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Introduzione
Questa tesi vuole affrontare una tematica non molto dibattuta eppure di grande importanza sia per i
cristiani che vogliono approcciarsi allo Yoga, o semplicemente informarsi in maniera corretta su questa
disciplina, sia per i praticanti di Yoga che si domandano (e sono molti quelli che lo fanno!) se questa
disciplina sia in contrasto o meno con la loro fede religiosa, in questo caso la fede cristiana.
Come insegnante di Yoga mi trovo spesso a rispondere a questi dubbi, e se da una parte è giusto che un
allievo si ponga delle domande, dall’altra parte è ancora più giusto che un insegnante serio sappia
rispondere.
Sebbene, come detto poco sopra, il tema di questa tesi non è “all’ordine del giorno”, è altresì verso che
nell’ambiente dello Yoga e in quello teologico, è stato spesso dibattuto, ne sono stati scritti libri e
documenti ufficiali del Magistero, se ne sono interessanti religiosi e laici, in maniera ufficiale e pubblica o
meno. Rimane un dibattito ancora molto acceso e con molti punti interrogativi a cui rispondere, ma grazie
al contributo di religiosi come Henri Le Saux e Jules Monchanin, i quali hanno speso la vita
sperimentando loro stessi la via dell’incontro tra il cristianesimo e lo Yoga, si è aperta una strada di dialogo
e confronto inevitabile per chi volesse tentare lo stesso percorso. Trascurare i testi e le conclusioni tratte
da questi autori, o altri a loro vicini, molto spesso dimenticati o sconosciuti ai più, sarebbe non solo
ingiusto e scorretto nei confronti di due monaci che hanno dedicato la vita intera a questo tema,
immergendosi quotidianamente nell’esperienza del Samnyasin e confrontandosi personalmente con tutti
i dubbi, i tormenti, le delusioni e le soddisfazioni, le fatiche e le incertezze; sarebbe inoltre come tornare
indietro nel percorso del dialogo interreligioso: un dialogo ancora aperto e con dei punti interrogativi, ma
sicuramente già ben posizionato lungo un percorso che intravede la luce. Se Jules Monchanin e Henri Le
Saux non hanno avuto tempo a sufficienza per dare risposte finali, risposte che possano ufficialmente
entrare nella teologia è proprio solo un motivo di “tempo”, ma le chiavi di interpretazione ci sono state
date, la mappa da seguire è ben chiara, sicuramente in un futuro prossimo esisterà una teologia più chiara
e netta che possa dare tutte le risposte ancora mancanti.
Nonostante i dubbi e le aperte discussioni (sia pro che contro un possibile dialogo), sappiamo di poter
partire da qui: dalle conclusioni di autori come Hentri Le Saux e Jules Monchanin, un punto di non
ritorno che apre le strade alla nostra successiva riflessione, sia essa personale e intimistica o ufficiale e
teologica, un vero patrimonio da conoscere e diffondere, e soprattutto da non lasciar cadere nell’oblio.
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Con questa tesi, l’obiettivo che mi sono posta, è di dimostrare che questo incontro non solo è possibile,
ma è anche un arricchimento enorme per l’individuo (tanto per il fedele, quanto per lo Yogi), che nel suo
percorso di autoanalisi e auto-introspezione potrà crescere nella fede, nella sua religiosità e nel suo
personale dialogo con Dio, così come lo Yogi potrà avvicinarsi ancora di più alla fede, eventualmente
incontrare anche una conversione, se questo dialogo fosse ancora assente, perché nonostante in occidente
questo aspetto venga dimenticato o negato, lo Yoga è teista e non può non prendere in considerazione
l’esistenza di Dio. In occidente infatti esistono tantissimi corsi di Yoga che affrontano la disciplina in
maniera diversa, più o meno vicina o lontana dalla tradizione originaria: vi sono corsi più dinamici, “più
occidentalizzati”, che mescolano lo Yoga ad altre discipline del mondo del fitness (un vero mondo, verso
cui l’economia odierna sta puntando il suo interesse e dove a volte è più presente l’interesse verso il
business che verso l’educazione allo sport), oppure esistono corsi dall’approccio più dolce o con l’uso di
strumenti.. insomma, una gamma di opzioni pressoché infinite, che l’industria del fitness e del benessere
continua ad arricchire con novità “alla moda”.
Ma lo Yoga “vero”, fatto di una storia e una tradizione in cui affondano le sue radici, non sono questo, e
soprattutto non sono interessate esclusivamente al corpo, tutt’altro. Il benessere a cui aspira lo Yoga è di
tipo olistico: ovvero si deve occupare in modo completo sia del corpo che dello spirito. Il corpo è un
mezzo che mi viene dato e che, se usato bene, può aiutarmi ad avvicinarmi allo spirito, ritornare a
quell’unione originaria a cui lo Yoga aspira (Yoga infatti deriva dal termine sanscrito yuj, che significa
unione).
Parlare di meditazione nell’ambito della religione cristiana può essere fuorviante, così come parlare di
preghiera nello Yoga, eppure i legami sono molti se ben analizzati, tralasciando percorsi di meditazione
“new age” o comunque di stampo occidentale, lontani dalla tradizione dello Yoga stesso. Una descrizione
accurata e interessante ci è data da Thomas Matus:
«The goal of yoga is “transformation of consciousness”; I experience ita s a grace by wich my spirit
assumes th form of Goda s light. But I am not just spirit; I am also psyche and flesh. I am a being whose
essential dimensions are spiri, soul, and body, the integration of wich is part of my spiritual goal. The
personal energy of the Holy Spirit, a divine “fourth dimension”, begins to penetrate into the three
dimension of my nature, and at first I feel more strongly th distinction and even the tension and conflict
among them, fruit of the disorder of sin. This is the “purgative” phase of the spiritual evolution. To the
degree that I grow in the light (the “illuminative” phase), I see the dimensions of my nature come
together. In the end, when their original unity has been restored (the “unitive” phase), the light will enable
my body and mental faculties to share in the trasformation of the spirit, without taking me out of normal
condition of life.My body becomes divine in union with the divinized body of Christ. This union is a gift
and a promise for humanity as a whole, and each individual shares in the divine body by uniting with all
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others in “mystical body”, whose efficacious sign is the Church, sacrament of the incarnate Son and
temple of the Holy Spirit.».
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Gli autori che ho scelto per questa tesi sono i monaci benedettini Jules Monchanin, Henri Le Saux e Jean-
Marie Déchanet, il teologo Hans Urs von Balthasar e lo studioso di religioni Claudio Lamparelli, ho
inoltre attinto dagli scritti di Paolo Trianni, Ambrogio Bongiovanni, Gianfranco Bertagni e Thomas
Matus e Thomas Merton, ho inserito in versione integrale la Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni
aspetti della meditazione cristiana, nonché una versione commentata da Don Pietro Cantoni. I testi sacri Indù
che ho consultato, invece, sono: lo Yogasūtra di Patanjali, il poema epico Bhagavad Gita e il saggio di
Adi Sankara, Vivekacudamani.
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THOMAS MATUS, Yoga and the Jesus Prayer, Ed. O Books, Wincheste, UK, pag. 95
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1.1. Patanjali e lo Yogasūtra
Cos’è lo Yoga. Origini e storia:
Il termine Yoga deriva dalla radice sanscrita Yuj che significa unione. Nello Yoga ciò che si cerca di unire
è il Sé inferiore con il Sé Superiore, o meglio ancora: un’unione tra il Paramātma (anima suprema) e il
Jivatma (anima individuale).
Lo yoga è altresì una scuola ortodossa (Darśana), ovvero una delle sei scuole legate all’induismo, questo
dato di per sé dovrebbe già far intuire che lo yoga non può essere approcciato solo da un punto di vista
fisico: gli aspetti che riguardano esclusivamente l’attività motoria cadono sotto lo Hatha Yoga (Yoga dello
sforzo), ed è per l’appunto solo una parte di tutta la disciplina, questa parte dello yoga tratta
esclusivamente le Āsana (posture fisiche nello yoga), e sarebbe riduttivo e incompleto fermare la
definizione di yoga allo Hatha Yoga, creerebbe inoltre facilmente fraintendimenti sulla vera origine e il
vero obiettivo dello yoga, in particolare in Occidente, dove spesso vengono creati corsi dai nomi più
svariati, che nulla o poco hanno a che fare con la tradizione ortodossa. Déchanet nel suo “Yoga per i
cristiani”, riprendendo le parole di Kerneitz, definisce lo Hatha Yoga «Un sistema di educazione umana
completa – fisica, morale e psichica insieme – che serve da vestibolo allo yoga propriamente detto, allo
Yoga-Regale e che a questo conduce lungo insensibili pendii».
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Lo stesso Déchanet, citando anche S. Birkam - Shah sostiene che «Il suo fine ultimo, il suo vero scopo,
è di preparare l’uomo ad acquistare la quiete dello spirito necessaria alla realizzazione del supremo, o
coscienza del divino. Fine religioso e spirituale che viene dimenticato, se non sempre, certo troppo in Europa,
dove si tende a restringere lo Hatha Yoga al solo aspetto fisico, a vedere in esso soltanto uno sport».
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«E’ vero che il Rāja Yoga presuppone una concezione fisiologica e psicologica che è comune anche allo
Hatha Yoga e che è di origine vedica, ma, mentre quest’ultimo si configura soprattutto come una tecnica
psicofisica che, attraverso posizioni fisiche (Āsana, Mudra, Bhandha) e Prānāyāma, vuole assumere il
controllo del corpo sottile (sūksmaśarira), il Rāja Yoga, pur non scartando queste tecniche, si presenta
essenzialmente come un tentativo di controllo psico – mentale. L’obiettivo de due yoga è essenzialmente
lo stesso: la disciplina degli stati di coscienza; ma il primo parte dal fisico per influenzare il vitale e lo
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J.-M. DÉCHANET, Yoga per i cristiani, Ed. San Paolo, Milano, pag.41
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Id.pag.41
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psichico, mentre il secondo cerca di arrestare il movimento di accumulo della mente partendo da
operazioni di concentrazione dello psichismo».
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E’ molto importante sottolineare che lo yoga è una disciplina teista, infatti come Darśana ortodosso
(Āstika: ovvero colui che riconosce l’autorità dei Veda e aderisce ai loro insegnamenti – Glossario
Sanscrito), lo yoga è strettamente legato ai Veda, ovvero i 4 Testi Sacri dell’Induismo. Lo yoga non ha un
“inventore”, infatti i Veda fanno parte della Tradizione Rivelata (la Śruti = la Tradizione udita, ciò che è
stato ascoltato dagli antichi ŗşi come Suono divino – Glossario Sanscrito), secondo la tradizione quindi
la fonte è di origine Divina. I Veda, narra la tradizione, non sono databili, in quanto molto antichi e
trasmessi oralmente per millenni da maestro a discepolo. La trasmissione orale avveniva tramite l’uso di
suoni primordiali, chiamati Bij Mantra (Mantra seme). Con la perdita della memoria dell’uomo questi
mantra divennero non più comprensibili, l’uomo non era più in grado di contenerli nella sua memoria e
non era più capace di riconoscerli e comprenderli spontaneamente. Per questo motivo tra il 1500 a.C. e
l’800 a.C. vennero trascritti dai Sapta Rishi (i sette veggenti), ai quali sono stati rivelati attraverso un
contatto divino (ovvero attraverso poteri di chiaroudienza e chiaroveggenza): questa è la Shruti, ovvero
la tradizione non umana, per questo si dice che lo yoga non abbia un inventore umano.
Struttura del testo Yogasūtra:
L'opera consiste in una raccolta di 196 aforismi, ovvero brevi e significative frasi concepite per essere
memorizzate con facilità, come era costume presso i maestri hindu, ove la tradizione orale era il mezzo
principale per condividere e tramandare la conoscenza.
Il testo è suddiviso in quattro sezioni, chiamate in sanscrito pāda:
1. Samādhi Pāda (51 sūtra)
In questo primo capitolo viene introdotto e illustrato lo yoga come mezzo per il raggiungimento del
samādhi, lo stato di beatitudine, nonché l’ultimo degli 8 mezzi che Patanjali descriverà più avanti nel testo.
Attraverso il samādhi, sperimentando una differente consapevolezza delle cose, si consegue la liberazione
dal "ciclo delle rinascite" (samsāra).
2. Sādhana Pāda (55 sūtra)
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CLAUDIO LAMPARELLI, .Tecniche della meditazione orientale, Ed. Mondadori, Milano, pag.86
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Nel secondo capitolo vengono descritti il Kriyā Yoga (lo "Yoga dell'agire", noto anche come Karma
Yoga) e l'A ṣṭā ṅga Yoga (lo "Yoga degli otto stadi", noto anche come Rāja Yoga, lo "Yoga regale").
3. Vibhūti Pāda (56 sūtra)
Nel terzo capitolo si prosegue con la descrizione delle ultime fasi del percorso yogico, e vengono esposti
i "poteri sovraumani" (vibhūti o siddhi) che è possibile conseguire con una pratica corretta dello yoga.
4. Kaivalya Pāda (34 sūtra)
Kaivalya vuol dire letteralmente “assolutezza, la natura intrinseca dell’Assoluto; lo stato di unità isolata;
unità assoluta (Non – dualità); il totale e integrale isolamento dal triplice mondo” (dal Glossario Sanscrito)
e si allude qui alla separazione fra spirito (purusa) e materia (prakrti).
Patanjali e lo Yogasūtra:
Lo yoga non è stato “inventato” ma è stato codificato da Patanjali, il quale fu un grande saggio dalla
biografia incerta e discussa. Non vi sono molti testi relativi la vita di Pantajali , soprattutto in italiano, per
questo motivo riporto qui un estratto della biografia che Kofi Busia, un importante maestro di Yoga che
risiede attualmente in California, sta scrivendo, traducendo direttamente dalle fonti in sanscrito. Il testo
redatto fino ad ora è fruibile e direttamente dal suo sito internet.
«Le date proposte per la nascita e la vita di Patanjali variano di un millennio. Certe fonti lasciano intendere
che egli vivesse e fiorisse nel quarto secolo a.C., mentre altre asseriscono che deve essere vissuto nel sesto
secolo d.C. (…) Considerando che la dottrina, nell’opera di Patanjali più generalmente conosciuta, gli
Yogasūtra, è esposta attraverso una serie di concisi aforismi, appare assai ragionevole attribuirgli una data
all’incirca tra il quarto e il secondo secolo a.C. Fu infatti intorno a quel periodo che lo stile aforistico non
solo ottenne generalmente riconoscimento, ma raggiunse probabilmente il suo più alto picco stilistico».
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Lo yoga dello Yogasūtra, è una miscela di idee e pratiche di varia provenienza, risalenti, secondo alcuni
studiosi, alla civiltà dell’Indo. Il suo obiettivo primo è la trasmissione di una tecnica che mira a
compensare l’instabilità del corpo e della mente, anzi, almeno in alcune scuole, alla soppressione della
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KOFI BUSIA, Biography of Patanjali, pag. 1, fonte: http://www.kofibusia.com/patanjali/patanjali.php
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mente stessa. Sotto questo aspetto, esso disegna il percorso necessario per giungere ad un’autentica
esperienza spirituale liberatoria.
Lo Yogasūtra è altresì il testo di base di riferimento per lo Yoga Darśana, Patanjali ha quindi avuto il
merito di riunire le varie conoscenze “sparse” riguardanti lo Yoga e organizzarle in modo strutturato
attraverso l’istituzione di 8 mezzi (Aşţānga Yoga) che danno alla disciplina un corpus e un metodo molto
concreto e preciso, che non lascia spazio a libera interpretazione se si rimane fedeli alla tradizione,
sfatando tra l’altro molti falsi miti e false credenze occidentali su questa antica disciplina. Inoltre il merito
di Patanjali è anche quello di aver inserito legittimamente il Rāja Yoga all’interno del sistema vedico,
sistematizzando il Darśana e creando un collegamento ufficiale e indissolubile con la tradizione ortodossa
induista e con le conoscenza dei Veda.
Come anticipato poc’anzi, il metodo di Patanjali prevede la divisione del percorso spirituale in 8 mezzi,
per questo oltre che Rāja Yoga (Yoga Regale), viene anche chiamato Aşţānga Yoga ( lo Yoga degli 8 mezzi
dalla radice sanscrita Anga: mezzo, membro, elemento costitutivo e Aşţa: otto).
I mezzi che permettono l’ unione a cui aspirano lo Yogi e la Yogini, secondo l’Aşţānga Yoga o Rāja Yoga,
sono:
1. Yama: (i 5 comportamenti da evitare: Non violenza - Ahimsā, Non appropriazione indebita - Asteya,
Non falsità - Satya, Continenza sessuale - Brahmacarya, Non possessività - Aparigraha);
2. Niyama: (i 5 comportamenti da adottare: Purezza - Śauca, Accontentamento - Samtoşa, Aspirazione
interiore - Tapas, Studio e conoscenza delle sacre scritture e quindi del proprio se’ - Svādhyāya, Abbandono
al signore o Abbandono allo Spirito Supremo - Īşvarapraņidhāna);
3. Āsana: Posture fisiche
4. Prāņāyāma: controllo del Prana (esercizi respiratori per controllare l’energia vitale);
5. Pratyāhāra: raccoglimento (ritiro dei sensi dai loro rispettivi oggetti esterni);
6. Dhārāņa: concentrazione;
7. Dhyāna: meditazione;
8. Samādhi: stato spirituale, assorbimento, contatto con l’Atman (di cui ne esistono diversi livelli).
Secondo Lamparelli i primi due Anga (Yama e Niyama) servono soprattutto per sopprimere tutte le
fonti di agitazione mentale e non vanno prese come rigide regole fine a se stesse, che farebbero
assomigliare lo Yoga più ad una religione che ad una disciplina. E’ corretto sostenere che il praticante
debba imparare (grazie ad un accurato lavoro di introspezione, umiltà e impegno costante) a regolarsi da
sé, a comprendere cosa sia “bene” e cosa sia “male” per lui e per la circostanza specifica. Indubbiamente
una predisposizione psichica aiuterà anche il corpo durante la pratica e la mente nel momento che verrà