2
come residui nei prodotti agricoli, inoltre il loro impiego porta a
selezionare popolazioni resistenti di parassiti e ad interferire con la
microflora e/o microfauna utile (Gullino e Garibaldi, 1989). Gli
erbicidi sono anche un’ importante fonte di stress per la pianta e ciò
spesso comporta una maggiore gravità dell’attacco parassitario
(Curl, 1982).
Una delle più grosse minacce alla sostenibilità è proprio
l’assenza di metodi di lotta alle malattie validi sotto il profilo
economico e socialmente accettabili (Cook et al., 1995).
Attualmente si cerca quindi di elaborare nuove strategie di lotta
verso le malattie e i parassiti delle piante, che non comportino l’uso
di sostanze chimiche di sintesi, nell’ottica di sviluppare
un’agricoltura tesa maggiormente al rispetto della natura e quindi
dell’uomo.
In patologia vegetale, per lotta biologica si intende “la riduzione
dell’inoculo del patogeno o della sua attività per mezzo di uno o più
organismi diversi dall’uomo.” (Cook e Baker 1983). La lotta
biologica può avere scopo curativo, quando tende a limitare la
presenza del patogeno attraverso modificazioni della catena trofica,
come con l’introduzione nell’agroecosistema di un predatore o di
un parassita dell’agente nocivo. Spesso però l’ambiente agrario è
talmente semplificato da non essere in grado di sostenere
l’introduzione dell’agente di biocontrollo, che viene presto
eliminato senza avere potuto svolgere appieno il suo compito. La
lotta biologica più moderna ha invece scopo preventivo: si cerca di
rendere l’agroecosistema più simile, in quanto a biodiversità, ad un
ambiente naturale, in modo che in esso alberghino stabilmente gli
organismi antagonisti dei patogeni (mantenendo per esempio delle
siepi ai bordi del campo, o tramite la diversificazione delle colture).
L’aumento della biodiversità avvicina il sistema ad un equilibrio
meno fragile, perché aumentano resistenza e resilienza (Odum,
1973).
Le tecniche di lotta biologica vengono elaborate a partire
dall’osservazione degli ambienti naturali, attraverso un accurato
3
studio e analisi delle interazioni tra i vari componenti e parametri di
un ecosistema, individuando quei fattori, definiti limitatori
biologici, che regolano il naturale contenimento dei patogeni; ed
elaborando delle metodologie per sfruttare e potenziare uno o più
dei limitatori biologici individuati (Gullino e Garibaldi, 1989;
Gullino, 1991). Il suolo è il principale parametro
dell’agroecosistema da considerare per di sviluppare metodi di
biocontrollo nei confronti delle malattie dell’apparato radicale delle
piante. Il terreno è anch’esso un ecosistema; in esso interagiscono
fattori fisici, chimici e biotici. Il terreno può essere soppressivo, se
inibisce lo sviluppo del patogeno, o conduttivo, se invece lo
favorisce. La resistenza del suolo verso lo sviluppo del patogeno si
esplica con la fungistasi e con la repressività. Si ha una condizione
di fungistasi quando i propaguli fungini sono presenti nel terreno,
ma la loro germinazione nella rizosfera è molto scarsa (Lockwood,
1977). Tuttavia gli stessi propaguli hanno la capacità di germinare
se posti in condizioni favorevoli e al di fuori del suolo (Dobbs e
Hinson, 1953; Lockwood, 1977). La fungistasi è una dormienza
temporanea dovuta a cause esogene (Katan, 1991). Probabilmente
questo fenomeno è causato sia dalla produzione, da parte di
microrganismi antagonistici, di sostanze che inibiscono la
germinazione (Dobbs e Hinson, 1953), sia dalla privazione
nutrizionale dovuta alla competizione con i microrganismi del suolo
(Lockwood, 1977). Infatti è stato dimostrato che i propaguli fungini
necessitano di una fonte esogena di carbonio per germinare (Curl,
1982). Si ha invece una condizione di repressività quando i funghi
fitopatogeni sono assenti nel terreno considerato o sono presenti,
ma hanno una bassa virulenza, determinando di conseguenza danni
di lieve entità. Terreni in cui si verifica la repressività sono definiti
repressivi. Sembra che la repressività sia dovuta principalmente a
fattori microbiologici e in particolare alla presenza di popolazioni
numerose di antagonisti fungini, tra cui per esempio diverse specie
del genere Trichoderma.
4
È quindi importante lo studio di tali organismi antagonistici,
soprattutto di quelli viventi nella porzione di suolo adiacente alle
radici delle piante, ciooè nella rizosfera. E’ stato infatti dimostrato
che a livello della rizosfera si svolge la maggiore attività microbica
in grado di limitare i patogeni radicali (Schorth e Hildebrand,
1964). La popolazione microbica della rizosfera è dell’ordine di 10
9
cellule/cm
3
, mentre quella presente nel resto del suolo è di 10
6
-10
7
cellule/cm
3
(Weller e Thomashow, 1993). La lotta biologica cerca
di sfruttare questa proprietà della rizosfera, e quindi cerca di
contenere la gravità della malattia agendo soprattutto sul complesso
microbiologico del suolo.
Grande attenzione è stata pertanto dedicata agli organismi non
patogeni che risiedono normalmente nella rizosfera. Nella lotta
biologica contro i patogeni fungini terricoli si utilizza spesso
l’attività antagonistica di alcune specie dei generi Trichoderma e
Gliocladium (Dennis e Webster, 1971; D’ercole et al., 1983; Al-
Heeti e Sinclair, 1998; Innocenti, 1989). Gli organismi antagonistici
residenti nel terreno sono senza dubbio i più efficaci e utili nemici
naturali dei patogeni terricoli.
L’antagonismo microbico è piuttosto complesso e si basa sui
seguenti meccanismi:
-predazione
-iperparassitismo
-competizione
-antibiosi
Un organismo antagonista può anche attuare più di uno tra questi
meccanismi contemporaneamente: per esempio molti isolati di
Trichoderma, i funghi antagonistici più studiati nel campo della
lotta biologica, esplicano un’azione sia di parassitismo, sia di
antibiosi, sia di competizione. I meccanismi che più frequentemente
si riscontrano in natura sono la competizione e l’antibiosi (Gullino e
Garibaldi, 1989).
La competizione si ha ogni volta che due specie viventi
consumano la stessa risorsa, e questa è presente in quantità limitata.
5
Si può verificare competizione per lo spazio, per le sostanze
nutritive, per l’ossigeno, etc. L’antagonista è caratterizzato dalla
capacità di adattarsi molto bene all’ambiente e di colonizzare
velocemente un substrato; perché ha la capacità di sfruttare una
vasta gamma di fonti di carbonio e di azoto, che vengono così
sottratte al patogeno e inoltre l'antagonista è caratterizzato da
un’abbondante produzione di conidi e una grande capacità di
adattamento alla variazione delle condizioni ambientali
(Camporota, 1982). Sono stati eseguiti numerosi studi in vitro ed in
vivo sulle capacità di colonizzazione di un substrato da parte degli
antagonisti, e si è visto che il loro rapido sviluppo su tale substrato
rende difficile una successiva colonizzazione di esso da parte dei
patogeni (Davet e Camporota, 1986).
L’ antibiosi si ha quando un microrganismo produce una o più
sostanze tossiche che inibiscono lo sviluppo o provocano la morte
di altre forme di vita nelle immediate vicinanze dell’organismo che
le produce. Nel caso dei funghi, è l’antagonista a produrre queste
sostanze tossiche, ed è il patogeno a subirne gli effetti negativi.
L’antibiosi si manifesta con la mancata germinazione dei
propaguli fungini e con ritardi nella crescita dei miceli patogeni
(Agrios, 1997). Diversi studi in vitro, per esempio, hanno rilevato
che T. viride, T. harzianum e Glicladium spp. Producono sostanze
volatili e non volatili capaci di inibire fortemente lo sviluppo
miceliare di importanti patogeni appartenenti ai generi Rhizoctonia,
Phythium, Fusarium (Dennis e Webster, 1971; D’ercole et al.,
1983; Innocenti, 1989; Lynch, 1990).
Il micoparassitismo, cioè un fungo che parassitizza un altro
fungo, è un fenomeno molto comune in natura. Ai fini della lotta
biologica, è interessante studiare quei casi in cui un fungo
fitopatogeno è parassitizzato da un altro fungo, che risulta essere
quindi antagonista del patogeno ed è definito iperparassita. Gli
antagonisti fungini sono dei micoparassiti distinguibili in necrotrofi
e biotrofi: si parla di parassiti biotrofi quando questi si nutrono di
cellule vive dell’ospite, penetrando dentro di esse tramite apposite
6
strutture (austorii). Si parla invece di parassiti necrotrofi quando si
nutrono delle cellule dell’ospite solo dopo averle uccise. Per citare
alcuni esempi, le specie Trichoderma harzianum, T. viride, T.
koningii sono dei micoparassiti biotrofi: questi antagonisti
avvolgono con le loro ife quelle del patogeno, determinano la lisi
delle pareti cellulari dell’ospite, e poi vi penetrano all’interno
(Lartey et al., 1994).
Alcuni funghi sono specializzati nella distruzione di organi di
resistenza di altri funghi, in particolare di sclerozi prodotti dai
parassiti; Coniothyrium minitans e Sporodesmium sclerotivorum, ad
esempio, parassitizzano gli sclerozi di Sclerotinia spp., mentre
Laetisaria arvalis è in grado di parassitare le strutture di
sopravvivenza di Rhizoctonia solani e di Pythium ultimum (Cook e
Baker, 1983). Per quanto numerose siano le informazioni a
riguardo, mancano approfondimenti circa le conseguenze
fitopatologiche della presenza dell’iperparassita (Matta, 1982).
Inoltre il micoparassitismo interessa solo una limitata porzione del
micelio dei funghi patogeni apportando, quindi, scarsa protezione
alla pianta.
La predazione è, in generale, un rapporto trofico tra due
popolazioni di organismi definite una predatrice e l’altra preda: gli
individui predatori attaccano direttamente le prede e si nutrono di
esse (Odum, 1983). La predazione è un fenomeno estremamente
comune in natura e gli organismi predatori e prede possono
appartenere sia al regno animale, sia al regno vegetale, sia al regno
dei funghi. Sono noti diversi esempi di funghi terricoli coinvolti in
rapporti di predazione con altri organismi non fungini che risiedono
nella rizosfera, in cui il fungo può essere sia il predatore sia la
preda. Tra i funghi predatori, sono conosciuti alcuni Deuteromiceti
ifali, alcuni Zigomiceti e Oomiceti che svolgono attività di
predazione nei confronti dei Nematodi che sono causa di numerose
malattie delle piante (Govi, 1986).
Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse degli studiosi per quegli
organismi della rizosfera che si nutrono di funghi: varie specie di
7
insetti, di nematodi predatori, di protozoi ed amebe che utilizzano i
funghi fitopatogeni come fonte di cibo.
Alcuni recenti studi hanno masso in evidenza che i collemboli si
nutrono del micelio di funghi fitopatogeni e si è ipotizzato un loro
eventuale utilizzo nella lotta biologica. L’interazione tra questi
animali e i funghi fitopatogeni è però complicata dall’effetto letale
che alcuni funghi patogeni hanno sui collemboli (Crossley et al.,
1989; Lartey et al, 1994; Sabatini e Innocenti, 1995). La
conoscenza di questi fenomeni e della loro incidenza sullo sviluppo
e sulla sopravvivenza dei parassiti delle piante devono essere
ancora approfonditi.
TRICHODERMA:
I funghi del genere Trichoderma sono normalmente presenti nella
forma imperfetta, mentre è rara la loro forma perfetta, appartenente
al genere Hypocrea (Domsh e Gams, 1993). La sistematica di questi
funghi è comunque ancora oggetto di discussione.
I funghi del genere Trichoderma svolgono un’efficace azione
antagonista nei confronti di molti funghi patogeni e per questo
vengono utilizzati come mezzo di lotta biologica. Sono state
individuate sei specie antagonistiche: T. viride, T. harzianum, T.
hamatum, T. koningii, T. polysporum e T. pseudokoningii.
I funghi appartenenti al genere Trichoderma sono largamente
distribuiti in tutte le aree geografiche: sono abbondanti in tutti i tipi
di suolo, soprattutto in quelli ricchi di sostanza organica e tipici di
zone a clima fresco o molto umido (tutte le specie di Trichoderma
non si adattano bene ai suoli aridi).
La loro attività antagonistica, dimostrata sia in vitro che in vivo, è
imputabile a:
1) Forte capacità competitiva; è dovuta a diversi fattori come la
capacità di trarre carbonio e azoto da molti substrati, alcuni dei
8
quali non utilizzabili da altri funghi, la rapidità di sviluppo,
l’adattabilità termica, (buona crescita tra i 6 e i 37°C), la forte
attività saprofitaria, l’enorme produzione di conidi.
2) Produzione di antibiotici come per esempio triclorodermina,
suzukacillina, dermadillina e altri metaboliti tossici che
inibiscono in modo significativo lo sviluppo di molti patogeni
come quelli appartenenti ai generi Fusarium (Brewer et al.,
1987; Claydon e Allan, 1987; Lynch, 1990), Rhizoctonia,
Pythium. (Dennis e Webster, 1971; D’ercole et al., 1983; Lynch,
1990). Tuttavia, nonostante gli effetti di queste sostanze
rilasciate nel substrato siano stati ampiamente studiati in prove
in vitro, non è stato finora possibile provarne
inequivocabilmente il diretto coinvolgimento nei meccanismi
antagonistici in vivo.
3) Micoparassitismo: questo fenomeno è stato studiato in vitro
anche con tecniche di microscopia elettronica a scansione. E’
stato osservato che le ife del patogeno, una volta circondate da
quelle del Trichoderma, vanno incontro a una forte
vacquolizzazione, quindi collassano e si disintegrano. (Liu e
Baker, 1980; Chet et al., 1981). La lisi esogena della parete
cellulare dell’ospite è dovuta alla produzione di glucanasi,
chitinasi e cellulasi. Trichoderma harzianum e T. hamatum
producono una ß(1-3) glucanasi e una chitinasi; T. hamatum
produce anche una cellulasi (Chet e Baker, 1981). Il
meccanismo d’azione dell’antagonista è articolato in fasi
successive: inizialmente le ife del Trichoderma hanno un
accrescimento chemiotropico verso quelle del patogeno, per
effetto, molto probabilmente, di essudati prodotti dall’ospite
stesso; poi avviene il contatto ifale tra i due funghi, mediato da
meccanismi di riconoscimento specifici; molto spesso
l’antagonista sviluppa degli appressori che gli permettono di
aderire meglio all’ifa del patogeno; Infine le ife del Trichoderma
si avvolgono attorno a quelle dell’ospite e ne determinano la
morte. Non tutto è chiaro nel meccanismo micoparassitario di
9
Trichoderma: avvenuto il contatto ifale, l’antagonista produce
degli enzimi litici (Chitinasi, ß(1-3)glucanasi) che ledono le
pareti dell’ospite e formano fori di penetrazione, permettendo al
micelio di penetrare all’interno delle ife del patogeno.
Probabilmente entrano in gioco anche altri meccanismi, poiché
si è visto che alte concentrazioni di enzimi litici sono state
prodotte da isolati di Trichoderma ad attività antagonistica nulla.
(Migheli e Gullino, 1990).
Il forte antagonismo evidenziato nei confronti di numerosi funghi
patogeni (Fusarium oxysporum, Rhizoctonia solani, Pythium sp.,
Sclerotium rolfsi.) e in più altre caratteristiche importanti come
l’adattamento ecologico, la rapidità e prontezza di colonizzazione,
la non patogenicità nei confronti delle piante fanno di Trichoderma,
in particolare T. viride, T. harzianum, T. hamatum, il principale
deterrente biologico contro le malattie fungine.
E’ importante inoltre distinguere se l’impiego di Trichoderma
avviene per brevi o lunghi periodi. Nel primo caso, non è
indispensabile il perfetto inserimento e adattamento dell’antagonista
nell’ambiente in cui è introdotto (es. difesa dei semi e delle
plantule), che invece è strettamente necessario quando è richiesto
un trattamento di lunga durata. In questo secondo caso, è più
complicato usare Trichoderma come mezzo di lotta biologica,
perché l’antagonista introdotto deve superare alcune condizioni
sfavorevoli come l’azione competitiva degli organismi endogeni
presenti, i diversi trattamenti del terreno (concimazione, diserbo),
alcune condizioni pedologiche non ottimali al suo sviluppo (pH). In
più è necessario saggiare la capacità dell’antagonista di colonizzare
l’apparato radicale: la “rhizosphere competence”, in modo da
impedirne la colonizzazione da parte dei patogeni (Domsh e Gams,
1993).
10
Modalità di inoculazione:
Gli antagonisti possono essere applicati secondo diverse
modalità.
La somministrazione al terreno consente di ottenere buoni
risultati in quanto questi organismi, per lo più di origine tellurica,
vengono reintrodotti in un habitat a loro congeniale, e quindi non
sono necessarie tecniche troppo artificiose per favorirne lo sviluppo
e la colonizzazione.
In alcuni casi l’antagonista viene inoculato sotto forma di
micelio, in altri casi, invece, è distribuito sotto forma conidica. I
Trichoderma si insediano nel terreno con maggiore facilità se
introdotti sotto forma di micelio in accrescimento su un substrato
nutritizio piuttosto che sottoforma di sospensione conidica. Uno
svantaggio di tali tecniche è la grande biomassa fungina che deve
essere inoculata per ottenere una significativa riduzione della
gravità della malattia.
Una tecnica più facilmente attuabile è la concia dei semi. Con
questa metodologia sono, infatti, necessarie quantità di inoculo
decisamente inferiori. Prove di confettatura biologica sono state
effettuate con semi di colture di grande interesse economico
(D’ercole, 1992). La concia con i propaguli di Trichoderma ha dato
generalmente risposte positive, sia per quanto riguarda la
germinazione e lo sviluppo delle piantine, sia per la riduzione
dell’incidenza degli attacchi causati da vari patogeni.
IL MAL DEL PIEDE DEI CEREALI
Il suolo rappresenta un serbatoio per molti patogeni delle piante.
I funghi sono sicuramente i più importanti agenti di malattia dei
vegetali: dati statistici del Ministero dell'Agricoltura USA (1980)
affermano che per un tipico Stato agricolo medio (Ohio) 1000
malattie sono causate da funghi, 100 da virus e soltanto 50 da
11
batteri (Cook, 2000). I danni variano dalla necrosi dei tessuti
infettati, all'iperplasia delle parti colpite, al blocco dei tessuti di
conduzione con conseguente avvizzimento della pianta, alla crescita
anomala a causa della produzione di fitormoni o di tossine, al
marciume radicale e ai vari tipi di carie, all'alterazione degenerativa
delle strutture riproduttive. Bisogna poi ricordare che l'importanza
dei funghi come patogeni aumenta molto in certe condizioni
ambientali, come le serre, in cui la temperatura e l'umidità, piuttosto
costanti ed elevate, sono ideali per lo sviluppo fungino, o le colture
intensive in cui la forte concentrazione di organismi della stessa
specie facilita enormemente la diffusione della malattia. Infine i
funghi patogeni rappresentano un grave problema anche nei
semenzai e nei vivai, poiché le giovani piante sono spesso molto più
suscettibili all'infezione e poco resistenti alla malattia.
Di considerevole interesse, in tutti i suoli agrari, è la sindrome
genericamente indicata come “mal del piede” che colpisce i cereali
e soprattutto il frumento. Questa malattia è antichissima e ancora
nel secolo scorso era attribuita a sfavorevoli condizioni ambientali e
colturali. Il primo in Italia, che si è occupato di questa sindrome è
stato Peglion nel 1894, ma ancora oggi non tutti gli aspetti della
malattia sono noti. Vari sono gli agenti eziologici di questa
patologia: la malattia può essere causata, infatti, da diversi
microrganismi fungini che possono agire singolarmente o insieme
nello stesso campo o persino sulla stessa pianta, anche se,
solitamente, uno solo di essi prevale nello sviluppo sull'ospite. Le
condizioni ambientali e colturali determinano la prevalenza dell'uno
o l'altro patogeno (Wiese, 1987).
La malattia è diffusa in tutte le zone coltivate a frumento; i
principali agenti eziologici sono:
Gaeumannomyces graminis (Sacc.) Arx e Olivier var. tritici Walker
Fusarium culmorum (W. G. Smith) Sacc.
F. avenaceum (Corda ex Fr) Sacc.
Microdochium nivale (Ces ex Berl. e Vogl.) Samuels e Hallet
Bipolaris sorokiniana (Sacc. in Sorok.) Shoem
12
Rhizoctonia cerealis,Van Der Hoeven
R. solani Kuhn.
I sintomi sono simili per i vari funghi e consistono nella necrosi,
più o meno diffusa, dell'apparato radicale che si può estendere
anche al colletto e alla parte basale del culmo. L'attacco procede
dagli elementi più esterni, che vengono per primi in contatto col
patogeno, verso quelli più interni, fino a compromettere la
resistenza meccanica e/o il funzionamento del sistema conduttore
dell'ospite. Solo nel genere Fusarium l'infezione può raggiungere la
spiga. Le piante malate sono facilmente riconoscibili, infatti, vanno
incontro a una maturazione precoce producendo però spighe vuote
o quasi, striminzite e con le poche cariossidi presenti di colore
chiaro; ciò è dovuto allo scarso apporto di acqua e di elementi
nutritivi con essa trasportati. Il colore bianco delle spighe permette,
in campo, di riconoscerle molto facilmente.
Gaeumannomyces graminis var. tritici:
Oltre alla varietà tritici, appartengono a questa specie anche le
varietà avenae e graminis. È un ascomicete che può attaccare le
piante di frumento e di altri cereali sin dai primi stadi di sviluppo,
causandone, nei casi più gravi, anche la morte. Solitamente, però, le
giovani piante sopravvivono, ma il loro accrescimento è ridotto.
Quelle colpite, invece, in uno stadio più avanzato sono
caratterizzate, oltre che dallo sviluppo stentato, da una distribuzione
a chiazze nel campo coltivato. Presentano radici nerastre e lucenti
che nei casi più gravi possono essere completamente distrutte. Il
marciume si estende poi alla zona del colletto e alla base del culmo.
Importante carattere diagnostico è la presenza di ammassi nerastri
di micelio. Infine se la pianta è attaccata in uno stadio di sviluppo
molto avanzato, l'infezione rimane a livello radicale e non arreca
gravi danni all'ospite. Il patogeno sviluppa due tipi di ife: le
macroife, con un diametro di 4-7 µ, parete cellulare spessa e di
13
colore scuro e le microife più sottili e ialine. Le macroife fungine si
sviluppano all'esterno della radice e da esse si dipartono le microife
di calibro minore che penetrano nei tessuti fino a raggiungere gli
elementi conduttori xilematici e floematici, compromettendone la
funzione (Rovira, 1990a). Questo causa lo sviluppo stentato della
pianta e il mancato riempimento delle cariossidi, che, quando
presenti, sono striminzite. In condizioni di elevata umidità il fungo
sviluppa periteci nerastri di forma globosa, caratterizzati da un
lungo collo che fuoriesce dai tessuti dell'ospite in cui il resto del
corpo fruttifero rimane immerso. All'interno sono presenti gli aschi
che contengono ognuno un fascio di otto ascospore filiformi, diritte
o leggermente arcuate, 3-7 settate, che non rivestono grande
importanza nella diffusione del patogeno.
Prima ancora che le ife del parassita instaurino un rapporto
diretto con le cellule dell'ospite, il fungo produce enzimi e sostanze
tossiche che alterano i tessuti della pianta facilitando l'infezione. Il
patogeno che si adatta male alla fase saprofitica nel terreno, resiste
all'interno dei residui colturali o nelle graminacee spontanee
(Rovira, 1990b). Sembra perciò di scarsa importanza per la
diffusione della malattia il ruolo svolto dalle ascospore trasportate
dal vento (Nilsson, 1969).
Numerosi studi sono giunti alla conclusione che la grandezza dei
propaguli fungini sia fondamentale per la sopravvivenza e per la
patogenicità del fungo; queste sono favorite se l'inoculo è
rappresentato dall'intero colletto piuttosto che da parti di esso o da
frammenti di radici (Hornby, 1975; Moore e Cook, 1984). La
maggior grandezza delle porzioni di tessuto infetto sembra sia
vantaggiosa per la propagazione della malattia non tanto perché
contiene una maggiore carica infettante, quanto perché garantisce
una base alimentare più abbondante facilitando quindi il fungo nella
competizione con altri microrganismi del terreno e la sua
sopravvivenza da un ospite all'altro (Cook, 1985). La carica
infettante è invece importante nel determinare la gravità della
patologia (Wong e Southwell, 1987). La comparsa e la gravità della
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malattia sono in relazione alla natura del terreno, alle pratiche
colturale e alle condizioni climatiche. Terreni favorevoli allo
sviluppo del fungo sono quelli alcalini, a bassa fertilità, sabbiosi e
ben aerati. L'aerazione è importante in quanto una concentrazione
elevata di anidride carbonica accumulata nel terreno è inibente per
lo sviluppo delle ife sulle radici.
Molto importante, per lo sviluppo della malattia, è il contenuto di
azoto nel terreno, infatti, in quelli poveri di questo elemento, la
malattia è più grave (Nilsson, 1969). Alla presenza dell'azoto è
legata la sopravvivenza del fungo fra una coltura e la successiva:
una sua elevata disponibilità favorisce la fase saprofitaria del
patogeno stesso (Garrett,1963). Poiché il fungo ha un optimum di
temperatura compreso tra 12 e 20°C (Walker, 1975), un inverno
mite, una primavera fresca e piovosa, un inizio estate con elevata
umidità favoriscono l'infezione. L'incidenza della malattia nella
condizione di monocoltura aumenta soprattutto tra il 2° ed il 4°
anno, poi tende a diminuire negli anni successivi. Questo fenomeno,
indicato come declino è dovuto, secondo alcuni Autori,
all'instaurarsi di una microflora antagonista, secondo altri, alla
selezione di ceppi ipovirulenti che tenderebbero a sostituire quelli
patogeni. La monocoltura sarebbe quindi vantaggiosa, ma la
scarsissima produzione negli anni di maggiore incidenza la rende,
economicamente, non applicabile. D'altronde l'avvicendamento
colturale rimane una pratica efficace poiché, come già ricordato, il
fungo si adatta scarsamente alla vita saprofitaria (Wiese, 1987).
Deacon (1973) ha rilevato che l'erbaio favorisce lo sviluppo di un
microrganismo, la Phialophora radicicola, antagonista del
patogeno, che si sviluppa dapprima sulle radici delle essenze da
erbaio e poi da queste passa a quelle del frumento senza causare
alcun danno. La rotazione con erbaio è quindi una tecnica efficace
nella soppressione della malattia. A tutt'oggi non esiste ancora un
valido mezzo di lotta chimica o biologica contro questa malattia
(Bødker et al., 1990).
15
Fusarium spp:
Tra i principali agenti del "mal di piede" ci sono diverse specie di
Fusarium: F. culmorum, F. graminearum, F. avenaceum, F. nivale,
F. culmorum è diffuso soprattutto nell'Italia meridionale in cui ci
sono le regioni maggiormente interessate alla coltivazione del grano
duro; F. avenaceum è anch'esso abbastanza diffuso nelle zone di
coltivazione del grano duro; F. graminearum è stato trovato in
Toscana, Emilia, Veneto; mentre F. nivale è costantemente presente
in tutte le zone coltivate a frumento (Piglionica 1974; 1976).
Di F. culmorum non è nota la forma perfetta. Questo fungo è
caratterizzato dalla presenza di macroconidi 3-5 settati, lievemente
ricurvi, misuranti rispettivamente 26-36 x 4-6 µ, 34-40 x 5-6 µ. Sul
micelio si differenziano le clamidospore di forma da ovale a
globosa, generalmente intercalari, talvolta terminali, singole o
riunite in catene.
F. avenaceum, la cui forma perfetta è Giberella avenaceae
presenta macroconidi falcati 3-7 settati, che misurano 10-70 x 3,5-5
µ e microconidi ovali 0-3 settati.
F. graminearum, in rapporto metagenetico con Giberella zeae,
presenta macroconidi 3-7 settati misuranti 2.5-5 x 35-62 µ e
clamidospore globose, singole o a gruppi.
F. nivale, oggi classificato come Microdochium nivale, presenta,
come forma perfetta, Micronectriella nivalis, ed è caratterizzato da
microconidi 1-3 settati, misuranti 2.5-5 x 19-30 µ
Sulle piante dei cereali questi patogeni determinano dei sintomi
molto simili per cui la loro identificazione può avvenire solo grazie
all'isolamento su substrato agarizzato e successiva analisi
microscopica o molecolare. In aggiunta a ciò è opportuno eseguire
saggi di patogenicità per la presenza di ceppi non patogeni
morfologicamente indistinguibili da quelli patogeni. Le piante
colpite presentano necrosi a livello della porzione basale dello stelo
fino al 1° o al 2° internodo, raramente le radici sono attaccate.