ABSTRACT
La domanda di rating sovrani è cresciuta notevolmente a seguito della globalizzazione dei
mercati e della apertura delle frontiere agli scambi. Le ultime crisi economico-finanziarie,
tuttavia, hanno messo in dubbio la capacità delle agenzie di rating presenti sul mercato di
discriminare adeguatamente la bontà del merito creditizio dei Paesi ed hanno sollevato
preoccupazioni circa la loro trasparenza ed integrità. Evidenti sono stati i segnali di risposta da
parte dei regolamentatori, includenti, tra l’altro, in Europa la proposta di costituire una agenzia di
rating europea. Utilizzando i rating delle principali agenzie come riferimento, questo studio
analizza lo schema di attribuzione dei rating da parte di una agenzia di rating sovrano
internazionale non-profit, dall’acronimo INCRA. Si utilizza un campione di circa settanta Paesi;
si evidenziano i punti di contatto tra gli indici proposti da INCRA e quelli delle agenzie e si
esaminano, con un modello multivariato, le determinanti del rating sovrano delle principali
agenzie. I risultati sottolineano il peso delle valutazioni qualitative nell’assegnazione del rating,
oltre ad indicare quali delle variabili usate da INCRA sembrano già considerate nei Local
Currency Rating delle agenzie. Il modello costruito a partire dagli indici di INCRA per replicare i
rating di mercato non sembra essere, tuttavia, uno strumento di previsione sufficientemente
buono.
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INTRODUZIONE
Negli ultimi anni una forte attenzione è stata dedicata al ruolo che le agenzie di rating
hanno nei mercati finanziari. La forte espansione dei mercati stessi, a partire dagli anni ’70, ha
portato le agenzie sul podio degli attori influenti nelle decisioni di investimento, e, allo stesso
modo, ha determinato una più ampia attenzione al tema dell’attribuzione del rating anche da parte
dei regolatori. Le crisi finanziarie degli ultimi venti anni, hanno sollevato numerosi dubbi circa il
fatto che le Credit Rating Agencies (CRA) fossero realmente operatori indipendenti, come esse
non mancavano di sottolineare, ed ha alimentato le polemiche sulla loro struttura, sul loro operato
e sulle metodologie utilizzate per la determinazione dei rating; vari problemi nell’industria del
rating sono stati evidenziati, tra cui le alte barriere all’ingresso che rendono il mercato, nei fatti,
un oligopolio, il rischio di conflitto di interesse derivante dalla struttura azionaria delle agenzie e
della loro governance, oltre che dal modello attuale di remunerazione (cosiddetto modello issuer-
pays). Non ultime, sotto accusa sono entrate le metodologie di giudizio adottate dalle “Big
Three” (Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings) che controllano da sole il 95% del mercato
e che influenzano con i loro giudizi in modo significativo le scelte di investimento dei diversi
operatori.
La crisi degli ultimi anni, e tutti i dubbi che la stessa ha fatto emergere sul ruolo e l’operato
delle agenzie, ha scatenato la forte attenzione da parte dei regolatori, sia in USA che in Europa, a
voler disciplinare quanto più possibile l’industria, in modo da ridurre l’opacità e permettere che il
ruolo delle CRA torni ad essere quello di facilitatori che operano per ridurre l’asimmetria
informativa, piuttosto che amplificatori della crisi. Allo stesso tempo, è nata la proposta di creare
una agenzia europea, la quale purtroppo non ha ricevuto al momento una votazione favorevole
per via dell’ingente impegno finanziario che sarebbe necessario per il suo start-up e della
mancanza di un modello ben definito secondo il quale la stessa dovrebbe assegnare i rating.
In modo parallelo a quanto fatto dai regolatori europei, la Fondazione Bertelsmann ha
condotto uno studio per la creazione di una agenzia non-profit indipendente per il rating degli
Stati Sovrani, con piena disclosure degli indicatori utilizzati, ma soprattutto con enfasi su
variabili finora poco considerate dalle “tre sorelle” o comunque non ben definite nei modelli
valutativi di queste ultime; la critica sembra aver accettato bene tale proposta e spinge perché la
stessa possa essere considerata nel prossimo G20 come alternativa per ridurre i problemi delle
CRA.
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Il presente lavoro di tesi ha un obiettivo duplice:
1. Valutare il grado di applicabilità del modello INCRA nella definizione del Local
Currency Rating di un campione di Paesi ed indagare i motivi alla base delle differenze
con i rating Sovrani attribuiti dalle principali agenzie.
2. Individuare, nell’ampio spettro degli indicatori proposti da INCRA, quelli che sembrano
essere già incorporati nei rating delle maggiori CRA.
Nella prima sezione della tesi si parlerà dell’avvento delle agenzie di rating sul mercato e
del ruolo che le stesse hanno assunto col tempo. Il capitolo si conclude con un approfondimento
sul tema dei rating sovrani, delineandone gli aspetti principali ed individuando l’impatto degli
stessi sul mercato, tramite una approfondita analisi della letteratura rilevante.
Il secondo capitolo presenta inizialmente le informazioni relative agli studi più importanti
sulle determinanti del rating delle agenzie; si analizzano, successivamente le pubblicazioni
ufficiali delle stesse circa le metodologie di rating sovrano. In seguito viene introdotto il modello
INCRA, fornendo una visione chiara del progetto della Fondazione Bertelsmann, sia per quanto
riguarda la struttura che l’agenzia dovrebbe assumere, sia con riferimento al nuovo set di indici
che la stessa utilizzerebbe per la conduzione dell’analisi di rating.
Nel terzo capitolo, infine, si definisce lo schema di analisi adottato per rispondere alle due
domande di ricerca sopra elencate e si presentano i risultati dell’indagine. In particolare, si
riportano i rating attribuiti secondo lo schema INCRA ad un campione di 73 Paesi, sviluppati e
non, oltre a mostrare i risultati dell’analisi di regressione condotta usando i Local Currency
Rating ad essi attribuiti da parte delle principali CRA. Il capitolo si chiude con le conclusioni
circa i risultati trovati e fornisce spunti di ricerca per il futuro sull’argomento.
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CAPITOLO 1
Mercati finanziari ed agenzie di rating
1.1 I mercati finanziari come contesto di riferimento
Negli anni cinquanta Kennet Arrow, futuro premio Nobel per l’economia, diede una
definizione di mercati finanziari che contribuì a descrivere i principi base della allocazione delle
risorse da parte degli investitori. Secondo l’autorevole economista, considerato come uno dei
fondatori del neoclassicismo moderno, “i mercati finanziari rappresentano istituti atti a
contrattare attività finanziarie che consentono di ottenere determinati flussi di cassa futuri e che
devono essere selezionate dagli individui per formare portafogli in grado di produrre le risorse
necessarie, proprio negli scenari in cui gli individui hanno maggiormente bisogno delle risorse”
(Arrow, 1951).
Lo scopo di un mercato finanziario, secondo tale definizione, è dunque quello di agire da
intermediario per consentire ad individui, istituzioni, imprese o, in un ottica più generica,
risparmiatori, di compiere le scelte circa l’allocazione delle risorse a disposizione, sotto il vincolo
di dover comunque consumare per sopravvivere. D’altro canto, non è possibile nascondere che
gli individui non operano tutti alla stessa maniera; nella realtà, infatti, non è difficile notare come
alcune imprese o individui non guardino ai fondamentali teorici nel compiere le loro scelte di
investimento, puntando al contrario ad ottenere guadagni di breve termine, magari speculando sul
mercato grazie ad informazioni riservate, o che comunque non sono state ancora incorporate nei
prezzi delle attività che essi contrattano.
Grossman e Stiglitz (1980) evidenziarono, però, come i prezzi non possano riflettere
correttamente tutta l’informazione disponibile; ci troveremmo, altrimenti, nella situazione di
paradosso nella quale nessuno avrebbe più interesse a raccoglierla, visto che non sarebbe
possibile ottenere un profitto da essa. Tuttavia è proprio tale informazione sulle opzioni di
investimento disponibili che spinge gli individui a domandare o meno un asset finanziario, ed è
tale domanda che influenza i prezzi degli strumenti stessi; ne deriva una situazione in cui i prezzi,
per loro stessa natura, deviano dai valori che normalmente verrebbero considerati come corretti
(sulla base di una teoria razionale delle scelte degli investitori), anche in situazioni di mercati
efficienti. Tutto ciò naturalmente a meno che si voglia accettare la situazione nella quale non vi è
alcun incentivo ad ottenere informazioni e di conseguenza alcuna necessità di un giudizio circa il
valore e l’appropriatezza della scelta di investimento, come potrebbe essere, ad esempio, un
giudizio di rating.
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I mercati hanno visto negli anni recenti una fase considerevole di integrazione, sia a livello
europeo che internazionale. Gli interventi di coordinamento tra gli operatori, gli istituti
intermediari nella gestione del risparmio e le piattaforme di scambio vere e proprie, intese come
mercati, hanno avuto diversi ordini di conseguenze (Draghi, 2006):
Gli operatori hanno potuto sfruttare economie di scala, riducendo i costi di accesso ai
mercati.
Sono aumentate le possibilità di diversificazione degli investimenti tramite l’accesso a
strumenti di debito e di capitale anche esteri.
La stabilità del sistema, almeno in linea di principio è aumentata, così come la capacità
di assorbimento degli shock.
Tuttavia, come abbiamo potuto vedere nel 2008, l’instabilità, prima considerata possibile,
ma molto limitata, è esplosa. Una delle cause dell’effetto moltiplicativo della crisi dei mutui sub-
prime è da ricercarsi proprio nella accresciuta integrazione tra i mercati che si era realizzata
prepotentemente, sull’onda delle riforme legislative di regolazione degli operatori (vedi gli
interventi di Basilea, o i sistemi di regolamentazione denominati Target I e II per la gestione della
liquidità messi in piedi in Europa), dallo sviluppo continuo delle tecnologie informatiche che
hanno velocizzato la diffusione delle informazioni, e dai molteplici ruoli svolti da ciascun
intermediario operante sul mercato.
In questo contesto, un ruolo rilevante è stato svolto anche dalle agenzie di rating, accusate
dalla stampa di non essere state in grado di prevedere cosa sarebbe di lì a poco successo nel
settembre del 2008; anzi, il loro giudizio più che positivo sugli strumenti emessi e negoziati da
Lehman Brothers non ha fatto altro che mettere in dubbio la loro capacità di guidare il mercato,
spingendo verso una concezione delle stesse di tipo “lag”, piuttosto che “lead”: un modello nel
quale le agenzie sono in grado soltanto di certificare le scelte compiute dal mercato, invece di
condizionarle.
L’ingente lavoro svolto dalle autorità sovranazionali allo scopo di favorire quanto più
possibile l’integrazione tra i mercati mondiali non ha avuto completamente gli effetti sperati.
Difatti, alcune delle motivazioni che hanno determinato la crisi del 2007-2008 sono da ricercarsi
tra le righe precedenti: (I) il desiderio di ottenere profitti a tutti i costi che ha portato alla
cartolarizzazione di così tanti prestiti, retti soltanto da una garanzia temporanea (considerando gli
andamenti mutevoli dei mercati) quale il valore delle case; (II) il collegamento mondiale tra
operatori e mercati che ha dato vita a forme alternative di investimento; (III) l’incapacità, a volte,
di organizzazioni come le agenzie di rating di fornire informazioni puntuali al mercato sulla
condizione economica reale dei soggetti, oltre che (IV) lo spettro eccessivo di ruoli ricoperti da
ciascuna istituzione.
Non è quindi possibile, come abbiamo visto, trascendere dall’analisi del comportamento
delle agenzie di rating alla luce delle pesanti critiche che ad esse sono state rivolte dal pubblico