione sociale. Ne accorsero a centinaia da tutti gli atenei per
contribuire alla delicata opera di recupero dell’immenso patrimonio artistico messo a
repentaglio dalla tracimazione dell’Arno
19
.
Nel ‘66 e nel ‘67 si tengono, un po’ in tutte le sedi universitarie, dimostrazioni ispirate
dagli avvenimenti internazionali, come gli sviluppi della guerra in Vietnam, il colpo di
stato militare in Grecia, la rivolta nei ghetti neri americani e l’uccisione di Che
Guevara; mentre, sul fronte interno, con la graduale diffusione di rivelazioni sul caso
SIFAR – i servizi segreti dell’esercito diretti dal generale De Lorenzo, accusati di aver
preparato nell’estate del 1964 un colpo di stato – si acuiva la sfiducia dei giovani nei
confronti dei canali ufficiali e di partito offerti dalla politica. Con un paio di mesi di
anticipo sul relativo anno astronomico, il ‘68 prende così le mosse in Italia, nel
novembre del 1967, con una serie di occupazioni sparse per la penisola e quasi coeve
che, nel giro di poche settimane, decretano l’avvento di una nuova stagione per la
cultura e per la società.
4. La rivoluzione espressiva
Nel decennio 1960-70 si consuma, parallelamente al coagularsi della contestazione
giovanile nel mondo, una lenta ma inesorabile trasformazione del costume sociale e
culturale. Questo complesso fenomeno non è da porre direttamente in relazione con la
maturazione di una precisa coscienza politica; si tratta, al contrario, dell’affermazione
di una inedita ‘cultura giovanile’ carica di contenuti innovativi e permeata da un
sostanziale rifiuto di ogni patrimonio culturale precedente.
16
OLIVA-RENDI, Il movimento studentesco e le sue lotte, Milano 1969, p. 14.
17
SCALZONE, Il biennio rosso cit., p. 16.
18
OLIVA-RENDI, Il Movimento cit., p. 16.
19
Cfr. la testimonianza di Grazia Rotolo, resa al l’autore il 25 febbraio 1989; in I.S.M.L. di Pavia, A.F.O,
loc. cit.
24
“L’espressione ‘cultura giovanile’ pare [...] riassumere in sé tutta la molteplicità di
significati raggiunta dal termine ‘cultura’ nella società contemporanea. Con essa si
allude simultaneamente alla totalità dei comportamenti di uno specifico gruppo
sociale [...]; alla concreta circolazione di alcuni specifici prodotti della ‘cultura di
massa’, soprattutto musicali, cinematografici; e anche all’emergere di stili e temi
nuovi in alcuni settori [...] della produzione artistica e letteraria di avanguardia,
parte cioè della ‘cultura’ nel senso più tradizionale del termine. [...] A partire dalla
fine degli anni ‘50, nel mondo occidentale la giovinezza, intesa sia come concreta
determinazione d’età sia come categoria astratta, assume nell’industria culturale
un rilievo e una serie di implicazioni nuove”
20
.
Gli adolescenti di questo periodo si dimostrano ansiosi di voltare pagina, sospinti dal
rifiuto di un presente fatto di equilibrio atomico e di “guerra fredda”, e di un recente
passato ancora echeggiante di guerre, di stermini, di distruzioni, di fame. Si diffonde,
attraverso i mass media, lo stereotipo (tutto nordamericano) del giovane complessato,
in crisi esistenziale, non partecipe dell’euforia consumistica propinata dalla cultura
ufficiale. I film americani raccontano le storie delle prime ‘bande’ metropolitane, con le
loro frustrazioni, la loro violenza, la loro alienazione. Dietro l’inquietudine della
“gioventù bruciata” (come successivamente dietro i riti e i miti della beat-generation) è
possibile leggere una forte volontà di protagonismo, la ricerca di nuove forme di
comunicazione interpersonale che interessano tutta la sfera espressiva (dai gesti al
linguaggio, dal modo di vestire a quello di pensare). A farla da padrone in questi anni
è sempre il modello statunitense. La rivoluzione del costume, nel secondo dopoguerra,
è forgiata dalla società americana e giunge, attraverso ogni mezzo di comunicazione,
ad affermarsi anche in un’Europa in cerca di modelli di ispirazione per la propria
ricostruzione, materiale e morale. Dal 1963 in poi, con l’inizio della guerra nel
Vietnam, si diffonde anche in Europa il vento del pacifismo: nuove marce per la pace,
le prime tracce di una “contro-cultura” (o cultura “underground”), le prime note di una
musica che parla di rivolta. Questa cultura alternativa “contribuisce a costituire, o
ispirare, una delle componenti più feconde del movimento”
21
. Si diffonde la
“underground literature”, una letteratura portatrice delle nuove idee: i discorsi e
l’autobiografia di Malcom X, gli scritti di Fanon. Nel ‘67 va in stampa un romanzo che
i giovani del ‘68 lessero “con un’adesione e un entusiasmo contagiosi”
22
: Cento anni di
solitudine dello scrittore colombiano Gabriel Garcìa Màrquez. In Italia, nello stesso
anno, esce Lettera a una professoressa di Don Lorenzo Milani e dei ragazzi della
scuola di Barbiana, un testo fonda mentale per la contestazione nostrana. La musica
riveste immediatamente un ruolo fondamentale nella diffusione della contro-cultura
negli anni ‘60; le canzoni pacifiste interpretate da Bob Dylan e Joan Baez
costituiranno il veicolo più sicuro di propaganda delle prime mobilitazioni svoltesi in
tutto il mondo contro la guerra in Vietnam. Il potenziale di rottura con la tradizione,
espresso da questo nuovo filone della musica, finirà per essere enorme. Parallelamente
si affermano, soprattutto in Europa, i gruppi musicali ‘rock’, un po’ interpreti e un po’
profeti dello spirito rivoluzionario che va facendosi largo nelle giovani generazioni
(“Beatles” e “Rolling Stones” su tutti).
20
ORTOLEVA, Saggio sui movimenti cit., p.53.
21
VIALE, Il Sessantotto cit., p. 19.
22
GRAZIA CERCHI, Dimmi cosa leggi, in ‘Storia dei giovani. Prima, durante e dopo il Sessantotto’
(suppl. n.1137 di “Panorama” del 31 gennaio 1988), p. 117.