II
frontiera della città, oltre la quale si apre lo spazio selvaggio dei "barbari" . Dal
momento che ad ogni cerchio corrispondono determinate appartenenze e determinate
esclusioni, percorrere i limiti della circonferenza ultima significa stabilire se ci sono (e
quali sono) barriere che impediscono agli individui, l'entrata nello spazio pubblico .
Per comprendere le implicazioni di questo argomento, bisogna immedesimarsi nella
particolare concezione dei Greci riguardo ciò che era "dentro" e ciò che era "fuori" . Lo
spazio dell'oikos, infatti, non era un ambito esclusivamente privato, uno spazio interiore,
ma uno spazio che si proiettava nella sfera sociale . Ciò che era racchiuso nella sfera
domestica ("dentro"), manteneva, oltre a rapporti di completa alterità, anche rapporti di
continuità rispetto a ciò che era contenuto nella società ("fuori") . Questo significa che,
se il regno di Hestia (lo spazio privato) era la garanzia di una "mappatura"
dell'esperienza reale degli individui, l'eventuale dissoluzione dei limiti che lo
differenziavano da ogni altro tipo di spazio, avrebbe costretto a rimettere in discussione
la fonte di conoscenza essenziale dell'agire in pubblico . L'agire politico, infatti, era
definito a partire dalla netta separazione di ambiti e competenze . Dal momento che la
funzione, socialmente rilevante, dello spazio privato era quella di contribuire a
determinare o inibire una serie di comportamenti nello spazio pubblico (nella vita di
relazione di un individuo o della collettività), l'eventuale "perversione" dell'uno
implicava ripercussioni sull'altro . Definire, quindi, lo spazio dell'agire umano come una
molteplicità di dimensioni che si sovrappongono e si confondono, oppure come un
insieme di ambiti nettamente separati, rappresenta soltanto una risposta parziale alla
fondamentale domanda : "A cosa serve lo spazio pubblico?" .
Hermes (secondo capitolo) è il dio del movimento . Per vivere e concepire uno spazio
non basta che ci sia un centro chiuso in se stesso, ma è necessario che, al contempo,
questo spazio possa essere percorso . Bisogna potere passare da un punto all'altro .
L'irruenza della borghesia, all'epoca dell'illuminismo, interpreta a pieno questo
"attraversamento", sia nelle forme dell'agire che in quelle del pensare . Hermes (opposto
e complementare ad Hestia) dio del "fuori", errabondo, incostante, sempre in
movimento, è presente in tutti i luoghi dove gli individui, lasciando la loro dimora
privata, si riuniscono ed entrano in contatto (lo spazio pubblico borghese) . Vigila sul
luogo di contatto tra "elementi estranei" (la moltitudine di privati che si raccoglievano
in pubblico) . Molte caratteristiche, tipiche dei membri della classe borghese, si
ritrovano nelle funzioni del dio guida, araldo, ambasciatore, messaggero e
commerciante, ma Hermes è soprattutto il patrono dei contatti, degli scambi (di parole e
III
di ricchezze), delle transazioni e delle transizioni di ogni sorta : è il simbolo
dell'intreccio tra cultura e commercio, un intreccio che rappresentò la struttura portante
su cui si edificò il potere della borghesia . Lo spazio pubblico politico, essenzialmente
un pensiero in movimento, un passaggio dalla chiusura del privato all'apertura del
pubblico, un mutamento di stato dell'individuo dall'introversione all'estroversione,
implicò la "normalità" del contatto con "l'altro da sé", la continua alternanza tra
opposizione e integrazione, conservazione e progresso . Ma, come Hermes è ubiquitario
ed inafferrabile, così anche lo spazio pubblico, soggetto a permanenti transizioni, esiste
solo quando gli individui si riuniscono e collaborano razionalmente, altrimenti
scompare o si forma in un altro luogo, in qualcosa di altro . Questa permanente
tensione, insita nel concetto di transizione e di passaggio, da qualsiasi punto a qualsiasi
altro, è forse la tensione che oggi vive l'umanità (termine che comprende una
molteplicità di orientamenti spesso antitetici) mentre sperimenta un percorso comune .
Hermes, il dio che attraversa muri e porte, che varca frontiere, credo simboleggi, in fin
dei conti, soprattutto "l'ardire cosmopolita" di coloro che forzano ogni genere di
"chiusura" nel percorrere senza sosta, in un senso e nell'altro, l'accidentata strada che
porta dalle idee agli esseri umani .
Il nome di Prometeo (terzo capitolo), il più saggio fra i Giganti, significa "colui che è
capace di prevedere" . Nel mondo divino Prometeo occupa, per questo, una posizione
ambigua in quanto non è nemico di Zeus, ma nemmeno un suo alleato leale e fidato . E'
un rivale, un essere arguto che rappresenta il principio di contestazione in mezzo al
consorzio stesso degli dei olimpici : uno spirito critico che sperimenta la propria
indipendenza nella capacità di dissentire razionalmente . Prometeo potrebbe
rappresentare il paradigma della ragione costantemente impegnata a scandagliare il
presente per progettare il futuro, tra sogni e previsioni .
La simpatia e la complicità del Gigante (l'etica del "si deve") vanno a tutti coloro che
l'ordine stabilito da Zeus (il sistema imperante) respinge al di fuori di sé e condanna alla
limitazione e alla sofferenza (l'etica del "non si deve"): è il contestatore, l'ombra
inquietante del "luminoso quadro della giustizia divina", il diritto della ragione di
confrontarsi, senza tregua, con la parte del mondo già costruito e con quella ancora da
costruire (l'etica del "si dovrebbe") . Questo spirito di ribellione mette in discussione,
dall'interno, la sovranità di Zeus . E' proprio il tipo di intelligenza scaltra che
simboleggia l'autonomia della ragione . L'impresa titanica (l'ardire del pensiero di
Foucault, di Habermas, di Bentham, di Kant, di Popper, di Rawls e di molti altri)
IV
rischia, però, puntualmente di infrangersi e soccombere dinanzi all'astuzia ingegnosa
che "assicura al re degli dei la sua supremazia" . L'impasse, sempre possibile, è che la
ragione, intesa come strumento di critica, è non solo la base su cui si edifica la società,
ma anche lo strumento che permette al "sistema" di riprodursi .
Prometeo, inoltre, è un personaggio ambiguo che rifiuta la guerra aperta e l'accordo
fiducioso, preferendo la strategia, il trucco, e soprattutto l'astuzia, nell'eterna gara con
Zeus . Credo sia possibile azzardare un parallelo tra il modus operandi del Gigante con
l'approccio della filosofia al corretto uso della ragione . Il filosofo è quasi costretto
all'ambiguità, ad una gara di astuzia, tra illusione ed imbroglio, per "sopravvivere" alla
precarietà della natura umana, instabile e piena di contrasti . Ciò che conta davvero,
però, è riuscire, nonostante tutto, a schierarsi, a prendere una posizione, costringersi ad
uno sbilanciamento che permetta di rivestire un ruolo e progettare il futuro (di qualsiasi
futuro si tratti) . A proposito : si narra che Prometeo fosse stato informato da sua madre
Climene circa un'antica profezia, in cui era detto il nome del nuovo sovrano che sarebbe
succeduto a Zeus .
Dioniso (quarto capitolo) è un dio a parte . E' il simbolo della realtà che viene
repentinamente sconvolta, un approccio radicalmente diverso alla ripetitività del
quotidiano . Dio terribile e dolce al tempo stesso, ora getta i mortali nella follia, nella
turpitudine, nel delitto, ora porta loro l'evasione, la gioia, la beatitudine . E' un impulso
insostenibile che perverte l'agire degli individui, che obbliga a rimettere in discussione
tutto ciò che, fino a quel momento, si è dato per scontato . E' un turbine improvviso che,
rimescolando a caso le carte, può definire scenari completamente diversi . Se Dioniso
contamina e distrugge, può anche salvare e purificare : questa è la scommessa .
Penso ad un nuovo inizio, che rimetta in questione la base stessa della società ; penso a
nuove regole della convivenza, che si definiscono dal confronto continuo con le
"esagerazioni" del pensiero libertario ; penso ad una "ossessione di libertà" che permetta
all'individuo una maggiore sintonia con le incessanti, e sempre più frequenti,
trasformazioni della realtà . Dioniso è probabilmente il riflesso di questa immagine
esasperata del reale che costringe anche i più riluttanti a fermarsi e guardare quali sono i
mali della società . Per reagire .
Il dio, inoltre, è il patrono del teatro . Sulla scena, la finzione viene mostrata come se
fosse verità : è l'allegoria del cyberspazio dove un'altra realtà, la realtà virtuale, prende
forma come "nuova verità" . Con l'obbligo, che ne deriva, di ridefinire i concetti che
hanno da sempre caratterizzato l'esistenza umana . Dovunque Dioniso appaia,
V
imponendo la sua irresistibile presenza, confonde con arti magiche i confini tra il reale e
l'illusorio, abolisce la distanza che separa l'uomo dagli dei e dalle bestie . Mentre ai suoi
fedeli ("gli inclusi nella civiltà dell'immateriale") concede la possibilità di un ritorno a
uno stato di comunione con gli altri individui, chi non vuole riconoscerlo ("gli esclusi")
è destinato a cadere nella ferocia e nella demenza di una confusione caotica (la nuova
forma di "schiavitù": la disinformazione) . Non intendo alzare un inno all'avvento della
nuova era tecnologica, ma, più semplicemente, proporre di difendere e custodire
gelosamente, ora che se ne ha la possibilità, le prospettive democratiche che i nuovi
mezzi di telecomunicazione offrono ai tentativi di definizione di uno spazio pubblico
nella Rete (la rete è uno spazio pubblico? L'anarchia della rete è un valore da
preservare?) . Credo, infatti, che una definizione razionale delle prospettive politiche
che caratterizzano, e caratterizzeranno, l'avvento della nuova "dimensione
dell'informazione", sia realizzabile solo escludendo a priori qualunque forma di
elitarismo ed inutili preconcetti di iniziazione .
Figlio di Zeus e di una mortale, Semele, Dioniso occupa, nel pantheon, anche il
posto "dell'inquietante straniero" : sia presso gli umani sia presso gli dei, egli assume la
figura dell'Altro . E' il dio del faccia a faccia, a cui non ci si può accostare senza essere
trasformati : entrare in contatto con lui equivale a sperimentare l'esistenza, in questo
mondo, della dimensione dell'alterità . Dioniso, quindi, è un simbolo politico il cui
significato è ancora più profondo nella dimensione del cyberspazio, che sulla centralità
della figura dello straniero, dell'altro (dei "portatori di differenze" e di "alchimie
impossibili"), ruota e fonda la propria essenza .
Dioniso è l'alterità che trascina l'individuo, la "fusione" che confonde i limiti, un impeto
sconsiderato e spontaneo che esprime la necessità di far saltare, in certi momenti, il
sistema .
Gorgo (il capitolo che non c'è ; il sottotitolo non scritto di ogni capitolo ; l'epilogo che
viene prima) è l'espressione "dell'assolutamente diverso", l'inquietudine che, al contrario
del trasporto dionisiaco, trascina irrimediabilmente verso il basso, il terribile, il caos . E'
la dimensione della morte che spegne il fuoco sacro di Hestia, della crudeltà che mette
le catene ai piedi di Hermes, della violenza che condanna Prometeo al castigo divino .
Chi accede al suo spazio è condannato all'irrimediabile poiché stabilisce un contatto
"inopportuno" che pietrifica e, quindi, sradica dalla condizione umana .
La maschera di Gorgo, dispensatrice di morte, ha il fascino ammaliatore del potere e
della forza che, nonostante producano "inquietanti estraneità", non frenano gli
VI
sconsiderati . Al suo sguardo, nel confronto faccia a faccia, l'essere umano può solo
sfuggire o soccombere . E' uno sguardo "banale", sotto certi punti di vista, ma che
immobilizza : una fissità che "s'inceppa al tempo", che si scontra, graffia e si sgretola
inesorabilmente al contatto con il fluire della realtà .
Dato che l'esperienza individuale può trovarsi di fronte quello sguardo in qualsiasi
momento, nessuno deve ritenersi esente dal pericolo di una "incresciosa dissoluzione" .
L'unico scampo, per la fragile natura umana, è educare alla ragione, alimentando senza
sosta l'incontenibile bisogno degli individui di comunicare, di trasmettere conoscenza ed
acquisirne di nuova . Questo permette il formarsi dell'esperienza, un semplice bastone,
certo, ma che può salvare dal morso del serpente che, credendolo carne viva, vi scarica
dentro tutto il suo veleno .
Il problema è che i risultati migliori dell'agire comune esigono la più convinta
assunzione di responsabilità da parte del singolo individuo che deve imparare a cercarsi
e a trovarsi, non solo in se stesso, ma anche negli altri, in quegli "specchi in frantumi"
che ne riflettono la molteplicità . L'individuo, credo, non è solo in ciò che realizza, ma
anche in ciò che lo realizza, non è solo in ciò che pensa, ma anche in ciò che lo pensa .
E' un soggetto che si definisce, al contempo definito, attraverso introversioni ed
estroversioni : si guarda dentro, e guarda fuori ; guarda da dentro e guarda da fuori . La
sua coscienza non può limitarsi ad essere solo riflessiva, solo ripiegamento su di sé,
poiché l'elaborazione di un mondo interiore, intimo, complesso e segreto, ha senso solo
se proiettato all'esterno . L'individuo deve potere esistere in pubblico, deve
rappresentarsi anche nel mondo dell'altro .
Sottrarsi allo sguardo di Gorgo, all'orrore suscitato dalla radicale alterità della morte,
credo significhi trovare un valido motivo di collaborazione (fosse anche il più assurdo)
per convivere nel migliore dei modi nonostante la diversità che caratterizza il consorzio
umano . E' l'unico modo per non precipitare nel "mondo della Notte", nella mostruosità
del caos : opporre la più ragionevole delle precarietà anche all'inesorabile .
Se l'imperfezione umana dissolve ogni utopia, certo non riesce a scoraggiare chi cerca
di realizzare il migliore dei mondi possibili .
HESTIA.
Dai tiranni jonici ai demagoghi ateniesi , dalla pura
austerità di Agesilao agli eccessi di Dionigi o di
Demetrio , dal tradimento di Dimarate alla fedeltà di
Filopemene , tutto quel che ciascuno di noi può tentare
per nuocere ai suoi simili o per giovare loro, almeno una
volta , è già stato fatto da un greco .
M.YOURCENAR , Memorie di Adriano (1951) ,
Torino 1988 , p.34 .
1. Nascita dello spazio pubblico .
Il punto di partenza di questa analisi si situa nella Grecia antica , con particolari e
frequenti riferimenti alla città di Atene , dove l’aggregazione umana seguì un iter di
formazione e diffusione sul territorio talmente particolare da offrire una serie
estremamente variegata di modelli . Con essi ancora oggi conviene confrontarsi per
comprendere la radice di quei problemi che nella società contemporanea hanno
assunto, secondo il mio punto di vista, semplicemente altre forme .
Senza dilungarmi sulla lenta trasformazione dei raggruppamenti umani attraverso i
villaggi e le comunità basate sulla parentela che mi condurrebbe ad un discorso
etnologico non pertinente a questa ricerca, focalizzerò, da subito, l’incipit della mia
elaborazione teorica : la famiglia formatasi intorno al sacro focolare domestico, i cui
membri si riconoscevano a partire dalla loro appartenenza ad un luogo specifico e
circoscritto, ad una casa dove ognuno poteva adempiere alle proprie occupazioni ed ai
propri necessari bisogni di sopravvivenza.
Intorno al focolare, a quell’escrescenza delle viscere della terra immobilizzate al suolo
per rappresentare la permanenza degli individui nel mondo, si orientava e si organizzava
lo spazio umano . L'immagine analogica dell'omphalos (ombelico), inteso sia come
“centro rigonfio” il cui interno serba anime e vita, sia come cordone ombelicale che
permette alla madre di trasmettere al figlio il nutrimento necessario alla crescita,
esprime a pieno la tensione esistente tra la comunità ed il luogo d'origine .
16
Il focolare, quindi l’omphalos della casa, era il luogo attorno al quale prendeva forma il
nucleo familiare ed in cui si definiva il "senso della vita" di ogni individuo nel suo
legarsi alla terra, alla madre-custode della morte e del seme vitale . Questo radicamento
umano, questa forma di possesso privato della superficie terrestre, rappresentava
l’essenza del “vivere per restarci” degli individui che non si percepivano più come
casualità, ma come possibilità di permanenza generazionale .
La fissità del focolare domestico stabilizzava l’oscillante precarietà degli esseri viventi :
era un rifugio che li teneva lontani dalle insidie del mondo ; era un punto di riferimento
sicuro nella mutevole realtà di ogni giorno ; era uno spazio in cui la quiete del
ripiegamento religioso garantiva il contatto continuo tra la vita umana e la volontà
divina . La certezza di permanere nel tempo, isolandosi dal mondo e marcando i confini
per delimitare uno spazio privato, fu la componente essenziale al fondamento dell’oikos
(parola che designa nello stesso tempo l’abitato ed il gruppo umano che vi risiede ),
l’ambiente chiuso e rassicurante dove si conservavano le ricchezze che i bisogni
familiari consumavano, e la purezza religiosa che l’unione del gruppo preservava .
Dall’aggregazione di una molteplicità di oikos, di simbolici “centri di espansione”, sorse
la città-stato
1
, un agglomerato di case e di individui la cui unione aveva inizialmente
fornito la forza per difendersi ed il riparo per riprodursi secondo quei bisogni che stanno
alla base dell’istinto umano .
Accanto ad uno spazio privato preesistente si sviluppava, come “vuoto” lasciato tra gli
spazi domestici aggregati, un altro spazio in cui i cittadini si incontravano e che
condividevano non come proprio, ma come comune, uno spazio reale, esterno alla casa,
luogo di passaggio e di movimento, che portava da un oikos all’altro . Accanto ad uno
spazio privato prodotto dall’aggregazione di un solo gruppo, ben definito, attorno al
focolare domestico, faceva la sua comparsa un altro spazio, diverso dal precedente
1
"Tre erano le principali caratteristiche esterne della polis : 1) L'estensione : la polis doveva essere
abbastanza grande per potersi amministrare da sola, ma non tanto che i suoi membri non si conoscessero
fra loro . 2) L'indipendenza economica : una estensione territoriale tale da consentire di alimentare la
popolazione, il che è superfluo dire che rappresentava una continua difficoltà . Cattivi raccolti e aumento
della popolazione danneggiavano una economia così precaria, con gravi conseguenze politiche ; anche le
comunità maggiori vivevano sotto l'incubo della fame… 3) L'indipendenza politica, il più importante dei
tre fattori … codesto principio era oggetto di una devozione quasi fanatica da parte dei greci antichi . Ciò
che distingueva una vera polis era la mancanza di ogni obbligo di sudditanza verso un'altra città, un
signore o una 'potenza straniera' . Essere ridotti in tale stato implicava un marchio di vergogna ; la perdita
dell'autonomia era sentita non meno dolorosamente di quella della libertà personale, ed era designata
infatti col nome di 'servitù' . All'interno, il governo poteva essere di qualsiasi forma ; il che non incideva
sullo stato della città . Ma per il diritto di sceglierlo, o di cambiarlo, lottarono sempre strenuamente, se
non con successo, le città greche delle isole Egee e delle coste dell'Asia Minore" . (Thomas A. Sinclair, Il
pensiero politico classico, Laterza, Bari 1973, pp.5-6)
17
perché metteva casualmente in relazione i membri di varie famiglie, in modi e tempi
imprevedibili, e che proprio per questo non apparteneva a nessuno in quanto singolo, ma
a tutti in quanto comunità .
Due spazi, quindi, per una duplicità di “modelli” su cui definire la propria identità : a
seconda del luogo in cui le persone si trovavano, adempivano a diverse e contrastanti
attività, le une intese a lenire le pressanti necessità fisiche di autosostentamento e di
riproduzione della famiglia, le altre esercitate per coesistere nel divergere delle opinioni
che nascevano dall’incontrarsi nello spazio esterno all’oikos .
Proprio a partire da questo “sforzo” per coesistere nella differenza, i membri della
comunità impararono ad amministrare i mutevoli “affari umani” in uno spazio comune
che nasceva e si sviluppava come altro a partire dallo spazio privato . Dalla sfera
domestica carica di bisogni e necessità prendeva forma, in opposizione alternata alla
continuità, la polis, lo spazio pubblico in cui “nessuna attività che servisse solo allo
scopo di procurare mezzi di sussistenza, di alimentare il processo vitale, poteva essere
ammessa ”
2
. Al centro del territorio cittadino, proprio per accentuarne il carattere vitale
e pulsante, sorgevano gli edifici, civili e religiosi, che raccoglievano la comunità nei
momenti dell’aggregazione e delimitavano gli spazi in cui il cittadino avrebbe gestito
esclusivamente le incombenze pubbliche . “L’espressione che designa il campo politico:
ta koina, significa : ciò che è comune a tutti, gli affari pubblici . Infatti vi sono, per i
Greci, nella vita umana, due piani ben separati : un dominio privato, familiare,
domestico (quel che i Greci chiamano economia : oikonomia) e un dominio pubblico,
che comprende tutte le decisioni di interesse comune, tutto ciò che fa della comunità un
gruppo unito e solidale, una polis nel senso proprio .”
3
Il luogo di raduno dell’assemblea dei cittadini diventava l’agorà
4
, la piazza attorno a cui
erano centrate tutte le costruzioni urbane, e che materialmente circoscriveva i confini di
uno spazio “fatto per la discussione, d’uno spazio pubblico che s’oppone alle case
private, d’uno spazio politico, in cui si discute e si argomenta liberamente” poiché “oltre
alle case private, particolari, v’è un centro in cui sono dibattuti gli affari pubblici, e
questo centro rappresenta tutto quello che è comune, la collettività come tale . Nella
2
Hannah Arendt , Vita Activa . La condizione umana , Bompiani , Milano 1989 , p.27 .
3
Jean-Pierre Vernant , Mito e pensiero presso i Greci , Einaudi , Torino 1993 , p.208 .
4
" A differenza di polis e di demos, contro quanto ci si aspetterebbe, la parola agorà non significò in
origine luogo, ma riunione ed in seguito ' luogo di riunione' . Era una parte essenziale della città, e il farne
buon uso era, come abbiamo visto, uno dei contrassegni di una società civile . Persino nei tempi classici
gli uomini si riunivano nell'agorà, non solo per il mercato, ma per discutere . In guerra non meno che in
pace era essenziale tenere un'assemblea" . (Thomas A. Sinclair, op. cit. , p.21).
18
pubblica piazza ciascuno si trova uguale all’altro, nessuno è sottoposto a nessuno . Nel
libero dibattito, che s’istituisce al centro dell’agorà, tutti i cittadini si definiscono come
isoi, uguali, come homoioi, simili .Vediamo nascere una società, in cui il rapporto
dell’uomo con l’uomo è pensato nella forma d’una relazione d’identità, di simmetria, di
reversibilità .”
5
Nell’agorà, nello spazio circoscritto e centrato della città, posto sotto il duplice
patronato di Hestia koinè ed Hermes Agoraios ( le divinità testimoni dell’incontro degli
esseri umani nella sfera domestica ed in quella pubblica ), vitalizzato dai rappresentanti
di ogni tribù riuniti attorno al Focolare comune ed organizzato secondo parametri
paralleli allo spazio privato, si fondeva la privatezza dei singoli con la dimensione
pubblica del gruppo, l’essere per sé di ognuno con l’essere per gli altri di tutti . Da
simbolo religioso, il Focolare comune diventava il simbolo politico di una moltitudine
composta da parti diverse, ma al contempo simili, equivalenti le une alle altre al
momento del dibattito nell’agorà e portatrici degli stessi diritti laddove le decisioni
riguardanti gli affari che concernevano la collettività venivano prese in comune .
In queste circostanze, l’agire in mezzo agli altri ed il discorrere per persuadere
divennero le occupazioni più prestigiose .“Essere politici, vivere nella polis, voleva dire
che tutto si decideva con le parole e la persuasione e non con la forza e la violenza”
6
. Il
logos, il discorso pronunciato secondo ragione e argomentato sulla realtà dei fatti, e
l’azione, l’atto esemplare che innesca una serie di reazioni a catena, divennero la
garanzia del successo dell’apparire in pubblico dei cittadini .
E’ evidente che se, da un lato, lo spazio pubblico traeva le proprie leggi basilari dal
confronto tra i cittadini in piena alterità rispetto alle leggi che regolavano la sfera
domestica (la persuasione nella polis come controparte del dispotismo del capofamiglia
sui membri del nucleo famigliare), dall’altro la dimensione politica era la perfetta
continuazione della dimensione domestica, in quanto rappresentava il percorso della
libertà nel progressivo abbandono della violenza, dell’uso della forza e della necessità,
per “muoversi in una sfera dove non si doveva né governare né essere governati”
7
, nel
regno dell’uguaglianza .
5
Jean-Pierre Vernant , op. cit. , pp.211-212 .
6
Hannah Arendt , op.cit. , p.20 .
7
Ibid. , op. cit. , p.24 .
19
2. Sviluppo dello spazio pubblico e sua perversione .
L’immagine mitica della polis non deve trarre in inganno l'osservatore contemporaneo
che si interroghi sulla effettiva libertà dei membri di quella organizzazione politica,
poiché l’esclusività ne era il tratto caratteristico costitutivo . Dallo spazio pubblico erano
esclusi tutti coloro che non fossero uomini e proprietari .“Senza possedere una casa un
uomo non poteva partecipare agli affari del mondo, perché in esso non aveva un luogo
che fosse propriamente suo”
8
.
Per le donne, per gli schiavi, per i lavoratori manuali e per gli stranieri, lo spazio
pubblico era uno spazio chiuso che opponeva barriere d’ingresso insormontabili e tali da
ridurlo, ai loro occhi, ad uno spazio privato allargato, luogo delle “esibizioni” di coloro
che avevano la possibilità di mantenersi indipendenti dagli altri . Gli uomini, possidenti
all’interno della polis, vivevano nello spazio pubblico solo con i propri pari e solo con
essi, da “eguali”, intrattenevano relazioni pubbliche da cui erano rigorosamente esclusi
tutti gli “ineguali”, che rappresentavano, per quantità, la maggioranza della
popolazione . I cittadini cui era concesso di partecipare al governo della vita pubblica
erano i soli che godevano dell'isonomia (uguaglianza di fronte alla legge), dell'isegoria
(uguale libertà di parola), della parità dei diritti civili e politici e che potevano
intervenire a tutte le manifestazioni religiose e civili della vita della città . Soltanto il
possesso di queste prerogative garantiva la possibilità di esercitare il potere diventando
membri dell'ecclesia, della bulè, dell'eliea, oppure delle magistrature di ordine politico
o amministrativo . La comunità quindi si integrava di cittadini liberi, proprietari e
sovrani di un territorio limitato su cui erano stanziati e che all'occorrenza difendevano
con le armi, e di contadini, servi, artigiani e mercanti che provvedevano ai suoi bisogni
senza farne parte politicamente . E' necessario sottolineare che, in tale forma di
democrazia antica, tra i politai, i cittadini veri e propri che dominavano la comunità
degli esclusi, vigeva una sorta di parità dell'inclusione . Nella sfera pubblica, infatti, si
realizzava l'eguaglianza politica effettiva di tutti i membri a prescindere dalla
ricchezza che possedevano come privati . Praticata la prima cesura tra coloro che
potevano accedere allo spazio pubblico e coloro che non ne avevano il diritto, non
esistevano più barriere politiche tra i “cittadini” . Non era la quantità di denaro, di
appezzamenti di terreno o il possesso di altre ricchezze che garantivano il diritto di
parlare all’Assemblea, poiché bastava essere proprietari anche solo di un lembo di terra
20
per essere ritenuti membri a pieno titolo della polis . La cittadinanza politica non era
graduale, ma piena ed istantanea . Nel momento in cui il privato abbandonava la sfera
domestica per esibirsi sulla scena pubblica, in quel preciso istante diventava portatore
degli stessi diritti che spettavano a qualsiasi altro privato, di qualsiasi estrazione, cui
fosse stato concesso di accedere alla sfera politica . Erano le capacità esibite nello
spazio pubblico a distinguere i cittadini gli uni dagli altri poiché, in partenza, venivano
forniti degli stessi diritti d’espressione e di ascolto : il più ricco ed il più povero erano
“uguali” politicamente parlando e poteva persino accadere che avesse più seguito il
secondo se solo fosse stato capace di esercitare meglio del primo l’arte del discorso e
dell’azione . Da qui nacque l'ideale politico per cui il governo spetta ai migliori .
Nella polis ci si dimenticava di chi si era come privati e si ragionava come membri di un
gruppo dove venivano concessi a tutti gli stessi diritti, e dove a tutti era offerto uno
spazio di confronto . La “sfera pubblica permeata da uno spirito ferocemente agonistico,
dove ognuno doveva costantemente distinguersi dagli altri, mostrare con gesta ed
imprese fuori dal comune di essere il migliore di tutti”
9
era il palcoscenico su cui gli
uomini esibivano il loro valore . I Greci crearono il primo spazio pubblico, politico e
democratico della storia, a cui i cittadini accedevano, dimentichi della ricchezza
materiale che gliene poteva derivare, per compiere quelle grandi ed immortali imprese
che sole avevano valore : tutti i suoi membri credevano in esso ed erano convinti della
sua necessità
10
.
In questa prospettiva lo spazio pubblico, definito da un forte individualismo e
dall’anticonformismo, ebbe senso e riuscì a sopravvivere fintantoché, da un lato, il
numero dei cittadini della polis rimase ristretto e, dall’altro, il monopolio della gestione
di quello spazio rimase nelle mani di pochi . Le città-stato e la loro sfera pubblica,
fondata sul discorso e sull’eccellere delle attività dei singoli, riuscirono a sopravvivere
fino a che organizzazioni numericamente superiori non ne esautorarono le funzioni,
imponendogli un livellamento ed una massificazione letali .
Nella polis, infatti, l’apparire agli altri, l’uscire dal proprio piccolo mondo per imporsi
all’attenzione generale era l’atteggiamento pubblico che più caratterizzava il
comportamento dei cittadini . L’essere visti e sentiti, in una parola “pubblicizzare” le
8
Ibid. , op. cit., p.22 .
9
Ibid. , op. cit. , p.31 .
10
Un così alto senso politico venne adombrato, però, dalla tendenza, causa di molte disgrazie, di
identificare la polis con il gruppo al potere ed il bene comune con gli interessi di partito . La vittoria di
una fazione politica, infatti, si risolveva molto spesso nella messa al bando di un grande numero di
avversari .
21
proprie capacità, era la soddisfazione massima, era la certificazione più illustre della
propria presenza al mondo, dell’esserci non solo "per restarci", ma anche per compiere
grandi imprese . La sfera pubblica, quindi, era intesa come “mondo” che “mette in
relazione e separa gli uomini"
11
, come legame che riunisce ed al contempo regge alla
forza centrifuga dei singoli . “Solo l’esistenza di una sfera pubblica e la susseguente
trasformazione del mondo in una comunità di cose che raduna gli uomini e li pone in
relazione gli uni con gli altri si fonda interamente sulla permanenza . Se il mondo deve
contenere uno spazio pubblico, non può essere costruito per una generazione e
pianificato per una sola vita ; deve trascendere l’arco della vita degli uomini mortali”
12
.
Lo spazio pubblico s’impose superando il tempo della breve vita individuale e
proiettando la propria fissità lungo un raggio d’azione che copriva l’intera vita della
comunità politica, più lunga della precedente proprio perché alimentata dal continuo
alternarsi delle vite dei singoli .
Sicuri della maggiore efficacia e stabilità di tale forma di organizzazione, i greci vi
esibirono il loro desiderio d’immortalità, riuscendo a rendere unica ed irripetibile
l’esperienza della città-stato che, a tutt’oggi, dovrebbe fornire il senso di esistenza di
uno spazio pubblico . La permanenza umana, che vede alternarsi una generazione
all’altra, creò una fissità nel mondo, uno spazio in cui fosse possibile ad ognuno
rappresentarsi, recitare se stesso, immortalando ciò che il tempo inevitabilmente
distruggeva . “Per molti secoli prima di noi - ma ora non più - gli uomini entrarono nella
sfera pubblica perché volevano che qualcosa di proprio o qualcosa che avevano in
comune con altri fosse più duraturo della loro vita terrena”
13
. Fu proprio la fierezza di
appartenere ad un gruppo chiuso e distinto da tutti gli altri, che viveva per imporsi al
tempo, a produrre “la prima garanzia contro la futilità della vita individuale”
14
.
Molteplici punti di vista, sempre al limite tra scontro e confronto, vivacizzarono la realtà
della sfera pubblica in un serrato alternarsi di opinioni e posizioni differenti, che
comunque attestavano la presenza di un mondo comune, condiviso e giudicato . Da
questa poliedricità, infatti, discendeva la garanzia che il mondo della polis non
dipendeva da alcun dispotico ordinamento, anzi, era la bandiera stessa della democrazia
antica (pur sempre democrazia per i “pochi” cui era concesso esercitarla ) contro ogni
genere di dispotismo straniero.
11
Hannah Arendt, op. cit. , p.39 .
12
Ibid. , op. cit. , p.41 .
13
Ibid. , op. cit. , p.41 .
14
Ibid. , op. cit. , p.42 .
22
Una democrazia antica che, non a caso, Hannah Arendt prese come punto di vista per
offrire ai suoi contemporanei un caleidoscopio in cui dilettarsi a guardare la
deformazione di una cittadinanza diretta in un apparato-macchina dell’amministrazione
pubblica, e per rappresentare l’espropriazione moderna della politica .
3. Dalla politeia alla politica moderna : le "convulsioni" dello spazio
pubblico .
Il termine politeia indica la partecipazione alla vita dello Stato, ai pubblici affari, ed in
senso ancora più specifico, alla partecipazione ad un governo democratico . La pratica
della cittadinanza diretta espressa nella politeia veniva esercitata nello spazio pubblico
della città-stato e consentiva ad un agglomerato di case e ad un gruppo di esseri viventi
di identificarsi in una comunità politica, chiusa alla barbarie del mondo circostante ed
in perenne antitesi con essa . “Per gli antichi, ogni società umana appare composta di
parti molteplici, differenziate dalle loro funzioni . Ma allo stesso tempo, perché questa
società formi una polis, essa deve affermarsi, su un certo piano, come una ed
omogenea . Poiché la politeia è ad un tempo il gruppo sociale nel suo insieme (la
società) e lo stato in senso stretto, è difficile farne una teoria interamente coerente,
poiché, a seconda della prospettiva in cui ci si pone, questa politeia si presenta ora come
molteplice ed eterogenea (differenziamento delle funzioni sociali) , ora come una ed
omogenea (aspetto ugualitario e comune delle prerogative politiche che definiscono il
cittadino in quanto tale).”
15
Il cittadino che si inseriva nella sfera pubblica accettava il confronto con diverse
opinioni che, circoscrivendo l’ambito dell’agire di ognuno, contribuivano a definire il
luogo della comunità politica ; frazionamento all’interno per i molteplici modi di
pensare espressi ed, al contempo, unità rispetto all’esterno, nella condivisione sociale
delle regole della polis contrapposte all’ingiustizia che, secondo la credenza comune ai
Greci, governava il mondo . Lo spazio pubblico che ne derivava era uno spazio “sacro”,
nel senso di inviolabile, che imponeva al cittadino il compito di bilanciare
continuamente il proprio contributo alla pluralità di idee, prodotta all’interno, con
l’impegno per la costruzione di un’unica comunità politica, chiusa all’esterno .
15
Jean-Pierre Vernant , op. cit. , pp.261-262 .
23
La polis “assicura l’attore mortale che la sua esistenza transeunte e la sua fuggevole
grandezza non perderanno mai la realtà che proviene dall’esser visti, uditi ed in generale
dall’apparire davanti ad un pubblico di uomini simili a lui”, poiché, “propriamente
parlando, non è la città-stato in quanto situata fisicamente in un territorio ; è
l’organizzazione delle persone così come scaturisce dal loro agire e parlare insieme, ed
il suo autentico spazio si realizza fra le persone che vivono insieme a questo scopo,
indipendentemente dal luogo in cui si trovano .”
16
Se quindi non è importante il luogo, ma sono importanti le persone, ogni sfera pubblica,
che può essere organizzata poi nelle più svariate forme di governo, è anche “sfera
dell’apparire” : i cittadini si mostrano agli altri, agiscono e parlano per essere visti, e
l’ideale illuminazione cui è sottoposto l’atteggiamento individuale, pubblicizzato
nell’apparire agli altri sulla scena pubblica, è agli antipodi dell’ideale oscurità che
permea ogni atto perpetrato in un ambito domestico, dove i muri sostituiscono i mille
occhi dell’agora .
In questo apparire e rivolgersi al pubblico , è come se ogni cittadino potenzialmente
garantisse la realtà del luogo in cui si trova con gli altri : “ l’isegoria, il diritto universale
di parlare nell’Assemblea ”
17
costringe a pensarsi come parte di un insieme che è reale
proprio in quanto permette la comunicazione tra gli individui .
Ad amalgamava i “cittadini-attori” sul proscenio dello spazio pubblico, contribuivano
sia il potere , o meglio la potenzialità, “la linfa vitale dell’artificio umano” senza il
quale “lo spazio dell’apparire mantenuto in vita dall’azione e dal discorso svanirebbe
con la stessa rapidità con cui si dileguano gli atti e le parole viventi ”
18
, sia la paideia
intesa come “l’educazione, la formazione (la Bildung tedesca) , lo sviluppo delle virtù
morali, il senso della responsabilità civica, della cosciente identificazione con la
comunità, i suoi valori e le sue tradizioni”.
19
L'intreccio tra potere e paideia costituì il
nerbo della sfera pubblica, la compattezza di un gruppo che operava e si distingueva a
partire dalla formazione comune dei suoi membri .
16
Hannah Arendt , op. cit. , p.145 .
17
Moses I. Finley , La democrazia degli antichi e dei moderni , Laterza ,Cles (TN) 1992 , p.19 .
18
Hannah Arendt , op. cit. , p.150 .
19
Moses I. Finley , op. cit. , p.30 .