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1. RIASSUNTO
Il progetto TEVERE è un trial randomizzato in doppio cieco di prevenzione primaria al
tumore della mammella. Questo studio, implementato presso il Campus Cascina Rosa
dell’Istituto dei Tumori di Milano, mira a ridurre i fattori di rischio per il cancro al seno
attraverso l’intervento alimentare e l’utilizzo di un farmaco insulino-sensibilizzante, la
Metformina.
Lo studio ha preso il via ufficialmente nell’ottobre del 2009 e coinvolge 276 donne in età
post-menopausale. Tutte le partecipanti presentano tratti di Sindrome Metabolica. Nello
specifico esse mostrano un’ampia circonferenza vita (≥ 85 cm) e possibilmente un altro
parametro di Sindrome Metabolica (Glicemia > 100 mg/100 mL, Colesterolo HDL < 50
mg/100 mL, Trigliceridi > 150 mg/100 mL o in trattamento per dislipidemia, Pressione
arteriosa > 85/135 mmHg o in trattamento anti-ipertensivo). E’ noto come la menopausa
causi uno squilibrio del pattern degli ormoni sessuali, con uno sbilanciamento a favore degli
androgeni maschili. Le donne tendono quindi ad accumulare più tessuto adiposo a livello
della vita, assumendo una forma corporea detta androide. Ciò predispone verso l’insorgenza
della Sindrome Metabolica, patologia spesso associata ad insulino-resistenza e squilibri
metabolici. Questo quadro dismetabolico è un forte fattore di rischio per il tumore alla
mammella, la neoplasia più diagnosticata nel sesso femminile in Italia.
Si cerca allora di ridurre i tratti di Sindrome Metabolica tramite Metformina e intervento
alimentare. La Metformina è un farmaco ipoglicemizzante e insulino-sensibilizzante. La
recente letteratura scientifica riporta anche promettenti risultati circa la sua azione preventiva
verso il cancro. L’intervento nutrizionale è orientato verso una dieta mediterranea
accompagnata da una leggera restrizione calorica. Tutte le partecipanti si sottopongono a una
visita antropometrica e a un prelievo ematico al baseline e a cadenza annuale, con un follow-
up massimo di 5 anni.
Il disegno dello studio prevede che le donne reclutate vengano randomizzate in due gruppi per
dieta: “Rosso” di intervento e “Verde” di controllo. Le prime sono invitate a conferenze e
corsi di cucina a cadenza mensile, mentre le seconde ricevono soltanto indicazioni generali (le
dieci raccomandazioni WCRF/AIRC 2007). Dopo la visita al baseline le partecipanti sono
ulteriormente suddivise in due gruppi: uno assume – una volta entrato a regime - due
compresse di Metformina da 850 mg al giorno, l’altro il placebo. Causa limitazioni
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intrinseche al protocollo dello studio non abbiamo potuto valutare il reale impatto del
farmaco, limitandoci così a studiare l’efficacia del cambiamento nello stile di vita. Il cieco
sulla variabile Metformina/placebo può essere rotto solo al termine dei 5 anni oppure per
urgenti necessità mediche.
L’analisi statistica di correlazione ha evidenziato come al baseline le donne in Sindrome
Metabolica presentassero anche indici di disfunzionalità epatica (AST, ALT, γGT),
coerentemente con quanto riportato dalle recenti pubblicazioni scientifiche. Il confronto
prima/dopo sulle medie delle variabili antropometriche e metaboliche ha mostrato come
l’intervento nutrizionale sia in grado di ridurre in maniera statisticamente significativa (p-
value<0,05) il peso corporeo, la circonferenza vita, la glicemia, il colesterolo totale e il
colesterolo LDL. Confrontando le variazioni fra i due gruppi, non si sono però notate
differenze significative, sebbene il gruppo di intervento presentasse miglioramenti più
marcati. In un anno la Sindrome Metabolica è regredita nel 7,78% dei soggetti della
popolazione totale, mentre nel gruppo di intervento la regressione si assesta sul 10%.
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2. INTRODUZIONE
Mangiare è una pulsione recondita di difficile controllo. Il desiderio che ci spinge verso
l’alimento che abbiamo nel piatto è qualcosa di profondo e arduo da placare: spesso l’impulso
vince sulla ragione e ci ritroviamo a mangiare molto di più rispetto al nostro reale fabbisogno
sia sotto il profilo calorico sia dal punto di vista dei macronutrienti. E il risultato è sotto gli
occhi di tutti.
Per migliaia di anni il peso corporeo medio della popolazione è rimasto abbastanza stabile,
sembrava che i meccanismi di controllo endogeni del peso corporeo potessero far fronte a
ogni deviazione alimentare
1
. Poi, dal secondo Dopoguerra, qualcosa ha cominciato a
cambiare
2
. Il primo trend di crescita del BMI medio della popolazione si è osservato negli
USA. Nel Nord America il BMI medio della popolazione bianca non ispanica è cresciuto in
maniera preoccupante. Fra il 1890 e il 2000 esso è salito di ben 5,7 punti fra i maschi adulti.
La prevalenza dell’obesità è passata dal 3,4% ad un allarmante 35%. Se prima il BMI delle
persone decresceva con l’avanzare degli anni, dalla seconda metà del XX secolo il BMI è
continuato a salire anche in età post-adulta. Da questi studi sembra che qualcosa nei
meccanismi di regolazione della massa corporea si possa essere inceppato. O sono forse le
nostre abitudini alimentari ad essere mutate radicalmente
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? Perché non siamo più capaci di
limitarci nell’assunzione di cibo?
Negli ultimi decenni l’industria alimentare ha lavorato in modo tale da fornire alimenti ultra-
stimolanti e iper-soddisfacenti per il nostro palato. Alla enorme disponibilità di cibo di facile
reperimento si è sommata una componente edonistica dell’alimento, fattore che è in grado di
spingere il soggetto a mangiare sempre di più. Recenti studi di neurobiologia hanno
evidenziato come i sistemi edonistici di appagamento legati all’alimentazione e i meccanismi
omeostatici di controllo dell’intake calorico siano distinti e ben separati
4
. Ce ne accorgiamo
tutti i giorni, se la sensazione di piacere al palato fosse connessa alla sensazione di fame,
allora una persona sazia non dovrebbe più avvertire come soddisfacente altro cibo. E invece
accade proprio il contrario, perché il ricordo della stimolazione edonistica provocata da un
alimento ci spinge a volerne consumare ancora.
Ma quali sono gli alimenti che più risultano appetibili ai nostri occhi? La risposta è semplice:
i cibi che più si sono diffusi negli ultimi decenni, cioè quelli che presentano combinazioni di
grassi, zuccheri e sale
5,6
. Per esaltare al massimo la componente edonistica, non è sufficiente
7
che un alimento contenga grosse quantità di sale, zucchero o grassi. E’ proprio l’associazione
di questi nutrienti a fare la differenza. Pensiamo allo zucchero: più ne aumenta la
concentrazione in un alimento, maggiore è il piacere scatenato dallo stesso. Man mano che si
addiziona il composto dolcificante il cibo diventa più gradevole, ma fino a un certo punto. Per
le bevande zuccherate l’apice della curva è attorno al 10% di zucchero, al di là di questa
quantità l’appetibilità decresce
7,8
. Le bibite troppo zuccherate risultano infatti troppo dolci e
noi non le apprezziamo più. Stesso discorso vale per il sale, un alimento troppo ricco di NaCl
risulta quasi sgradevole al nostro palato.
Quando la miscela è nelle proporzioni giuste, allora lo stimolo della gratificazione e del
godimento è massimo. Ciò è testimoniato da esperimenti sia sulle cavie da laboratorio
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sia
sugli uomini. Gli studi sugli esseri umani sottolineano come gli alimenti contenenti
contemporaneamente zuccheri e grassi siano i più ricercati e consumati
10
. E c’è dell’altro. In
un altro esperimento i ricercatori del National Institute of Health negli USA testarono la
capacità di controllo di un gruppo di soggetti di fronte a una enorme e illimitata disponibilità
di cibo. Per i primi giorni ai partecipanti venne servita una dieta calibrata al fine di mantenere
costante il peso corporeo. Dopodiché tutti furono lasciati liberi di servirsi ad libitum di due
distributori automatici contenenti snack e stuzzichini vari. Ebbene, i partecipanti
consumarono in media 4500 Kcal, ovvero circa il 150% delle calorie che servivano per
mantenere stabile la massa corporea. Un soggetto in particolare consumò 7000 Kcal. In
generale, di fronte alla grande disponibilità di cibi di ogni tipo, i volontari consumarono
enormi quantità di grassi e zuccheri e minori livelli di proteine.
Man mano che si sale nella scala evolutiva, acquista importanza il ruolo della psicologia nei
meccanismi di controllo dell’intake energetico. Alcuni neuroni del nostro sistema nervoso
centrale si attivano in seguito a combinazioni sensoriali sollecitate dal cibo
11
. Un singolo
alimento ad alta densità energetica può arrivare a stimolare ampie zone del nostro cervello.
L’effetto cumulativo è un massiccio rilascio di neurotrasmettitori da parte dei neuroni.
L’impulso a mangiare diventa ancora più forte, motivando la persona ad agire con maggiore
decisione al fine di procurarsi uno stimolo ulteriore.
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Figura 1. Schema dei pathway di attivazione neuronale nei primati sottoposti a stimoli gustatici e olfattivi. Essi
convergono fra loro e sono collegati con i pathway di trasduzione visiva
Questi test ricalcano in piccolo ciò che è avvenuto su scala globale negli ultimi decenni: a
fronte di una disponibilità di cibo sempre crescente, la popolazione media tende ad abbuffarsi.
Le conseguenze sono evidenti: sovrappeso e obesità sono problemi tangibili con cui è
d’obbligo confrontarsi.
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3. OBESITA’ E SOVRAPPESO
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’obesità come “una condizione
caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale
da influire negativamente sullo stato di salute”
12
.
Dell’argomento obesità si era già occupata la stessa OMS, parlandone nei seguenti termini nel
2000: “L’obesità è una condizione medica in cui si è accumulato del grasso corporeo in
eccesso che può portare effetti negativi sulla salute, con una conseguente riduzione
dell’aspettativa di vita e un aumento dei problemi di salute”
13
.
Da queste definizioni appare evidente come al giorno d’oggi il sovrappeso, e a maggior
ragione l’obesità, sia considerato un problema di salute pubblica. Negli ultimi decenni la
ricerca scientifica ha chiarito molti degli aspetti legati all’obesità e tali informazioni sono state
comunicate in maniera efficace alla popolazione media. Così il concetto di obesità legato a
molte malattie è ormai di dominio pubblico.
Ma in passato la situazione era ben differente. Storicamente il sovrappeso era visto come un
segno di ricchezza e di vantaggio sociale. Quando la facile disponibilità di cibo non era alla
portata di tutti, allora le abitudini alimentari erano specchio della classe sociale a cui si
apparteneva. I Greci e i Romani – per citare due popoli che hanno influito molto sulle nostre
tradizioni culturali – amavano la buona tavola, i ricchi erano soliti organizzare grandi
banchetti per ostentare la propria magnificenza. La situazione si ripropose nel Medioevo,
quando i feudatari terrieri invitavano i personaggi più potenti per consumare interminabili
banchetti a base di carne e vino. Proprio la carne, su cui oggi si fanno valutazioni di tutt’altra
natura, era vista come un simbolo di potere, appannaggio esclusivo delle classi sociali più
elevate. Nei banchetti più sontuosi si poteva arrivare sino a diciotto portate di carne nello
stesso pasto, come riporta il primo trattato di gastronomia “De honeste voluptate et
valitudine” di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina (1474).
Ma anche in passato qualche pensatore avanzò delle obiezioni, non tutti vedevano nel
sovrappeso solo ricchezza e beneficio. Il primo a vedere nell’obesità un fattore negativo nei
confronti della salute umana fu Ippocrate che in uno dei suoi Aforismi scrisse: “La morte
improvvisa è più comune nelle persone grasse che non nelle magre”.