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Introduzione
L’istituto della supplenza assume nel campo del diritto costituzionale un notevole
rilievo, derivante dalla particolare importanza che riveste la continuità funzionale
degli organi costituzionali, per la loro natura di organi istituzionali ed indefettibili
dell’ordinamento.
Gli organi costituzionali sono reciprocamente legati per quanto attiene
all’attività ed ai controlli. Quindi, l’organizzazione costituzionale deve intendersi
come un complesso meccanismo in cui vi sono organi propulsivi ed organi di
equilibrio. Una lacuna istituzionale derivante dall’inattività di uno degli organi
costituzionali produrrebbe la disfunzione e l’arresto di tutto il meccanismo, con
l’inevitabile conseguenza che sarebbe compromessa l’esistenza stessa dello Stato.
Perciò, opportunamente, l’art. 86 della Costituzione stabilisce che “ Le
funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso in cui egli non possa
adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato. In caso di impedimento
permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente
della Camera dei Deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica
entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o
manca meno di tre mesi alla loro cessazione”.
L’argomento è stato affrontato, in primo luogo, dal punto di vista storico,
concentrando l’attenzione sulle caratteristiche principali degli istituti analoghi alla
supplenza nell’ordinamento statuario, quali la reggenza e la luogotenenza, e
soprattutto sulla discussione che si è svolta nel corso dei lavori preparatori
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dell’Assemblea Costituente, che ha condotto alla formulazione della normativa
costituzionale relativa alla temporanea sostituzione del Presidente della Repubblica
da parte del Presidente del Senato.
Con questa disposizione, la Costituzione ha escluso la previsione di organi
costituzionali specificamente investiti di funzioni vicarie rispetto al Capo dello Stato
(come avviene, ad esempio, negli Stati Uniti d’America dove esiste la figura del Vice
Presidente), cui quest’ultimo può delegare alcune delle proprie potestà. Essa ha,
invece, fatto ricorso al diverso istituto della supplenza, secondo cui, quando il titolare
di una carica che va esercitata in modo diretto e personale e che non può subire
interruzioni è oggettivamente impedito a svolgere le sue funzioni, queste ultime sono
temporaneamente esercitate dal titolare di un’altra carica predeterminato per legge.
Si tratta, dunque, di un istituto la cui operatività non dipende dalla volontà del
titolare, come nel caso della delega di funzioni, ma è strettamente condizionata
dall’evenienza di alcuni presupposti oggettivi (impedimenti), in presenza dei quali le
funzioni del titolare sono automaticamente e temporaneamente esercitate dal soggetto
designato dalla legge come supplente.
Esaurita l’analisi storica, il primo capitolo tratta anche delle caratteristiche
principali e della tipologia dell’istituto della supplenza, sottolineando che si tratta,
senza dubbio, di una supplenza di persona o supplenza in senso stretto e non di una
supplenza di organo. Il presidente del Senato, infatti, trae dalla sua carica il
presupposto che lo configura come supplente del Presidente della Repubblica; non è
il Presidente del Senato che esercita le funzioni del Presidente della Repubblica
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aggiungendole alle proprie; egli è supplente del Presidente della Repubblica in quanto
Presidente del Senato e quando si verifica il fatto di legittimazione previsto dall’ art.
86 della Costituzione si considera temporaneamente sospeso dalle funzioni del
Presidente del Senato.
Nel secondo e nel terzo capitolo del presente lavoro, si è inteso approfondire
l’analisi dei presupposti oggettivi in presenza dei quali può aversi la sostituzione
temporanea del Presidente della Repubblica da parte del Presidente del Senato, vale a
dire, rispettivamente, le ipotesi di impedimento temporaneo, che possono dar luogo
ad un’interruzione relativamente breve dell’esercizio delle funzioni presidenziali da
parte del Capo dello Stato, e le ipotesi di impedimento permanente, che determinano,
invece, la cessazione dalla carica del Capo dello Stato.
Alcune di queste situazioni non sono definibili in altro modo che come
impedimenti permanenti: tali sono la morte, le dimissioni, la decadenza e la
destituzione del Presidente della Repubblica.
Altre, invece, non sono concepibili altrimenti che come impedimenti
temporanei: tali sono i viaggi all’estero per motivi ufficiali, che, per la loro durata e
distanza dei luoghi visitati dal territorio nazionale, non permettano un’adeguata
continuità nell’esercizio delle funzioni presidenziali.
Ma ve ne sono altre ancora che possono essere assegnate all’una o all’altra
categoria a seconda delle circostanze: queste sono le malattie, la sospensione dalla
carica, o qualsiasi altra causa di impedimento ( come ad esempio il sequestro di
persona, il rapimento, la cattura ), i cui sviluppi non siano rigidamente
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predeterminabili in astratto. L’essere assegnato all’una categoria o all’altra dipende,
per ciascuno di questi fatti, dalla prevedibile durata o dalla gravità dell’evento o,
ancora, dall’incidenza politica dell’evento stesso rispetto al buon funzionamento
dell’ufficio presidenziale.
In altri termini, tutte le volte in cui la natura, le modalità o la durata dell’evento
siano tali da poter pregiudicare la prosecuzione o la ripresa di un corretto uso dei
poteri presidenziali, si tratterà di un impedimento permanente, mentre tutte le volte
che non lo siano, si parlerà di impedimento temporaneo.
Si tratta, in ogni caso, di fatti estremamente delicati, dalla cui risoluzione
possono derivare importanti conseguenze sul piano dei rapporti tra i supremi organi
dello Stato. Nonostante ciò, la nostra Costituzione non prevede alcunché sul punto, di
modo che la corrispondente lacuna può essere colmata soltanto in via di
interpretazione.
Ogni situazione impeditiva comporta un accertamento formale e delle
valutazioni tecnico-politiche. Questo problema, relativamente soprattutto agli organi
che dovrebbero ( il condizionale è d’obbligo in mancanza di una soluzione certa
sull’argomento ) accertare l’impedimento del Presidente della Repubblica, è stato
affrontato nel quarto ed ultimo capitolo, dedicato agli aspetti procedurali dell’istituto
della supplenza, all’analisi della posizione giuridica e dei poteri del supplente, nonché
alle ipotesi che possono dar luogo alla cessazione della supplenza.
I continui e contrastanti dibattiti dottrinali e la prassi seguita nel corso della
storia della Repubblica non fanno altro che sottolineare le molte lacune e le
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incertezze che caratterizzano e dominano, con grave danno per le istituzioni
repubblicane, l’istituto della supplenza del Capo dello Stato, in particolare per quanto
concerne la necessaria precisazione degli organi competenti ad accertare
l’impedimento del Presidente della Repubblica.
Basti pensare alla prassi seguita dopo che il Presidente Segni fu colto da una
grave malattia e dichiarato temporaneamente impedito. Questa dichiarazione di
impedimento temporaneo presenta notevoli aspetti di ambiguità, rafforzati poi dalle
dimissioni rassegnate dallo stesso Presidente dopo che la malattia era ormai apparsa a
tutti come irreversibile. In questa vicenda, in particolare, non si capisce il ruolo di
“notaio” della Presidenza della Repubblica che è stato attribuito al Segretario
Generale, in quale altro non è se non un funzionario di nomina politica, legato da un
rapporto prevalentemente fiduciario al Capo dello Stato, che non ha alcuna veste
costituzionale per ricevere adeguatamente l’atto di dimissioni del Presidente della
Repubblica.
Per quanto riguarda, infine, i poteri del supplente, non ci sono dubbi sul fatto
che il supplente possa svolgere le funzioni presidenziali dirette a controllare le
deliberazioni altrui, come nel caso dell’emanazione degli atti governativi o della
promulgazione; non ci sono dubbi sul fatto che il supplente non può, in nessun caso,
procedere allo scioglimento anticipato delle Camere, poiché la Costituzione, vietando
al Capo dello Stato di procedere allo scioglimento delle Camere nell’ultimo semestre
del suo mandato, ai sensi dell’art. 88 della Costituzione, ha inteso escludere
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l’esercizio di questo potere quando la carica di Presidente della Repubblica non sia
tenuta da un soggetto nella pienezza dei poteri presidenziali.
Tuttavia, anche su questo punto le incertezze rimangono rilevanti: in mancanza
di un’esplicita disciplina costituzionale, si è costretti a riferirsi al concetto di
“necessità istituzionale” ai fini dell’attribuzione al supplente di alcuni poteri
fondamentali del Presidente della Repubblica, come la nomina del Presidente del
Consiglio dei Ministri ( tale potere può essere esercitato dal supplente solo quando il
mancato esercizio comporterebbe un grave pregiudizio al funzionamento del sistema
istituzionale ), o di altri atti propriamente presidenziali ( messaggi alla Camere o
nomina dei giudici costituzionali ) che sono, di norma, preclusi al supplente, a meno
che il mancato esercizio di essi non comporti l’impossibilità materiale di
funzionamento di altri organi costituzionali.
Del resto, questo è l’obbiettivo principale dell’istituto della supplenza:
assicurare la continuità funzionale di tutti gli organi costituzionali ed indefettibili
dell’ordinamento, al fine di non provocare la disfunzione ed il conseguente
inevitabile arresto del sistema costituzionale.