- 2 -
Parte storica
per sé il monopolio della legislazione processuale
3
con la promulgazione delle
Ordonnances civile
4
e criminale.
Le preclusioni erano regolamentate dagli artt.7 e seguenti del Titolo XIV della
Ordonnance. Le preclusioni scandivano il meccanismo degli appointements, la fase finale
della procedura. Durante i lavori preparatori venne chiesta l’abolizione di ogni
“forclusion”
5
. L’art.8 del Titolo XIV introdusse la preclusione “de plein droit” alla
scadenza del termine fissato per produrre o per rispondere. Questa preclusione non poteva
essere superata neppure nei gradi successivi. La prassi giudiziaria stemperò una norma
così rigida, consentendo produzioni o risposte tardive in cancelleria, o addirittura nelle
mani del relatore, fino alla decisione. L’Ordonnance aveva toccato solo punti di dettaglio,
risolvendosi così in un’opera di sostanziale consolidazione del vecchio schema
processuale, questo perché le novità apportate alla nuova normativa vennero temperate, o
assorbite, nella loro attuazione pratica.
I caratteri fondamentali del processo francese, formatosi sulla base delle ordinanze e poi
passato al Codice Napoleonico, furono: oralità, pubblicità, principio di disposizione delle
parti contemperato dal principio di sovranità del giudice, soppressione degli stadi
processuali, per cui deduzione e prove si svolgevano unitamente, trattazione della causa
preceduta da scritti preparatori; citazione (ajournement) e notificazione fatta dall’usciere
su domanda delle parti, senza autorizzazione del giudice, iscrizione a ruolo per opera del
cancelliere, scambio di comparse fra i procuratori in numero illimitato fino a che la causa
fosse andata in discussione (mise en état), prove liberamente ammesse o escluse dal
giudice, che le valutava
6
liberamente, dopo averle assunte.
3
Non si trattò di un passaggio radicale, ma tale monopolio si verificò attraverso una serie di passaggi intermedi,
per esempio in Francia il re aveva cominciato a legiferare direttamente sugli stili e usi giudiziari a partire
dall’Ordonnance de Villers – Cotterets del 1539 “pour la réformation et l’abbréviation des procès” (PICARDI
“Introduzione” cit. pagina X).
4
Principali spunti innovativi della Ordonnance erano il divieto della interpretatio (art.7: questo articolo da un
lato si ispira al principio giusitinianeo “tam conditor quam interpres legum solus imperator”, dall’altro precorre
le ideologie illuministiche e l’esperimento del référé legislatif della Rivoluzione) e il principio della soggezione
del giudice alla legge (Titolo I: si tratta però di un principio che non assumeva quel valore di garanzia – per il
cittadino e per il giudice - che rivestirà poi nel modello liberale ottocentesco e che conserva grande rilevanza
anche nel modello costituzionale contemporaneo, ma rappresentava la doverosa lealtà al re sovrano assoluto,
non limitato nelle sue prerogative da alcun organo costituzionale) (PICARDI “Introduzione” cit. pagine XVI e
seguenti).
5
PICARDI “Introduzione” cit. pagina XXXII e seguenti
6
ZANZUCCHI “Diritto processuale civile” cit. pagine 102 e seguenti. Fu questo tipo di processo che passò nel
codice di procedura civile napoleonico attraverso le fortunose vicende della rivoluzione del 1789. La riforma
della procedura venne decretata dalla Costituente il 24 agosto 1790; un decreto del 26 ottobre 1790 abbreviava i
termini dell’appello e introduceva l’obbligo di motivare le sentenze. La Convenzione (24 ottobre 1793) aboliva
tutte le forme processuali, e introduceva, al posto dei magistrati, degli arbitri pubblici. Meno radicale una
successiva legge del 3 brumaio anno II che sopprimeva la figura dell’avvocato, ma stabiliva una procedura più
semplice. La figura dell’avvocato veniva ripristinata con la legge del 27 ventoso dell’anno VIII (18 marzo
1800), e l’ordinanza del 1667 venne richiamata in vigore con ordinanza consolare lo stesso anno. Nel 1803
venne formato un nuovo progetto di codice di procedura civile che riproduceva però l’ordinanza del 1667. Le
disposizioni di tale ordinamento furono il nucleo principale del processo disciplinato dal nuovo codice: il quale
fu elaborato da una commissione nominata da napoleone fra i membri della Magistratura e del Consiglio di
- 3 -
Parte storica
Il diritto processuale civile francese è rimasto a lungo immune da riforme, dopo l’entrata
in vigore del codice di procedura del 1807
7
. Nel 1975 una importante serie di decreti ha
costituito e completato il nuovo codice di procedura civile
8
.
§1.2 L’Austria: il modello giuseppino e la codificazione di Klein.
La Civilgerichtsordnung austriaca del 1781 è stata molto importante sia perché
rappresentava il modello processuale del dispotismo illuminato
9
, tipico dello “Stato di
polizia” dei paesi di lingua tedesca del Settecento, sia perché si trattava di una delle
“codificazioni storiche
10
” applicate direttamente in Lombardia a partire dal 1786.
Il Regolamento Giudiziario segnava una soluzione di continuità con la tradizione del
diritto comune, secondo la quale la conduzione del processo era rimessa all’iniziativa di
parte, mentre il giudice aveva poteri di dilazione, ma non di impulso e di direzione. In una
logica burocratico – amministrativa della giustizia il Regolamento disegnava un processo
“chiuso”, stabilendo ai §§ 3 e seguenti, una serie di preclusioni ed obbligando le parti ad
allegare, fin dai primi atti, tutte le domande e le eccezioni, nonché tutti i mezzi di prova.
La sequenza degli atti era scandita da termini brevi (§§34 e seguenti).
Stato. Il Codice fu una edizione riveduta e migliorata dell’Ordonnance del 1667. Esso entrò in vigore il 1°
gennaio 1807 e rimase in vigore, nonostante diverse modifiche, fino al 1975, quando venne sostituito da una
nuovo codice di procedura civile
7
Le modificazioni furono inizialmente di portata limitata: nel 1935 fu modificata la disciplina delle nullità di
forma; nel 1942 l’appello e l’esecuzione provvisoria; nel 1944 la disciplina della consulenza tecnica e della
giurisdizione volontaria; nel 1958 vi fu la riforma più ampia approvata sul codice napoleonico: quella relativa
all’organizzazione giudiziaria, al regolamento dei conflitti di competenza e all’istruttoria; infine nel 1965 venne
modificato il procedimento civile sulle questioni di stato (NORMAND “Processo civile (Francia) Digesto delle
discipline privatistice, sezione civile UTET, Torino, 1997, Vol. XV pagina 102).
8
NORMAND “Processo civile (Francia) cit. pagina 101.
9
PISANELLI – SCIALOJA – MANCINI “Nozioni storiche preliminari” in “Commento al codice di procedura
civile” a cura di GALDI Napoli, Stabilimento Tipografico dei Classici Italiani, 1875, pagine XXXVI e seguenti;
ENGELMANN “A history of continental procedure” cit. pagine 628 e seguenti; SPRUNG “Le basi del diritto
processuale austriaco” in Rivista di diritto processuale, 1979, pagine 30 e seguenti; TARUFFO “La giustizia
civile in Italia dal ‘700 ad oggi” Mulino, Bologna, 1980, pagine 33 e seguenti; TARELLO “Storia della cultura
giuridica moderna” Mulino, Bologna, 1998, pagine 513 e seguenti; PICARDI “Prefazione al Regolamento
Giudiziario di Giuseppe II” Giuffrè, Milano, 1999, pagine X e seguenti; PICARDI “Il regolamento di Giuseppe
II e la sua applicazione nella Lombardia austriaca” in Rivista di Diritto Processuale, pagine 36 e seguenti).
10
PICARDI “Prefazione” cit. pagine XX e seguenti. L’applicazione del Regolamento del processo civile
(pubblicato in tedesco, in latino e in italiano) introdusse radicali cambiamenti nell’amministrazione della
giustizia: i giudici venivano reclutati attraverso esami, le tasse giudiziarie venivano incamerate dal sovrano, che
attribuiva ad ogni giudice “un salario stabile” con esclusione di qualsiasi altro emolumento o regalo (§434 del
Regolamento Giudiziario). I giudici erano vincolati a “sentenziare secondo la vera e generale intelligenza
dell’Enunziativa di questa legge” (§437). A differenza del Code Louis, il Regolamento Giudiziario giuseppino
non prevede espressamente il divieto dell’interpretazione della legge, ma in presenza di casi non previsti dalla
legge il giudice potrà far ricorso all’analogia legis, ma nel caso dubbio il giudice deve rivolgersi al sovrano per
la sua risoluzione (PICARDI “Prefazione” cit. pagine XXIV e seguenti)
- 4 -
Parte storica
La funzione del giudice risultava potenziata, perché al giudice era accordata la facoltà di
fissare i termini, il più delle volte di prorogarli per giustificati motivi (§§37, 38, 44, 45 e
51), apportando in tal modo limitate deroghe all’iter
11
processuale prefissato dalle norme.
Il Regolamento Giudiziario rimase in vigore
12
fino al 1895, quando venne approvato il
nuovo codice di procedura civile
13
. Il codice di procedura civile austriaco del 1895 è
importante perché mostrava una nuova concezione del ruolo del giudice. Questa
coincideva con lo sviluppo del pensiero sociale: con l’abbandono del principio dispositivo,
il potere di disposizione del materiale probatorio, precedentemente attribuito alle parti (o
ai loro avvocati) venne superato dagli incisivi poteri istruttori del giudice (§§182 e
seguenti), e attraverso la tutela della parte più debole attribuito al giudice, si aspirava a
ottenere quella uguaglianza (sostanziale, non solo formale) di fronte alla legge che lo Stato
liberale poteva solo enunciare
14
. Al concorso del giudice nella istruzione della causa
corrisponde un accentuato obbligo di diligenza a carico delle parti e dei loro avvocati: per
la prima volta venne previsto espressamente a loro carico il dovere di verità e completezza
delle informazioni (§178); rigide preclusioni e la disciplina della contumacia operavano
11
L’inottemperanza delle parti veniva rigorosamente sanzionata con la condanna in contumacia. Il §29 stabiliva
che “se nel termine prefisso alla giornata una delle parti non comparisse, si dovrà prestare fede alla comparente,
anche senza prova circa il fatto, in quanto esso non trascenderà il contenuto della petizione; e se ne darà
sentenza, come di ragione”. L’inottemperanza del giudice ai doveri propri del funzionario comporterà, a sua
volta, la responsabilità civile: “il giudice che prolungherà contro l’ordine il disbrigo della causa… sarà tenuto
per ogni danno” (§437) (PICARDI “Prefazione” cit. pagine XXXIII e seguenti).
12
Nel 1798 in Austria si progettava una riforma di tutto il diritto processuale civile, privilegiando l’oralità.
Grande promotore di questa iniziativa era Franz Zeiller. La sua opera “Grundsätze über die Haupteigenschaften
einer Civil – Gerichtsordnung” (pubblicata nel 1808) verteva su alcuni capisaldi irrinunciabili: codificazione
del diritto civile sostanziale completa e chiara, collegi di conciliazione, codificazione di procedura civile che
togliesse ai litiganti temerari la speranza di ritardare l’esito del processo a proprio vantaggio, e a danno
dell’avversario. Codesta “buona procedura civile” aveva altri tre requisiti: garantire alla parte il diritto che le
spettava e che essa chiedeva al giudice, la realizzazione della Parteiöffentlichkeit, cioè la pubblicità del
processo, infine una rapida definizione della controversia. Questi punti vennero ripresi da Franz Klein nella sua
opera di codificazione nel 1895 (SPRUNG “Le basi del diritto processuale austriaco” in Rivista di diritto
processuale 1979, pagine 24 e seguenti)
13
L’innovazione principale, introdotta dalla riforma del processo civile operata da Klein, muoveva attorno alla
ridefinizione del rapporto tra giudice e parti, a ragione della mutata concezione della funzione economica e
sociale del processo civile. Per questo il processo civile austriaco è stato definito come il modello processuale
per lo Stato sociale. Il processo civile superava il limitato profilo degli interessi delle parti, diventando lo
strumento per la soluzione dei conflitti sociali, strumento funzionale per il raggiungimento dell’interesse
pubblico: attuare il diritto sostanziale attraverso una procedura rapida ed efficiente (BAJONS – CHIZZINI
“Processo civile (Austria) in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, UTET, Torino, 1997, Vol.
XV, pagina 40;
14
Franz Klein fu allievo di Anton Menger [quest’ultimo è noto come filosofo del diritto grazie al suo lavoro
“Das bürgerliche Recht und die besitzlosen Volksklassen” (traduzione italiana di G.OBERLOSER “Il diritto
borghese e la classe proletaria” Torino, 1990). La formazione di Anton Menger era quella di un processualista
civile, materia di cui tenne l’insegnamento all’Università di Vienna, e che trattò organicamente (dopo alcuni
lavori monografici sulla ammissibilità di allegazioni di fatto nelle impugnazioni e sulla teoria delle parti nel
processo civile) in un manuale, che ancora oggi è assai moderno: “System des österreichischen
Civilprozessrechts in rechtsvergleichender Darstellung” Wien, 1876].
A Klein era chiaro che il nuovo processo civile doveva essere accompagnato da una radicale riforma
dell’ordinamento giudiziario e della struttura organizzativa degli uffici, e che solo l’azione integrata dei diversi
piani d’intervento poteva prospettare una qualche possibilità di successo per la riforma. Del resto i giudici e –
non senza alcune resistenze iniziali – gli avvocati accolsero con favore il nuovo processo civile, e questo
evidente successo applicativo della prassi giudiziaria fece del processo civile austriaco oggetto di grande
- 5 -
Parte storica
come sanzioni contro la negligenza e l’ostruzionismo delle parti nella conduzione del
processo
15
.
§1.3 Le codificazioni preunitarie in Italia
Il panorama delle codificazioni processuali italiane non può non partire dal Codice
giudiziario nelle cause civili per il principato di Trento, entrato in vigore il 1 settembre
1788
16
su iniziativa di Virgilio Barbacovi
17
. In questo codice si risentivano le influenze
del Regolamento giuseppino, specie per quanto riguarda il sistema di preclusioni, il ruolo
preminente del giudice nella trattazione della causa e il divieto di nuove domande in
appello, ma gli spunti originali sono notevoli: vi era un preliminare sistema di arbitrato per
tentare di evitare la lite. La lite cominciava con lo scambio di atti scritti fra le parti: questi
non erano limitati nel numero, ma andavano esperiti entro termini rigidi, sanzionati con il
rischio della condanna in contumacia, gli atti introduttivi dovevano contenere tutte le
allegazioni, a pena di non poterne più compiere in seguito (§§35 e seguenti)
18
. Vi era
inoltre una prima udienza (per la risposta del convenuto) nella quale la causa poteva già in
diverse ipotesi essere decisa, ed entro la quale dovevano essere proposte le varie eccezioni
di rito
19
.
interesse anche fuori dell’Impero austro – ungarico (BAJONS – CHIZZINI “Processo civile (Austria)” in
Digesto delle discipline privatistiche, Sezione civile, UTET, Torino, 1997, Vol. XV, pagina 37 e seguenti).
15
Tutto questo dimostra come i poteri giudiziali non fossero concessi in alcun modo per superare o lenire le
conseguenze dei comportamenti omissivi, ma si correlassero ad una adeguata espressione del libero
convincimento del giudice che caratterizzava il sistema probatorio. La responsabilità personale del giudice nella
istruzione probatoria richiedeva una metodologia nella ricostruzione dei fatti che garantisse al massimo grado
la completezza dell’istruzione probatoria, essenziale per quella garanzia risultava la interazione tra pubblicità,
oralità e immediatezza. Solo in questo modo si realizzava quel rapporto diretto tra giudice, parti e mezzi di
prova in grado di portare alla luce la verità (BAJONS – CHIZZINI “Processo civile (Austria) cit. pagina 40).
16
Questo codice è noto con il nome di “barbacoviano”, dal nome del suo autore, Virgilio Barbacovi. Benché sia
rimasto in vigore soltanto diciannove anni (cioè sino alla sostituzione con il Regolamento austriaco nel 1807) e
solo nel Principato di Trento, esso va ricordato sia perché si tratta dell’opera diretta di uno dei giuristi più
“illuminati” del tempo, sia perché rappresenta l’unico codice processuale, compiuto e rinnovatore, che vede
autonomamente la luce in Italia, infine, sia perché configura una disciplina del processo per alcuni aspetti
migliore del Regolamento austriaco. Il codice barbacoviano abrogava tutte le fonti normative precedenti e
conteneva una disciplina completa e ben articolata del processo civile e dell’organizzazione giudiziaria. In
diversi punti esso risentiva ancora della tradizione di diritto comune, come accade per la parziale conservazione
delle prove legali e del procedimento scritto, ma nel suo complesso si trattava di un codice nuovo e originale
che si staccava nettamente dalla tradizione di diritto comune (TARUFFO “La giustizia civile in Italia” cit.
pagine 41 e seguenti).
17
SALVIOLI “Storia della procedura civile e criminale” Milano, HOEPLI, 1927, Vol. II, pagine 780 e
seguenti; MENESTRINA “Il codice giudiziario barbacoviano (1788)” in “Scritti giuridici vari” Giuffrè,
Milano, 1964, pagine 169 e seguenti; DE SIMONE “Legislazione e riforme nel Trentino del Settecento.
Francesco Virgilio Barbacovi tra assolutismo e illuminismo” Mulino, Bologna, 1992.
18
Il divieto era però attenuato dal §508, dove si ammetteva che una parte deducesse nuove circostanze di fatto,
al solo fine di provocare la risposta dell’avversario.
19
Se la causa non finiva a questo punto, e occorreva assumere prove, era prevista una delle maggiori
innovazioni del Codice, ossia un’udienza nella quale le parti dovevano comparire personalmente davanti al
giudice – senza avvocati – per essere interrogate sui fatti e per il tentativo di conciliazione (§§ 58 e 66). Questo
istituto inseriva un momento importante di oralità nel contesto di un procedimento scritto, e favoriva la
conciliazione perché il tentativo veniva compiuto quando i termini di fatto e di diritto della lite erano già noti ad
entrambe le parti (MENESTRINA “Il codice giudiziario barbacoviano” cit. pagina 181).
- 6 -
Parte storica
L’istruzione era compiuta dallo stesso giudice che decideva la causa, ed entro un termine
fissato, la decisione seguiva allo scambio di una sola scrittura conclusionale per parte entro
trenta giorni (§214). Il modello di processo previsto nel codice barbacoviano è ordinato e
rapido, ma abbastanza elastico, perché non strozzato da preclusioni troppo rigide:
dipendeva dall’iniziativa delle parti il suo svolgimento e la formazione del materiale per la
decisione, ma il giudice aveva un ruolo preminente nella direzione del processo e nel
controllo del suo svolgimento
20
.
Il codice di procedura civile francese entrò in vigore in Italia in connessione con le
vicende della dominazione napoleonica
21
. Nel 1806 venne esperito un tentativo di
promulgare un codice civile del Regno d’Italia
22
. Il progetto di questo codice, mai entrato
in vigore, vide un processo di tipo dispositivo, mentre al giudice spetta il controllo sulla
regolarità del procedimento, alle parti era demandata all’iniziativa delle parti la gestione
della vicenda processuale
23
.
Il primo codice di procedura civile che entrò in vigore in Italia, dopo la fine della
dominazione napoleonica, fu quello toscano del 1814. La peculiarità di questo codice fu
che abrogava e sostituiva il codice francese, ma non rimetteva in vigore la legislazione
anteriore al 1807. In questo codice l’intera dinamica del processo apparteneva
all’iniziativa delle parti, che non incontravano preclusioni di rilievo nel corso dell’intero
procedimento. Le parti potevano disporre del processo, ma il giudice non era
completamente passivo, gli spettavano alcuni poteri di iniziativa istruttoria d’ufficio
24
.
20
MENESTRINA “Il Codice barbacoviano” cit. pagine 183 e seguenti; TARUFFO “La giustizia civile in
Italia” cit. pagina 43.
21
Dal 1809 alla caduta di Napoleone, l’Italia si trovava ad avere per la prima volta una legislazione processuale
unitaria, nella forma di un codice, che costituiva per gli Stati Italiani una radicale innovazione rispetto agli
ordinamenti preesistenti, nei quali sopravviveva la situazione ereditata dal diritto comune (TARUFFO “La
giustizia civile in Italia” pagine 67 e seguenti).
22
VOLPI ROSSELLI “Il progetto del codice di procedura civile del Regno d’Italia (1806)” Milano, Giuffrè,
1988.
23
Rispetto al codice di procedura civile francese vigente in Italia, il progetto non evidenziava sostanziali
cambiamenti nella fase istruttoria, che rimaneva formale e scritta, senza alcun correttivo che potesse accelerare
il procedimento. Veniva consentito ai difensori di pronunciare in pubblico le loro difese all’udienza (art.353),
questa novità, seppure virtuale, segnava l’introduzione del principio dell’oralità nell’ambito del processo
italiano (VOLPI ROSSELLI “Il progetto del codice di procedura civile del Regno d’Italia” cit. pagina XIII e
seguenti).
24
Il processo toscano presentava termini perentori rigidi, ma la presenza di questi termini veniva vanificata
dalla sospensione del procedimento durante le fasi del processo. Il procedimento si iniziava con la domanda che
era diretta al giudice, presentata alla cancelleria, quindi vistata dal cancelliere e notificata al convenuto (artt.20,
32, 40 e seguenti). Dal giorno in cui la domanda veniva notificata al convenuto, o se in convenuti erano più,
all’ultimo di essi, decorreva un termine perentorio di sei mesi nei quali i giudizi ordinari davanti a qualunque
magistrato dovevano essere definiti. Questo termine era diviso in due parti, la prima di tre mesi destinata alle
prove, alla compilazione del processo e alla decisione delle questioni incidentali. Tale termine si definiva
“probatorio”. La seconda parte era ugualmente di tre mesi ed era destinata all’informazione dei giudici, alla
discussione e alla decisione delle cause nel merito. Questo termine si definiva “decisorio” (art.94 e seguenti).
Trascorso inutilmente il termine di sei mesi così suddiviso si incorreva nella perenzione del processo. Questa
doveva essere rilevata d’ufficio. Il termine di sei mesi rimaneva sospeso durante la pendenza dei giudizi
incidentali e della esecuzione delle prove, in caso di morte delle parti e dei loro procuratori e durante le ferie. Il
tribunale poteva prorogare, per non più di un altro mese, il termine probatorio, qualora lo ritenesse necessario
alla istruzione della causa. Spirato il termine probatorio, la causa veniva portata davanti al giudice nel primo
- 7 -
Parte storica
Il codice parmense del 1820 permetteva alle parti di rettificare nelle conclusioni le
primitive domande secondo i risultati delle rispettive difese, vietava le domande nuove in
appello e ammetteva allo studio di un giudice relatore le cause bisognose di ulteriore
istruttoria, invece di rimetterle a nuova istruzione, come nel codice francese
25
.
Nel 1834 papa Gregorio XVI promulga il Regolamento giudiziario per gli affari civili. La
procedura civile pontificia si liberò dall’influenza del diritto canonico. I principali pregi
del Regolamento gregoriano vedevano l’introduzione di norme per la pubblicità delle
udienze, per la motivazione delle sentenze e per il rigore con cui si dovevano osservare i
termini e le decadenze, al punto da ordinare che ogni violazione fosse sanzionata dalla
nullità dell’atto, salvo la reiterazione di esso, se non fosse trascorso il termine perentorio
26
.
Nel Regno delle Due Sicilie fu conservato il processo civile francese
27
fino alla nuova
codificazione promulgata nel 1819
28
. Si trattava di una versione del codice francese con
parziali adattamenti, non vi erano rilevanti novità in relazione ai termini all’interno del
processo.
Il codice di procedura civile sardo del 1854 imitava il codice di procedura civile francese.
Con il sistema di far presentare alla stessa udienza le conclusioni delle parti e i rispettivi
documenti (anziché prescrivere la reciproca comunicazione qualche giorno prima), questo
giudizio somigliava “a un cieco incontro tra due contendenti”
29
che reciprocamente
ignoravano le rispettive pretese e conclusioni. La principale conseguenza di questo sistema
era la necessità di prolungare la lite mediante rinvii di udienza in udienza. Nel 1859 il
giorno del termine decisorio in cui vi fosse udienza, mediante un semplice atto di citazione da procuratore a
procuratore. In questa il magistrato fissava, nel primo mese del termine decisorio e quanto prima fosse possibile,
una udienza per l’informazione della causa: il procuratore dell’istante era tenuto a notificare ciò subito, sotto
pena di gravi sanzioni, alle altre parti. I procuratori dovevano consegnare i rispettivi processi al magistrato otto
giorni prima dell’udienza fissata; in questa il procuratore dell’attore leggeva la sua domanda, quindi quello del
convenuto le sue eccezioni, dopo ciò i procuratori esponevano oralmente le ragioni delle parti che
patrocinavano. Terminate le arringhe dei difensori, i giudici si ritiravano e comunicavano subito, oppure in un
termine di otto giorni i propri “dubbi”, e fissavano una seconda udienza per discutere di tali dubbi. Le parti
potevano comunicarsi nuove scritture ed esibire altri documenti nell’intervallo che precedeva questa nuova
udienza, nella quale le parti replicavano sui dubbi espressi dai giudici: questi potevano ancora proporre nuovi
dubbi, ai quali si poteva replicare immediatamente. Alla fine dell’udienza il magistrato ne fissava un’altra in cui
avrebbe pronunziata la sentenza. Dopo di ciò le parti potevano comunicare qualche brevissima memoria a
chiarimento di qualche particolarità della causa negli otto giorni seguenti, terminati i quali nulla altro era
possibile aggiungere (ROSSI “”Procedimento civile (forme del)” in Il Digesto Italiano, UTET, Torino, 1913,
Vol. XIX pagina 380; PISANELLI – SCIALOJA – MANCINI “Nozioni storiche preliminari” cit. pagine XLIV
e seguenti).
25
SALVIOLI “Storia della procedura” cit. pagina 784; PISANELLI – SCIALOJA – MANCINI “Notizie
storiche preliminari” cit. pagine XLI e seguenti; TARUFFO “La giustizia in Italia” cit. pagine 82 e seguenti.
26
SALVIOLI “Storia della procedura” cit. pagina 786; TARUFFO “La giustizia in Italia” pagine 86 e
seguenti. Il procedimento appariva incentrato sulla prima udienza, nella quale le domande, le difese e le
deduzioni venivano precisate (e comunicate al giudice) sia con la lettura degli atti introduttivi, sia con la
discussione orale (§§572 e seguenti: l’udienza aveva luogo dopo che le parti si fossero scambiate una sola
memoria scritta con i documenti giustificativi. Non si trattava di una vera e propria istruzione scritta, ma solo di
uno scambio di informazioni indispensabili per affrontare la discussione orale).
27
SALVIOLI “Storia della procedura” cit. pagina 787
28
TARUFFO “Storia della procedura” cit. pagina 80.
29
ROSSI “Procedimento civile” cit. pagina 382
- 8 -
Parte storica
codice di procedura civile sardo subì alcune modifiche
30
, migliorando e completando la
regolamentazione del procedimento
31
.
§1.4 Il codice di procedura civile del 1865
Conseguita l’unità politica del Regno d’Italia negli anni 1860 – 1863 si pose il problema
dell’unificazione legislativa. In un primo momento, e in conseguenza delle vicende
militari con cui si andava realizzando l’unità politica, i codici piemontesi vennero estesi in
alcuni nuovi territori, mentre in altri venivano lasciati in vigore i vecchi
32
.
Nel 1863 venne redatto da Pisanelli un progetto parziale di codice di procedura civile
33
;
ragioni politiche imposero di non perdere tempo in analisi e discussioni: il governo venne
delegato a pubblicare leggi unificatrici evitando il normale iter parlamentare. Un nuovo
progetto venne elaborato da un’apposita commissione e, con decreto reale, il nuovo codice
venne pubblicato il 25 giugno 1865, ed entrò in vigore il 1 gennaio 1866
34
.
Il codice di procedura civile del 1865
35
(nella sua versione originaria, ma anche a seguito
della riforma del procedimento sommario del 1901) era un codice ispirato chiaramente alla
prevalenza della componente privatistica rispetto a quella pubblicistica
36
. Le parti avevano
non solo, come è ovvio, il monopolio in ordine alla proposizione della domanda (e delle
eccezioni rilevabili soltanto su istanza di parte), ma anche poteri pressoché esclusivi in
ordine alla determinazione dei tempi del processo, in ordine alle prove, in ordine al
30
Il procedimento formale ordinario era composto da un primo periodo nel quale la istruzione scritta si svolgeva
mediante lo scambio di un numero illimitato di comparse e si chiudeva per difetto di replica di una delle parti
all’ultima scrittura dell’altra. Chiusa l’istruttoria scritta, si faceva luogo alla istruzione orale che aveva la
funzione di discutere i documenti raccolti nel processo scritto e nella quale era vietato prendere nuove
conclusioni e di fare nuove deduzioni e produzioni (ROSSI “Procedimento civile” cit. pagina 382; PISANELLI
– SCIALOJA – MANCINI “Nozioni storiche preliminari” cit. pagina L)
31
Il procedimento formale ordinario regolamentato dal codice di procedura civile sardo del 1859 prevedeva un
primo periodo nel quale l’istruzione scritta si svolgeva mediante lo scambio di un numero illimitato di comparse
e si chiudeva per difetto di replica di una delle parti all’ultima scrittura dell’altra. Chiusa l’istruttoria scritta, si
faceva luogo alla istruzione orale che aveva la funzione di discutere e svolgere i documenti raccolti nel processo
scritto e nella quale era vietato prendere nuove conclusioni e di fare nuove deduzioni e produzioni (ROSSI
“Procedimento civile” cit., pagina 380).
32
TARUFFO “La giustizia civile in Italia” cit., pagine 108 e seguenti.
33
TARUFFO “Procedura civile (codice di)” in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, UTET
Torino, Vol. XIV, 1996, pagina 660.
34
GIANZANA “Codice di procedura civile del Regno d’Italia” Torino, F.lli Bocca, 1889, Vol. I, pagine 78 e
seguenti; Taruffo “Procedura civile” cit., pagina 660.
35
Questo codice conteneva norme di varia provenienza, ma è evidente che traeva ispirazione prevalente dal
codice francese (SATTA “Codice di procedura civile” in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano, Vol. VII,
1960, pagina 281). La sua fonte immediata era costituita dal codice sardo del 1859, che a sua volta prendeva a
modello questo codice. La scelta di tale modello era scontata nell’ambiente politico e culturale del quale il
codice era frutto, ma implicava una chiara presa di posizione sul piano dei modelli generali di procedimento.
valori come la semplicità e la rapidità del procedimento vengono relegati in un secondo piano, perché il valore
principale non era l’efficienza della giustizia civile, ma la massima tutela dell’autonomia delle parti
(GIANZANA “Codice di procedura civile” cit., Vol. I, pagine 78 e seguenti; TARUFFO “Procedura civile”
cit., pagina 660).
36
PROTO PISANI “Il codice di procedura civile del 1940 fra pubblico e privato” in Foro It. Marzo 2000,
pagina 77; FAZZALARI “Codice di procedura civile” Novissimo Digesto Italiano UTET, Torino, Appendice ,
pagina 1293; TARUFFO “Procedura civile” cit., pagine 658 e seguenti.
- 9 -
Parte storica
provocare decisioni immediate con sentenze immediatamente impugnabili su qualsiasi
questione pregiudiziale di rito o di merito, oltre che in materia di prova. Il giudice era
privo di qualsiasi potere di collaborazione con le parti per la determinazione del thema
decidendum e del thema probandum.
L’esperienza applicativa del codice di procedura civile del 1865 rivelò rapidamente i
limiti
37
e le difficoltà di funzionamento
38
.
§1.5 La formazione del codice di procedura civile del 1940
Nel primo dopoguerra riemerse ancora più evidente la situazione di crisi di una giustizia
civile lunga, costosa ed inefficace. Si riprense il cammino per una riforma globale del
codice di procedura civile, che porterà solo nel 1940, dopo molti progetti e varie riforme
parziali, alla promulgazione di un nuovo codice
39
.
Un primo progetto di riforma successivo all’intervento legislativo del 1901 è quello
proposto nel 1909 da Vittorio Emanuele Orlando
40
; questa riforma riguardava soprattutto
il procedimento di esecuzione forzata.
37
Fra il 1865 e il 1901, il legislatore intervenne nella materia processuale in settori particolari [così in tema di
intervento del pubblico ministero (1875), di testimonianza della condanna (1887), di arresto per debiti (1877), e
specialmente, di azioni cambiaria (1882) e di giurisdizioni commerciali, le quali ultime furono soppresse
(1888)]; ma soltanto nel 1901 sopraggiunse una riforma di maggiori pretese: con l’imposizione del rito
sommario il legislatore voleva intervenire soprattutto in tema di deposito dei documenti e di disciplina delle
repliche (FAZZALARI “Codice di procedura civile” cit., pagina 1294).
38
Delle norme del codice di procedura civile del 1865 si dava un’interpretazione rigorosamente esegetica, in
linea con i canoni dell’epoca, ma che esasperava il formalismo della disciplina del processo (TARUFFO “La
giustizia civile” cit., pagine 152 e seguenti). Il codice non veniva concepito come una regolamentazione
compiuta del processo civile, ma come punto di partenza per la successiva elaborazione di un’evoluta
legislazione processuale. Infatti, il primo progetto di riforma è del 1868 (il testo di questo, e degli altri progetti
successivi, è disponibile in TARZIA – CAVALLONE “I progetti di riforma del processo civile (1866 – 1935)
Milano, Giuffrè, 1989). Nonostante il susseguirsi di progetti di riforma (TARUFFO “La giustizia civile” cit.,
pagine 156 e seguenti) il secolo si chiuse senza che il codice di procedura civile venisse riformato nel suo
complesso, benché le disfunzioni della giustizia civile divenissero sempre più evidenti. L’esito più rilevante di
trent’anni di tentativi di riforma si ebbe nel 1901, con la riforma del rito sommario. La legge 31 marzo 1901
n.107, modificò a fondo l’assetto del processo civile, ribaltando il rapporto che il codice del 1865 aveva
instaurato tra rito formale e rito sommario. Nel tentativo di ridurre tempi, costi e formalità del processo si
generalizzò il rito sommario, configurando come eccezionale e residuale il ricorso al rito formale, e si
introdusse una più completa disciplina dello stesso rito sommario, recependo in larga misura la prassi
applicativa formata negli anni precedenti (TARUFFO “La giustizia civile” cit., pagina 167 e seguenti).
Malgrado tutto, questo tentativo fallì perché il rito sommario aveva recepito in larga misura la prassi applicativa
che si era andata affermando nel corso de decenni precedenti (TARUFFO “Procedura civile” cit., pagina 660).
39
TARUFFO “(Procedura civile) cit., pagina 661; DENTI “Il processo di cognizione nella storia delle riforme”
in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 1993, pagine 805 e seguenti. Dal 1901 al 1940 il nostro
processo civile era rimasto quello “sommario – formale”, confermato dalla riforma del 1901, e ciò malgrado
l’usura del tempo e il progresso delle conoscenze. Si ebbero pure apprezzabili innovazioni [in tema di giudizio
di delibazione (1919), di competenza della Cassazione di Roma (1923), d’ingiunzione (1936)], ma l’unico
tentativo di modifica del sistema fu la instaurazione del giudice unico di primo grado con la legge del 19
dicembre 1912 n.1311. Di tale giudice fu regolata anche la funzione, dotandolo di poteri per una utile
partecipazione alla causa, e conferendogli il potere di risolvere gli incidenti con sentenza immediatamente
esecutiva; ma non si trattò che di un tentativo, la nuova istituzione venne fatta sopprimere nel giro di pochi mesi
(legge 11 maggio 1913 n.457) (FAZZALARI “Codice di procedura civile” cit., pagina 1294).
40
ORLANDO “Progetto di riforma del Codice di procedura civile” presentato alla Camera dei Deputati il 24
maggio 1909 in Rivista di Diritto Civile, 1919, pagine 518 e seguenti.
- 10 -
Parte storica
Il lavoro di progettazione conosce una tappa importantissima nel 1919 con il “progetto
Chiovenda”
41
. Il processo prefigurato da Chiovenda si svolgeva in una o poche udienze,
innanzi al collegio, in forma orale; il giudice erano attribuiti maggiori poteri, l’ordine delle
questioni era stabilito in modo che, innanzi tutto, si risolvessero le exceptiones litis
ingressum impedientes. Il tutto coronato da una ferma unità del processo, cioè
dall’abolizione del regime d’impugnazione immediata della sentenza interlocutoria
42
. Il
progetto Chiovenda, tuttavia, non suscita reazioni e non venne neppure discusso, non
producendo così alcun risultato concreto
43
.
Nel 1923 Lodovico Mortara pubblica un suo progetto
44
di riforma
45
che si pone in netta
antitesi con le linee del progetto Chiovenda. Il solo progresso segnato dal progetto
Mortara, per quanto riguarda il processo di cognizione, fu quello di imporre l’unità del
procedimento, nonché la preclusione della istruzione in sede di rinvio; ma vanamente si
cercherebbe in esso l’attuazione di un minimo di immediatezza tra il giudice e le parti, e ,
specialmente, tra il giudice e le prove: il proponente restava rassegnato all’assoluto
prevalere della scrittura e all’impiego della delega per la raccolta delle prove
46
.
Nel 1926 Francesco Carnelutti elaborò il suo progetto per il codice di procedura civile
47
.
Questo progetto segnò un ulteriore progresso nella prefigurazione di un processo moderno:
ad una udienza preparatoria davanti al presidente, in cui opera la preclusione delle
eccezioni di rito, segue una udienza collegiale per risolvere le questioni di rito e, con
ordinanza, ammettere le prove
48
.
41
CHIOVENDA “Relazione al progetto di riforma del procedimento, elaborato dalla Commissione per il dopo
guerra “ in “Saggi di diritto processuale civile” Edizioni del Foro Italiano, Roma, 1931, Vol. II, pagina 12).
42
Anche se il progetto chiovendiano fosse stato tradotto in legge, esso si prestava a molte critiche: per quanto
temperata dall’impiego di scritture preparatorie, questo progetto vede troppo accentuata l’oralità, ripudiandosi
decisamente l’impiego della scrittura, anche quando essa è richiesta per consentire ai litiganti e al giudice un
certo spatium deliberandi. Né di facile realizzazione appariva l’immediatezza, che doveva essere realizzata
attraverso la discussione e la risoluzione, davanti al collegio, di tutte le questioni, anche di rito. Infine, la
propugnata concentrazione impediva alle parti quel ragionevole governo del processo che consisteva nella
disposizione, in certa misura, ed in forza ad un loro accordo, di termini e differimenti (FAZZALARI “Codice di
procedura civile” cit., pagina 1295).
43
TARUFFO “Procedura civile” cit., pagina 661; CIPRIANI “Storie di processualisti e di oligarchi. La
procedura civile nel Regno d’Italia (1866 – 1936)” Milano, Giuffrè, 1991, pagine 203 e seguenti.
44
TARUFFO “Lodovico Mortara e il progetto di riforma del codice di procedura civile (1923)” in Rivista
Trimestrale di diritto e procedura civile 1998, pagine 241 e seguenti; TARUFFO “Procedura civile” cit., pagina
661; FAZZALARI “Codice di procedura civile” cit., pagina 1295.
45
MORTARA “Per il nuovo codice di procedura civile. Riflessioni e proposte” in Giur. It. 1923, IV, 136 e
seguenti.
46
FAZZALARI “Codice di procedura civile” cit., pagina 1295.
47
CARNELUTTI “Progetto per il codice di procedura civile” CEDAM, Padova, 1926.
48
Di regola la prova doveva svolgersi davanti al collegio, dopo di ché si aveva la discussione orale del merito, o
su accordo delle parti la trattazione scritta. In questo progetto le esigenze di oralità e di immediatezza sono
attuate con temperamenti: quel tanto di oralità che permette il contatto tra le parti e il giudice intorno alle
questioni da risolvere, e l’immediatezza viene realizzata nella prima fase del processo, attraverso il magistero di
un solo giudice. Anche il sistema prefigurato da Carnelutti si presta ad essere criticato: l’eccessiva larghezza
che Carnelutti prevedeva in tema di disposizione della prova, continuando ad ammettere il ius novorum in
appello e l’istruttoria aperta in sede di rinvio (FAZZALARI “Procedura civile” cit., pagina 1295; DENTI “Il
processo di cognizione” cit., pagina 814; TARUFFO “Procedura civile” cit., pagina 661).
- 11 -
Parte storica
La giustizia del lavoro divenne oggetto di particolare attenzione da parte del regime
fascista
49
, perché uno dei problemi più gravi che il fascismo si trovò ad affrontare, dopo la
presa del potere, fu il controllo dei conflitti tra capitale e lavoro, accentuati da una grave
crisi economica. Dapprima Mussolini e Rocco attuarono un progetto che prevedeva
l’eliminazione dei sindacati di classe e alla sottomissione delle rivendicazioni dei
lavoratori ai sindacati fascisti – destinati ad essere gli unici organismi di rappresentanza
sindacale
50
, e dall’altro a ricondurre sotto il diretto controllo dello Stato i conflitti di
lavoro, con il divieto dell’autodifesa di classe. Il problema del processo sulle controversie
individuali venne affrontato in un momento successivo
51
. Questa riforma vedeva la
distinzione fra una fase preparatoria, cui veniva collegata una efficace preclusione
52
, e una
fase di trattazione davanti al collegio, con impiego di maggiori poteri di guida e controllo
da parte del giudice, e di una più accentuata dose di oralità
53
.
Nel 1934 venne elaborato da Enrico Redenti
54
il progetto che va sotto il nome del
guardasigilli De Francisci. In questo progetto
55
Redenti propugnava l’unità del processo e
la necessità di preclusioni in ordine alla fissazione del thema disputandum.
49
La legge 563 del 3 aprile del 1926, sulla disciplina collettiva dei rapporti di lavoro, regolava il riconoscimento
giuridico dei sindacati e dei contratti collettivi e statuì il divieto di sciopero e di serrata: in questo contesto si
provvide anche all’istituzione della Magistratura del Lavoro con competenza sulle controversie collettive di
lavoro (TARUFFO “Procedura civile” cit., pagina 662; PROTO PISANI “Lavoro (controversie individuali in
materia di) in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione Civile, UTET, Torino, 1993, Vol. X, pagine 311 e
seguenti)..
50
È del 2 ottobre 1925 il patto di Palazzo Vidoni, con cui la Confederazione generale dell’industria, e la
Confederazione delle corporazioni fasciste si riconoscono a vicenda come esclusivi rappresentanti degli
industriali e dei lavoratori (ACQUARONE “L’organizzazione dello stato totalitario” Torino, Einaudi, 1965,
pagine 121 e seguenti)
51
Prima con il R. D. 26 febbraio 1928 n.471, e poi con il R. D. 21 maggio 1934 n.1037; TARUFFO
“Procedura civile” cit., pagina 662; “La giustizia civile in Italia” cit., pagine 223 e seguenti.
52
Il procedimento era disciplinato da rigide – anche se ragionevoli – preclusioni: era sottratto al dominio delle
parti ed al giudice erano attribuiti ampi poteri d’impulso processuale ed istruttori. Il processo si iniziava con
ricorso e il convenuto poteva (non doveva) notificare all’attore e depositare in cancelleria la sua comparsa di
risposta insieme con i propri atti e documenti anteriormente alla prima udienza. La prima udienza, o udienza di
comparizione, aveva una importanza fondamentale nella economia del procedimento: in essa le parti potevano
comparire personalmente e comunque da lato il convenuto doveva prendere posizione precisa in ordine alla
domanda attrice e sollevare a pena di decadenza (art.9 R. D. del 1928, e art.12 R. D. del 1934 ultimo comma)
tutte le eccezioni cosiddette di rito (cioè relative alla competenza, alla legittimazione, alla procedibilità
dell’azione e ogni altra questione pregiudiziale”). Dall’altro lato l’attore doveva a sua volta dichiarare se
insisteva nella sua domanda o in tutto o in parte vi rinunziava, e proporre a pena di decadenza sue eventuali
eccezioni di rito. Sgomberato in questo modo il terreno dalle questioni di rito, anche con la collaborazione del
giudice, si potevano determinare i precisi termini della controversia (art.9 e art.12 cit. 4°comma), cioè il thema
decidendum e il thema probandum: questa determinazione aveva carattere preclusivo di ogni ulteriore richiesta
di merito, anche meramente istruttoria (artt.10 5°comma R.D. del 1928 e art.13 6°comma R.D. del 1934)
(PROTO PISANI “Lavoro (controversie) cit., pagina 314).
53
CALAMANDREI “Le controversie di lavoro e l’oralità” in Foro It., 1934, IV, 129 e seguenti. Con questa
riforma si era riusciti, sia pure per il limitato settore delle cause di lavoro, a rammodernare – sulla linea indicata
da Chiovenda – il procedimento sommario (FAZZALARI “Procedura civile” cit., pagina 1296).
54
MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA “Lavori preparatori per la riforma del Codice di procedura civile.
Schema di progetto del libro primo” Roma, 1936.
55
REDENTI “Sul nuovo progetto del Codice di procedura civile” in “Scritti e discorsi giuridici di mezzo
secolo” Milano, Giuffrè, 1926, Vol. I, pagine 731 e seguenti; FAZZALARI “Enrico Redenti nella cultura
giuridica italiana” in Rivista di Diritto Processuale, 1963, pagine 378 e seguenti. L’obiezione che si mosse a
questo progetto riguardava la poca sensibilità rispetto all’esigenza di immediatezza, quanto meno in tema di
- 12 -
Parte storica
Nel 1935 Arrigo Solmi, ministro guardasigilli, nominò una commissione composta da
magistrati e da avvocati con il compito di redigere un progetto di riforma secondo le
direttive fissate dallo stesso ministro. Nel 1937 venne pubblicato un progetto (noto come
“progetto preliminare Solmi”) contenente una disciplina organica e completa del processo
civile, accompagnato da un’ampia relazione del guardasigilli
56
. Esso si proponeva ancora
una volta – ma si tratta del problema tradizionale e mai risolto della giustizia civile in
Italia
57
- di realizzare un processo rapido, semplice e poco costoso. In questa direzione il
progetto preliminare Solmi compì una serie di scelte significative e, per molti aspetti,
innovative: venivano ampliati in modo rilevante i poteri del giudice, si introduceva il
giudice monocratico in prima istanza, si prevedeva un procedimento concentrato
caratterizzato da rigide preclusioni a carico delle parti e si introducevano rilevanti
semplificazioni in molti punti del processo
58
.
prova, perché Redenti continuava a proporre la funzione del giudice delegato (FAZZALARI “Codice di
procedura civile” cit., pagina 1295).
56
“Codice di procedura civile. Progetto preliminare e relazione” Roma, 1937.
57
TARUFFO “Procedura civile” cit., pagina 662.
58
Il progetto preliminare Solmi segnava sotto molti profili una netta inversione di tendenza rispetto ai princìpi
che – con la sola eccezione del progetto Chiovenda – avevano caratterizzato i precedenti tentativi di riforma del
codice. Proprio per queste ragioni esso suscitò notevoli reazioni negative, soprattutto negli ambienti forensi. Ciò
che provocava opposizione fu proprio l’estensione dei poteri del giudice, l’adozione del giudice monocratico in
primo grado, l’introduzione di un rigido sistema di preclusioni in primo grado e in appello. Solmi dovette
attenuare i punti più originali del progetto preliminare. Ciò avvenne con la redazione di un nuovo progetto –
noto come “progetto definitivo Solmi” – pubblicato nel 1939 (Codice di procedura civile. Progetto definitivo e
Relazione del Guardasigilli on. Solmi” Roma, 1939) e destinato a costituire la base per il nuovo codice
(TARUFFO “Procedura civile” cit., pagina 662; DENTI “Il processo di cognizione” cit., pagina 815;
CIPRIANI “Il codice di procedura civile” cit., pagine 17 e seguenti; TARUFFO “La giustizia civile” cit.,
pagine 231 e seguenti). Dopo aver introdotto nel 1930 i nuovi codici penale e di procedura penale,
(l’anticipazione dei tempi si spiega con l’evidente immediata valenza politica di questi codici), il fascismo non
rimane indifferente ai problemi della riforma del codice di procedura civile del 1865. L’apporto della dottrina
dominante degli anni ’30, quella che più risente delle influenze del fascismo, è il riferimento al principio
autoritario. Nel processo civile ciò significa, da un lato l’adesione alla concezione pubblicistica del processo –
che esalta il ruolo dello Stato nella risoluzione dei conflitti – e, dall’altro la tendenza ad un consistente
rafforzamento dei poteri del giudice rispetto a quelli delle parti (TARUFFO “La giustizia civile” cit., pagine
242 e seguenti).
- 13 -
Parte storica
§1.6 Le preclusioni nel codice del 1940
Il codice di procedura civile
59
del 1940 induceva le parti a proporre negli atti introduttivi
tutte le domande, le eccezioni e deduzioni, in modo che le questioni controverse venissero
precisate quanto prima, e il processo proseguisse sino alla decisione sul merito senza
sorprese o novità che potessero deviarne o complicarne l’andamento
60
. Ciò implicava una
preclusione a nuove deduzioni nell’ulteriore corso del giudizio, l’onere delle parti di
mettere tutte le carte in tavola nell’atto di citazione e nella comparsa di risposta. Il codice
prevedeva che la preclusione in realtà scattasse alla prima udienza di trattazione davanti al
giudice istruttore: in tale udienza le parti potevano ancora precisare e modificare le loro
domande, eccezioni e conclusioni, e proporre domande e eccezioni che conseguano
direttamente a quelle già formulate. Inoltre, ove il giudice le ritenesse rispondenti ai fini di
giustizia potevano proporre nuove eccezioni e dedurre nuove prove (art.183). Nel seguito
del giudizio, le parti potevano invece produrre nuovi documenti, chiedere nuovi mezzi di
prova e proporre nuove eccezioni, solo quando il giudice le autorizzasse, in presenza di
gravi motivi (art.184). Prima della rimessione della causa al collegio, le parti potevano
solo modificare le conclusioni già formulate (art.189). Il sistema delle preclusioni si
estendeva anche all’appello, ove non potevano più proporsi domande nuove. Quanto alle
eccezioni e alle nuove prove, queste potevano essere proposte solo ove esistano gravi
motivi accertati dal giudice (art.345).
Rispetto ai progetti precedenti, il regime delle preclusioni appariva assai più elastico: la
maggiore elasticità derivava dal fatto che le norme richiamate davano al giudice istruttore
ampie possibilità di ammettere nuove deduzioni, e quindi le varie preclusioni non
scattavano in modo automatico e potevano meglio adattarsi alle esigenze del caso
concreto; il miglioramento derivava dall’aver configurato la prima udienza davanti al
59
La Relazione al Codice insiste molto nel presentare il codice come il frutto coerente di una lunga e
approfondita elaborazione dottrinale ispirata soprattutto dall’insegnamento di Chiovenda, e poi proseguita da
altri insigni studiosi (§ 1 della Relazione e CALAMANDREI “Il nuovo processo civile e la scienza giuridica”
(1941) ora in “Opere giuridiche” Morano Editore, Napoli, 1965). In realtà il codice non si ispira ai principi
chiovendiani dell’oralità, della concentrazione e dell’immediatezza, e anche le preclusioni possono essere
facilmente superate. La paternità dottrinale del codice è assai dubbia, proprio in virtù delle molte mediazioni
delle quali il codice è il risultato (TARUFFO “Procedura civile” cit., pagina 663 e“La giustizia civile in Italia”
cit., pagina 259; CIPRIANI “Il codice di procedura civile tra gerarchi e processualisti” cit., parte I).
Sterminata la bibliografia di commento del codice, tra le altre pubblicazioni si ricordano: LUGO – BERRI
“Codice di procedura civile” Milano, Giuffrè, 1940;CALAMANDREI “Istituzioni di diritto processuale civile
secondo il nuovo codice” CEDAM, Padova, 1941; CARNELUTTI “Istituzioni del nuovo processo civile
italiano” Roma, Edizioni del Foro Italiano, 1941; SATTA “Guida pratica per il nuovo processo civile italiano”
CEDAM, Padova, 1941; JAEGER “Manuale pratico del processo civile” UTET, Torino, 1941; ANDRIOLI
“Commento al codice di procedura civile” Jovene, Napoli, 1942; NAPPI “Commentario al codice di procedura
civile” Milano, Società Editrice Libraria, 1941 – 1943. Numerosi articoli dedicati a problemi particolari della
riforma sono pubblicati sulle annate delle annate 1941 – 1943 della Rivista di diritto processuale civile, del Foro
Italiano 1941, IV, 17 e seguenti, di Giurisprudenza Italiana 1941, IV, 23 e seguenti.
60
§§ 85 e 86 della Relazione Grandi (riprodotta in CIPRIANI “Il codice di procedura civile tra gerarchi e
processualisti” cit., pagine 239 e seguenti).
- 14 -
Parte storica
giudice istruttore come un’udienza preliminare nella quale le parti potevano mettere a
punto le loro difese in relazione a quelle dell’avversario
61
.
Con l’emanazione del nuovo codice di procedura civile, si ebbe l’inserzione, nell’ultimo
capitolo del secondo libro, della disciplina delle controversie individuali e collettive di
lavoro e di assistenza e previdenza obbligatorie
62
. Il rito speciale del lavoro (come
disciplinato dagli artt.429 e seguenti del codice) si differenziava molto poco rispetto al rito
ordinario (disciplinato dagli artt.163 e seguenti). In particolare, le caratteristiche della
specialità del rito del lavoro rispetto a quello ordinario, disciplinato dai primi tre titoli del
secondo libro del codice, erano da individuare soprattutto nell’attribuzione al giudice di
poteri istruttori d’ufficio (art.439), in deroga rispetto al principio generale della
disponibilità delle prove, sancito dall’art.115 c.p.c
63
61
Malgrado la riforma attui modificazioni di grande rilievo della struttura del procedimento rispetto al codice
del 1865, occorre sottolineare che non venne realizzato un processo veramente concentrato. Il problema dei
rapporti tra giudice istruttore e collegio riduceva notevolmente il grado di concentrazione; era però la disciplina
della fase istruttoria a non essere ispirata al principio della concentrazione: non si adottò il sistema dell’udienza
unica, che ne avrebbe garantito l’attuazione, e si ammetteva che tutta la fase la quale si svolge davanti al giudice
istruttore avesse luogo in una serie indefinita di udienze separate. Questo rappresentava l’esatto contrario del
processo concentrato, seppure il giudice teoricamente avrebbe potuto cercare di non distanziarle troppo
(TARUFFO “La giustizia civile” cit., pagine 265 e seguenti).
62
PROTO PISANI “Lavoro (controversie) cit., pagina 317. Nella Relazione del Guardasigilli (n.5) si osserva
che nel codice di procedura civile, il procedimento speciale per le controversie individuali di lavoro non
costituisce più un sistema distinto da quello ordinario, perché la maggior parte delle regole che ne formavano
il contenuto sono state estese al processo comune.
63
Le altre caratteristiche che distinguevano rito ordinario da rito del lavoro erano: il tentativo obbligatorio di
conciliazione, gli interventi delle associazioni sindacali legalmente riconosciute (le corporazioni) , la
competenza della Corte d’Appello quale giudice d’appello, l’intervento obbligatorio del pubblico ministero in
grado d’appello (PROTO PISANI “Lavoro (controversie) cit., pagina 318. In seguito la soppressione del
sistema sindacale corporativo impedì ai sindacati dei lavoratori di intervenire nei processi).
- 15 -
Parte storica
§1.7 La Costituzione del 1948
La Costituzione del 1948 introdusse una disposizione di grande rilievo quale l’art.24
2°comma, secondo cui la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del
procedimento.
È importante osservare che il punto focale della tutela del diritto alla difesa è il
contraddittorio
64
. Il diritto alla difesa è violato quando la brevità e l’inadeguatezza dei
termini abbiano reso puramente apparente la possibilità dell’esercizio. Dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale, che si è andata formando negli anni, risulta con
chiarezza che la congruità del termine non può essere stabilita in astratto, ma in base alle
particolari caratteristiche ed esigenze delle fattispecie concrete, e che essa dipende dalla
diversa correlazione che si attribuisce ad elementi di valutazione quali “l’interesse del
soggetto”, “la funzione dell’istituto”, “la configurazione della situazione sostanziale”, “le
caratteristiche del procedimento”
65
.
In relazione alla giustizia del lavoro, la Costituzione repubblicana affermò, già nel primo
articolo un “principio lavorista
66
”, al quale riconoscere valore, al pari del “principio
democratico
67
”. Il titolo III della Costituzione, dedicato ai rapporti economici, regola
dall’art.35 all’art.41 aspetti essenziali della tutela del lavoratore, quali la retribuzione, il
riposo, la formazione professionale, il lavoro femminile, l’assistenza sociale,
l’organizzazione sindacale, il diritto di sciopero. Di fronte a queste nuove necessità,
l’ordinamento non era in grado di rispondere adeguatamente e velocemente. In questo
modo si aprirono due fronti di riforma: uno ha portato alla novella del 1950, l’altro alla
riforma del processo del lavoro
68
.
64
COMOGLIO “ Art.24 – 26 della Costituzione. I rapporti civile” in “Commentario della Costituzione” a
cura di BRANCA, CEDAM, Padova 1981, pagina 60. Questo autore osserva che le condizioni fondamentali per
rendere possibile nel corso del processo la conoscenza e la partecipazione dialettica delle parti scaturiscono da
un ampio panorama di pronunce costituzionali. In materia di notificazioni bisogna ricercare forme adatte a
portare il contenuto dell’atto nell’effettiva sfera di conoscibilità del destinatario (Corte Cost. 6 giugno 1965
n.57), soprattutto quando alla conoscibilità di tali forme sia subordinatala decorrenza di un termine perentorio.
65
TROCKER “Processo civile e costituzione” Milano, Giuffrè, 1974 pagine 253 e seguenti. L’autore osserva
che la questione del momento di decorrenza del termine assume una specifica rilevanza (pregiudiziale) per la
determinazione della ragionevolezza e sulla congruità. Un giudizio positivo sull’adeguatezza del termine
presuppone , di regola, l’esistenza di una possibilità di utilizzarlo nella sua interezza. Non soltanto la brevità del
termine renderebbe eccessivamente difficile la tutela del diritto, ma la mancanza di ogni garanzia di pubblicità o
comunque di conoscenza del provvedimento stesso da parte dell’interessato potrebbe, di fatto, rendere
addirittura impossibile l’esperimento del ricorso (Corte. Cost.118/1963 in Giur. Cost. 1963, pagine 1353 e
seguenti).
66
Corte cost.60/1967
67
Corte cost.87/1966
68
L’emanazione di due leggi (dapprima la legge 15 luglio 1966 n. 604 che subordina la validità dei
licenziamenti all’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, poi la legge 20 maggio 1970 n.300, lo
Statuto dei Lavoratori) rese urgente anche una radicale riforma del diritto processuale del lavoro.