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INTRODUZIONE
Non possiamo farne a meno...coscientemente o no, comunichiamo con gli altri interagendo.
Viviamo attraverso il nostro comportamento e ci esprimiamo attraverso il rapporto con gli altri:
siamo talmente in interazione che una qualsiasi modificazione di ciascuno di noi comporta una
modificazione di tutti gli altri.
Le nostre azioni, le nostre reazioni, le attitudini e quindi i nostri comportamenti sviluppano delle
relazioni e così, comunichiamo in mille modi e maniere: parlando, stando in silenzio, indicando,
sgranando gli occhi , portandoci le mani sul viso o chinando la testa .
Uno stesso messaggio o una stessa "reazione" possono assumere significati diversi se espressi in un
certo ambiente o in un altro, in un contesto socio-culturale piuttosto che in un altro. Ma quanto si è
consapevoli di questi processi?
Per poter comunicare è necessario che si verifichino alcune condizioni di base, senza le quali la
comunicazione sarebbe impossibile.
La prima condizione perché vi sia comunicazione è che almeno due soggetti entrino in contatto tra
di loro in modo anche indiretto, come ad esempio attraverso una lettera o come si può entrare in
comunicazione con un poeta leggendone un componimento.
Per quanto riguarda la seconda condizione, nella comunicazione devono esistere dei messaggi che
devono essere trasmessi da un soggetto "mittente" ad uno o più soggetti "destinatario". Se non esiste
nessun messaggio da trasmettere non esiste nemmeno la comunicazione.
Terza condizione: la terza condizione è che esista un codice comune tra i due o più soggetti che
permetta la comprensione del messaggio. Se ad esempio due persone vogliono comunicare
attraverso la comunicazione verbale ma parlano due lingue diverse non potranno mai trasmettersi
messaggi perché non li capirebbero, non verrebbero decodificati.
Quarta condizione: deve esistere dai soggetti la volontà di comunicare, cioè la volontà di parlare e
di ascoltare, di trasmettere e di ricevere messaggi. Se non esistesse questa volontà si
comunicherebbe con il nulla (Marletti, 2010; Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971).
La comunicazione è un atto razionale, dove per razionalità si intende il miglior adeguamento delle
risorse del soggetto per il raggiungimento di uno scopo in una particolare circostanza (dire le cose
giuste nel modo più adatto, nel momento opportuno). Essa è comunque limitata perché sono poche
le abilità cognitive e le capacità di reagire alle difficoltà poste dalla situazione. Il concetto di
razionalità è legato a quello di interesse-coinvolgimento, che riguarda le motivazioni individuali.
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Esse sono generate dalla biografia dell’attore e dagli scopi che vuole raggiungere. Comunicare,
allora, non è un semplice scambio di informazioni ma una costruzione negoziata di significati in
base all’identità degli attori sociali, alle loro motivazioni, al contesto, alla situazione comunicativa
(Livolsi, 2007).
Un principio della comunicazione umana, dietro la cui apparente semplicità si celano implicazioni
estremamente feconde e complesse, è quello di Watzlawick, Beavin e Jackson (1971).
Tale principio è intuitivamente desumibile da un facile ragionamento: l’atto del comunicare (sia
attraverso il linguaggio analogico sia per mezzo di quello numerico- simbolico) costituisce di fatto
un comportamento.
Dato che è impossibile che un sistema vivente (quindi anche un’organizzazione, un gruppo di
persone o un’azienda) possa non avere un comportamento, ne consegue il principio secondo cui:
non è possibile non comunicare (Watzlawick et al., 1971).
La semplice presenza fisica di un soggetto all’interno di un certo concetto rappresenta, di fatto, un
comportamento e ha quindi un effetto comunicativo: quando un essere umano rientra all’interno del
fuoco percettivo di un suo simile non può non trasmettere un qualche tipo di messaggio, e quindi
comunicare.
Potrà non rivolgergli la parola, evitarne il contatto oculare, farsi “ piccolo piccolo” e occupare un
minimo di spazio per passare in osservato ecc.; tuttavia anche così comunicherà inesorabilmente
qualcosa ( per esempio, che non vuole parlare e desidera passare inosservato); la sua stessa fisicità è
interpretabile come un segno il cui significato minimo è appunto quello di “ esserci”, occupando un
posto nello spazio (Watzlawick et al., 1971) .
Sulla base di questo principio è possibile comprendere come in un normale scambio comunicativo
tra due o più persone, di tipo diretto ( o “ faccia a faccia”, e cioè nel quale i partecipanti sono
fisicamente presenti nello stesso contesto situazionale, e non si scambiano messaggi attraverso
qualche tipo di media), gli individui utilizzano sempre sia il linguaggio “numerico” sia quello
“analogico”. I due tipi di linguaggio tendono costantemente a integrarsi in un gioco di reciproca
complementarietà andando a creare processi metacomunicativi. La "meta comunicazione "avviene
quando due o più persone in interazione si scambiano informazioni sul loro modo di comunicare.
Essa può essere esplicita ( “ti ho rimproverato perché ero adirato con te”) o implicita (guardando
fisso negli occhi mentre si parla, si metacomunica l'importanza del messaggio)
La punteggiatura , invece, può determinare il senso della comunicazione.
Il taglio dato ad una sequenza di fatti può divergere spesso da un interlocutore ad un altro ed essere
causa di incomprensioni anche profonde.
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Ciascuno potrebbe considerare ad esempio il proprio atteggiamento come risposta al
comportamento dell'altro: questo spesso porta a equivoci e fraintendimenti.
Ogni interazione inoltre, è simmetrica o complementare Nel modello simmetrico l'accento verrà
posto sugli sforzi impiegati per mantenere l'uguaglianza (reciprocità), nel modello complementare
la relazione è fondata sul riconoscimento della differenza e quindi dei ruoli e di compiti connessi.
In ogni situazione comunicativa “faccia a faccia” ciascuno di noi si trova- più o meno
consapevolmente- a emettere una grande quantità di segnali analogici che accompagnano, integrano
o sostituiscono quelli linguistici in un flusso “ multi – codice” e “ multi – canale”, diversamente
armonioso e coerente a seconda delle circostanze e, degli stati emozionali che la situazione
comunicativa stessa viene a generare. Gli etologi hanno mostrato come la maggior parte dei
messaggi degli animali si scambiano tra loro ( per esempio, marcatori del territorio, richiami
amorosi, atteggiamenti di sottomissione o supremazia ecc.) non sono finalizzati a trasferire
contenuti informativi rispetto a stati del mondo, quanto piuttosto a definire la natura delle relazioni
tra gli “ attori in gioco” (Camaioni e Perucchini 2001).
Ciascuno di noi possiede, avendolo acquisito per esperienza, un repertorio di situazioni possibili
nelle quali potrà venirsi a trovare e saprà utilizzare lo stile comportamentale e comunicativo adatto
a ciascuna di esse.
Ogni situazione comunicativa è un’esperienza coinvolgente e situata. E’ coinvolgente poiché
interessa l’individuo nella sua totalità culturale e psicologica, ed è situata perché si svolge sempre
all’interno di uno spazio di significazione preesistente. I soggetti impegnati in una comunicazione si
propongono da una parte di trasmettere informazioni, dall’altra di suggerire definizioni della
situazione, del proprio ruolo all’interno di essa, e di quello degli altri individui impegnati nello
scambio comunicativo. Poiché ciascun individuo porta una propria prospettiva sul mondo, ogni
comunicazione interpersonale è un processo in cui gli attori, oltre a scambiarsi informazioni,
negoziano definizioni del mondo.
Tale processo di negoziazione è stato studiato a partire da diverse prospettive come per esempio:
• Teoria sistemica (Watzlawick, 1967). Gli attori di uno scambio comunicativo possono assumere
una posizione simmetrica o complementare. Si ha una relazione simmetrica quando entrambi i
soggetti rispecchiano il modello relazionale proposto dall’altro, minimizzandone le differenze. Si ha
una relazione complementare quando uno dei due si trova in posizione di superiorità (one-up) o di
inferiorità (one-down).
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• Modello drammaturgico (Goffman, 1967). Riguarda la le strategie usate dagli individui impegnati
nelle comunicazione faccia a faccia nel gestire strategicamente la rappresentazione o
facciata(spiegare) che l’individuo vuole mostrare di sé. Secondo Goffman., tale facciata è data sia
dai tratti fisici ed espressivi, sia dai comportamenti assunti in una data occasione. Quindi gli
obiettivi sono perseguiti sia attraverso le espressioni assunte intenzionalmente (linguaggio verbale,
piano del contenuto), sia tramite quelle lasciate trasparire (comunicazione analogica, piano della
relazione). Gli individui sono costantemente impegnati a recitare una parte all’interno di un gioco
relazionale che può essere pensato come una vera e propria rappresentazione teatrale (metafora
drammaturgica).
Nel nostro percorso di analisi e ricerca, è di fondamentale importanza esporre i 5 principali approcci
teorici allo studio della comunicazione.
• Matematico-cibernetico
Nell’approccio matematico si considera l’informazione come differenza tra due o più elementi o
dati.
La teoria dell’informazione, di carattere ingegneristico, è stata elaborata da Claude Shannon e
Warren Weaver (1949) alla fine degli anni Quaranta ed ha principalmente analizzato l’invio e il
trasporto delle informazioni.
Un segnale (messaggio) passa da un emittente (mittente), attraverso un trasmettitore, a un
destinatario (ricevente), attraverso un recettore, lungo un canale fisico (supporto materiale). Il
messaggio (composto di segni) deve essere codificato (costruito e combinato secondo certe regole,
un codice) da chi lo emette e decodificato da chi lo riceve. Il contesto gioca un ruolo più o meno
importante a seconda del tipo di codice utilizzato.
Essendoci del rumore lungo il canale è necessario che il segnale possegga una certa intensità che gli
consenta di raggiungere la destinazione, in modo che l’informazione risulti effettivamente
trasmessa.
L’informazione non è quindi ciò che è stato comunicato, bensì ciò che ha buona probabilità di
raggiungere la destinazione, superati gli impedimenti lungo il canale.
La comunicazione è tale solo ove vi sia un passaggio di informazioni tra emittente e ricevente e una
risposta (Anolli, 2002, 2006, 2010).
Per Shannon è importante che vi sia un feedback, segnale di ritorno, dal ricevente all’emittente, che
serve a verificare che il messaggio sia arrivato a destinazione.
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Il feedback consente all’emittente di verificare l’intenzionalità del ricevente a recepire il messaggio,
ai fini di prevedere il seguito che potrà avere la comunicazione. In questo modello sono privilegiati
la macchina e i mezzi di comunicazione.
Qualora si consideri il modello dato all’interno del processo comunicativo umano, già al livello
cibernetico va messo in evidenza che la formula usata da Winner e Shannon è valida solo se
l’emittente e il ricevente dispongono di un repertorio comune di simboli, esperienze, ambiente e
cultura.
Il difetto principale riscontrato da questa concettualizzazione è quello di non dar conto del processo
di interpretazione, e quindi dei problemi soggettivi e psicologici degli individui che comunicano.
La comunicazione umana è infatti irriducibile a un processo lineare, è piuttosto un processo
interattivo e a più piani (Anolli, 2002, 2006, 2010).
Si può affermare che lo schema cibernetico rende ragione non tanto dei processi comunicativi,
quanto di quelli informativi, dal momento che tratta essenzialmente dell’informazione ai suoi due
livelli e cioè come operazione - l’azione di informare - e come contenuto - ciò che informa -
(Pettigiani, Sica, 1993)
• Semiotico
La semiotica si occupa di segni: fenomeni che significano qualcos’altro rispetto al fenomeno stesso.
Nell’approccio semiotico il processo di significazione è la capacità di generare significati ed
implica la capacità di un messaggio di essere dotato di senso per i comunicanti.
Il segno è costituito da una equivalenza tra espressione e contenuto ed è arbitrario e convenzionale,
in quanto denotato culturalmente. È oppositivo, in quanto non corrisponde a nessun altro segno del
sistema di comunicazione di riferimento (Anolli, 2006).
Il significato di un segno è tradotto mediante un interpretante, che è il segno che interpreta il segno.
Così ha luogo una traduzione, che è appunto un processo di interpretazione. Via via che si prosegue
nel processo si scopre sempre qualcosa in più.
Il processo di significazione avviene a livello psichico. Significante e significato costituiscono le
due facce della stessa realtà del segno (Giangualano, 2004).
Peirce (1980) individua tre tipi di segni:
• le icone, si hanno quando vi è una certa comunanza di qualità tra significante e significato (per
esempio i segnali stradali sono icone),
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• gli indici, si hanno quando c’è contiguità e connessione tra il segno e i fatti (il segno è qui
direttamente causato da ciò che esso significa, ad esempio un segnale di fumo ci indurrà a fuggire
da un incendio)
• i simboli, si hanno quando la connessione coi fatti è arbitraria o convenzionale (sono il frutto di un
accordo più o meno esplicito, di una associazione mentale).
Solo i simboli costituiscono delle relazioni segniche a pieno titolo, ovvero sono segni generali. Ad
ogni modo per Peirce un determinato segno concreto può essere sia indice che simbolo: le classi
citate non sono disgiunte di necessità. Il segno come inferenza rimanda a una nozione di contesto.
La conoscenza è abduzione, ovvero consiste nell’assunzione di un ipotesi. L’inferenza è un indizio
da cui trarre una conseguenza.
L’abduzione differisce sia dalla deduzione (che procede dalla regola ai casi particolari) sia
dall’induzione (che inversamente procede dai molti casi particolari alla regola).
Il pensiero precedente rimanda al successivo in un processo interpretativo sempre aperto. Si cerca di
fissare una regola, che possa essere successivamente confermata dai dati o smentita, dando luogo ad
una nuova ipotesi. Si tratta in definitiva di una ricerca di punti di riferimento per dar luogo alla
comunicazione (Anolli, 2006, 2010).
Come precisa Fiorani (1998), riferendosi alle osservazioni di Jacobson, in un testo emergeranno di
volta in volta come principali la funzione espressiva, conativa, fatica referenziale, metalinguistica e
poetica (o estetica).
• La funzione espressiva, o affettiva, riguarda la capacità di un mittente di manifestare se stesso, di
comunicare la sua affettività, i propri stati d’animo, sentimenti e emozioni, per ciò che dice e per
come lo dice.
• La funzione conativa cerca di influenzare il destinatario, imponendogli degli ordini per indurlo a
un modo di sentire o di fare, o ad assumere determinato comportamenti o a compiere qualche gesto
o atto.
• La funzione fatica verifica la funzionalità del canale, ma mantiene anche il contatto e riguarda per
esempio tutte le conversazioni di passaggio e di convenienza, che hanno solo lo scopo di mantenere
aperto il filo della comunicazione, o quelle conversazioni di pura presenza affettiva che intercorrono
per esempio tra gli innamorati.
• La funzione referenziale si rivolge al contesto del messaggio e ci permette di riferirci alla realtà, di
parlare del mondo e di metterci in rapporto con esso.
• La funzione metalinguistica riguarda direttamente il linguaggio, dà su di esso informazioni e
permette di parlare della lingua stessa, in quanto definisce il codice.
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• La funzione poetica è connessa al messaggio propriamente e particolarmente nella struttura
formale, nella sua organizzazione interna.
• Pragmatico
La pragmatica si occupa dei rapporti che intercorrono tra un testo e il suo contesto di riferimento.
Con l’approccio pragmatico si prendono in considerazione i processi impliciti della comunicazione,
che servono a inferire dal contesto ciò che il testo dice. La comunicazione è vista come un processo.
Per Austin dire qualcosa è fare qualcosa.
Austin (1974) distingue gli atti in:
• locutori, ovvero atti di dire qualcosa (i contenuti e le loro forme),
• illocutori, ovvero atti nel dire qualcosa (l’azione che compie chi comunica),
• perlocutori, ovvero atti con il dire qualcosa (l’esito concreto dell’azione-comunicazione
sull’interlocutore).
Austin distingue tra atti linguistici diretti, in cui la forza attribuita all’enunciato viene fatta derivare
dal suo significato letterale, e atti linguistici indiretti, in cui la forza illocutoria deriva dalla modalità
non verbale di comunicazione. Eseguire degli atti illocutivi significa impegnarsi in una forma di
comportamento governata da regole.
Per Searle (1973) le regole possono essere distinte in:
• regole costitutive, che costituiscono e regolano un’attività la cui esistenza è logicamente
dipendente da quelle regole,
• regole normative, che regolano un’attività già esistente, la cui esistenza è logicamente
indipendente dall’esistenza di quelle regole.
Nell’esecuzione di un atto allocutivo il parlante intende produrre un certo effetto facendo
riconoscere all’ascoltatore la sua intenzione di produrre tale effetto e inoltre, se sta usando le parole
letteralmente, egli intende che tale riconoscimento avvenga in virtù del fatto che le regole per l’uso
dell’espressione da lui formulata associano l’espressione alla produzione di tale effetto (Searle,
1973). Per Bostrom (1990), lo stile (modalità organizzativa della componente espressiva di un
testo) è collegato alla forza persuasiva del messaggio e si colloca nell’ambito della funzionalità del
messaggio e quindi del livello perlocutorio della comunicazione (non semiotico). Lo stile, che mette
in evidenza la personalità del trasmittente, va analizzato anche in funzione del ricevente, delle sue
dimensioni percettive, della sua emotività e del suo modo di avvicinarsi ai contenuti. La scelta
stilistica deve fondarsi, quindi, su un lavoro di “individuazione” del pubblico con il quale si intende
entrare in relazione (Bettetini, 1993)
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• Psicologico-relazionale
Nell’approccio psicologico, si può notare come attraverso la comunicazione si costruisce la propria
rete di relazioni.
Per Bateson e Ruesh (1951) si hanno in ogni atto comunicativo due livelli distinti: quello della
notizia, che riguarda il contenuto degli enunciati prodotti, e quello del comando, che costituisce
un’indicazione per l’interlocutore del modo in cui intendere le cose dette.
La comunicazione risulta così essere costituita di due parti: la comunicazione che riguarda i
contenuti scambiati e la metacomunicazione, che è un sovrastrato comunicativo che ha per oggetto
la comunicazione di tipo contenutistico. In questo modo la metacomunicazione fornisce un quadro
di riferimento per la comunicazione.
Tramite la comunicazione si definisce la relazione interpersonale e si definisce sé e l’altro.
I messaggi costituiscono una sequenza ininterrotta di stimoli, risposte e rinforzi, che danno luogo a
una modalità comunicativa di cui è difficile individuare l’origine.
Il flusso della comunicazione può dar luogo a conflitti in quanto gli individui tendono a linearizzare
e a segmentare arbitrariamente il processo circolare e continuo della comunicazione.
Bateson ha individuato che vi sono due tipi di relazioni possibili: quella simmetrica, che si fonda
sulla percezione di uguaglianza nei rapporti, e quella complementare, che si fonda sulla percezione
di una differenza.
La comunicazione quindi non è solo costituita da atti verbali volontari, bensì implica una
moltitudine di comportamenti corporei, studiati dalla cinesica e dalla prossemica, che influiscono
sul contenuto verbale (Giangualano, 2004).
• Sociologico
In ambito sociologico, l’uso del termine comunicazione è riferito alla trasmissione di significato fra
uomo e uomo. Le società umane si integrano sulla base dell’interazione simbolica.
In sociologia della comunicazione il principale presupposto a cui si fa riferimento è quello della
costruzione sociale della realtà (Anolli, 2006, 2010).
La razionalità, frutto di ricostruzione storica, in base al contingente e al locale, è considerata a
posteriori.
La comunicazione si realizza tramite lo scambio verbale e non verbale, ed è necessaria una
competenza comunicativa affinché ogni individuo possa rendersi partecipe al processo di
comunicazione (Giangualano, 2004).
I sistemi sociali possono nascere e svilupparsi solo grazie alla comunicazione.