IV
Dalle statistiche esso risulta utilizzato prevalentemente dal pubblico ministero (4)
e questo dato può indurre a qualche riflessione sulla finalità del gravame de quo.
Risultando poco chiare le vere finalità dell’istituto e la sua specifica applicazione,
l’analisi della sua storia può aiutare a comprenderne l’evoluzione ed il suo
obiettivo, remoto ed attuale. Inventato da Alfredo Rocco come deterrente degli
appelli per consentire al pubblico ministero di frenare “le temerarietà degli
imputati”, ha trovato applicazione per quarantuno anni, suscitando, come si può
immaginare, molte critiche, finché la Corte costituzionale nel 1971 lo dichiarò
illegittimo per contrasto con l’art. 112 Cost. Nonostante fosse considerato dalla
dottrina un mero “relitto fossile” (5), l’appello incidentale fu riproposto dal codice
del 1988 come impugnazione consentita a tutte le parti e, pur conservando una
funzione ancora imprecisata nel processo penale, questa volta ha superato indenne
il vaglio della Corte costituzionale sotto lo stesso aspetto relativo alla violazione
dell’obbligo di esercitare l’azione penale, cosicché continua ad essere esercitato,
sia pure sporadicamente e soprattutto dal pubblico ministero, anche se si discute
ancora sulla sua legittimità costituzionale.
Non sarà perciò inutile cercare di ricostruire l’istituto, dalle sua storia ai suoi
elementi costitutivi, per tentare di comprenderne la ratio e proporne
un’interpretazione ragionevole e rispettosa dei principi costituzionali, con
l’ausilio delle molteplici teorie fiorite attorno a questo ancora misterioso
strumento.
(4) I dati raccolti in esito al monitoraggio sul processo penale, risalente al 1955, dimostrano che,
almeno relativamente alle impugnazioni proposte davanti alla corte d’appello, il gravame
incidentale è stato proposto prevalentemente dal pubblico ministero (1223 appelli del
pubblico ministero a fronte di soli 495 dell’imputato, 95 della parte civile e 4 del responsabile
civile o del civilmente obbligato per la pena pecuniaria): cfr. SECHI, Le impugnazioni, in DI
FEDERICO, GAITO, MARGARITELLI, SECHI e SEGHETTI, Il monitoraggio del processo
penale. Potenzialità e limiti delle indagini statistiche, 1995, pp 181 e 185.
(5) CORDERO, Procedura penale, 2° ed., 1971, p. 763.
1
CAPITOLO I
PRIMA GENESI
SOMMARIO: 1. L’introduzione dell’istituto.-2. Presupposti e caratteristiche
principali.-3. Il primo intervento della Corte costituzionale.
1. L’introduzione dell’istituto
L’appello incidentale vede la luce nel codice Rocco del 1930. Le ragioni della sua
nascita si ritrovano nella Relazione al progetto preliminare in cui si delinea
l’istituto come atto a “togliere all’imputato la facoltà di appellare senza alcun
rischio, anzi col vantaggio, nella peggiore delle ipotesi, di differire il momento
dell’esecuzione della condanna”(1). Esso fu studiato con il preciso intento di
limitare al massimo gli appelli “temerari” della parte, scavalcando il divieto della
reformatio in peius. L’imputato, infatti, si sarebbe trovato a fare un uso più
oculato dell’appello, utilizzando tale strumento con il rischio di veder aggravarsi
la sua posizione qualora il pubblico ministero avesse deciso di appellare
incidentalmente.
Il progetto preliminare provocò comunque obiezioni disparate. Alcuni lo
trovarono incostituzionale, poiché rendeva la posizione dell’imputato
eccessivamente sbilanciata rispetto a quella del pubblico ministero; altri vedevano
nell’abolizione della reformatio in peius un ostacolo destabilizzante che avrebbe
portato anche l’imputato innocente ad acquietarsi di fronte ad un’ingiusta
sentenza di condanna, per la preoccupazione di peggiorare la sua sorte in grado
d’appello. Altri, ancora, ammonivano che il giudice d’appello, non avendo avuto
(1) Relazione del Guardasigilli Alfredo Rocco al progetto preliminare del codice di procedura
penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol.VIII,
1929, p.103.
2
contatto diretto con la prova, non era in condizioni di procedere ad un ponderato
riesame dell’intero giudizio di primo grado senza le indicazioni critiche formulate
dalle parti interessate, e d’altronde “se il pubblico ministero che è organo
dell’accusa e conosce le risultanze del dibattimento al quale ha assistito, non ha
trovato motivo di dolersi della sentenza del giudice di primo grado, perché
dovrebbero mettersi in discussione tutte le decisioni di questo?” (2). Con la
deprecabile conseguenza di rinnovare sempre e totalmente il dibattimento.
Si notava che, data la facoltà al giudice di appello di riformare in peggio la
sentenza di primo grado, senza gravame del pubblico ministero, l’imputato
sarebbe stato posto nella dura condizione di non sapere dove fondare le sue difese
(3). Intervenne anche la Corte di cassazione che, rilevando il pieno effetto
devolutivo del gravame, sia sul piano cognitivo che decisorio, previsto dal
progetto preliminare per l’appello incidentale, vedeva sminuita l’importanza dei
motivi d’impugnazione (4).
Nel progetto definitivo, il Guardasigilli Rocco prese atto delle obiezioni proposte
apportando qualche modifica: “quanto all’effetto devolutivo dell’appello
l’assoluta abolizione del divieto della riforma in peggio ha suscitato non poche
recriminazioni, come sempre accade quando si toccano istituti tradizionali,
rispetto ai quali l’abitudine ha sostituito la critica e ha creato l’opinione della
intangibilità. Ma non sarebbero state certamente le querimonie sprovviste di
buone ragioni, che avrebbero potuto rimuovermi dalla mia prima idea, se,
(2) Lavori preparatori, cit., vol. IX, cit., Osservazioni e proposte: Università di Milano (rel.prof.
Grispigni).
(3) FILIPPI, L’appello incidentale nel processo penale, 2000, p.2.
(4) Lavori preparatori, cit., vol. IX, 1930, Osservazioni e proposte della Corte di cassazione,
p.366.
3
nell’esame di questa materia io non avessi trovato validi argomenti per nel
persuadermi dell’opportunità di apportare qualche temperamento al principio
accolto nel progetto preliminare […]ho perciò modificato l’art. 520, riconoscendo
al pubblico ministero la facoltà di proporre appello incidentale quando la
impugnazione sia stata proposta dal solo imputato. In questo modo le temerarietà
degli imputati rimangono frenate dalla possibilità dell’appello incidentale del
pubblico ministero (che naturalmente ha tutti gli effetti dell’appello principale
dello stesso pubblico ministero), e si conserva il divieto della riforma in peggio in
quei casi in cui, essendo stato proposto l’appello del solo imputato, il pubblico
ministero non abbia ritenuto che mettesse conto di appellare a sua volta” (5). Con
le opportune modifiche e qualche temperamento, l’istituto dell’appello incidentale
trovò la sua stesura definitiva nell’art. 515 comma quarto c.p.p 1930.
Esso prevedeva che “quando l‘appello è stato proposto dal solo imputato, il
pubblico ministero presso il giudice d’appello, entro otto giorni da quello in cui
riceve la comunicazione prescritta nell’art. 517, può presentare dichiarazione di
appello incidentale nella cancelleria del giudice predetto. Con la dichiarazione
devono essere presentati i motivi a pena di decadenza. L’appello incidentale del
pubblico ministero produce gli effetti preveduti dal primo capoverso e mantiene
efficacia nonostante la successiva rinuncia dell’imputato alla propria
impugnazione. L’appello incidentale del pubblico ministero non produce effetto
in confronto del coimputato non appellante che non ha partecipato al giudizio
d’appello”. La norma non aggiungeva altro e le diverse lacune, specialmente di
(5)Relazione del Guardasigilli Alfredo Rocco al progetto definitivo del codice di procedura
penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. X,
1930, p. 73 s.
4
tipo formalistico, furono gradualmente riempite da interventi giurisprudenziali.
Per quanto concerneva la forma dell’atto, ad esempio, non si esigeva un’ apposita
dichiarazione formale, ma bastava che la volontà del pubblico ministero risultasse
per facta concludentia (6). Si riteneva inoltre che, anche per l’appello incidentale,
fosse richiesta, a pena di inammissibilità, la notificazione ai sensi dell’art. 199 bis
c.p.p. 1930. L’appello incidentale, così come fu previsto dall’abrogato codice di
procedura penale, suscitò reazioni a dir poco disparate e discordanti. Solo
Manzini lo trovava un “utile e giustificata innovazione del codice di procedura
penale del 1930” (7). Molti lo accettavano semplicemente (8), alcuni lo
consideravano come un male necessariamente collegato alla configurazione
dell’appello (9). Da molti fu considerato addirittura vessatorio, un monstrum per
le sue contraddizioni interne ed i problemi che esse comportavano (10).
Si sottolineava, in special modo, il comportamento contraddittorio del pubblico
ministero che, astenutosi dall’appellare, lo faceva solo dopo l’appello
dell’imputato.
Contraddizioni emergevano anche in relazione al ricorso per cassazione. Era stato
sostenuto con vigore e più volte che, mentre il temerario ricorrente in cassazione
rischiava solo di pagare una somma alla cassa delle ammende (art. 549),
(6) Cass.,sez.III, 11 ottobre 1951,Roccarino, in Giust.pen.,1952, III, c. 608, con nota di DEL
POZZO, Forma e contenuto della dichiarazione di appello incidentale. Trib. Padova, 19
ottobre 1964, Greggio e Martin, in Riv.pen., 1965, II, p.395 ss.,con nota di GHEDINI,
Inammissibilità dell’appello incidentale del pubblico ministero non notificato all’imputato ai
sensi dell’art.199 bis c.p.p.
(7) MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, vol. IV, 1956, p. 519.
(8) CORDERO, Procedura penale, 1971,2°ed., p. 324; DE MARSICO, Diritto processuale
penale, 1966, p.309; SANTORO, Manuale di diritto processuale penale, 1954, p. 635.
(9) ALOISI, Manuale pratico di procedura penale, vol.III, 1952, p. 325 ss.
(10) BELLAVISTA, Lezioni di diritto processuale penale,3° ed., 1965, p. 395.
5
l’appellante temerario rischiava di essere punito con pene che andavano
dall’ammenda alla reclusione:” Questo è l’aspetto che assume la maggior pena
che può essere inflitta in seguito ad un appello incidentale. Se si mantiene
l’istituto dell’appello, non si può punire chi usufruisce del diritto di impugnare”
(11). Alle critiche tutt’altro che innocue che investirono questo nuovo istituto,
fecero seguito inevitabili problemi di ordine applicativo ed interpretativo.
Il suo esatto ambito operativo risultò difficilmente identificabile.
Alcuni, facendo notare la stretta connessione tra il divieto della riforma in peggio
e i limiti della potestà di cognizione del giudice d’appello, erano convinti che
l’appello incidentale dovesse investire punti della sentenza diversi da quelli
impugnati dall’imputato, osservando che altrimenti “qualsiasi appellante
temerario avrebbe potuto costruirsi da solo il divieto della riforma in peggio
gravando esclusivamente i punti della sentenza non connessi alla pena, anzi
muovendo le sue censure proprio contro le disposizioni più giuste della sentenza
di primo grado, al fine di perseguire l’intento dilatorio senza correre alcun
pericolo di riforma”(12). Altri, al contrario, trovavano una corrispondenza totale
tra i punti toccati dall’appello incidentale e quelli già oggetto dell’appello
dell’imputato (13).
Certo è che tutte queste remore resero molto lenta, conflittuale e dibattuta
l’applicazione di un istituto che sembrava creare più problemi di quelli per la cui
risoluzione era stato ideato.
(11) PIOLETTI, Intorno all’appello incidentale del pubblico ministero, in Foro it., 1935, II, c.
185.
(12) PETRELLA, Le impugnazioni nel processo penale, vol.II, 1965, p.231.
(13) GRANATA, Capi, punti, e questioni e l’appello incidentale del pubblico ministero, in
Riv.pen., 1942, p.265 s.
6
2.Presupposti e caratteristiche principali
Sebbene le caratteristiche ed i presupposti dell’appello incidentale, così come fu
formulato dal codice Rocco, rimasero in parte immutati nella versione reintrodotta
del codice del 1988, risulta comunque per lo meno interessante analizzarli
parzialmente in questa sede, poiché diedero vita a vivaci dibattiti e servirono da
spunto riflessivo nella stesura e modificazione dell’appello incidentale
attualmente in vigore.
Dando come universalmente accettato che l’appello incidentale trovasse il suo
ambito applicativo solo di fronte “all’appellabilità oggettiva e soggettiva della
sentenza da parte del pubblico ministero” (14), la dottrina era concorde
nell’identificare due presupposti base di questo gravame: la proposizione di un
appello ammissibile dell’imputato e la mancanza di appello principale del
pubblico ministero.
Analizziamo il primo presupposto. Il suo significato era chiaro. Qualora
l’imputato non avesse presentato appello, l’appello incidentale del pubblico
ministero non avrebbe avuto ragione di esistere. Questo, poiché la sentenza non
impugnata in via principale tanto dall’imputato, quanto dal pubblico ministero,
diveniva certamente irrevocabile. Una scelta così cristallina comportava
comunque diverse problematiche di tipo pratico.
L’appello incidentale poteva esperirsi solo dopo la proposizione di appello
(14) BELLAVISTA, voce Appello, cit., p. 773; LEONE, Trattato di diritto processuale penale,
vol.III, 1942, p. 148.
7
principale, od occorreva che questo fosse anche ammissibile?
E qualora l’inammissibilità dell’appello principale fosse stata dichiarata dopo la
proposizione del gravame incidentale, quest’ultimo continuava ad avere valore?
Le risposte come si può pensare erano tutt’altro che univoche.
Alcuni ritenevano che le cause di inammissibilità dell’appello principale
dell’imputato, intervenute successivamente alla presentazione dell’appello
incidentale del pubblico ministero, non influissero su quest’ultimo (15).
Altri, invece, erano di contrario avviso, nel senso che tanto una causa di
inammissibilità originaria, quanto una causa sopravvenuta o rilevata dal giudice
ad quem dopo la proposizione dell’appello incidentale, avrebbero causato
l’inefficacia di quest’ultimo (16). Risultava poi particolare l’opinione di Manzini,
il quale riteneva che, se l’appello dell’imputato fosse stato dichiarato
inammissibile dal giudice ad quem, in camera di consiglio o all’udienza, per una
causa diversa dalla rinuncia, sarebbe divenuto inammissibile, per mancanza del
presupposto, anche l’appello incidentale del pubblico ministero (17).
Continuando ad analizzare il primo presupposto, era anche fonte di discussione la
giusta identificazione della figura giuridica dell’imputato. Più specificatamente, ci
si chiedeva se all’impugnazione dell’imputato fossero equiparati, ai fini
dell’ammissibilità dell’appello incidentale del pubblico ministero, l’appello del
difensore e quello degli altri soggetti legittimati a proporlo per l’imputato
(15) FALCHI, L’appello nel processo penale italiano, 1940, p.349; PIOLETTI, Intorno all’appello
incidentale, cit., c.175.
(16) LEONE, Trattato, cit., vol.III, cit., p.145; PETRELLA, Le impugnazioni, cit., vol.II, cit.,
p.234.
(17) MANZINI, Trattato, 4° ed., cit., vol.IV, cit.,p.711.
8
(genitori, tutori, procuratori speciali) (18). Alcuni autori propendevano per una
risposta di tipo positivo. Non si vedeva la ragione, infatti, di applicare un diverso
regime; inoltre, il legislatore non aveva distinto l’impugnazione dell’imputato da
quella del difensore e dei soggetti legittimati ad impugnare in rappresentanza
dell’imputato stesso (19). Altri propendevano invece per una interpretazione
marcatamente letterale e riduttiva, rendendo così inoperante l’art. 515 comma 4
c.p.p. 1930 (20).
Problemi non trascurabili riguardavano anche l’oggetto dell’appello incidentale.
Per alcuni l’istituto non poteva riguardare una sentenza di proscioglimento, ma
doveva intendersi come applicabile solo nei confronti di una sentenza di condanna
(21).Si rispose agevolmente, però, che l’art. 515 c.p.p. 1930 non distingueva, anzi
prevedeva la possibilità che una sentenza di proscioglimento subisse la reformatio
in peius (22).
Risultava invece pacifico che l’appello incidentale potesse riguardare solo le
sentenze dibattimentali, essendo eccezionali le norme che lo disciplinavano (23).
Gli interessi civili costituivano un altro terreno di polemica ed oggetto di
molteplici inquadramenti.
Una parte della dottrina ammetteva che l’appello incidentale potesse essere
proposto anche nel caso in cui l’impugnazione avesse riguardo solo gli interessi
(18) FILIPPI, L’appello, cit., p.7 s.
(19) FALCHI, L’appello,cit., p.324; LEONE, Trattato, cit., vol.III, cit., p.144; PETRELLA, Le
impugnazioni, cit., p.233.
(20) BELLAVISTA, voce Appello, cit., p. 773; REINA, L’appello del difensore non consente al
pubblico ministero di presentare l’appello incidentale, in Giust.pen., 1963, III, c. 449.
(21) ESCOBEDO, nota a Cass.,sez. II, 18 giugno 1941, Dondero, in Giust.pen., 1941, IV, c. 206.
(22) PETRELLA, Le impugnazioni, cit., vol. II, cit., p.236.
(23) V. per tutti PETRELLA, Le impugnazioni, cit., vol.II, cit., p.236.
9
civili. A favore di questa teoria si diceva che l’art. 515 comma 4 c.p.p. 1930 si
riferiva genericamente all’appello dell’imputato, e non distingueva tra l’appello
contro i capi civili e quello contro i capi penali (24). Un’altra parte della dottrina,
al contrario, lo negava, osservando che l’appello contro le sole disposizioni
concernenti gli interessi civili non era un appello penale, bensì un appello civile,
anche se affidato alla cognizione del giudice penale (25). Si aggiungeva, inoltre,
che l’impugnazione per i soli interessi civili, circoscrivendo ex art. 202 c.p.p.
1930 l’ambito del giudizio d’appello alle sole questioni civili, non avrebbe
impedito il passaggio in giudicato dei capi penali della sentenza e tale giudicato
avrebbe precluso al pubblico ministero di proporre l’appello incidentale (26).
Risultava chiaro come tutte queste obiezioni non giovavano di certo
all’applicazione puntuale dell’istituto. Tuttavia, la dottrina non riuscì comunque a
trovarsi unanime in relazione a certe tematiche. Era infatti quasi del tutto pacifico
che, restando in ambito di interessi civilistici, l’appello proposto dal responsabile
civile e dalla persona civilmente obbligata per l’ammenda, anche se
riguardante i capi della sentenza che affermavano la colpevolezza
dell’imputato, non avrebbe potuto legittimare la proposizione dell’ appello
incidentale del pubblico ministero, ammesso dall’art. 515 comma 4 c.p.p.
1930, solo di fronte all’appello dell’imputato e non di altri
soggetti. In senso contrario si obiettava che il responsabile
(24) DE MARSICO, Diritto processuale penale,4°ed., 1966, p.226.
(25) LEONE, Trattato, cit., vol. III, cit., p. 145.
(26) PETRELLA, Le impugnazioni, cit., vol.II, cit., p.236.
10
civile ed il civilmente obbligato per l’ammenda erano da considerarsi, quando
appellavano per i capi penali, come sostituti processuali dell’imputato (27).
Passiamo ora ad analizzare il secondo presupposto. Esso era costituito dalla
mancanza di appello principale da parte del pubblico ministero, poiché l’art. 515
comma 4 c.p.p. 1930 si riferiva unicamente all’ipotesi dell’appello proposto dal
solo imputato. Da ciò risultava chiaro che l’appello ammissibile del pubblico
ministero presso il giudice a quo o presso il giudice ad quem, precludeva la
possibilità di proporre l’impugnazione incidentale, non essendo “concettualmente
compatibile la contemporaneità di due impugnazioni a favore del pubblico
ministero” (28). Anche se questo presupposto sembrava aver trovato
interpretazione unanime, la dottrina si ridivise per quanto riguardava
l’ammissibilità dell’appello principale.
Risultava infatti controverso se l’appello principale inammissibile del pubblico
ministero impedisse o meno la proposizione dell’appello incidentale.
Molti autori notavano che l’art. 515 comma 4 c.p.p. 1930 ammetteva il gravame
incidentale quando l’appello principale era stato proposto dal solo imputato,
sicché non vi sarebbe stata ragione per ritenere equivalente la mancata
proposizione dell’appello incidentale del pubblico ministero alla proposizione di
un appello invalido o rinunciato (29).
(27) A favore v. per tutti: MANZINI, Trattato, cit., vol. IV, cit., p.519; PETRELLA, Le
impugnazioni, cit., vol. II, cit., p. 237. In senso contrario: CARULLI, Considerazioni circa
le impugnazioni che legittimano l’appello incidentale del pubblico ministero, in Riv.it.dir. e
proc.pen., 1962, p.427 s.
(28) Cass., sez.III, 19 febbraio 1964, P.M. in c. Aveta, in Riv.pen., 1965, II, p. 985.
(29) BELLAVISTA, voce Appello, cit., p. 775; CARULLI, Considerazioni, cit., p. 427 s.;
CONSO, Rapporti tra appello principale del pubblico ministero e appello incidentale, in
Giur.it., 1951, II, c. 109; FALCHI, L’appello, cit., p. 353; SANTORO, Manuale di diritto
processuale penale,1954, p. 639. In giurisprudenza: Cass., sez. IV, 27 febbraio 1970, P.M.
in c. Ponetti, in Cass. pen. mass. annot., 1971, p. 146; Cass., sez. IV, 21 gennaio 1969,
Cuomo, ivi, 1970, p. 1209; Cass., sez. III, 7 marzo 1968, Natalizio, ivi, 1969, p. 283; Cass.,
sez. IV, 19 dicembre 1966, Ferri, ivi, 1968, p. 579; Cass.,sez. III, 13 ottobre 1964, P.M. in
c. Roma e Giuliani, in Giust.pen., 1965, III, c.14 s.
11
Altri autori negavano energicamente, con molteplicità di argomentazioni,
l’ammissibilità dell’appello incidentale dopo che il pubblico ministero avesse
proposto appello principale dichiarato inammissibile per qualsiasi causa o
rinunziato.
Si diceva che la finalità per la quale l’appello incidentale era stato istituito non era
certo quella di creare un mezzo per riparare agli errori del pubblico ministero
(30).
Altri ancora invocavano un particolare principio: quello della “consumazione del
potere di impugnazione”. In forza di tale principio, vigeva il divieto di proporre
un’ impugnazione dichiarata inammissibile (31). Un’altra parte di autori e qualche
pronuncia giurisprudenziale invece, ritenevano esperibile l’appello incidentale
quando l’appello principale del pubblico ministero fosse mancato o fosse risultato
inammissibile per qualsiasi causa (32).
Analizzando l’effetto devolutivo dell’appello incidentale, sebbene l’art. 515
comma 4 c.p.p. 1930 non vi apponesse espressamente alcun limite, molti dubbi si
riversarono sulla questione dei limiti oggettivi del gravame incidentale. Fiorirono
anche in questo campo diverse tesi; secondo quella dominante, l’istituto doveva
avere come oggetto solo gli stessi punti impugnati dall’imputato con l’appello
principale. Si spiegava tale impostazione in modo disparato.
(30) CONSO, L’appello incidentale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1958, p. 946.
(31) FRIGO, Rapporti tra appello incidentale e appello principale inammissibile del pubblico
ministero, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, p. 1014.
(32) MANZINI, Trattato, cit., vol.IV, cit., p.551; PETRELLA, Le impugnazioni, cit., vol.II, cit.,
p.238; RANIERI, Manuale di diritto processuale penale, 1960, p.402; VANNINI, Manuale di
diritto processuale penale italiano, 1956, 2° ed., p.375. In giurisprudenza: Cass.,sez. IV. 29
ottobre 1970, Fichtl, in Cass. pen. mass. annot., 1971, p. 1680; Cass., sez. V, 17 gennaio
1969, Barra, ivi, 1970, p. 1207, con nota contraria di BELLONE. Cass., sez. II, 6 aprile 1964,
Rossi ed altri, ivi, 1964, p. 978.
12
Secondo taluni l’appello incidentale del pubblico ministero, come l’omologa
impugnazione in ambito processuale civile, non poteva estendersi oltre i limiti
propri dell’impugnazione principale; si argomentava che così emergeva dai lavori
preparatori del codice e dalle relazioni del ministro della giustizia (33). Altri
invece restavano in ambito generale, facendo riferimento al principi generali.
“Non si poteva ad un’impugnazione incidentale assegnarsi un ambito più vasto
dell’impugnazione principale cui si ricollega” (34). Anche molte opinioni
giurisprudenziali seguivano tale indirizzo o vi si uniformavano (35).
Altri aggiungevano più specificatamente che, poiché l’appello incidentale
presuppone l’appello principale dell’imputato, che attribuisce la cognizione
limitatamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi, “il gravame
incidentale può agire soltanto in relazione a quei punti per cui si è verificata la
devoluzione della cognizione al giudice superiore”, in quanto tende a
neutralizzare il divieto della reformatio in peius (36). Altri ancora vedevano il
vero pericolo nel processo di tipo “cumulativo”. Si diceva che l’unità formale di
tale processo veniva meno quando per taluno dei reati connessi od alcuno degli
imputati non fosse proposta l’impugnazione specificatamente prevista. Il
passaggio in giudicato parziale della sentenza composta di più capi veniva
giustificata dal fatto che l’unità del processo cumulativo costituiva un fenomeno
meramente eventuale, perché essendo attribuito al giudice il potere di ordinare la
(33) GRANATA, Capi, punti e questioni, cit., p.265.
(34) LEONE, Trattato, cit., vol. III, cit., p.150.
(35) Cass., sez. III, 7 marzo 1968, Natalizio, in Cass. pen. mass. annot., 1969, p.283; Cass., sez.
IV, 5 novembre 1965, Frasca, ivi, 1966, p.695; Cass., sez. II, 24 settembre 1964, Sartoro, in
Giust. pen., 1965, III, c. 442
(36) SABATINI GIUS., Sull’appello incidentale del pubblico ministero, in Giust. pen., 1948, III,
c. 103 s.
13
separazione dei giudizi, il processo aveva l’attitudine a scindersi ed a sfociare
nella emanazione di una pluralità di sentenze diverse ed autonome. Tale tesi fu
fatta propria talvolta anche dalla Corte di cassazione (37). Alcune tesi poi
andarono oltre, introducendo la differenza tra capi e punti. Si disse, infatti, che
l’appello incidentale poteva investire punti della decisione diversi da quelli
impugnati dall’imputato, purché facenti parte dello stesso capo, dal momento che
i capi non impugnati in via principale avrebbero assunto il carattere della
irrevocabilità. Tale indirizzo fu talvolta seguito anche in giurisprudenza (38).
Tutte queste tesi, tendenti a limitare in diversi modi l’oggetto dell’appello
incidentale, trovarono altrettante, aspre, repliche e smentite.
Si ribatteva in generale che si trattava di opinioni atte a “legittimare, sotto le vesti
di argomenti più o meno speciosi, una volontà diretta a porre praticamente nel
nulla questo istituto” (39). I lavori preparatori del codice e le relazioni del
guardasigilli rivelavano, al contrario, l’inesistenza di qualsiasi limitazione
devolutiva e si precisava che l’appello incidentale civile serviva proprio per
impugnare i capi della sentenza non impugnati con l’appello principale, né, d’altra
parte, esistevano principi generali in materia, essendo l’appello incidentale del
pubblico ministero l’unica impugnazione incidentale prevista dal codice di
procedura penale. Si aggiungeva poi agevolmente che l’appello principale
costituiva solo un presupposto per l’ammissibilità del gravame incidentale e non
(37) CONSO, Questioni nuove di procedura penale,vol.I, 1959, p.159.
(38) BARBIS, I limiti dell’appello incidentale del pubblico ministero, in Riv. it. dir. e proc. pen.,
1959, p. 1005; BELLAVISTA, voce Appello, cit., p. 774. In giurisprudenza: Cass., sez. IV, 9
luglio 1969, P.M. in c. Betti, in Giust. pen., 1970.III, c.194; Cass., sez. V, 9 maggio 1969,
P.M. in c. Sartoro, in Cass. pen. mass. annot., 1970, p. 1359; Cass., sez. II, 22 gennaio, 1969,
Campisi, ivi,1970, p. 999; Cass., sez. II, 18 marzo 1966, Di Calogero, ivi, 1967, p. 413; Cass.,
sez. IV, 6 novembre 1964, Torrisi, in Giust. pen. 1965, III, c. 443; Cass., sez. II, 29 settembre
1964, Sartoro, ivi, 1963, III, c. 442.
(39) ALOISI, Manuale, cit., vol. III, p. 329.