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INTRODUZIONE
Il presente lavoro di tesi si prefigge il compito di analizzare – concentrandosi su un arco
temporale abbastanza ristretto, compreso tra la fine degli anni Novanta ed i giorni nostri –
in quale maniera il cinema italiano contemporaneo affronti il tema della diversità e
dell’esclusione sociale.
Essendo, a nostro avviso, una tematica variegata e complessa, che molto spesso viene
principalmente connessa al problema dell’immigrazione, andando così a trascurare altri
aspetti, la nostra analisi sarà perciò trasversale, ossia andrà a considerare alcuni film che
trattano l’argomento da diversi punti di vista, portando alla luce problematiche varie che si
intrecciano tra loro: l’emarginazione e la difficoltà di inserimento degli esclusi nella
società (di cui si parlerà in Terra di mezzo e ne La bocca del lupo), l’alienazione (tema
portante di Estate romana e di Giulia non esce la sera), il problema dell’identità
(argomento trattato in Tornando a casa), il rifiuto di aderire a canoni standardizzati
(Respiro, Centochiodi e Il passaggio della linea), il disagio familiare (Nemmeno il
destino), il bullismo ed il conseguente disagio sociale (La solitudine dei numeri primi),
l’isolamento da parte della comunità e la paura del diverso (Il vento fa il suo giro).
La scelta dei film da prendere in esame non è stata priva di difficoltà, in quanto le variabili
esistenti erano molte; ad un primo sguardo le pellicole analizzate nel presente lavoro
potrebbero sembrare disomogenee, ma, ad un’analisi più approfondita, si potrà notare
come siano invece collegate dal medesimo filo rosso.
L’esclusione sociale e la diversità hanno aspetti multiformi e sfaccettati e non possono
essere rapportate esclusivamente ad un problema economico; per fare un esempio, lo
scrittore Guido Montani, co-protagonista di Giulia non esce la sera, appartiene alla
borghesia romana, ma è, a suo modo, un “diverso”, in quanto non si piega alle rigide,
macchinose e opportunistiche leggi dell’editoria, fatte anche di feste patinate e di finti
sorrisi.
Si allontana dunque dal suo sterile, ovattato e agiato mondo, per avvicinarsi ad un altro,
assai lontano dal proprio, ma che è in grado di offrirgli molto, a livello umano e
sentimentale.
Si autoesclude da un determinato ambiente, disinteressandosi di premi letterari e logiche di
mercato, per arrivare ad affermare che il successo non lo riguarda: è in cerca di esperienze
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umane autentiche, che la ricchezza e l’agiatezza che lo circondano non sono più in grado
di offrirgli.
Troverà tutto ciò in Giulia, detenuta in semilibertà.
Essendo io entrata in contatto con l’ambiente carcerario – in quanto sto partecipando ad un
workshop di cortometraggi presso la Casa di Reclusione di Milano-Bollate, organizzato
dalla Cooperativa Sociale E.s.t.i.a. – sono riuscita a guardare questo film con occhi diversi,
rilevando, ad esempio, aspetti che prima non avevo colto, come il particolare rapporto che
lega la protagonista di Giulia non esce la sera ad una guardia carceraria donna, la quale
conosce molto bene la ragazza e ha nei suoi confronti un atteggiamento quasi protettivo.
L’aver potuto compiere questa interessante esperienza mi ha permesso quindi di notare
alcuni particolari non trascurabili di entrambi i film – analizzati nel presente lavoro – che
trattano tematiche carcerarie, quali, appunto, Giulia non esce la sera e La bocca del lupo
di Pietro Marcello, pellicola che narra invece la storia di Enzo Motta e Mary Monaco, una
coppia formatasi dietro le sbarre, che, una volta tornata alla vita, fatica a ritagliarsi un
proprio spazio nel mondo.
L’esclusione sociale però, come abbiamo già affermato, non è un problema che riguarda
solo gli strati meno agiati della società.
Basti pensare ad Alice e Mattia, protagonisti de La solitudine dei numeri primi, ragazzi
appartenenti a famiglie della media borghesia, ma entrambi alienati, soli, diversi.
Oppure ad Arturo Nicolodi, europeista novantenne, figura principale de Il passaggio della
linea, persona un tempo benestante, ora “senza una lira” e residente sui treni a lunga
percorrenza, in nome di una libertà e di un anticonformismo che ha difeso fin da giovane.
Non possiamo comunque esimerci dal riservare uno sguardo al problema
dell’immigrazione e della difficoltà di integrazione degli stranieri nel nostro paese; le
suddette tematiche sono affrontate in Terra di mezzo di Matteo Garrone ed in Tornando a
casa di Vincenzo Marra.
Il capitolo iniziale del presente lavoro trae spunti da diversi testi ed è dedicato alla
psicologia sociale della differenza ed alle teorie riguardanti pregiudizi e stereotipi, alla
teoria dell’identità sociale e dell’autocategorizzazione; analizza, inoltre, gli effetti della
categorizzazione, la “profezia autoavverantesi” e “l’effetto Pigmalione”, la
problematizzazione dell’outgroup e l’ingroup, il multiculturalismo ed infine il bullismo
scolastico.
Nel secondo capitolo tracceremo, invece, una panoramica del cinema italiano
contemporaneo, andando a mettere in luce gli elementi di forza e di novità ed i punti di
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debolezza dello stesso, senza trascurare gli aspetti legati all’innovazione digitale e quelli
più propriamente produttivi.
I paragrafi a seguire analizzeranno, riportando anche commenti di critici cinematografici, i
film succitati, corredati delle immagini relative alle sequenze a nostro avviso più
significative.
Non avendo pretese di esaustività, la ricerca si è concentrata su un numero limitato di
pellicole per non risultare dispersiva e per poter approfondire, infine, in maniera più
dettagliata, Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, cui è dedicato il terzo ed ultimo
capitolo.
L’opera di Diritti tratta, senza fare sconti a nessuno, la paura del “diverso” e l’odio che ne
consegue; è interessante il fatto che il pastore, protagonista della pellicola, non provenga
dal “sud del mondo”, ma sia un francese, “cugino” dunque dei suoi nuovi compaesani
piemontesi e quindi non lontano, per etnia e cultura, dagli stessi.
Vedremo in che modo questa comunità montana si rapporterà con la diversità e quali
saranno le conseguenze dei comportamenti messi in atto, che innescheranno una reazione a
catena.
Il cinema svolge l’importante compito sociale di veicolare queste problematiche sul grande
schermo e di far sì che le persone si sensibilizzino a riguardo; i film presi in esame
possono dunque aprire spiragli di discussione e di confronto reciproco.
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CAPITOLO 1
LE DIVERSITÀ CULTURALI E L’ESCLUSIONE SOCIALE
1.1. PSICOLOGIA SOCIALE DELLA DIFFERENZA
In questo primo capitolo cercheremo di fare chiarezza riguardo al concetto di diversità
culturale e ci domanderemo che cosa la psicologia sociale possa suggerirci in merito alle
società culturalmente diverse in cui viviamo.
È da non sottovalutare il fatto che la diversità culturale racchiuda molteplici aspetti.
La psicologia sociale si occupa di indagare le relazioni tra l’individuo e la società, quindi
in che termini le persone elaborino la propria realtà sociale, cosa motivi le loro azioni ed
in che misura le persone e i gruppi si influenzino tra loro; in sintesi, in che modo le
persone subiscano influenze da parte della società ed in che modo a loro volta la
trasformino.
1
Come afferma Serge Moscovici (2000), il campo di indagine della psicologia sociale
riguarda soggetti sociali, ossia gruppi e individui che creano la loro realtà sociale, si
controllano reciprocamente, formano legami di solidarietà e percepiscono differenze; le
ideologie sono i loro prodotti, la comunicazione è il loro mezzo di scambio e di consumo
e il linguaggio è la loro moneta.
2
La psicologia sociale quindi si prefigge il complesso obiettivo di indagare il conflitto
esistente tra l’individuo ed il sociale.
Prima di proseguire, dovremmo cercare di definire il concetto di cultura, del quale sono
state date svariate definizioni.
Spesso viene associato al comportamento, proprio perché il nostro comportamento è
un’espressione della nostra cultura, dunque essere parte di una cultura implica avere
comuni sistemi di comprensione del mondo.
3
È rilevante mettere in evidenza il fatto che i modelli psicologici hanno, per la maggior
parte, avuto origine in contesti europei o nord americani e che quindi per forza di cose
risentono di un determinato clima culturale.
1
X. CHRYSSOCHOOU, Diversità culturali. Psicologia sociale della differenza, a cura di C. VOLPATO, Utet
Università, Torino, 2006, p. XVI.
2
Ibidem.
3
Ibi, pp. XIX-XX.
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La cultura potrebbe essere vista come un prisma dalle molteplici facce, ma in questa sede
sceglieremo di considerarla come il risultato dell’interazione tra l’individuo e il sociale;
dunque il termine “cultura” implicherà l’esistenza di significati, modi di intendere e
pratiche condivise.
Condividere una cultura presuppone un comune modo di relazionarsi con l’ambiente
sociale e fisico, di istituzionalizzare le relazioni, di comunicare stati d’animo, di attribuire
valori.
In sintesi, condividere una cultura significa condividere lo stesso sguardo sul mondo e sui
suoi meccanismi ed esserne consapevoli.
Tuttavia, ciò non determina il fatto che si verifichi da parte delle persone un’omogeneità
di approccio alla società.
Ciò che è rilevante per la psicologia sociale non è quante persone abbiano un modo di
rapportarsi alla realtà sociale simile al nostro, ma il credere che altre persone condividano
le nostre idee.
L’idea che altri abbiano pensieri affini ai nostri rafforza le nostre credenze e le rende
molto più efficaci, oltre a conferirci un senso di fratellanza intellettuale.
Le persone appartenenti al medesimo clima culturale condividono sistemi comuni di
categorizzazione sociale, comuni modi di intendere le relazioni di queste categorie e
queste ultime si arricchiscono di significati all’interno dei contesti culturali.
L’aspetto saliente della cultura consiste nel permetterci di saggiare le relazioni che
abbiamo intrecciato col mondo, oltre alla convinzione secondo la quale questa forma
mentis è condivisa dagli altri.
La cultura permette di incasellare le persone all’interno di categorie ben precise e sancisce
l’appartenenza ad una comunità di persone con simile mentalità.
Quando abbiamo a che fare con l’«Altro» ecco che ci si presenta un’alternativa, una sfida
al nostro modo consueto di approcciarci al mondo.
Le persone dunque ricorrono al confronto per valutare se stesse.
La teoria del confronto sociale di Festinger (1954), sostiene che quando le persone
effettuano dei confronti, li compiono con persone che sono sostanzialmente simili a loro.
4
Ma chiediamoci che cosa possa verificarsi quando l’«Altro» provenga da una diversa
cultura.
Solitamente le persone che compongono una maggioranza fanno sì che la loro visione del
mondo occupi una posizione dominante.
4
Ibi, p. XXIII.
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Alcuni quindi ritengono che se altre persone vogliono entrare nel gruppo, debbano
rinunciare alle proprie tradizioni e adottare le regole culturali della maggioranza; altri
ancora, invece, possono pensare che i nuovi arrivati debbano adeguarsi in pubblico alle
norme culturali del paese ospitante e mantenere nella sfera privata le proprie.
I gruppi culturali che si trovano in minoranza potrebbero reagire in svariati modi:
adottando la cultura della maggioranza oppure conservando la propria cultura –
introducendovi però alcuni elementi della cultura con cui sono entrati da poco in contatto
– oppure, ancora, non accettando sia la propria cultura sia quella della maggioranza.
In alcuni gruppi l’opinione della gente è di rilevante importanza per prendere una
decisione che riguarda la propria vita.
Quando un gruppo culturale fornisce un senso di identità ai propri membri è abbastanza
arduo che costoro lo abbandonino, a meno che questa identità non venga soppiantata da
un’altra.
È necessario nonché fondamentale che i membri del gruppo nel quale l’individuo aspira
ad entrare lo riconoscano come uno di loro; quindi non dobbiamo credere che chi entra in
contatto con un nuovo ambiente culturale sia completamente libero di scegliere se
allontanarsi o meno dalla propria identità culturale.
È importante, in psicologia sociale, il modo in cui le persone percepiscono se stesse, il
modo in cui vengono riconosciute e valutate dagli altri; tutto ciò contribuisce alla
formazione di una particolare forma di conoscenza che può condizionare il loro modo di
intendere il mondo e può influenzare le loro azioni.
5
1.1.1. Psicologia sociale: una definizione
Nel definire che cos’è la psicologia sociale emerge una questione cruciale, cioè il rapporto
fra la dimensione sociale e quella individuale per definire ciò che le persone
concretamente pensano e fanno.
Si tratta di stabilire se i comportamenti siano dovuti a disposizioni personali
dell’individuo che pensa e agisce oppure siano dovuti al particolare contesto nel quale il
giudizio e l’azione avvengono.
Tra l’Ottocento e il Novecento le due opzioni si sono articolate diventando una l’oggetto
di studio della psicologia e l’altra della sociologia.
5
Ibi, pp. XXIII-XXVII.