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INTRODUZIONE
Con il notevole aumento della produzione di energia da fonte solare che si è avuto negli
ultimi dieci anni in Europa ed in particolare in Italia, è cresciuta la sensibilità da parte
dell’opinione pubblica nei confronti delle problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti
fotovoltaici.
L’EPIA (European Photovoltaic Industry Association) e PV Cycle (consorzio europeo per il
ritiro e recupero dei moduli fotovoltaici) stimano che in Europa dal 2030 in poi ci saranno oltre
10.000 tonnellate all’anno di rifiuti fotovoltaici da smaltire in un crescendo che porterà ad avere
dal 2040 in poi oltre un milione di tonnellate di moduli da smaltire ogni anno [1] [2].
La Comunità Europea ed i singoli stati membri sono impegnati a regolamentare tempi e
modalità di intervento mentre il mondo scientifico da qualche anno è interessato allo sviluppo
di processi industriali di recupero altamente efficienti.
In questo contesto si inserisce il presente lavoro di tesi durante il quale è stato affrontato il
problema dello smaltimento e riciclo dei moduli fotovoltaici dismessi con l’obiettivo di
individuare processi chimico-fisici di trattamento e recupero originali che abbiano il minimo
impatto ambientale ed economico.
L’80% dei moduli fotovoltaici installati fino alla fine del 2012 si basa su tecnologia al silicio
cristallino e tali moduli sono costituiti da uno strato di celle solari racchiuse tra due strati di
sigillante plastico (generalmente Etil Vinil Acetato) sul quale vengono fissati il vetro di
protezione anteriore e lo strato plastico di protezione posteriore (generalmente Polivinilfluoruro
- Tedlar). Questa struttura a “sandwich” è infine racchiusa in una cornice di profilati metallici.
In un pannello solare, oltre a materiali come il vetro, l’alluminio ed il silicio, troviamo anche
discrete quantità di argento, rame e stagno, usati per la realizzazione dei contatti metallici sui
quali viene raccolta l’energia elettrica prodotta per effetto fotoelettrico. Il recupero in alte
percentuali di tutti questi materiali oltre ad offrire la possibilità di ridurre di un terzo i costi di
produzione dei nuovi dispositivi fotovoltaici con il riutilizzo delle materie prime recuperate [3],
riduce notevolmente la quantità di rifiuti smaltiti in discarica.
Oggi in Europa, le circa 3000 tonnellate annue di moduli fotovoltaici scartati perché difettosi
o danneggiati durante le operazioni di trasporto e installazione, vengono smaltite nella
maggior parte dei casi o attraverso frantumazione e deposito in discarica o con processi di
incenerimento dai cui residui, grazie ad un processo chimico vengono recuperate piccole
percentuali di silicio e metalli preziosi.
Nel presente lavoro di tesi sono state esaminate due nuove metodiche per il
disassemblaggio di un modulo fotovoltaico nelle sue parti costituenti, attualmente in fase di
studio e perfezionamento.
Il primo approccio sviluppato dal Laboratorio di Elettrotermia del Dipartimento di Ingegneria
Industriale dell’Università di Padova [4] consiste nel trattamento di un modulo fotovoltaico con
un campo elettrico alle radiofrequenze al fine di generare al suo interno riscaldamento
dielettrico e permettere cosi il distacco manuale del vetro di protezione ed il recupero delle
celle solari intatte. Lo studio della metodica, in questo lavoro di tesi, viene condotto attraverso
una simulazione numerica con il software CST Microwave Studio che riproduce le condizioni
sperimentali dell’Università di Padova.
Introduzione
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Il secondo approccio, descritto in un articolo del 2011 da alcuni ricercatori del Dipartimento
di Ingegneria Energetica dell’Università Nazionale di Kangwon in Corea [5], consiste nella
dissoluzione dell’EVA all’interno di un modulo fotovoltaico immerso in solventi organici e
sottoposto a trattamento ultrasonico. Per lo studio di questa seconda metodica, nel presente
lavoro di tesi, sono stati effettuati test sperimentali presso i laboratori dell’ENEA di Portici,
durante i quali è stato possibile osservare i diversi effetti sull’EVA al variare della densità di
potenza di radiazione ultrasonica, concentrazione e tipo di solvente e tempo di irraggiamento.
Nel Capitolo 1, dedicato ai dispositivi fotovoltaici e al problema del loro smaltimento,
vengono descritti il principio di funzionamento di una cella solare e i passaggi fondamentali per
la produzione di un pannello solare. Infine viene effettuata una rapida panoramica dello stato
dell’arte in Europa relativo al problema del riciclaggio di moduli.
Nel Capitolo 2 viene presentata una descrizione teorica delle due metodiche oggetto di
studio, e cioè delaminazione con riscaldamento dielettrico e dissoluzione dell’EVA tramite l’uso
degli ultrasuoni in solventi organici. Quindi vengono descritti gli apparati sperimentali utilizzati
dai due gruppi di ricerca e i risultati sperimentali da loro ottenuti.
Nel Capitolo 3 vengono descritti il modello elaborato per la simulazione numerica effettuata
mediante un codice di calcolo dedicato (CST Microwave Studio) e l’apparato sperimentale
utilizzato all’ENEA. Infine, vengono presentati e discussi i risultati ottenuti che confermano la
fattibilità dell’impiego delle due tecniche proposte in letteratura e che possono rappresentare
una base per il loro futuro trasferimento tecnologico.
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CAPITOLO 1 :
I dispositivi fotovoltaici
1.1 - L’effetto fotoelettrico
L’effetto fotoelettrico consiste nell’emissione di elettroni da parte di un materiale sottoposto
a radiazione elettromagnetica avente una certa frequenza.
L’effetto fotovoltaico, invece, è il fenomeno fisico che si verifica quando un elettrone, detto
elettrone di valenza, interagisce con un fotone la cui energia gli permette di liberarsi,
diventando così un elettrone in grado di condurre la corrente elettrica, quindi un elettrone di
conduzione. Si dice che gli elettroni di valenza appartengono alla banda di valenza e quelli di
conduzione alla banda di conduzione. Le bande sono gli intervalli di energia che caratterizzano
gli elettroni (Figura 1).
Figura 1. - Distinzione dei materiali in tre classi a seconda delle loro proprietà
elettriche.
Tra la banda di valenza (ad energia inferiore) e la banda di conduzione (ad energia
maggiore) esiste una banda intermedia, detta banda proibita o energy gap, che non può
essere occupata: gli elettroni devono necessariamente avere energia minore (e
-
di valenza) o
maggiore (e
-
di conduzione) rispetto all’intervallo proibito.
Nei semiconduttori la banda proibita ha un valore moderato ed è quindi possibile, fornendo
energia agli elettroni, il loro salto da una banda all’altra.
Il semiconduttore attualmente più diffuso nell’industria dell’elettronica e delle celle
fotovoltaiche è il silicio; il grande successo di questo materiale è da ricercarsi in una serie di
fattori favorevoli, primo fra tutti la curva di efficienza quantica del silicio, in grado di coprire una
buona parte dello spettro solare. Il silicio è inoltre il secondo elemento più abbondante, dopo
l’ossigeno, nella crosta terrestre.
Secondo quanto riportato in Tabella I, i fotoni aventi un’energia di almeno 1.11 eV incidenti
su un bersaglio di silicio a 300 K hanno probabilità non nulla di far passare gli elettroni della
banda di valenza nella banda di conduzione.
Capitolo 1 – I dispositivi fotovoltaici
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Tabella I. - Valori dell'energy gap di alcuni dei semiconduttori più diffusi, calcolati ad una temperatura di 300 K [6].
Materiale Simbolo Energy gap [eV] a 300 K
Germanio Ge 0.67
Silicio Si 1.11
Telloruro di Cadmio CdTe 1.49
Solfuro di Cadmio CdS 2.42
L’energia necessaria per passare dalla banda di valenza a quella di conduzione può essere
fornita ad un elettrone non solo da un fotone ma anche dall’agitazione termica del
semiconduttore stesso: maggiore è la temperatura, maggiore è la probabilità per un elettrone
di passare alla banda di conduzione. Questo fenomeno si verifica a qualsiasi temperatura
maggiore dello zero assoluto. Precisamente il quadrato della concentrazione di elettroni di un
semiconduttore intrinseco che si trovano in banda di conduzione è
0
/
23 gB
E k T
i
n BT e
dove n
i
è la concentrazione dei portatori di carica, B una costante indipendente della
temperatura ed E
g0
l’energy gap calcolata allo zero assoluto. Ad esempio nel silicio, a 300 K, il
numero di elettroni di conduzione per unità di volume (o concentrazione di portatori) è circa
1.1 · 10
10
cm
-3
. Pur essendo questo un numero molto grande, è solo una piccola frazione della
concentrazione degli atomi di silicio, che è circa 5·10
22
cm
‒3
.
E’ possibile modificare la concentrazione dei portatori di carica di un semiconduttore
introducendo nel semiconduttore stesso delle impurità. Il silicio (così come il germanio)
appartiene al gruppo IV della tavola periodica. Inserendo, tramite tecniche opportune, degli
elementi del gruppo III o del gruppo V al posto di atomi di silicio, si modifica la struttura
cristallina del materiale e, cosa ben più importante, si modifica anche la struttura delle bande
del semiconduttore (Figura 2).
Figura 2. - A sinistra, schema dei legami covalenti formati degli atomi di silicio nella configurazione
cristallina. A destra, drogaggio del silicio con due atomi del gruppo III (boro).
L’operazione di inserimento di impurità in un materiale prende il nome di drogaggio. Gli
elementi droganti del silicio e del germanio usati più frequentemente sono:
A. Gruppo III (accettori): boro, alluminio, gallio
B. Gruppo V (donori): antimonio, fosforo, arsenico