7
Premessa
Alla base della stesura di questa tesi c'è lo studio dell’insegnamento Teorie dei
Processi di Vittimizzazione, avvenuto al primo anno del Corso di Laurea Magistrale
in Scienze Criminologiche per l’Investigazione e la Sicurezza, presso la Scuola di
Scienze Politiche di Forlì.
Proprio durante lo studio della materia sopracitata, è stato effettuato dalla docente un
approfondimento sulla violenza domestica. Nel corso dell’anno successivo è dunque
maturata l’idea di approfondire ulteriormente l’argomento: l'idea è stata di effettuare
una ricerca qualitativa che mostrasse la situazione all’interno della realtà Sarda,
perché questa potesse essere analizzata e confrontata con le informazioni a
disposizione a livello nazionale.
Dopo un'iniziale trattazione generica del fenomeno e delle sue forme, ci si
concentrerà sulle normative vigenti in materia e sui cambiamenti dal punto di vista
nazionale e regionale per poi, attraverso delle interviste strutturate, focalizzare
l'attenzione sul caso della Sardegna e su alcuni centri antiviolenza presenti nella
zona.
Il primo capitolo inquadrerà il fenomeno dal punto di vista teorico: verranno
analizzate le differenti forme di maltrattamento, le specifiche dinamiche annesse
all'abuso e le fasi che lo caratterizzano. Seguirà poi un approfondimento sulle teorie
che sottostanno e che cercano di spiegare il fenomeno, fino ad arrivare ai dati
statistici presenti in letteratura, che inquadrano il fenomeno a livello nazionale.
9
1. LA VIOLENZA DOMESTICA
1.1. Introduzione
In generale, per violenza si intende ‹‹L'utilizzo intenzionale della forza fisica o del
potere, minacciato o reale, contro se stessi, un'altra persona, un gruppo od una
comunità, che determini o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare
lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o privazione
1
››.
Si differenzia da questa la violenza contro le donne: ‹‹Ogni atto di violenza fondata
sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato,
un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le
minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga
nella vita pubblica o privata
2
››.
Si intende, invece, per violenza domestica ‹‹Ogni forma di violenza fisica,
psicologica, sessuale, e riguarda tanto soggetti che hanno, hanno avuto o si
propongono di avere, una relazione intima di coppia, quanto soggetti che all'interno
di un nucleo familiare, più o meno allargato, hanno relazioni di carattere parentale o
affettivo
3
››.
Dunque, la violenza domestica non si riferisce solo ad atti perpetrati entro le mura di
casa, ma anche al fatto che vittima e carnefice appartengano al medesimo nucleo
familiare.
In verità, benché i mass media attualmente appaiano maggiormente predisposti a
denunciare questi episodi, il fenomeno presenta una serie di lati oscuri: le vittime
stesse hanno difficoltà a definirlo e anche la l'accezione di “persona offesa
4
”
presente nel codice penale, è priva di elementi concreti
5
.
La violenza domestica vede un dato imperante nel cosiddetto femminicidio, ma ha a
che fare anche con la violenza assistita dai e sui minori, interagendo con altre
dimensioni ed avendo altre ricadute importanti. ‹‹Sono mogli, ex mogli, sorelle,
1
World Health Organization, Definizione di “violenza”, (WHO 1996)
2
http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/violenza.donne.diritti.htm
3
Ibidem
4
‹‹la persona titolare del diritto violato dal reo››
5
Ponzio G. (2004), Crimini segreti, Dalai, pp,24-25
10
figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai patti, che sono uscite dal solco
delle regole assegnate dalla società e questa disubbidienza è stata fatale
6
››.
In relazione al femminicidio, la Conferenza di Vienna sui diritti umani del 1993 ha
istituito la figura di una Relatrice speciale sulla violenza contro le donne: nel giugno
2012, la Relatrice in carica Rashida Manjoo ha presentato il rapporto circa gli
omicidi di genere. All'interno della sua relazione ha dichiarato: ‹‹...Il femmicidio è
l’estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne. Queste
morti non sono isolati incidenti che arrivano in maniera inaspettata e immediata, ma
sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine ad una serie di violenze
continuative nel tempo...Culturalmente e socialmente occultate, queste diverse
manifestazioni degli omicidi basati sul genere continuano a essere accettate, tollerate
o giustificate, e l’impunità è la regola. Con riguardo agli omicidi basati sul genere, è
veramente carente l’assunzione di responsabilità da parte degli Stati nell’agire con la
dovuta diligenza per la promozione e protezione dei diritti delle donne
7
....››. La
stessa Conferenza, ha sancito che: ‹‹..La violenza contro le donne è uno dei principali
meccanismi sociali tramite i quali le donne vengono costrette in una posizione
subordinata dagli uomini
8
..››.
Ciò che la cronaca oggi mostra è un numero infinito di casi (oltre a quelli nascosti)
che hanno come esito la morte della vittima, rimandandoci al fatto che il
maltrattamento sia prima di tutto di ordine fisico. Non è sempre così, le ferite fisiche
sono solo una parte di ciò che può realizzarsi in ambito domestico: le altre forme non
possono essere definite mali minori, anche se spesso si fa fatica a riconoscerle.
Uno degli stereotipi più diffusi è che le condotte di maltrattamento/abuso abbiano
luogo in contesti familiari economicamente disagiati: in realtà esso è un
comportamento trasversale a tutte le classi sociali; non dipende dalla religione ma da
un modo (che può essere enfatizzato da determinati valori culturali) di non
ammettere nell'altro la stessa comune dignità. La presa di distanza dallo stereotipo
che il carnefice sia un giovane maschio appartenente alle classi inferiori rappresenta
oggi un ostacolo per lo studio della materia e per la prevenzione situazionale, che
6
Dandini S. (2013), Ferite a morte, Rizzoli, p.12
7
http://www.zeroviolenzadonne.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=2668:violenza-
su-donne-rapporto-nazioni-unite-qin-italia-buone-leggi-ma-poca-protezioneq&Itemid=210
8
Ibidem
11
deriverebbe dalle certezze in ordine di vittime e maltrattanti, se queste categorie
potessero essere individuate a priori
9
.
Un altro stereotipo, è che il maltrattante abusi di alcol o stupefacenti. In realtà,
benché sotto l'effetto di sostanze crollino i freni inibitori, non si può interpretare il
maltrattamento alla luce di questi presupposti, perché la violenza domestica si nutre
di un'alternanza di condotte.
Di contro, chi subisce viene spesso disegnato come un soggetto estremamente
fragile, vulnerabile, passivo, cresciuta a sua volta in un clima familiare violento. La
fragilità e la vulnerabilità non sono dati aprioristici, presenti nel suo DNA, tanto da
predisporla a diventare vittima entro dinamiche familiari patologiche, bensì un dato
acquisito in relazione all'aggravarsi dell'escalation di aggressività e di violenza che si
manifesta all'interno del nucleo stesso.
Esiste una distinzione netta tra conflittualità familiare e violenza domestica vera e
propria. L'elemento di differenziazione è il concetto di conflitto: anche quando
estremamente acceso, esso non nega mai l'aspetto relazionale; può essere anzi d'aiuto
per chiarire la relazione stessa e, se adeguatamente gestito, può permettere, di
costruire una relazione più sana. In caso di violenza domestica, invece, si riscontra la
totale negazione dell'altro, con azioni od omissioni che portano il maltrattato a
sperimentare una totale sudditanza e l'abusante ad esercitare un controllo coercitivo e
lesivo dell'altrui dignità, integrità e coerenza interiore
10
.
Secondo la prima National Survey on Family Violence
11
, effettuata nel 1980 da
Straus, Gelles e Steinmetz, quando si parla di violenza domestica non si fa
riferimento esclusivamente alle coppie sposate, ma anche a quelle conviventi,
separate o divorziate, che rischiano di essere oggetto di azioni di abuso, tanto quanto
le altre
12
. Strauss asserì: ‹‹..La violenza fisica all'interno del gruppo familiare ha
dimensioni maggiori di quanto non sia tra ogni altro individuo o gruppo, fatta
eccezione per le guerre
13
..››.
9
Vezzadini S. (2012), Violenza domestica: dinamiche autore-vittime, in (a cura di) Bisi R.
(2012), Vittimologia, dinamiche relazionali tra vittimizzazione e mediazione, Franco Angeli, p.66
10
Per l'approfondimento, si vedano le teorie psicologiche al par. 6.1
11
Baldry A.C. (2006) Dai maltrattamenti all'omicidio: la valutazione del rischio di recidiva e
dell'uxoricidio, Franco Angeli, p.23
12
ASDI (1995), La violenza domestica: un fenomeno sommerso, Franco Angeli, p.75
13
Ibidem
12
Se, in passato, la violenza a danno delle donne si poteva “giustificare” come una
dimostrazione della supremazia (fisica e non) del sesso maschile sull'universo
femminile, oggi appare come una reazione alla frustrazione che l'uomo ha iniziato a
provare a seguito delle conquiste della donna all'interno della società. Ci si trova
dunque ad un bivio: da una parte, il pensiero di “rottura” delle donne con il
pregiudizio vigente in passato e non ancora del tutto scomparso, dall'altra la lotta
proveniente dalla società maschilista, che non accetta questa nuova forma d'identità
femminile.
In differenti regioni italiane per un periodo di circa sei anni, sono state effettuate
delle analisi per studiare i mutamenti circa le percezioni dell'identità di genere,
sopratutto tra i giovani. Da questa si è evinto che che la superiorità dell'uomo non sia
più così scontata; le donne si fanno forza grazie a questa consapevolezza. Gli uomini
sembrano reagire in due modi distinti: da una parte violentemente, nel tentativo di
riportare all'attualità il loro ruolo di supremazia; dall'altra, adattandosi al
cambiamento, pur cercando di mantenere saldi determinati elementi storicamente
appartenenti all'ambito maschile. Ancora, dalla ricerca emergere che i giovani
appaiano da un lato spiazzati rispetto alla novità, dall'altro aperti e pronti ad accettare
questa realtà riformata
14
.
Esiste, tuttavia, chi si oppone rispetto a queste attitudini delle “nuove donne
15
”: esse,
viste come curatrici della famiglia e al contempo lavoratrici, possono generare un
profondo sentimento di invidia. Invidia e timore, per l'universo maschile, che la forza
dimostrata dalle donne superi la propria: pertanto, l'uomo sente la necessità di
ripristinare la visione originaria della sua forza e dell'inferiorità femminile, anche
attraverso l'uso di strategie comportamentali discutibili
16
.
‹‹Siamo tutti figli di un analfabetismo sentimentale che considera la
prevaricazione e la violenza come aspetti possibili della relazione tra
uomo e donna, un dato di fatto che vede i maschi e le femmine
14
Corradi C. (2009), Sociologia della violenza: modernità, identità, potere, Roma, Moltemi
Editore, pp. 110-133
15
Bellassai S. (2011), L'invenzione della virilità: politica ed immaginario maschile nell'Italia
contemporanea, Roma, Carocci, pp. 44-49
16
ASDI (1995), La violenza domestica: un fenomeno sommerso, Franco Angeli, pp.269-281
13
imprigionati in questi ruoli rigidi, legittimati da una società
patriarcale
17
››.
La trasversalità del fenomeno fa si che, più alto sarà il ceto sociale dell'abusante,
maggiore sarà la difficoltà della vittima a denunciare la violenza subita: la stima ed il
riconoscimento di cui gode l'attore violento al di fuori delle mura domestiche, non
fanno altro che incrementare il senso di impotenza di chi subisce. Il ruolo pubblico
da lui rivestito, è come se lo rendesse innocuo dentro e fuori casa: la vittima, allora,
metterà in discussione i propri comportamenti e penserà di essersi meritata le
violenze
18
. In proposito, le ricerche Istat dimostrano la crescita, negli ultimi anni, dei
soprusi a danno di donne sempre più scolarizzate.
19
Al maltrattato viene perpetrato, pertanto, un doppio abuso: il primo tra le mura
domestiche, il secondo per opera della società; appare oltremodo difficile far
collimare l'immagine pubblica del reo con quella che la vittima conosce. Ad
aggravare la sua condizione, vi è l'incredulità da parte della collettività ed il generale
consenso più o meno esplicitato nei confronti del maltrattante, che spinge la vittima
stessa ad interrogarsi sulla propria responsabilità rispetto agli eventi e a non reagire
20
.
Di solito, si ritiene che il problema riguardi solo uomini malati, emarginati o
appartenenti ad altre culture: in verità, il fenomeno è presente ovunque, in quanto si
colloca ‹‹all'interno di uno scenario culturale diffuso e condiviso in cui trova
alimento
21
››. Pertanto, al fine di fornire un sostegno alle vittime non è sufficiente
intervenire su di esse, ma è necessario mettere in discussione modelli sociali e
relazionali, portando avanti un cambiamento culturale.
1.2. Le forme di maltrattamento
La sociologia ha iniziato ad occuparsi di violenza contro le donne da circa
quarant'anni: lo studio più famoso nella letteratura statunitense è del già citato
Strauss, il quale ha provato addirittura a quantificare il fenomeno, nonostante
17
Dandini S. (2013), Ferite a morte, Rizzoli, p.16
18
Ponzio G. (2004), Crimini segreti, Dalai, pp,57-61
19
Corradi C. (2009), Sociologia della violenza: modernità, identità, potere, Roma, Moltemi
Editore, p. 120
20
Bancroft L. (2013), Uomini che maltrattano le donne, Vallardi Editore, Milano, p.19
21
Deriu M. (a cura di, 2012), Il continente sconosciuto: gli uomini e la violenza maschile,
Pubblicato dalla Regione Emilia Romagna, p.6
14
l'aumento dell'interesse non corrisponda sempre ad un aumento della violenza
familiare. In realtà, la suddetta analisi dà l'input per lo studio di altri fenomeni ad
essa correlati: ‹‹le strutture familiari, gli abusi sui minori, il miglioramento delle
politiche sociali, l'emancipazione delle donne, i servizi per le vittime
22
››. Tutti questi
interrogativi hanno incentivato studi e ricerche su un fenomeno che nel corso degli
anni ha cambiato nome, passando da battered woman e marital violence (anni '70), a
domestic violence (fino agli anni '90), all'odierno intimate partner violence, dove non
si pone come necessario il rapporto coniugale, ma come sufficiente il legame di
intimità che intercorre tra autore e vittima.
Insieme al cambiamento semantico del fenomeno, si assiste ad un mutamento di
considerazione dello stesso, soprattutto nei paesi occidentali: è qui, infatti, che sono
stati creati organismi internazionali come Unifem o Amnesty International, o
programmi come Daphne della Commissione Europea, tutti volti alla
sensibilizzazione ed all'informazione circa la violenza contro le donne.
L'Italia, in proverbiale ritardo rispetto agli USA, ha dato sufficiente importanza al
fenomeno solo a partire dagli anni '90, e solo grazie all'impegno di gruppi, centri e
associazioni nati per la specifica tutela delle donne vittime di violenza.
23
Grazie alla Conferenza di Vienna sui diritti umani del 1993, venne varata la
Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne,
la quale asserisce nel primo articolo che quest'ultima sia ‹‹..ogni atto di violenza
fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come
risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne,
incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà,
che avvenga nella vita pubblica o privata
24
››.
Il secondo articolo di questa dichiarazione indica, invece, i campi nei quali si possa
parlare di violenza contro le donne ovvero:
a) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia, incluse le
percosse, l'abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, la violenza
legata alla dote, lo stupro da parte del marito, le mutilazioni genitali
22
Corradi C. (2009), Sociologia della violenza: modernità, identità, potere, Roma, Moltemi
Editore, p. 113
23
Ibidem p. 115
24
http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/violenza.donne.diritti.htm
15
femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza non
maritale e la violenza legata allo sfruttamento;
b) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene all'interno della
comunità nel suo complesso, incluso lo stupro, l'abuso sessuale, la molestia
sessuale e l'intimidazione sul posto di lavoro, negli istituti educativi e altrove,
il traffico delle donne e la prostituzione forzata;
c) La violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o condotta dallo Stato,
ovunque essa accada
25
.
Il maltrattamento psicologico viene definito come ‹‹Qualsiasi azione od omissione
intenzionale che producano su una donna svalorizzazione o sofferenza, o qualsiasi
limitazione della portata della libertà
26
›› con il fine di distruggere moralmente la
vittima. L'abuso psicologico può precedere o accompagnare la violenza fisica. Date
le conseguenze prodotte a breve, medio e lungo termine, può produrre più danni del
maltrattamento fisico. Lo scopo del maltrattante è quello di sopraffare la donna
mediante strategie umilianti, che provocano nella vittima una vera e propria
effrazione psichica. Ledendone l'autostima e le sicurezze, la conseguenza è la sua
completa svalorizzazione. Essa tenderà gradualmente a chiudersi in se stessa
isolandosi e perdendo qualsiasi contatto con il mondo circostante.
Il maltrattamento psicologico si manifesta sotto differenti spoglie
27
:
• Crudeltà mentale: continue critiche, offese indirette, costante sensazione di
insoddisfazione. La violenza “sottile” messa in atto in questo caso fa si che la
vittima non si ribelli e subisca passivamente.
• Svalorizzazione: consiste nel minimizzare i pregi esacerbando gli errori e i
difetti (“tu senza di me non saresti nulla”), producendo un profondo senso di
inadeguatezza e una totale dipendenza dal partner. Le conseguenze appaiono
devastanti: la vittima perde progressivamente la stima in se stessa ed inizia a
dubitare delle sue competenze cognitive e comportamentali.
• Trattare come un oggetto: questa forma di violenza mi manifesta quando
l'abusata viene sfruttata solo per soddisfare i bisogni dell'abusante (avere
25
http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Dichiarazione-sulleliminazione-
della-violenza-contro-le-donne-1993/27
26
Dandini S. (2013), Ferite a morte, Rizzoli, p.198
27
Deriu M. (2009), Relazioni affettive e violenza maschile, in (a cura di) Bosi A. e Manghi S,
Lo sguardo della vittima: nuove sfide alla civiltà delle relazioni. Scritti in onore di Carmine
Ventimiglia, Milano, Franco Angeli, pp. 137-148