CAPITOLO I - INQUADRAMENTO GENERALE
1.1 LO SVILUPPO ECONOMICO
In ambito economico, lo sviluppo, inteso come accrescimento nel tempo di
una entità visibile o percepibile può assumere tre significati: la crescita, la
trasformazione strutturale e il miglioramento del benessere collettivo (V olpi,
2007).
Per crescita economica si fa riferimento generalmente ad un aumento della
produzione e del reddito di un Paese, misurabile attraverso il Prodotto Interno
Lordo (PIL) o il Prodotto Nazionale Lordo (PNL). Questa soluzione non è priva di
inconvenienti e difficoltà. In primo luogo può essere difficile fornire rilevazioni
complete a causa del fenomeno dell’economia sommersa. Per i Paesi in Via di
Sviluppo (PVS) e i Paesi Sottosviluppati questa difficoltà è particolarmente
evidente dato che la gran parte dell’attività produttiva è destinata all’autoconsumo
o non viene registrata ufficialmente
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. Va inoltre considerato che il PIL valorizza i
servizi pubblici, per i quali è spesso impossibile trovare dei prezzi di mercato, al
loro costo, e dunque indipendentemente dai benefici per la popolazione. Poiché i
servizi pubblici possono assorbire una quota molto rilevante dell’economia, si
tratta di un’approssimazione rilevante. Per tenere conto del diverso livello dei
prezzi e della differente popolazione residente nei vari paesi è usuale confrontare
il PIL pro capite a parità di potere d’acquisto (PPA) mentre il tasso di crescita del
PIL (o del PNL) può fornire indicazioni utili nel breve periodo, nonostante non
fornisca informazioni sulla distribuzione del reddito.
Per trasformazione strutturale s’intende un mutamento della produzione
caratterizzato dall’innovazione dei diversi settori economici che si sostituiscono a
quelli preesistenti. In genere gli economisti adottano questo termine riferendosi al
passaggio da una “economia tradizionale”, in cui il settore prevalente è quello
agricolo, ad una “economia moderna” in cui prevale prima il settore industriale e
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Il PIL non considera i beni e servizi prodotti che non transitano per il mercato. Nei PVS, tende ad
essere ampia la produzione agricola che viene consumata dalla stessa famiglia produttrice; nei paesi avanzati
è rilevante la quota di servizi casalinghi (“house work”) e di cura (“child care”).
Alessandro D’Alessio – matricola 1276866
poi quello dei servizi (il termine “sviluppo” in questo caso è assimilabile al
termine “modernizzazione”). La “teoria degli stadi dello sviluppo economico” di
Rostow (1962) riassume questa concezione descrivendo un processo di sviluppo a
5 stadi: nel primo stadio l’economia è prevalentemente agricola mentre i
comportamenti e le istituzioni di una società sono stabili e si basano sulle
consuetudini; nel secondo stadio di sviluppo emergono soggetti fiduciosi nel
progresso e desiderosi di guadagno che avviano attività commerciali
intensificando ed espandendo il commercio; il terzo stadio è caratterizzato dal
cosiddetto “take off” (decollo) in quanto il saggio d’investimento si incrementa
tanto da permettere un aumento del reddito pro capite, portando ad una
diversificazione della struttura produttiva rispetto al passato
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. Nel quarto stadio
l’economia, la società e le sue istituzioni raggiungono uno sviluppo che si
autoalimenta determinando la nascita di nuovi settori; il quinto ed ultimo stadio è
caratterizzato dalla continua crescita economica e dal consumo di massa, il
processo di modernizzazione è finalmente portato a compimento. Tale teoria svela
il nesso tra cambiamento sociale ed istituzionale e sviluppo economico, rendendo
quindi necessaria la conoscenza di altre informazioni oltre al PIL, come i dati
relativi alla produzione e all’occupazione nei diversi settori nonché la
composizione delle esportazioni.
La crescita del reddito non solo aumenta la quantità di beni che un
individuo può acquistare ma gli permette anche di accrescere il benessere e la
qualità della vita che si traduce nella capacità di soddisfare i propri bisogni e nella
possibilità di scegliere il proprio modo di vita.
Già dagli anni ’70 la teoria dei “basic needs” sosteneva che “il fine dello
sviluppo economico fosse quello di garantire a tutti cibo, alloggio, vestiario, sanità
ed istruzione”(ILO, 1976, Streeten, 1981). Sarà Amartya Sen, premio Nobel per
l’economia 1998, a specificare che i bisogni delle persone sono diversi e relativi a
una molteplicità di circostanze (ad esempio le condizioni fisiche e mentali, l’età) e
alla società di cui fanno parte. Soddisfare i bisogni non dipende quindi solo dagli
“entitlements”, cioè i beni sui quali un individuo ha il comando, ma anche dalle
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Questa fase favorisce anche uno o più settori come le ferrovie negli USA del XIX secolo o il
settore tessile nell’Inghilterra della Rivoluzione Industriale.
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Corruzione e capitalismo clientelare nell’Africa subsahariana
“capabilities” cioè la capacità di trasformarli in attività funzionali
(“functionings”) al raggiungimento dei propri fini.
Sen afferma inoltre che i livelli di reddito della popolazione sono
importanti, poiché ogni livello comporta la possibilità di acquistare una certa
quantità di beni e servizi e di godere del tenore di vita corrispondente. Tuttavia
spesso il livello di reddito non è un indicatore adeguato di aspetti importanti,
come la libertà di vivere a lungo, la capacità di sottrarsi a malattie evitabili, la
possibilità di trovare un impiego decente o di vivere in una comunità pacifica e
libera dal crimine. La disponibilità in un Paese di efficienti servizi pubblici, ad
esempio gli ospedali e le scuole, può rendere meno grave la situazione di un
individuo a basso reddito rispetto al caso di un Paese che fornisce solo modesti
servizi pubblici.
Secondo Amartya Sen (2000) lo sviluppo “può essere visto come un
processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani”, una visione
che si contrappone a quelle che identificano lo sviluppo nella semplice crescita del
reddito o del PIL. Anche sulla base dei suoi studi, a partire dal 1990 il Programma
di Sviluppo delle Nazioni Unite (United Nations Development Programme,
UNDP) pubblica ogni anno un rapporto nel quale i paesi membri sono classificati
in base all’Indice di Sviluppo Umano (Human Development Index, HDI) che
include i valori ponderati del PIL pro capite reale (in dollari PPA), della speranza
di vita alla nascita, della alfabetizzazione e del livello di istruzione. Questo
indicatore ha mostrato come le classificazioni secondo il PIL pro capite e quelle
secondo l’HDI spesso non coincidano.
1.2 LA TRANSIZIONE AL CAPITALISMO E ALL’ECONOMIA DI
MERCATO
I modelli economici antecedenti la rivoluzione industriale erano tra di loro
piuttosto simili, caratterizzati dalla prevalenza dell’agricoltura e dalla medesima
struttura dei rapporti sociali (Strangio, 2011). Nel passaggio dall’età moderna
all’età contemporanea il nuovo sistema economico si basa anzitutto sull’impiego
del capitale dovuto alla prevalenza dei capitalisti sui produttori, egemonia dovuta
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Alessandro D’Alessio – matricola 1276866
alla forte riproduzione del capitale stesso che permette reinvestimenti e sviluppo.
Secondo lo storico belga Pirenne le origini del sistema capitalistico risalgono al
XII secolo mentre Schmoller ritiene il capitalismo una forma di economia
monetaria contrapposta all’economia naturale che caratterizzava il feudalesimo.
Recenti studi hanno dimostrato che il modo di produzione capitalistico divenne un
fattore di sviluppo sociale ed economico a partire dagli ultimi anni dell’età dei
Tudor (fine XVI secolo). Dobb è convinto, insieme a Marx, che sono le
contraddizioni interne ad ogni sistema economico a determinarne lo sviluppo; il
mercato avrebbe avuto la funzione di diversificare la classe dei capitalisti-
produttori e la classe proletaria, la quale avrebbe il ruolo di condurre la lotta di
classe considerata da Dobb come fondamentale motore del processo di
transizione. Egli aggiunge inoltre che furono i piccoli e medi produttori, che
investivano nelle nuove unità produttive industriali ed agricole, ad assoggettare il
commercio alla produzione e ad assumere manodopera salariata. I signori feudali
al contrario avevano la tendenza ad appropriarsi dell’intero surplus e, secondo
Hilton, ciò avrebbe portato al fallimento del modo di produzione feudale. La
transizione al capitalismo, che ha interessato in primis i paesi europei, si è
realizzata dopo un lungo processo che può essere diviso in due fasi distinte.
Il primo periodo di espansione che va dall’anno Mille alla metà del XIV
secolo circa nel quale il sovraprodotto ha permesso la crescita e lo sviluppo delle
città, soprattutto quelle costiere, che potenziarono fortemente i loro traffici con
l’Oriente. Il commercio divenne quindi protagonista ed emerse la figura del
mercante; gli artigiani produttori invece dipendevano sempre più da questi ultimi
trasformandosi spesso in lavoratori salariati (V olpi, 2007).
Il secondo periodo (dal XIV-XV secolo fino al XVIII) fu di depressione
economica e caratterizzato da guerre, epidemie e profondi conflitti sociali,
decretando la crisi del sistema feudale e la nascita di nuove categorie economiche:
profitto e salario. Gli Stati nazionali cercarono nuove strade per espandere i loro
commerci guardando al di fuori del continente europeo realizzando gradualmente
la transizione da un’economia feudale ad una moderna economia capitalistica.
Wallerstein afferma che non ci fu una vera e propria “crisi” nel XVII secolo in
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