4
codice assai diffuse negli ambienti politico-legislativi dalla prima
metà degli anni trenta. Cosicché, non avrebbe senso porsi
l’interrogativo precedente, a cagione della necessaria conseguente
risposta: il codice civile del 1942 è, a tutti gli effetti, un codice
“fascista”.
In realtà, vi è da fare i conti con una scienza giuridica assai raffinata,
per nulla incline, almeno nella sua stragrande maggioranza, ad
assoggettarsi alle direttive del regime. Ne esce fuori, di conseguenza,
un dibattito acceso, assolutamente non scontato nei risultati, che
costituisce una buona occasione per una raccolta di scritti che avevano
puntualmente accompagnato e commentato l’intera vicenda, nelle sue
tappe principali.
E’ riduttivo pensare, comunque, che il problema che ci si pone, sia
soltanto quello di stabilire se il codice civile sia o meno un codice
fascista; se ci si ponesse in questi termini, la vicenda verrebbe
liquidata in poche righe, senza centrare quelle che sono le reali
questioni. In pratica, l’alternativa “fascista-non fascista”, presuppone
altri argomenti alla base, e lo scopo del lavoro consiste proprio nel
metterli in luce.
In queste pagine si tenta di seguire l’evoluzione del suddetto dibattito
dottrinale, partendo, come già accennato, dai propositi che si erano
levati, prima della nascita del codice, che volevano che questo fosse
l’alta espressione della rivoluzione fascista, proseguendo poi, nella sua
fase centrale, e cioè l’immediato dopoguerra, con toni assai accesi, per
prolungarsi fino ai giorni nostri, con temi, per la verità, non nuovi.
Una cosa è certa: qui si presenta un disegno essenziale che dà rilievo
ad alcuni personaggi e avvenimenti di particolare importanza,
escludendosi, dunque, in maniera categorica, qualunque pretesa di
completezza sull’argomento.
Consapevole delle difficoltà che un tema siffatto comporta, ritengo di
dover mettere le mani avanti con chiunque si accinga a leggere queste
5
pagine. I temi toccati meriterebbero indubbiamente altri sviluppi; mi
rendo perfettamente conto della sommarietà con cui sono stati
affrontati alcuni argomenti; indubbiamente molte altre cose in merito
possono e debbono essere ancora dette. Ma, come si accennava in
precedenza, è mia intenzione riportare qui i risultati salienti di una
ricerca in sé compiuta, e non ancora conclusa. Sui temi di questo
scritto, dunque, si dovrà e si potrà ritornare meglio e più
compiutamente in seguito, ad opera di coloro che alla materia
dedicano il loro maggiore studio.
Un‘ultima notazione di carattere “sentimentale” mi sia consentita, a
conclusione di questa introduzione. Mi accingo a scrivere queste
pagine con l’entusiasmo dello studente universitario che vede
avvicinarsi il “traguardo”, ma anche con la consapevolezza di colui
che si rende conto di trovarsi ad un bivio fondamentale della sua vita;
non può il suo pensiero non essere investito da ricordi indelebili, legati
ad una vita universitaria fatta di sacrifici, emozioni e, soprattutto,
soddisfazioni; ricordi, legati anche ad avvenimenti e persone che gli
hanno insegnato molto, del diritto e della vita.
6
Capitolo primo
PREMESSE DEFINITORIE
1. Definizione dell’oggetto. – 2. Il senso del problema. Precisazioni terminologiche.
1. Definizione dell’oggetto.
Ritengo necessario, prima di addentrarmi nel dibattito intorno alla
codificazione civile del 1942, prendere le mosse del discorso
dall’esame di alcune questioni preliminari che reputo fondamentali per
una più corretta impostazione del problema. Intendo, in altre parole,
disegnare i confini di quello che è il dibattito stesso. Come si può
facilmente notare, non si tratta di un tema nuovo, del tutto inesplorato,
ma certamente il dibattito circa il presunto carattere “fascista” del
codice costituisce una tematica d’importanza fondamentale per
chiunque, in maniera accorta e completa, venga a contatto col codice
civile.
Il dibattito, come si sa, non è di esclusiva parvenza del codice civile,
perché analoga problematica è destinata a ripercuotersi anche sul
codice penale e sui codici di rito. Limiterò però la mia analisi al
codice civile, probabilmente l’indice rivelatore più importante di
quelle che potrebbero essere le “tracce” del regime, in relazione alla
sua sostanza, alla complessità delle soluzioni in esso adottate e alla
sua funzione di strumento destinato ad essere un momento di guida e
controllo della vita dei privati.
Il dibattito, se vogliamo, è “immanente” nel nostro tempo, nel senso
che la sua “durata” è destinata inevitabilmente a coincidere col vigore
del nostro codice. In realtà, il lettore attento si accorgerà che esso va
aldilà del codice ed è destinato a coprire un momento anteriore allo
stesso, all’incirca qualche decennio prima della sua entrata in vigore,
7
per prolungarsi fino ai giorni nostri, per la verità in maniera più sopita.
Ricostruire il dibattito dottrinale sulla natura del codice civile vuol
dire anche percorrere una strada parallela alla problematica relativa
all’unificazione del diritto privato, problematica i cui rivolgimenti
sono necessariamente destinati ad influire su quello.
L’intento che anima queste pagine è proprio quello di tracciare un
quadro storico che si soffermi su alcuni momenti e personaggi
fondamentali di una vicenda di per sé lunga e complessa, nei confronti
della quale non si può certo avere una pretesa di completezza.
2. Il senso del problema. Precisazioni terminologiche.
Che senso ha porsi il problema sulla natura del codice? Cosa vuol dire
chiedersi se il codice civile sia o meno un codice “fascista”? Non si
tratta certamente di una questione, per così dire, di “etichetta”.
Apostrofare il codice, e non solo quello civile, in un senso o nell’altro,
ha delle conseguenze pratiche di non secondaria importanza, poiché
richiama alcune problematiche alle quali, per questioni sistematiche,
possiamo soltanto accennare. Mi riferisco alla epocale questione sulla
natura e funzione del codice civile, e al rapporto tra diritto e politica.
In tutto il secolo passato si è guardato al codice civile come ad una
delle leggi fondamentali dell’organizzazione sociale. Esso
rappresentava - come ebbe a scrivere Gioele Solari – “l’attuazione
dell’idea individuale nei rapporti civili. Per questo aspetto la
codificazione risponde nel campo del diritto privato a quelle che
furono le dichiarazioni dei diritti e le costituzioni nel campo del
diritto pubblico…Come queste erano dirette a garantire le libertà
politiche dei cittadini nei loro rapporti con lo Stato, così le
Codificazioni mirano ad assicurare la libertà civile dell’individuo
nella sua vita privata contro le indebite ingerenze del potere
politico”. Il codice si poneva dunque al centro dell’attività economica,
8
divenendo, secondo l’espressione di Antonio Labriola, “il libro d’oro
della società che produca e venda merci”.
Nel corso del nostro secolo, il codice civile ha perso via via questo suo
ruolo privilegiato a causa dell’entrata in vigore della Costituzione e
della progressiva emersione della legislazione speciale. Questo ha
comportato e comporta che entrambe” hanno una forza espansiva tale
da incidere direttamente nell’ambito dei rapporti privati e da
assumere la funzione...di direttive fondamentali per l’elaborazione e
l’attuazione degli istituti civilistici” (Nicolò).
A questa vicenda non si è evidentemente sottratto il codice civile
vigente. Entrato in vigore, nel suo complesso, il 21 Aprile 1942, esso
rappresenta il punto di arrivo di un lavoro di riforma della
codificazione civile e commerciale iniziato un ventennio prima. Si
faccia attenzione a questa indicazione temporale: il periodo necessario
alla riforma della codificazione privatistica corrisponde
sostanzialmente alla durata del regime fascista. Basta questa
constatazione per rendere legittimo un interrogativo: il codice civile
deve essere considerato un codice fascista? A questo punto è
necessario procedere ad alcune precisazioni terminologiche. Il
legislatore del codice civile può essere considerato “fascista”, se non
altro perché il codice viene alla luce in quelle circostanze storiche, ma
ciò non comporta necessariamente che anche la stessa normativa
debba essere definita “fascista”. In altre parole, che il codice, come un
qualunque altro documento, venga alla luce in un certo momento
storico, non vuol dire necessariamente che debba portarne in modo
pieno e completo i segni. In questo senso, rileva la seconda delle
questioni in precedenza sollevate e cioè il rapporto tra diritto e
politica, o meglio la differenziazione tra l’attività del legislatore, il
ruolo della dottrina e le condizioni economiche e sociali in un certo
momento storico. L’opera del giurista è sempre opera politica in senso
lato, perché si traduce ed incide sulla vita degli uomini. Sotto questo
9
profilo non vi può essere in assoluto una netta separazione tra ciò che
è una operazione tecnica, quale la redazione di un codice, e un
influsso politico dominante in un certo momento, visto che “i codici,
come tutte leggi, sono sempre l’espressione conclusiva e riepilogativa
di una certa politica: il diritto è sempre il punto di arrivo di certe
forze sociali, che per un certo periodo, prima di arrivare ad essere
leggi, si sono fatte strada come tendenze politiche”
1
. Dino Grandi,
ministro guardasigilli e personaggio di rilievo nella codificazione, nel
1940 ebbe a sottolineare: ”E’ stato espresso da taluno il dubbio sulla
opportunità di procedere ad una riforma dei Codici in questo
particolare momento storico, e si è insistito su di una pretesa
separazione tra Diritto e Politica, onde limitare l’opera della
codificazione ad una pura revisione tecnica e formale degli istituti
tradizionali…Ora noi crediamo che non solo non esistano confini o
diaframmi tra Politica e Diritto, ma siamo fermamente convinti che
fra essi vi sia invece un nesso assoluto in quanto rappresentano fasi
indissociabili nel divenire di un popolo…Il diritto non è fatto soltanto
di schemi e di categorie logiche sostanzialmente immutabili, esso deve
procedere e svilupparsi, nel suo contenuto essenziale, in rapporto
costante, coerente ed organico colle graduali trasformazioni
dell’organizzazione politica e la legislazione dello Stato”
2
.
Trasportando l’indagine sul piano concreto, si tratta di stabilire se
l’imprescindibile influenza politica presente nel codice sia di “marca
squisitamente fascista”, o sia frutto di qualche altro processo storico-
giuridico; e ancora, se il regime sia stato in grado di sviluppare una
propria ideologia ufficiale e come eventualmente la dottrina si sia
posta nei suoi confronti.
1
P. Calamandrei, Costruire la democrazia. Premesse alla Costituente, Firenze,
1945, pag. 62.
2
Il discorso con il titolo Tradizione e rivoluzione nei codici mussoliniani fu
pubblicato in Rivista di diritto penitenziario, 1940, pp. 249 e ss.
10
Naturalmente, e qui arriviamo ad un’ulteriore precisazione
terminologica, nel codice sono state visibili alcune tracce esplicite
dell’ideologia fascista (prime tra tutte le disposizioni del libro I
relative ai non ariani), ma, una volta liquidate queste e altre
disposizioni dello stesso tenore, sembra semplicistico risolvere la
questione nel senso di escludere qualunque influenza del “regime” nel
codice. Di influenza “formale” oggi non si può più parlare, ma questo
non toglie che una qualche influenza “sostanziale”, di tipo politico,
oggi sia presente nel codice e si tratta proprio di stabilire quale natura
essa abbia. Ecco il leit motiv del nostro discorso, ed ecco la necessità
di ricostruire il dibattito dottrinale che si sviluppa all’indomani della
nascita del codice. Preliminarmente è necessario però esaminare una
vicenda che contribuirà a rendere più fecondo e complesso il dibattito
successivo: i propositi che si erano manifestati prima della
codificazione, nell’ambiente politico, che volevano che il codice fosse
“fascista”.
11
Capitolo secondo
PRIMA DELLA CODIFICAZIONE
1. Cenni storici. I propositi di fare un codice fascista. – 2. L’unificazione del diritto
privato e i principi generali dell’ordinamento giuridico fascista. – 3. Il convegno
pisano.
1. Cenni storici. I propositi di fare un codice fascista.
La riforma dei codici era un’esigenza unanimemente sentita da
giuristi, uomini politici ed opinione pubblica, fin da parecchio tempo
prima dell’ascesa al potere del fascismo. Tutti i codici erano
palesemente inadeguati sia alle nuove condizioni economiche e
sociali, che ai più recenti progressi della scienza giuridica.
Fin dal 1919, la sottocommissione per le questioni giuridiche,
amministrative e sociali della Commissione reale per il dopoguerra,
aveva elaborato, sotto la presidenza di Vittorio Scialoia, una serie di
progetti di riforma, alcuni dei quali concernevano il codice civile.
Subito dopo la marcia su Roma (22 ottobre 1922), il ministro della
Giustizia, Oviglio, presentò alle camere un disegno di legge per la
delega al governo della facoltà di emendare il codice civile e di
pubblicare i nuovi codici di procedura civile, di commercio e della
marina mercantile. Tale facoltà venne accordata nel 1923. I lavori per
la presentazione dei nuovi codici procedettero a rilento, con frequenti
battute d’arresto e con non poche e talora vivaci polemiche, suscitate
prevalentemente da quanti vedevano con malumore il prevalente
tradizionalismo che presiedeva alla elaborazione del nuovo diritto
privato italiano e si battevano per una più ardita immissione, in
quest’ultimo, dei principi di un non bene precisato diritto fascista.
Nel marzo del 1937, in sede di discussione alla Camera del bilancio
del ministero della Giustizia, vi fu una levata di scudi, da parte dei più
12
strenui assertori di una integrale fascistizzazione dei codici in
elaborazione, contro la timidezza conservatrice, secondo loro
dimostrata dai membri della commissione per la riforma, e si iniziò a
ventilare l’idea della necessità di fissare dei principi politici che
avrebbero dovuto servire da guida per i lavori di riforma, ed
eventualmente per l’interpretazione del nuovo codice
3
. Timidezza che,
del resto, non si arrestava alla materia dei codici, ma coinvolgeva più
o meno tutta la politica legislativa del regime, nel campo delle
istituzioni amministrative non meno che in quello del diritto privato.
A conclusione della discussione sul bilancio del ministero
dell’Interno, nel 1938, il sottosegretario Buffarini-Guidi ritenne
necessario aggiungere alle tante voci che si erano levate, la sua
denuncia per la mentalità sostanzialmente afascista di buona parte
della scienza giuridica.
Nel discorso tenuto in occasione del rapporto a Mussolini delle
commissioni per la riforma dei codici (31 gennaio 1940), Dino
Grandi, ministro guardasigilli
4
, individua nel “dare alle norme
3
Il riferimento è alle tornate del 17 e 18 marzo, nel corso delle quali parlarono
vivacemente, nel senso accennato, i deputati Suppej, Biggini e Costamagna. Suppej,
dopo aver ricordato che era necessario che la nuova codificazione sviluppasse i
principi della rivoluzione fascista, aveva detto che sarebbe stato “atto di estrema
sensibilità politica” fissare detti principi ed aveva aggiunto: “dalle intuizioni e dalla
volontà del Capo, dalle direttive politiche che segnerà il Gran Consiglio e, soltanto
dopo, dalla compilazione di giuristi fascisti, molti dei quali fornirà la Camera dei
Fasci e delle Corporazioni, la civiltà fascista avrà il nuovo diritto del Codice
Mussolini”. (Atti Parlamentari. Camera dei Deputati. Legislatura XXXIX.
Discussioni, vol. III, XCV. Tornata di mercoledì 17 marzo 1937, pag. 3443). In
termini non dissimili Biggini, il quale, dopo aver denunciato i non pochi giuristi che
avevano cercato di “esaurire e costringere le nuove forme, i nuovi istituti del
fascismo nei quadri del vecchio ordinamento”, aveva detto: “Il nuovo ordinamento,
i nuovi organismi istituzionali, espressione di nuove e più alte concezioni politiche e
sociali, vanno intesi ed elaborati secondo nuovi schemi e forme giuridiche: e questa
elaborazione sarà vuota di senso, se non si baserà sopra una concreta
consapevolezza della nuova realtà storico-politica, per attingere appunto da essa il
diritto”. (Atti Parlamentari, cit., pag. 3459). Costamagna, invece, aveva già
manifestato le sue preoccupazioni sull’andamento dei lavori della commissione per
la riforma dei codici in un articolo intitolato Linee del diritto privato del fascismo, in
Lo Stato, del 1937.
4
Dino Grandi venne nominato guardasigilli nel luglio del 1939. Egli non veniva dal
mondo accademico, come i suoi predecessori, non aveva specifiche competenze, ma
era un politico accorto: ed anche se mantenne su molte questioni un atteggiamento
13
giuridiche lo spirito e la sostanza del tempo fascista”.
Successivamente, è vero che nello stesso discorso Grandi assume toni
più moderati e sostiene che il compito essenziale della codificazione
sia quello di trovare “il giusto punto di equilibrio tra tradizione e
rivoluzione”, ma nessuno può negare che il dichiarato intento del
guardasigilli fosse quello di scrivere un codice fascista
5
.
Carlo Costamagna, dalla sua rivista, “Lo Stato”, non perdeva
occasione per incitare ad una effettiva fascistizzazione del diritto e
tuonare contro tutto ciò che ostacolasse l’attuazione di tale obiettivo
6
.
Lo stesso autore, dopo il ricordato rapporto di Grandi a Mussolini,
osservava come le commissioni legislative ed i centri della cultura
universitaria non avessero avvertito la necessità di modificare dalle
fondamenta il diritto privato, in sintonia con la nuova struttura
dell’organizzazione economica nazionale, ed aggiungeva come
soltanto il Ministro Grandi avesse ribadito il carattere politico della
riforma e la impossibilità di esaurirla nel risolvimento di semplici
questioni tecniche e giurisprudenziali. In sostanza, si manifestava
l’idea di consacrare nel nuovo diritto privato le idealità giuridiche del
fascismo; “il nuovo sistema del diritto privato deve risultare dal
coordinamento e compenetramento del sistema della codificazione
conservatore, anche se non fu libero dalle pesanti interferenze del partito, certamente
era attento all’importanza politica dei diversi problemi e capace di soluzioni di
compromesso.
5
Nelle parole di Grandi può cogliersi una polemica contro coloro (e primo tra
questi Costamagna) che, nel proporre radicali innovazioni, svilupparono una
notevole ostilità nei confronti della tradizione romanistica.
6
In una nota dal titolo sintomatico: Professori ebrei e dottrina ebraica, in Lo Stato,
del 1938, Costamagna, dopo aver lamentato che non bastava escludere gli ebrei dalle
scuole e dalle università, ma si doveva soffocare pure lo spirito del loro
insegnamento, che continuava invece a trionfare, aveva cominciato ad attaccare
Giovanni Gentile, i cui quattordici anni di dominio sulla scuola fascista non avevano
avuto altro risultato che quello di ribadire “le posizioni della scienza liberale nel
settore del diritto pubblico e del diritto privato…Magnanimamente, egli concesse la
tessera fascista a tutti i docenti, grandi e piccoli, senza tener conto dell’indirizzo
concettuale loro nell’insegnamento e nell’elaborazione scientifica…Il risultato è,
per l’argomento del diritto, che l’Italia fascista non ha una scuola e non si avvia
nemmeno ad averla”.
14
generale con l’ordinamento corporativo della produzione, caposaldo
della trasformazione fascista dello Stato”
7
.
Completato tra il 1939 e il 1940 l’iter formativo del primo libro del
codice civile Delle persone e della famiglia e del secondo Delle
successioni per causa di morte e delle donazioni, vennero approntati
con estrema facilità tra il 1940 e il 1941 i testi definitivi degli altri libri
intitolati Della proprietà, Delle obbligazioni e del lavoro e Della
tutela dei diritti. Il Ministro Grandi, nelle relazioni al Re dei singoli
libri del codice, ebbe a sottolineare, ancora una volta, come i caratteri
della legislazione generale dovessero sempre più adeguarsi ai principi
ed agli istituti fondamentali elaborati dalla Rivoluzione e dalla
legislazione fascista
8
. Quindi, non solo le relazioni del guardasigilli,
ma anche le riviste degli anni immediatamente precedenti la
codificazione, lasciano intendere una volontà di fare un codice
“fascista”; si plaude alla realizzazione del codice, alta espressione
della “rivoluzione fascista”.
Questi propositi si manifestano successivamente a due importanti
decisioni annunciate dal ministro Grandi nella Relazione al Duce del
27 luglio 1940. Il guardasigilli, presentando al capo del governo i
progetti preliminari del codice di commercio e del libro delle
obbligazioni e dei contratti, dichiarò espressamente che l’intero
disegno andava rimeditato e rivisto. Da qui, la decisione di premettere
come principi generali dell’ordinamento giuridico le dichiarazioni
7
C. Costamagna, Fascismo e codici, in, Lo Stato, 1940, pp. 49 e ss.
8
Si veda la Relazione del Ministro guardasigilli al Re imperatore sul libro terzo del
codice civile, Roma, 1941, pag. 13, in cui si legge: “…i caratteri della nostra
legislazione generale, che sempre più si adegua ai principi e agli istituti
fondamentali elaborati dalla Rivoluzione e dalla legislazione fasciste nel primo
ventennio”.
Nella Relazione…sul libro Quarto, si legge: “le trasformazioni nel campo dei
rapporti patrimoniali derivano dall’inserzione nel codice della Carta del Lavoro e
dalla recezione dei principi dell’ordinamento corporativo…”
Analoghe considerazioni nella Relazione…sul libro Quinto, destinato “per il suo
contenuto politico a scolpire con più saliente evidenza i lineamenti corporativi della
riforma legislativa…destinata a tramandare nel tempo le realizzazioni giuridiche
della Rivoluzione fascista”.
15
della Carta del Lavoro e di unificare il diritto privato facendo venir
meno la duplicità dei codici
9
.
2. L’unificazione del diritto privato e i principi generali
dell’ordinamento giuridico fascista.
L’avvento dell’ordinamento corporativo con la l. 3 aprile 1926 sulla
disciplina dei rapporti collettivi di lavoro e con l’approvazione della
Carta del Lavoro del 21 agosto 1927, aveva favorito un terreno
d’incontro tra le due tesi che si erano in passato contrapposte: quella
dell’unificazione del diritto delle obbligazioni, sostenuta
originariamente da Vivante
10
, sull’esempio del codice delle
obbligazioni svizzero del 1881
11
, e poi dallo stesso Vivante
abbandonata in considerazione del diverso ritmo dell’evoluzione delle
leggi civili e commerciali
12
, ma ripresa da Rotondi nel 1927 nella
9
Scriverà lo stesso Grandi, in Lavori preparatori del nuovo codice civile (anni 1939
-’41). Progetti preliminari del libro delle obbligazioni, del codice di commercio e
del libro del lavoro, vol. I, Roma, 1942, Prefazione, pag. 4, che la relazione del 27
luglio rappresentò, per le decisioni di governo che ne derivarono, “il momento più
importante dei nostri lavori: essa caratterizza una svolta decisiva e costituisce il
punto di partenza definitivo per il nuovo piano della Codificazione”.
10
Si veda più diffusamente Vivante, Trattato di diritto commerciale, Introduzione, I,
Milano, 1922. Ci basti in questa sede rilevare come la proposta dell’unificazione del
diritto privato fu formulata con particolare vigore da Vivante già nella famosissima
prolusione bolognese del 1887, e successivamente sviluppata e precisata in diversi
scritti (la prolusione bolognese fu pubblicata in Rivista italiana per le scienze
giuridiche, vol. XII). In seguito, l’autore ebbe modo di ritornare sull’argomento,
modificando il proprio pensiero ed accentuando le critiche al carattere “di classe”
del codice di commercio, nello scritto Ancora per un codice unico delle
obbligazioni, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 1892.
In un momento ancora successivo, Vivante arricchì la critica della duplicità di codici
del diritto privato con idee solidaristiche proprio del socialismo giuridico; è di
questa fase lo scritto La penetrazione del socialismo nel diritto privato, discorso
inaugurale all’università di Roma, in Critica sociale, 1902.
11
Nel 1881 veniva promulgato in Svizzera il codice delle obbligazioni il quale in
buona sostanza realizzava l’unificazione del diritto privato, disciplinando tutta la
materia delle obbligazioni e dei contratti, tanto civili che commerciali.
12
I più strenui assertori dell’unificazione ne vedevano la prima giustificazione nella
possibilità di realizzare una effettiva uguaglianza dei cittadini nei rapporti
economici, poiché l’evoluzione economica richiedeva la generalizzazione delle
regole un tempo riservate ai soli rapporti commerciali. Questa idea convince, in un
momento successivo, Vivante, il quale in una intervista al Giornale d’Italia dal
titolo La riforma del diritto privato, riconosceva che le leggi sorte a tutela del
16
critica al progetto di riforma del 1925
13
, e quella sostenuta da Mossa,
tendente ad una ricostruzione del codice di commercio sul fondamento
dell’impresa in senso soggettivo e professionale, sull’esempio del
codice germanico del 1897
14
. Infatti, mentre l’ordinamento corporativo
faceva inclinare la bilancia verso la tesi di Mossa, si vide che anche
una impostazione del codice di commercio sul concetto di impresa
non escludeva che si potesse fare un passo decisivo verso
l’unificazione del diritto delle obbligazioni, attraverso la recezione nel
codice civile delle norme generali sulle obbligazioni commerciali,
contenute nel codice di commercio (commercializzazione del diritto
civile). Di questo orientamento vi è traccia ufficiale nelle Relazioni al
primo convegno del comitato giuridico italo-germanico tenuto a Roma
nel giugno 1938.
Quando pertanto nel settembre del 1939, per iniziativa del ministro
guardasigilli Grandi, i lavori di riforma dei codici ripresero a ritmo
accelerato
15
, il sottocomitato presieduto da Alberto Asquini per il
codice di commercio e quello presieduto da Andrea Ferrara per il libro
delle obbligazioni del codice civile (abbandonato il progetto di un
codice delle obbligazioni italo-francese
16
) provvidero, per prima cosa,
credito potessero estendersi a tutto il consorzio civile, alla luce della profonda
omogeneità della costituzione sociale, in cui le varie classi di cittadini si trovano ad
operare e a lottare per l’esistenza.
13
Si veda più diffusamente M. Rotondi, Studi di diritto commerciale e di diritto
delle obbligazioni, Padova, 1967.
14
Si veda più diffusamente Mossa, Prolusione pisana del 1926, in Rivista di diritto
commerciale, 1926, I, pag. 233. Per qualche notazione, vedi infra, pp. 82 e ss.
15
Nel 1938 era stato promulgato solo il primo libro del codice civile sulle persone e
la famiglia e nel 1939 poté essere promulgato solo il libro II sulle successioni.
16
Il contenuto del progetto di Codice delle obbligazioni e dei contratti italo-francese
del 1927 era quello stesso del progetto del libro delle obbligazioni italiano del 1936,
salvo che per i dieci articoli (artt. 597-516) del progetto italo-francese, concernenti il
contratto di lavoro, non riprodotti nel progetto del 1936. Il progetto del 1936 e,
dunque, il progetto italo-francese furono una buona base per la riorganizzazione
dell’intera materia; tuttavia, considerato nel suo complesso, il testo definitivo del
Libro quarto “Delle obbligazioni” del vigente codice civile italiano, appare molto
più articolato e, culturalmente, di più raffinata fattura, rispetto al testo del progetto
italo-francese. Così, ad esempio, gli istituti della nullità e dell’annullabilità del
contratto, sostanzialmente appena abbozzati nel progetto italo-francese, trovano una
più compiuta, elaborata ed organica disciplina soltanto nel testo definitivo del Libro
quarto del codice civile del 1942.
17
a concertare il trasferimento al codice civile delle norme generali sulle
obbligazioni commerciali contenute nei precedenti progetti di codici
di commercio, conservando tuttavia nel codice di commercio i
contratti tipicamente o naturalmente collegati all’esercizio
dell’impresa commerciale, con la fonte integrativa degli usi, e i titoli
di credito.
Il nuovo progetto di codice di commercio sostituiva al concetto di atto
obiettivo di commercio quello soggettivo di attività organizzata
(professionalmente) ad impresa, ed era diviso in sei libri: 1)
disposizioni generali; 2) società e associazioni commerciali; 3)
contratti commerciali; 4) titoli di credito; 5) procedure concorsuali; 6)
disposizioni penali. Esso fu presentato al ministro guardasigilli, il
quale lo trasmise successivamente alla speciale sottocommissione
legislativa della Camera e del Senato. Gli atti di questa
sottocommissione (verbali e proposte di taluni emendamenti non
sostanziali) furono poi trasmessi ai presidenti delle assemblee
legislative
17
. Contemporaneamente, il progetto fu inviato per un parere
alle università, alla magistratura, agli ordini forensi e alle
organizzazioni sindacali, e malgrado le difficoltà create dalla guerra,
incontrò nella sostanza accoglienza favorevole. Si riaprì però una
ristretta, ma vivace polemica sulla questione pregiudiziale
dell’autonomia del diritto commerciale, sia da parte dei fautori di un
codice unico delle obbligazioni, sia da parte di taluni esponenti politici
fautori di un codice della produzione degli scambi o di un codice
dell’economia corporativa, mentre gli esponenti di taluni interessi
tendevano a far rinviare sine die la riforma.
17
Dai documenti relativi ai lavori parlamentari, risulta che il progetto di codice di
commercio fu presentato al ministro guardasigilli l‘8 giugno 1940 e trasmesso ai
presidenti delle assemblee legislative il 25 ottobre 1940.