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1. Introduzione
La concezione di prospettiva ambientale è, oggi più che mai, uno dei temi al
centro del dibattito non solo in campo scientifico.
Se, da una parte, le scienze ambientali in ambito umanistico si sforzano,
riuscendoci discretamente, di assumere un ruolo necessario nelle accademie e nella
ricerca in genere, dall’altra le stesse faticano maggiormente ad inserirsi in un
contesto professionale nei rami dove dovrebbero essere destinate normalmente, come
quelli della pianificazione territoriale e aziendale.
Questa condizione è ancor più visibile in Italia, rispetto agli altri maggiori Paesi
europei e agli Stati Uniti, dove le scienze geografiche in generale affiancano
l’urbanistica, l’ingegneria e la psicologia ambientale e diversi altri settori, al fine di
indagini statistiche, analisi costi-benefici, studi di fattibilità e normalmente di
problem solving.
In tutti questi casi, la visione ambientale di diversa estrazione è completata
dall’incontro con la scienza comunicativa. La prima riesce ad avere efficacia ed
ottenere risultati solo se affiancata alla seconda.
In questo modo, la comunicazione, con l’aggiunta dell’aggettivo ambientale,
assolve il compito di descrivere e analizzare le dimensioni economiche, sociali e
ambientali, appunto, di un certo contesto di riferimento. Tuttavia, non basta giungere
a questo livello: la comunicazione, trovando il punto di equilibrio fra questi tre
parametri, assume la connotazione di comunicazione sostenibile.
La comunicazione sostenibile è anche quindi, ma non solo, comunicazione
ambientale, e concorre alle strategie per la governance delle relazioni istituzionali e
aziendali, diventando strumento di diffusione di valori e reputazione.
Una volta dibattuto e definito, oltre a questi parametri, il concetto di paesaggio,
sia dal punto di vista delle discipline che di esso hanno trattato, sia dal punto di vista
giuridico in un processo culminato con l’emanazione a livello europeo di una
Convenzione ad hoc, la seguente indagine si propone di offrire un’applicazione
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tecnico-pratica di determinati strumenti di pianificazione territoriale ispirati ai
principi di tale dispositivo giurisprudenziale e conosciuti come Indicatori del
Paesaggio.
Il campo di applicazione coinciderà con la porzione di territorio italiano
conosciuto come Veneto Orientale, concentrandosi in particolare su una specifica
area, che nel relativo capitolo sarà descritta e analizzata nelle caratteristiche e nei
termini in cui il suo studio potrà risultare funzionale all’applicazione stessa.
Come anticipato poc’anzi, la prima parte del lavoro consisterà in una sorta di
preambolo sulla nozione di paesaggio e su quelle ad esso collegate. Prima ancora di
addentrarci nei particolari del discorso, è utile indicare qualche fondamento
preliminare su questo concetto, che rappresenta il fulcro centrale dell’intera
riflessione.
La definizione del concetto di paesaggio, almeno in Italia, ha attraversato una
lunga stagione dialettica, longeva almeno quanto la storia della Repubblica, sia in
materia normativa sia in campo scientifico-culturale.
Se, da una parte, enciclopedie e dizionari forniscono alla voce paesaggio
normalmente più di un significato, in termini giuridici le due Leggi in merito, che si
sono succedute e hanno avuto seguito nell’arco di più di 60 anni, non hanno chiarito
la questione a fondo, limitandosi piuttosto ad indicare quali elementi del paesaggio
dovessero essere tutelati.
La prima di dette Leggi, la n. 1497/1939, già dall’intestazione “Protezione delle
bellezze naturali” anticipa un elenco di immobili, ville, giardini, parchi, complessi e
punti panoramici, che per particolare rilevanza meritano la salvaguardia. La
successiva emanazione, la cosiddetta Legge Galasso (n. 431/1985), a onor del vero,
assume un carattere più globale ed esauriente, ma di fatto amplia semplicemente
l’individuazione delle aree da tutelare e tutt’al più vincolare.
Solo all’inizio del III millennio intervengono altri due strumenti a chiarire la
nozione di paesaggio: uno, a livello europeo, è rappresentato dalla Convenzione
Europea sul Paesaggio, l’altro, su scala nazionale, concerne l’adozione del Codice
dei Beni Culturali e del Paesaggio. Le due emanazioni si riferiscono, rispettivamente,
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al 2000 e al 2004, ma, nel nostro ambito, si aggiunge un’altra data-chiave, ovvero
quella del 2006, quando la Convenzione Europea del Paesaggio è entrata
effettivamente in vigore in Italia.
Da allora, la definizione di paesaggio, di fatto quasi identica in entrambi gli
statuti, ha preso forma a partire da alcuni punti fermi: l’individuazione del paesaggio
come elemento dipendente sia dai caratteri oggettivi del territorio, sia dal valore che
la popolazione lì stanziatasi gli attribuisce; il riconoscimento del paesaggio stesso
come sistema ecologico naturale e/o antropico, così come è percepito dalle genti che
lo frequentano; la costruzione del paesaggio come frutto dell’interazione tra
ambiente naturale e intervento antropico, che deve essere oggetto di conservazione e
tutela, se di elevata qualità, e di riqualificazione, se degradato.
La nozione di paesaggio si è poi perfezionata ulteriormente ed è tuttora in fase di
vaglio, come dimostrano i successivi statuti correttivi e complementari (i Decreti
Legislativi n. 156/2006 e n. 157/2006 e, successivamente, quelli n. 62/2008 e n.
63/2008) allo stesso Codice del 2004.
La questione, insieme con le altre annesse, è affrontata in maniera più
approfondita nei paragrafi successivi.
Diverso è il discorso sul paesaggio dal punto di vista strettamente accademico-
disciplinare. La riflessione concettuale ha interessato non soltanto le geografia, ma
anche le altre scienze che si sono occupate di questo argomento, in un dibattito
intensificatosi sicuramente negli ultimi due secoli, ma che affonda le proprie radici
ben più addietro, nel campo letterario già nel ’700 con i romanzi gotici anglosassoni
e con il successivo movimento romantico in tutte le sue forme, nell’arte figurativa
addirittura nel ’400 con le rappresentazioni scenografiche dei pittori fiamminghi.
In ambito prettamente accademico, le numerose componenti del paesaggio sono
state scomposte fra le diverse discipline che meglio hanno potuto analizzare le stesse
in maniera distinta, tanto da coinvolgere, oltre alla geografia, la botanica, la
climatologia, la geologia, l’urbanistica, l’antropologia, l’architettura, l’ecologia, la
psicologia, l’estetica e tante altre ancora.
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Le personalità che hanno maggiormente contribuito e che più hanno visto legato il
proprio nome a questi studi sono molteplici: in questo stesso contesto si ricordano,
tra gli altri, Aldo Sestini, Joachim Ritter, Franco Farinelli, Giacomo Corna Pellegrini,
Elisa Bianchi, Annalisa Maniglio Calcagno e Maria Chiara Zerbi.
Ultimamente, diverse produzioni (ad opera, tra le altre, di Marco Bussagli,
Michael Jakob, Paolo D’Angelo) hanno cercato di raccogliere e confrontare le
differenti disamine sorte intorno alla questione, offrendo un quadro articolato sul
paesaggio come esperienza pluridisciplinare in età contemporanea.
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2. Sui concetti di percezione, ambiente e paesaggio
2.1 Percezione e geografia della percezione
Quello che emerge fin dall’esame della bibliografia utile alla presente ricerca è
una evoluzione particolare di taluni termini relativi alla disciplina geografica e a
quelle affini.
Si è già accennato al concetto di percezione come perno sul quale si innesta la
definizione di paesaggio indicata dalla Convenzione Europea omonima. Ebbene, la
prima di queste nozioni conosce un dibattito che, almeno nel campo della geografia,
perdura da una quarantina di anni.
La percezione, infatti, appare nell’ambito accademico europeo tra gli anni ’60 e
’70 del ’900, in occasione della cosiddetta rivoluzione qualitativa, quando cioè
l’attenzione dei geografi si scosta gradualmente dall’economia funzionalista di
matrice soprattutto anglosassone, per indirizzarsi verso nuove ramificazioni (mutuate
soprattutto dalla psicologia ambientale comportamentista e cognitivista) volte, in
sintesi, a rompere “la dicotomia uomo-spazio oggettivo”, cogliendo ‹‹quelle
sollecitazioni che vengono dalle scienze umanistiche, in particolare dalla psicologia
sociale e dalla semiologia, senza tuttavia abbandonare, là dove risulti utile, lo
strumento scientifico dell’analisi fattoriale›› (BIANCHI 1980, p. 36).
È chiaro che risulta pretenzioso, quanto mai superfluo, soffermarsi
eccessivamente su questo momento storico, denso di avvenimenti e riflessioni
svariate sulle discipline vicine alla geografia, tuttavia risulta fondamentale segnalare
che in questa fase viene coniato il settore della geografia della percezione come
branca della “disciplina-madre” geografica in senso ampio. Inoltre, occorre ricordare
che la discussione sulla nuova materia e sul contesto in cui si inserisce avviene in
occasione del Colloquio Internazionale sul Tema Geografia e Percezione
dell’Ambiente, svoltosi a Milano il 26 febbraio 1979.
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Scorrendo gli Atti del medesimo incontro, i punti che emergono sono legati
certamente a un tentativo di collocazione nel panorama accademico della geografia
della percezione, ai tempi ancora presentata come una branca sperimentale della
geografia, ma anche e soprattutto allo “sfruttamento” di questo nuovo inserimento
che potesse essere funzionale a stringere un rapporto definitivo tra ricerca geografica
e pianificazione territoriale.
D’altra parte, si è già arrivati al momento in cui l’analisi dell’organizzazione
territoriale tramite la consapevolezza che l’uomo ha del territorio stesso interessa ‹‹la
generalità dei ricercatori che, in qualche modo, si richiamano all’uomo come
soggetto dell’ambiente: designers, antropologi, architetti, sociologi, urbanisti e,
ovviamente, geografi›› (PERUSSIA 1980, p. 51).
In questo senso, i contributi del Colloquio si articolano su diverse tematiche. Da
una parte si evidenzia nelle nuove indagini l’influenza decisiva dell’esperienza della
Gestalt e si citano spesso personalità quali David Lowenthal, Kevin Lynch e David
Harvey, mentre dall’altra viene dato ampio spazio soprattutto alle nuove metodologie
e alla classificazione dei terreni di ricerca.
Proprio da quest’ultimo punto di vista, la ripartizione prediletta sembra quella che
vede la definizione di tre nuclei principali in fatto di studi sulla percezione: la
costruzione delle carte mentali (le mental maps, in qualche modo “antenate” delle
mappe cognitive), la percezione degli eventi naturali catastrofici (le hazard
perception) e lo spazio vissuto (che supera in maniera netta i retaggi deterministici
del pensiero geografico per arrivare allo studio di uno spazio che non è essenza,
bensì immagine) (BIANCHI 1980, pp. 43-46).
Per quanto riguarda i metodi di ricerca, i documenti del Colloquio e la bibliografia
di quegli anni sembrano riportare per tutti i casi di studio una modalità univoca, per
certi versi ancora grezza, ovverosia la somministrazione di questionari a gruppi di
soggetti rappresentanti la popolazione di un certo territorio, quali solitamente
studenti e casalinghe. Detti test sono per lo più costituiti da una scelta multipla fra
alternative “preconfezionate” e, in alcuni casi, dalla richiesta verso gli intervistati di
disegnare (anche approssimativamente dal punto di vista grafico) e localizzare il