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Introduzione
Il sistema industriale italiano è caratterizzato dalla presenza di una miriade di
piccole e medie imprese, molte delle quali localizzate in distretti.
Fino ad oggi i distretti hanno avuto un successo travolgente, tant’è vero che
l’Italia ha conquistato una leadership mondiale proprio nei settori industriali
così organizzati.
La crescita delle esportazioni italiane nei settori del Made in Italy,
caratterizzati appunto dalla piccola dimensione, testimonia la vitalità
competitiva di queste imprese e la loro capacità di muoversi sui mercati
internazionali.
Tuttavia lo scenario che ha consentito la nascita e lo sviluppo del distretto è
oggi mutato e non desta poche preoccupazioni. Si assiste infatti alla crescente
integrazione delle economie che tende ad interessare non più solo l’Europa ma
anche vaste aree regionali internazionali. E’ il fenomeno della globalizzazione
economica che ha come effetti:
- la formazione di un mercato finanziario globale;
- l’aumento dell’incidenza delle nuove tecnologie per lo scambio di beni
e servizi;
- l’iperconcorrenza, ovvero un’accentuata competitività agevolata da
processi di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazioni;
- lo sviluppo di un’informazione che insieme al contemporaneo
progresso dei mezzi di trasporto unifica il mondo per ridurlo alla
dimensione di “villaggio”;
- la perdita di rilevanza dello Stato o del sistema nazionale come punto di
riferimento fondamentale dello scenario economico nel nuovo assetto
globale.
La globalizzazione è una dimensione che crea opportunità, ma può
rappresentare diverse minacce; amplia gli spazi di operatività, che però
rischiano di essere riempiti da soggetti leader aventi posizioni di comando;
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accorcia le distanze ma mette in crisi il ruolo tradizionalmente svolto dalle
cosiddette “reti corte” e di prossimità.
Nel sistema industriale italiano, la densa rete di collegamenti interni, con
limitati canali di interazione verso l’ambiente esterno, ha rappresentato un
elemento distintivo e di valore dei distretti. L’impermeabilità non ha dunque
impedito, ma al contrario sostenuto, la riproduzione del vantaggio competitivo
dei distretti industriali.
D’altra parte, la questione della tenuta competitiva del modello di rete
localizzata chiusa si è riaperta a fronte della crescente globalizzazione dei
processi economici. A tal proposito, è necessario riconoscere che la natura
profonda della globalizzazione consiste nella progressiva estensione a scala
mondiale dei circuiti cognitivi rilevanti per le strategie competitive delle
imprese.
La strategia globale deve dunque consentire all’impresa di partecipare alla rete
globale di circolazione delle conoscenze, in modo che essa possa avere
accesso alla varietà potenzialmente disponibile su scala mondiale e possa
scegliere selettivamente il proprio posizionamento all’interno di questa
varietà.
I distretti italiani hanno da sempre dimostrato una forte presenza
internazionale, essendo dei modelli export-oriented. Nella loro accezione
tradizionale, infatti, i distretti si configuravano come catene di fornitura locali,
chiuse ad apporti esterni nelle fasi a monte e fortemente internazionalizzate,
invece, nelle fasi terminali, di vendita e assistenza al cliente.
Il nuovo contesto competitivo globale rappresenta una sfida per i distretti
industriali italiani in quanto nascono delle reti globali di produzione, di beni e
di conoscenza.
Si impone quindi per i distretti la ricerca di maggiore competitività
internazionale attraverso l’affiancamento ai flussi di esportazione, di strategia
di comunicazione e relazioni stabili con i mercati. In tutto questo va
considerato che, nella costruzione delle reti transnazionali, non vanno persi gli
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elementi di specificità che hanno da sempre contraddistinto le produzioni
locali, anche perché è grazie ad essi che il contesto locale è in grado di far
valere la propria originalità distintiva nel panorama affollato delle varietà
territoriali che entrano in rapporto tra loro.
In particolare, è fondamentale che di fronte allo spinto processo di
globalizzazione i distretti siano in grado di mantenere la propria identità
mantenendo compatto e collegato il sistema
Non c’è dubbio che uno dei principali driver di tutti questi cambiamenti sia la
tecnologia è quindi importante per i distretti accrescere le capacità competitive
a livello globale dando alla forma reticolare un appropriato supporto
tecnologico.
Obiettivo del presente lavoro è la valutazione delle possibilità che hanno le
piccole e medie imprese distrettuali di conquistare e mantenere una posizione
competitiva sul mercato internazionale o globale.
Tale elaborato si propone di analizzare e verificare empiricamente le strategie
e le modalità di apertura internazionale adottate dalle piccole e medie imprese
e in particolare in che modo e misura le strutture di servizi ne supportino il
processo.
Oggetto della riflessione è uno specifico sistema produttivo territoriale: il
distretto bellunese dell’occhiale.
Un distretto questo definito oligarchico, con la presenza di poche realtà di
grandi dimensioni che sono diventate delle vere e proprie global corporation,
acquisendo al contempo il ruolo di leader nel sistema produttivo locale. La
catena e il sistema del valore di queste imprese assumono una configurazione
internazionale. Infatti, le attività e le relazioni che rimangono nel distretto
vengono integrate in un disegno più complesso, che comprende: la
delocalizzazione in varie forme di alcune fasi della filiera produttiva anche se
è questo un processo ancora relativamente modesto, l’insediamento di attività
commerciali nei principali mercati esteri di sbocco, lo sviluppo di relazioni
strategiche con fornitori extra-distrettuali di servizi in attività come
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l’innovazione tecnologica, la progettazione dei prodotti e il design, il
marketing, i servizi finanziari.
A queste poche realtà produttive di dimensioni maggiori si affianca una
miriade di imprese di piccole e medie dimensioni e laboratori artigianali che
svolgono una o poche fasi del processo produttivo.
Tutte le imprese dell’occhialeria hanno collaborato per anni traendo notevoli
benefici dalla condivisione dell’attività. Ma negli ultimi anni l’orientamento
collaborativo sembra essersi incrinato in quanto le grandi imprese hanno
adottato un sistema organizzativo basato sull’integrazione verticale del
processo produttivo rendendosi così sempre più indipendenti dalle piccole
imprese, mettendo in crisi i consolidati equilibri distrettuali.
L’elaborazione della tesi si articola in cinque capitoli.
Nel primo capitolo dopo il richiamo di alcuni cenni teorici che descrivono
quelle che sono le caratteristiche dei distretti industriali e del Made in Italy, si
analizza l’evoluzione del contesto competitivo in modo da inquadrare il
problema di fronte a cui si trovano le imprese distrettuali e le sfide che devono
affrontare per sopravvivere alla globalizzazione. Oltre a questo si propone la
rappresentazione delle differenti forme di penetrazione all’estero delle piccole
realtà produttive distrettuali italiane facendo riferimento al processo di
internazionalizzazione.
Il secondo capitolo è incentrato sulla descrizione del distretto dell’Occhiale.
Dopo aver analizzato l’evoluzione storica del sistema locale si cerca di
descrivere il distretto industriale delineando le caratteristiche del comparto
produttivo e cercando di sottolineare nell’ultimo paragrafo i problemi insiti
nel distretto e i fattori critici di successo che potrebbero rivelarsi fondamentali
nella sfida competitiva che le imprese stanno affrontando.
Nel terzo capitolo l’obbiettivo è quello di dare un’immagine della realtà
attuale sia in termini di contesto competitivo che di posizione del distretto nel
mercato globale. Soprattutto per questo capitolo si è cercato di ricostruire la
scena secondo quanto affermato dagli intervistati, ma non è stato facile
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estrapolare una realtà uniforme in quanto è notevole la discordanza di pareri in
particolare fra soggetti appartenenti alle strutture di servizi da un lato e
imprenditori dall’altro.
Nel quarto capitolo si pone l’attenzione sul ruolo che gli enti e le istituzioni
hanno nel supportare il processo di trasformazione in atto affinché il distretto
rimanga vitale e non muoia sotto il peso della globalizzazione. In particolare si
descrive in questo capitolo il Patto per lo sviluppo del distretto che vuole
essere un importante incentivo per la competitività del distretto.
Infine un ultimo capitolo rivolto ad individuare i servizi offerti dalle nuove
Information & Comunication Technology e analizzare il ruolo che tali
tecnologie rivestono all’interno dei distretti per affrontare con successo la
sfida della globalizzazione. Si cerca poi di delineare il grado di
digitalizzazione dell’occhialeria sottolineando i progetti avviati nel settore
dalle istituzioni interessate.
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CAPITOLO 1
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE
DISTRETTUALI
1.1 Il Distretto Industriale: cenni teorici
Ripercorrendo la storia dello sviluppo dell’Italia durante gli ultimi vent’anni,
si nota subito come le vecchie zone di industrializzazione del Nord Ovest, il
cosiddetto “triangolo industriale” (Milano, Torino, Genova), siano state messe
da parte e lo sviluppo economico abbia interessato via via regioni più
periferiche
1
.
Nei primi anni Settanta, infatti, in conseguenza alla crisi economica,
caratterizzata dal drastico rallentamento dei tassi di crescita, da elevati tassi di
inflazione, dall’instabilità dei tassi di cambio e dalla crisi petrolifera, si
verifica un cambiamento di rotta e dal modello della grande impresa
caratterizzata dalla produzione di massa, si passa ad un’industrializzazione
territorialmente diffusa. Ciò accentua il ruolo delle imprese di piccole
dimensioni, che finora sono state considerate soggetti legati a metodi di
produzione più primitivi e rappresentative di debolezza economica.
1
G. Tattara, “Il piccolo che nasce dal grande”, 2001
12
In questo contesto, le tre aree del triangolo industriale perdono occupazione
industriale mentre le regioni della Terza Italia (Nord Est e Centro), crescono
più rapidamente e riducono le distanze.
Con l’avvento degli anni Ottanta, la grande impresa fordista, considerata come
il motore dello sviluppo economico, entra in declino in quanto è una struttura
troppo rigida per far fronte alla complessità di un sistema economico ricco di
innovazione e sempre più difficile da regolare e cede il passo alla piccola-
media impresa, molto più flessibile, che ormai ha assunto la leadership della
nostra industria manifatturiera.
La caratteristica principale della PMI, responsabile della nuova ondata di
industrializzazione, può essere individuata nella peculiarità della loro forma
organizzativa, che ha trovato nel distretto l’espressione più completa. E’
fondamentale il rapporto che l’impresa ha con il territorio e l’ambiente in cui
nasce ed opera. Tale modello, infatti, tende a svilupparsi essenzialmente dove
esisteva una rete di città di piccola e media dimensione con legami culturali,
sociali e politici molto forti.
Il concetto di distretto industriale si può già intravedere, a cavallo del 1870,
nei contributi pionieristici di Alfred Marshall, il quale, nel suo scritto
Principles of Economics, sulla base dell’esperienza osservata nell’area di
Sheffield (produzione di coltelli), individua un sistema integrato di piccole-
medie imprese organizzate su base locale
2
.
Molti anni dopo, una nuova accezione di distretto viene introdotta da
Becattini, il quale rivalutando i concetti marshalliani dà vita ad un vero e
proprio filone interpretativo focalizzato sul concetto di “area produttiva” ed
elabora una definizione secondo la quale il distretto industriale è, “un’entità
socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area
2
I distretti industriali hanno origini che risalgono a parecchi secoli fa. La tendenza alla concentrazione
in un ambito territoriale molto circoscritto di attività similari o complementari è infatti, tuttora
osservabile, nella toponomastica delle strade di alcune città del centro e del nord Italia (esempio a
Bologna troviamo le varie Via Drapperie, Via degli Orefici, Via Calzolerie etc.). A. Pezzi, E. Duch, “I
distretti industriali di fronte alla sfida della globalizzazione: sono in grado di apprendere da altre
realtà?”, Small Business/Piccola Impresa n.2, 2000
13
territorialmente circoscritta naturalisticamente e storicamente determinata, di
una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali”
(Becattini, 1989).
Il termine distretto industriale è, sempre più spesso, inteso nella letteratura
recente come indicativo di un’agglomerazione di piccole imprese, di norma
specializzate per prodotto, parti di prodotto o fasi di processo, tenuta insieme
da vincoli interpersonali, dalla comune cultura sociale dei lavoratori,
imprenditori e politici e avvolta da un’ “atmosfera industriale”, che fa
circolare l’informazione, agevola la formazione professionale, facilita la
diffusione dell’innovazione, generando importanti flussi di economie esterne
all’impresa, ma interne al sistema locale
3
.
Ciò che affascina nei distretti è questa densità relazionale fra popolazioni,
imprese e storia del territorio, una interdipendenza che se, da un lato comporta
una crescente competitività nei mercati finali, dall’altro si accompagna ad una
progressiva collaborazione all’interno della catena del valore, ovvero nella
filiera produttiva, riproponendo in chiave nuova e strategica il rapporto tra
collaborazione e competizione
4
. In pratica, le interrelazioni e i legami che si
stabiliscono tra le organizzazioni e gli operatori economici che sussistono su
uno stesso territorio ne accrescono il vantaggio competitivo. Per capire quindi
i fattori che stanno alla base del moltiplicatore di competitività dei sistemi
produttivi locali, non si può prescindere dal considerare le economie esterne
alle imprese ma interne al distretto. Il successo di questi sistemi è dovuto a
svariati caratteri strutturali quale, l’elevato grado di divisione del lavoro tra i
diversi operatori appartenenti alla filiera produttiva che porta alla
massimizzazione delle economie di scala e quindi a una riduzione dei costi di
produzione e a una maggiore flessibilità delle imprese; la facilità e la
frequenza nei rapporti tra i diversi attori del sistema, che producono un
3
F. Dallari, “Il distretto industriale tra spazio e territorio”, dispense di Geografia Applicata
4
Eurobic Dolomiti, “Subfornitura e distretti industriali: gli strumenti per una riqualificazione”, Atti
del Convegno febbraio 1998
14
altissimo grado di diffusione delle informazioni e di conoscenze
5
, che
consentono a loro volta la trasmissione a cascata dei fenomeni innovativi (fig.
1); la presenza di lavoratori altamente qualificati e specializzati lungo l’intera
filiera produttiva; una diffusa cultura industriale che si autoalimenta nel tempo
e che riduce i costi di transazione e di riproduzione del lavoro. Infine, un
sistema di connessioni a monte e a valle che conferisce al distretto industriale
in quanto tale un certo grado di potere di mercato come acquirente o fornitore
(reti e relazioni commerciali, un’immagine locale etc.)
6
.
Agli inizi degli anni Novanta, il peso e la portata nello sviluppo territoriale dei
distretti industriali è ormai tale, che si rende necessario un riconoscimento
giuridico, il quale viene presentato per la prima volta in Italia con la legge n.
317 del 5 ottobre 1991, nell’ambito di una serie di interventi per l’innovazione
e lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Il legislatore, attraverso la
definizione giuridica di distretto industriale, vuole creare un orientamento
territoriale nell’applicazione delle politiche industriali.
L’articolo 36 della suddetta legge, definisce i distretti industriali come, “aree
territoriali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con
particolare riferimento al rapporto tra le presenze delle imprese e la
popolazione residente, nonché alla specializzazione produttiva dell’ insieme
delle imprese”. Inoltre, la competenza in merito all’individuazione delle aree è
attribuita alle regioni nell’osservanza degli indirizzi e parametri di riferimento
fissati dal successivo Decreto del Ministero dell’Industria Commercio ed
Artigianato del 21 aprile 1993.
5
Il sapere tacito è quello che nasce dall’esperienza e utilizza risorse disponibili “gratuitamente” in
loco come le tradizioni, la cultura locale, le relazioni basate sulla conoscenza personale e la fiducia
reciproca, e questo è anche quello che rende specifica, distinta, riconoscibile una produzione locale.
Tale conoscenza deve imparare a convivere con il sapere codificato che è quello che consente di
uscire dallo spazio angusto del sistema locale e di interloquire con clienti e fornitori lontani.
Consorzio A.A.S.T.E..R, “Rapporto sui principali distretti industriali italiani”
6
L.F. Signorini (a cura di), “Lo sviluppo locale. Un’indagine della Banca d’Italia sui distretti
industriali”, 2000