LA PROSPETTIVA DI ECOLOGIA DELLE POPOLAZIONI ORGANIZZATIVE.
UN'APPLICAZIONE EMPIRICA: LA NATALITÀ NELL'INDUSTRIA ALBERGHIERA DEI COMUNI COSTIERI DELLA
REGIONE MARCHE, 1923 – 1997
1-2
1 Introduzione
1.1 Il cambiamento
1.1.1 Nuove prospettive sul cambiamento organizzativo
Le organizzazioni rappresentano il luogo in cui è possibile intraprendere azioni finalizzate
a conseguire obiettivi complessi e soddisfare aspettative ed interessi individuali, ed è
attraverso i processi organizzativi che l’azione di individui, gruppi e classi è premiata,
incentivata od estinta
1
.
Se le organizzazioni rappresentano le componenti fondamentali delle società ed i veicoli
principali attraverso cui l’azione è generata, coordinata o repressa
2
, allora è lecito affermare
che lo studio del cambiamento nella struttura sociale comporta lo studio del cambiamento nel
mondo delle organizzazioni
3
. Peraltro, in gran parte della letteratura contemporanea esse
continuano ad essere considerate come strutture
4
orientate a soddisfare gli interessi parziali di
una qualche “coalizione dominante” o, in alternativa, come organismi capaci di rispondere in
modo semplicemente adattivo a cambiamenti e vincoli generati dall’ambiente.
Ma il cambiamento adattivo ed incrementale che si verifica al livello della singola
organizzazione, non è la sola e nemmeno la più importante fonte di cambiamento.
Il mutamento strutturale nel sistema economico e sociale è, infatti, accompagnato dal
cambiamento nella composizione demografica in intere popolazioni di organizzazioni, oltre
che dalla modificazione delle strutture e dei comportamenti di organismi preesistenti.
1
Coleman. 1974; Baron e Bielby, 1980; Hannan, 1988
2
Aldrich e Marsden, 1988
3
Stinchcombe, 1965; Hannan, 1988
INTRODUZIONE
1-3
L’innovazione tecnologica discontinua, del tipo definibile come distruttiva delle
competenze precedenti (competence destroying innovation)
5
, è una fonte importante ma non
unica del cambiamento nella composizione demografica delle popolazioni organizzative.
Almeno altrettanto importanti nel collegare processi organizzativi alla macrostruttura sono
i processi di isomorfismo istituzionale sottolineati dalla scuola neoistituzionalista. Secondo
questo modo di pensare all’organizzazione, la struttura è intesa come risposta a processi e
vincoli normativi. Le organizzazioni, specialmente quelle i cui risultati sono difficili da
misurare oggettivamente, devono seguire concezioni di “appropriatezza” socialmente definite,
al fine di mantenere la propria legittimità. In questa situazione, il ruolo del management è
quello di assicurare l’isomorfismo istituzionale con gli standard normativi e di manipolare la
struttura organizzativa in modo tale che l’organizzazione soddisfi i requisiti essenzialmente
simbolici di “appropriatezza” e di “competenza” imposti da attori influenti quali lo Stato o gli
ordini professionali
6
.
Una terza fonte di cambiamento della composizione demografica delle organizzazioni è
rappresentata dalla dinamica evolutiva interna alle popolazioni organizzative (teoria della
selezione dipendente dalla densità)
7
.
4
Termine tipico della letteratura sul “potere”
5
Tushman e Anderson, 1986
6
March e Olsen, 1984; Scott, 1987; Carrol, Delacroix e Goodstein, 1988; DiMaggio e Powell, 1983, 1991
7
Hannan e Freeman, 1977,1984; Lomi e Freeman, 1990; Hannan e Carroll, 1992
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Alcune questioni di ricerca ancora aperte riguardano la spiegazione del turnover
demografico delle organizzazioni e della sostituzione a livello di comunità organizzative in
funzione di:
™ processi di sostituzione e selezione innescati da cambiamenti tecnologici che rendono
inutili le competenze delle organizzazioni esistenti;
™ cambiamento dei vincoli normativi ed istituzionali;
™ processi evolutivi dipendenti dalla densità che operano all’interno di popolazioni di
organizzazioni.
1.1.2 Le teorie del cambiamento organizzativo
Il termine “evoluzione” ha assunto, nel linguaggio comune, una caratterizzazione positiva,
nel suo senso di trasformazione verso la perfezione.
In realtà, nelle scienze sociali e naturali, a questo termine è associato il significato di
cambiamento piuttosto che di perfezionamento: evolvere significa modificarsi, senza
necessari riferimenti verso un traguardo da raggiungere.
L’evoluzione è, quindi, un processo continuo che non procede sempre in una direzione
chiara e definibile.
INTRODUZIONE
1-5
Volendo “sistematizzare” le teorie che si rivolgono all’evoluzione delle organizzazioni, si
possono considerare due grandi “scuole” di pensiero:
™ da un lato, vi sono teorie che sostengono che le organizzazioni sono delle entità connotate
da “inerzia strutturale” verso il cambiamento
8
e riescono a mutare per risposta a dinamiche
ambientali solo con molta difficoltà (Teorie della Selezione);
™ dall’altro, vi sono teorie che collocano all’interno delle imprese il motore del cambiamento
e dell’evoluzione delle forme organizzative, sottolineando la capacità di innovazione e di
sviluppo dell’azione decisionale (Teorie dell’Adattamento)
9
.
Le ipotesi sul modo di funzionamento dei meccanismi evolutivi che si trovano alla base di
questi due grandi “filoni” teorici, sono differenti:
1. nel primo caso, oggetto di studio sono la difficoltà di attuare il cambiamento deliberato e
l’operare di forze esterne non controllabili dall’impresa. L’evoluzione, in tal modo,
procede attraverso la selezione tra forme organizzative diverse;
2. nel secondo caso, le condizioni di funzionamento dell’impresa possono essere modificate e
l’elaborazione di una strategia può consentire di orientarne l’azione verso nuovi modi di
gestione dell’attività. L’evoluzione, perciò, deriva dal potenziale competitivo creato
dall’agire manageriale.
La comprensione delle teorie evolutive richiede di considerare attentamente il problema
delle ipotesi sul comportamento umano e sociale poste a loro fondamento. Spesso, infatti, la
divergenza tra esse deriva dall’adesione ad ipotesi profondamente differenti.
8
Hannan e Freeman, 1977, 1984, 1987; Carroll, 1987, 1988
9
Thompsom, 1967; Lawrence e Lorsch, 1967; Pfeffer e Salancik, 1978; Meyer e Scott, 1983
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Accanto alla dimensione adattamento/selezione, la distinzione tra “filoni” teorici può
essere compiuta rilevando le differenze di concezione sulla “direzione” del processo
evolutivo. Si possono, così, distinguere:
™ teorie che ritengono l’evoluzione un processo governato dal caso
10
, per le quali l’analisi
delle organizzazioni oggi esistenti non consente di identificare elementi di superiorità
rispetto a quelle scomparse;
™ teorie che in ogni caso identificano una qualche direzione/finalità del cambiamento: in
questo caso la finalizzazione può essere intesa come migliore adattamento, superiorità
competitiva, raggiungimento di una configurazione ottimale, e per le quali l’evoluzione è
letta come un succedersi delle forme organizzative, spiegato dalla loro maggior
corrispondenza alle condizioni ambientali.
Le caratteristiche salienti di tutte le elaborazioni riconducibili a teorie evolutive possono
essere colte a partire da un elemento comune: tutti gli approcci propongono ipotesi sui
meccanismi di evoluzione, maturate in altri campi della scienza (ad esempio, l’ecologia delle
popolazioni organizzative prende molti elementi dalla teoria evoluzionista di Charles
Darwin).
10
March e Olsen, 1976
INTRODUZIONE
1-7
Tabella 1.1: Le teorie organizzative
11
Analogia biologica
Analogia sociale
Strategia–struttura
(Scott, teorie contigenti)
Ecologia delle
popolazioni.
Teoria evolutiva
del cambiamento
economico
Evoluzione e
rivoluzione
(Greiner)
Teoria evolutiva
dell’impresa
Ordinare i diversi contributi richiede, allora, di identificare le metafore/immagini del
cambiamento che li contraddistinguono.
Come mostrato in Tabella 1.1:
1. alcune teorie hanno come metafora prevalente quella dell’evoluzione in ambito biologico,
utilizzandone le logiche e gli strumenti per l’analisi delle organizzazioni. L’analisi
biologica riguarda due aspetti, la differenziazione organica e la selezione naturale
12
:
™ la differenziazione organica prende l’embriologia come modello e rappresenta la società
come un organismo che crescendo non diviene solo più ampio, ma si differenzia in
organi e funzioni specializzate. Il cambiamento è, quindi, vissuto come un incremento
della divisione del lavoro ed una conseguente integrazione delle diverse parti;
™ la selezione naturale fa riferimento all’elaborazione teorica di Darwin sull’evoluzione
tramite l’operare dei processi di variazione e di selezione naturale delle forme meglio
11
Tratta da: Solari, L., LE TEORIE EVOLUTIVE in Costa e Nacamulli, Manuale di organizzazione aziendale, UTET
12
Collins, 1988
Differenziazione organica Selezione naturale Teorie degli stadi Teorie idealiste
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adatte all’ambiente. Questa prospettiva guarda ai fenomeni organizzativi indagando
nella pluralità di forme (popolazioni di organizzazioni) piuttosto che al livello di singole
organizzazioni e concentrandosi sui processi di evoluzione in quanto tali;
2. altre teorie evolutive riconoscono nel cambiamento dell’organizzazione l’operare di
meccanismi fondati sull’alternarsi di livelli diversi dell’evoluzione sociale. Tali teorie
possono essere divise in teorie degli stadi evolutivi e teorie idealiste
13
:
™ le teorie degli stadi riconoscono al cambiamento un percorso attraverso successivi stadi
evolutivi. Tali teorie descrivono, quindi, le caratteristiche degli stadi organizzativi di
equilibrio ed identificano le sequenze. La definizione del numero degli stadi e delle
variabili che li caratterizzano differenziano tra loro le diverse teorie
14
;
™ le teorie idealiste fanno riferimento al concetto di cambiamento storico progressivo di
Schelling, Hegel e Marx ed evidenziano la presenza di meccanismi dialettici di
evoluzione. I diversi livelli di evoluzione sono, quindi, il risultato, non tanto di una
semplice sequenza, ma della contrapposizione tra forze che spingono al cambiamento e
forze che lo ostacolano.
13
Collins, 1988
14
Si vedano, ad esempio: Greiner, 1972 e Scott, 1971
INTRODUZIONE
1-9
Le teorie della differenziazione organica
15
sono anche delle teorie degli stadi, poiché
ipotizzano il susseguirsi di fasi evolutive in analogia con la crescita di un organismo dal suo
germe (il seme) all’individuo maturo (l’albero) e presentano i seguenti tratti fondamentali:
™ differenziazione: l’evoluzione comporta un grado sempre maggiore di differenziazione tra
le unità che svolgono le attività proprie del sistema di appartenenza e specializzazione,
poiché il sistema progressivamente sviluppa unità specializzate che assolvono specifici
compiti;
™ miglioramento delle prestazioni funzionali: la divisione del lavoro conduce ad un
miglioramento delle prestazioni delle diverse unità funzionali e del sistema nel suo
complesso;
™ necessità di integrazione: la differenziazione delle unità di base richiede sforzi di
integrazione da parte del sistema e l’impostazione di una struttura per il controllo del suo
funzionamento;
™ viscosità: la transizione da uno stato del sistema all’altro richiede processi di adattamento e
di apprendimento non immediati e ritardi, dato che le tensioni non nascono dal
disequilibrio del sistema, ma dalle differenze di velocità del cambiamento tra le diverse
parti.
15
Si veda: Lawrence e Lorsch, 1967
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1-10
1.2 L’ecologia delle popolazioni organizzative
1.2.1 Le origini ed i fondamenti
Le origini della prospettiva di ecologia delle popolazioni possono essere rintracciate nel
lavoro di alcuni sociologi dell’organizzazione
16
.
I fondamenti più immediati e dichiarati vanno ascritti al lavoro seminale di Arthur
Stinchcombe, il quale ha il merito di avere identificato un nuovo livello di analisi per le teorie
organizzative, quello, appunto, della popolazione di forme organizzative; egli rileva che è
possibile, osservando la dinamica della molteplicità di forme organizzative, ritrovare dei cicli
non continui. In sostanza, la progressiva creazione ed estinzione di organizzazioni non assume
carattere di continuità, ma consente storicamente di identificare dei momenti di repentino
mutamento delle caratteristiche delle forme organizzative (Vedi Figura 1.1).
L’innovazione organizzativa non è, quindi, continua, ma avviene quando le condizioni
sociali la rendono possibile.
16
Hawley, 1950; Stinchcombe, 1965; Hannan e Freeman, 1977
tempo
innovazione
periodo
di
tranquillità
periodo
di
tranquillità
periodo
di
tranquillità
mutamenti
repentini
Figura 1.4 L’evoluzione secondo Stinchcombe
INTRODUZIONE
1-11
Più in particolare, l’innovazione dipende dalla “tecnologia sociale disponibile”, vale a dire
dall’insieme di relazioni sociali disponibili al momento della creazione della nuova forma
strutturale.
L’evoluzione dell’organizzazione appare, quindi, fortemente legata all’evoluzione del
sistema sociale che rende disponibili nuove soluzioni e forme di relazione sociale.
L’organizzazione è, quindi, definita da Stinchcombe come un insieme di relazioni sociali
stabili create deliberatamente, con l’esplicita intenzione di realizzare durevolmente dei fini od
obiettivi specifici.
L’opera teorica di Hannan e Freeman (1977, 1989) rappresenta un notevole contributo alla
prospettiva ecologica, dal momento che i due autori riescono felicemente a collegare il
pensiero di Stinchcombe con le idee di selezione naturale proposte da Darwin, giungendo a
rappresentare l’evoluzione come sostituzione/alternarsi di forme organizzative.
La concezione del processo evolutivo adottata corrisponde ad una posizione che gli autori
stessi definiscono «malthusiano–darwiniana», attribuendo «la varietà attuale delle forme
organizzative (agli) effetti cumulativi di una lunga storia di variazione e di selezione, incluse
le conseguenze dei processi di nascita, mortalità e di incorporazione»
17
.
Una delle domande fondamentali poste all’origine di tutta la riflessione ecologica è: che
cosa spiega i macroprocessi di successione demografica a livello di intere comunità di
organizzazioni (patterns of community succession)?
Questa domanda non trova risposta nell’ambito di una visione strettamente contingentista
dell’organizzazione
18
, basata su un assunto di forte adattabilità delle strutture organizzative.
17
Hannan e Freeman, 1989
18
Lawrence e Lorsch, 1967
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Se le organizzazioni, infatti, sono capaci di cambiamenti continui ed immediati, allora
parlare di selezione non ha significato, in quanto forme esistenti continueranno a cambiare per
adattarsi a circostanze sempre nuove.
In questo caso, la nozione stessa di forma organizzativa perde qualunque utilità, visto che
la configurazione strutturale osservabile oggi non è correlata in modo sistematico a quella che
potrà apparire domani.
È bene notare che il problema del turnover demografico a livello di popolazioni
organizzative non troverebbe risposta nemmeno se l’ipotesi contingentista fosse indebolita,
per ammettere che alcune organizzazioni non sono capaci di riconoscere il bisogno di
cambiamento.
Questo modo di intendere l’organizzazione ed il management come elaboratori di
informazioni e di segnali
19
trascura la dimensione insieme cerimoniale, normativa e rituale
dell’azione organizzativa
20
; trascura, cioè, il fatto che le strutture centrali dell’organizzazione
non riflettono in modo diretto “la razionalità limitata” del management o le sue “percezioni”,
ma sono spesso semplici repliche di altre strutture od il prodotto di vincoli normativi.
Inoltre, questa visione di tipo cognitivo sembra contrastare con l’esperienza ed il senso più
comuni, i quali indicano che non è il mancato riconoscimento della necessità di cambiamento
a caratterizzare i “fallimenti organizzativi”, quanto, piuttosto, l’impossibilità di rendere tali
cambiamenti effettivi o, in altre parole, l’impossibilità di vincere le pressioni inerziali interne
ed esterne all’organizzazione.
19
Weick, 1969; Child, 1970; Daft e Weick, 1984
20
DiMaggio e Powell, 1991
INTRODUZIONE
1-13
Questa sorta di paradosso del cambiamento organizzativo, secondo il quale il
riconoscimento della necessità del cambiamento e l’annuncio di piani e strategie rivolti al
cambiamento stesso non producono cambiamento alcuno, è un importante punto di
congiunzione tra le teorie ecologiche, basate sulla selezione a livello di popolazione, e le
teorie della scelta, basate sull’adattamento a livello di singola organizzazione.
Per giungere al centro dell’argomento ecologico è necessario indebolire ancora l’ipotesi
contingentista originaria, per ammettere non solo che alcune organizzazioni non riconoscono i
segnali di cambiamento, ma anche che, una volta riconosciuti tali segnali, esistono forze
inerziali interne ed esterne che impediscono alle organizzazioni di cambiare le proprie
strutture ed i propri comportamenti in modo sufficientemente rapido.
Il nesso logico tra selezione è cambiamento è l’inerzia delle strutture organizzative, le quali
raramente possono essere ridisegnate con la rapidità imposta dal ritmo del cambiamento
ambientale.
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1.2.2 Evoluzione e selezione naturale
Le teorie che si rifanno all’operare dei meccanismi di selezione naturale, attribuiscono un
ruolo diverso all’organizzazione.
Essa non è più un oggetto di analisi fondamentale, dal momento che l’attenzione si sposta
verso agglomerati più o meno ampi di organizzazioni, definiti in base a criteri di comune
appartenenza a condizioni ambientali simili (vedi infra cap. 4).
1.2.2.1 I fondamenti dell’analogia biologica
In questa prospettiva, due concetti sono di centrale importanza:
1. l’ipotesi dell’inerzia strutturale, che consente di applicare l’analogia biologica;
2. la nicchia, come dimensione di analisi dell’insieme di organizzazioni.
1.2.2.1.1 L’inerzia
In condizioni di dinamismo ambientale, se l’organizzazione non riesce a modificarsi e,
quindi, a adattarsi prontamente alle variazioni dell’ambiente, la forza che spiegherà
l’emergere di diversità nelle forme organizzative sarà esclusivamente la selezione naturale.
Le condizioni di inerzia rappresentano, pertanto, un postulato determinante delle teorie per
le quali l’organizzazione è una realtà nella quale la corrispondenza tra intenzioni individuali e
risultati e assai debole, se non nulla. L’organizzazione è, allora, caratterizzata da elevata
inerzia quando la velocità della riorganizzazione è molto più lenta della velocità alla quale
l’ambiente muta (si vedrà infra, cap. 5, che questa è un’affermazione da relativizzare
basandosi sul rapporto tra “attesa di vita” dell’organizzazione e “frequenza temporale” del
cambiamento) e, quindi, poiché si ritiene difficile che le organizzazione siano realmente in
grado di cambiare e di adattarsi, sarà l’ambiente a decidere dell’evoluzione.
INTRODUZIONE
1-15
L’inerzia strutturale opera in particolar modo dentro le organizzazioni, poiché esse sono
contraddistinte da due competenze che le differenziano rispetto ai singoli e ad altre istituzioni:
1. l’affidabilità (reliability), che rappresenta la capacità dell’organizzazione di produrre
ripetutamente risultati di una data qualità;
2. la responsabilità (accountability), vale a dire la capacità di certificare la razionalità
decisionale, la quale consente di identificare la ragione e la razionalità delle scelte prese
all’interno dell’organizzazione, attraverso la formalizzazione consentita dalla struttura
organizzativa
21
.
La selezione ambientale opera, quindi, su queste caratteristiche favorendo le
organizzazioni che siano, allo stesso tempo, affidabili e intenzionalmente razionali.
L’ipotesi dell’inerzia strutturale, però, va oltre la considerazione della difficoltà di
cambiamento da parte delle singole organizzazioni, sostenendo che cambiare aumenta la
probabilità di morte di un’organizzazione. Questo perché le condizioni migliori per garantire
affidabilità e responsabilità passano per la capacità di riprodurre continuamente il
funzionamento dell’organizzazione attraverso processi di istituzionalizzazione (che
legittimano la forma organizzativa agli occhi della società, dispensandola dal dover certificare
le proprie prestazioni) o la creazione di routine fortemente standardizzate.
Ne deriva che le organizzazioni che tendono a non mutare le routine incorporate sono
connotate da inerzia strutturale, ma hanno anche maggiori possibilità di garantire elevate
condizioni di affidabilità e responsabilità. È, quindi, la selezione operata dall’ambiente a
produrre l’inerzia strutturale e non il contrario.
21
Weber, 1968