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INTRODUZIONE
La filosofia dialogico-relazionale di Martin Buber
tra problema dell’uomo, realtà e utopia
«Divento io nel tu; diventando io, dico tu.
Ogni vita reale è incontro.
[…] All’inizio è la relazione»
1
.
La società odierna è pervasa dalla diffusa e concreta percezione di una crisi
pluri-dimensionale e dalle molteplici origini (morali e valoriali, di significato,
politiche ed economiche), una situazione per la quale non s’intravedono vie d’uscita
semplici e in tempi brevi. Si tratta alla radice di una crisi profondamente
antropologica, prima ancora che tecnica o meramente istituzionale: individui e
comunità sono spinti a interrogarsi sul senso, sui modi, sui fini del pensare e
dell’agire umano nel contesto mondiale globalizzato del XXI secolo.
I problemi strutturali della società sono ormai transnazionali (un evento
critico locale può facilmente avere ripercussioni globali in breve tempo),
interdipendenti e interattivi. Ritengo opportuno aggiungere al novero delle
definizioni quella di problemi interdisciplinari e interumani (il concetto di ‘inter-’,
‘tra’, che rimanda all’idea di relazione, è precisamente al centro della riflessione
filosofica e educativa buberiana oggetto di questa dissertazione), considerato come
nessuna scienza della natura o umanistica - come pure nessuna singola persona o
comunità - sia in grado, da sola, di fornire soluzioni efficaci e definitive a tali
problemi.
1
Buber, M., Il principio dialogico e altri saggi (a cura di Poma, A.), Edizioni San Paolo, Milano
1993, p. 67, 72.
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È la «sfida della complessità», per usare la nota definizione di Edgar Morin
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,
una sfida che ingloba e sintetizza diverse sfaccettature e criticità della società
complessa del Terzo Millennio, ma in grado di trovare un punto di partenza per il suo
superamento in un nucleo concettuale originario: una riflessione critica sulla
necessità di una riforma del pensiero e dell’insegnamento. In una parola, una riforma
dell’educazione e una riflessione educativa
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che scaturiscono da un comune punto di
partenza antropologico. Si tratta in sintesi di una visione connotata in forte senso
etico, poiché riguarda un intervento formativo attuato da parte di soggetti verso altri
soggetti più deboli (per età, conoscenza, esperienza, autorità) e non può evitare di
prendere in considerazione i fondamentali principi di libertà, responsabilità,
autodeterminazione ed eguaglianza all’interno delle relazioni umane educative in
questione.
Le crisi, le sfide e i rapidi mutamenti di cui i soggetti sociali sono al
contempo oggetto e soggetto trovano dunque comuni ragioni di fondo di origine
antropologica ed etica; riguardano infatti la natura della persona umana, le modalità,
i fini della sua azione e delle sue relazioni, propongono urgenti interrogativi
esistenziali sul senso dell’uomo (inteso sia individualmente, sia in comunità) e della
realtà, ovvero domande prettamente filosofiche (ma anche - soprattutto per Buber e
per molti altri esponenti del pensiero dialogico - fortemente connotate e influenzate
da radici teologiche e religiose ebraico-cristiane).
La complessità e l’interdipendenza globale presentano rischi di nuovi scontri,
incomprensioni e incertezze – così come avvenne nel quadro storico-geografico in
cui visse Buber - ma anche opportunità di arricchimento, crescita e incontro
interculturale, fattori imprescindibili per un presente/futuro migliore, a patto di
ripartire dalle radici, ovvero da un’idea di uomo e di educazione fondata sul dialogo
e sulla relazione autentica.
L’uomo e la società, in sintesi, soffrono oggi originariamente e primariamente
di una crisi antropologica, etica e educativa superabile attraverso l’educazione e, a
monte, tramite una riflessione sull’educazione (i suoi soggetti, contenuti, metodi e
fini), ovvero da un pensiero pedagogico opportunamente alimentato e sorretto dalla
filosofia intesa come sapere razionale incentrato sulla conoscenza e sulla
2
Cfr. Morin, E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello
Cortina Editore, Milano 2000, pp. 5-7.
3
Ibid., p. 3.
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comprensione complessiva e generale del senso dell’uomo e della realtà, un sapere
finalizzato a vivere per quanto possibile secondo verità ed eticità.
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Pluralità dei problemi e delle conoscenze necessarie, inter- e multi-
disciplinarietà, centralità delle relazioni, complessità, anti-riduzionismo, pensiero
critico, domande e ricerca di senso, tensione riflessiva volta all’azione trasformativa
sulla realtà umana sono puntualmente alcuni tra gli snodi concettuali fondamentali
della filosofia dell’educazione, una sfera disciplinare ‘tra’ – per usare nuovamente la
‘preposizione per eccellenza’ della vita e dell’opera di Martin Buber – filosofia,
pedagogia e educazione, sempre tenendo salda la comune radice antropologica delle
questioni da affrontare (nel caso del filosofo ebreo-tedesco, tutte queste discipline
sono a loro volta inserite, come già accennato, in un più originario quadro regolativo
di riferimento teologico). È questo, pertanto, il terreno fertile più adatto da cui
ripartire per risolvere alla radice la crisi multi-dimensionale della nostra epoca.
Problema antropologico originario e soluzione educativa
L’interrelazione e l’interdipendenza di queste discipline, ai fini della mia
analisi del pensiero dialogico buberiano, trovano la propria sorgente in una domanda,
un problema antropologico di partenza.
Fu Heidegger a denunciare la paradossale povertà antropologica nell’epoca di
massimo sviluppo delle scienze umane:
«Nessuna epoca è riuscita, come la nostra, a presentare il suo sapere intorno
all’uomo in modo così efficace e affascinante, né a comunicarlo in modo tanto
rapido e facile. È anche vero, però, che nessuna epoca ha saputo meno della
nostra che cosa sia l’uomo. Mai l’uomo ha assunto un aspetto così
problematico come ai nostri giorni»
5
.
In modo ancor più puntuale, Edith Stein scrisse:
«Ogni azione educativa, tesa a formare l’essere umano, è accompagnata da
una determinata concezione dell’uomo, della sua posizione nel mondo. […]
4
Cfr. Loro, D., Problemi educativi e pensare filosofico. Introduzione alla filosofia dell’educazione,
Æmme Edizioni, Verona 2011, pp. 23, 28.
5
Heidegger, M., Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari 1985, 181.
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La pedagogia costruisce castelli in aria, se non trova una risposta alla
domanda: ”Chi è l’uomo?”».
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Per quanto primaria sia questa domanda, essa a mio parere tralascia di
prendere in considerazione l’altra metà del problema da affrontare, forse quella più
importante. Non basta chiedersi «chi è l’uomo?», sia inteso in senso generale che
storicamente determinato. La pedagogia tradisce la propria intenzionalità più
profonda, direi persino la propria ‘missione’, se non si pone la domanda: «Chi può
diventare l’uomo?»
«Analizzando me stesso come sono, qui e ora, scopro dell’oro ma anche delle
scorie. Quello che vedo è uno stato di crepuscolo […].
Il nostro essere uomini è sempre alla prova, rischioso, precario. Essere uomini
è insieme una possibilità e un fatto reale»
7
.
Il processo educativo non può fermarsi all’uomo così com’è, ma deve
coglierlo nella sua perfettibilità continua.
«L’uomo è educato per diventare quello che può e quindi quello che deve
divenire. Per ogni soggetto sarà la propria e specifica forma migliore di vita la
finalità da conseguire in educazione».
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Riflessione pedagogica e azione educativa si configurano dunque come un
processo continuo di perfezionamento, mai del tutto compiuto.
L’educazione è l’arte della possibilità. Come tale, è strutturalmente
problematica, individuale, in divenire, una realtà viva e vitale, mai predeterminata o
rigidamente inquadrabile in modo a-storico, positivistico, oggettivo. Quando
insegniamo, non educhiamo ‘una classe’ (un’entità cognitiva oggettivabile, priva di
concretezza singolare), bensì singoli studenti, persone concrete e diverse, soggetti. Il
sapere si trasmette, ma si insegna/educa una persona.
6
Stein, E., La struttura della persona umana, Città Nuova, Roma 2000, p. 38-39.
7
Heschel, A. J., Chi è l’uomo?, Rusconi, Milano 1989, pp. 45, 69.
8
Portera A., Böhm W. e Secco L., Educabilità, educazione e pedagogia nella società complessa.
Lineamenti introduttivi, UTET Università, Novara 2007, p. 10.
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Occorre assistere ciascun singolo individuo affinché sia in grado, attraverso la
sua libertà e la sua responsabilità, di dispiegare appieno le proprie potenzialità. Non
c’è spazio per una concezione pessimistica e auto-limitante della persona umana,
tantomeno per interventi educativi costrittivi e predeterminati, uguali per tutti.
L’appiattimento e l’inquadramento pedagogico (insegnare/educare la stessa
cosa, nello stesso modo, a tutti gli educandi, creando categorie di merito o valore
differenziate in base all’allineamento degli stessi rispetto al ‘programma’ o a griglie
cognitive) sono l’antitesi della vera educazione.
In Buber, inoltre, memore della lezione kantiana, questo continuo (e
problematico) processo di autoeducazione e autoperfezionamento è connotato
decisamente in senso etico e morale.
«I fanciulli non devono venir educati conformemente allo stato presente della
specie umana, ma per uno stato migliore possibile nell’avvenire secondo l’idea
dell’umanità e della sua destinazione. I genitori, in generale, allevano i loro
figli solo in modo che si trovino bene nel loro tempo, sia pur questo corrotto
… non hanno per fine ultimo il bene universale e la perfezione cui l’umanità è
destinata e per cui ha destinazione».
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La riflessione pedagogica e l’azione educativa che ne scaturisce sono legate
alla realtà storica di volta in volta determinata, ma non possono e non devono esserne
limitate, bensì mirano a trascenderla, o meglio ad aiutare le persone a trascenderla
come individui e come comunità. Riflessione e azione sono concretamente inserite
nel presente, ma sono rivolte a un futuro migliore possibile e quindi doveroso.
La sfida educativa, sorretta dalla riflessione razionale propria della filosofia, è
quindi una sfida dall’origine antropologica e dal fine etico. Si parte dall’uomo, dalla
persona umana intesa nella sua concreta esistenza storica e soggettiva, considerata in
accezione positiva come tendente naturalmente alla piena realizzazione di sé (la
cosiddetta tendenza attualizzante della psicologia umanistica), nonché da una
prospettiva olistica che non trascuri alcun aspetto della sua costituzione fisica,
cognitiva, emotiva e finanche spirituale.
9
Kant, I., La pedagogia, La Nuova Italia, Firenze 1953, p. 11.
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Questa altissima concezione della persona umana e dell’educazione, delineata
da Buber nelle sue principali opere filosofiche, influenzò in modo diretto numerose
importanti correnti psicologiche e psicoterapeutiche umanistico-esistenziali sorte a
partire dalla metà del XX secolo e tuttora di grande rilevanza e diffusione nel campo
delle professioni/relazioni di cura: in particolare, la Terapia della Gestalt (teorizzata
da Fritz Perls) e, in generale, tutta la psicologia umanistico–esistenziale (o Terza
Forza della psicologia), da Rollo May ad Abraham Maslow e Carl R. Rogers.
«Oggi più che mai», dunque, «si avverte la necessità di una pedagogia
antropologicamente fondata».
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Ritorniamo così alle domande fondamentali della
filosofia poste da Immanuel Kant, come già accennato uno dei pensatori certamente
più influenti nella formazione di Buber. Nella Logica, il «campo della filosofia» (e,
aggiungerei, della riflessione pedagogica, dunque dell’azione educativa), viene
ricondotto a quattro domande di fondo:
«1) Che cosa posso sapere? 2) Che cosa devo fare? 3) Che cosa mi è dato
sperare? 4) Che cos’è l’uomo? Alla prima domanda risponde la metafisica,
alla seconda la morale, alla terza la religione e alla quarta l’antropologia. In
fondo, si potrebbe però ricondurre tutto all’antropologia, perché le prime tre
domande fanno riferimento all’ultima».
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Il problema originario è antropologico, la crisi odierna investe l’uomo e la
società umana in tutte le loro dimensioni (in termini buberiani, la crisi dell’umano è
in sostanza crisi dell’interumano, risolvibile tramite l’interumano stesso, ossia la
comunità, la relazione, l’incontro e il dialogo)e la via d’uscita indica una direzione
educativa-etica sorretta da una solida riflessione antropologica, filosofica e
pedagogica.
Chi è e che cosa è la persona umana? Come può portare a compimento la
sua forma migliore di vita? La persona ha un fine oppure è un fine in sé? Che
cos’è, cosa significa ‘educazione’ ed è possibile attuarla? Qual è l’idea di
persona che deve fondare l’educazione?
10
Bruzzone, D., Viktor Frankl. Fondamenti psicopedagogici dell’analisi esistenziale, Carocci, Roma
2012, p. 176.
11
Kant, I., Logica, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 19.