INTRODUZIONE
IL DECENTRAMENTO POLITICO - AMMINISTRATIVO
Tutti gli ordinamenti delle democrazie occidentali odierne, accanto al potere centrale (lo
Stato), conoscono poteri pubblici locali, variamente articolati. La nostra Costituzione prevede,
in tal senso, le Regioni, le Province, i Comuni e altri possibili Enti locali. L’articolo n. 5 della
Costituzione afferma:
“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi
che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i
metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”
Partendo dalla distinzione tra accentramento burocratico e accentramento politico e quindi
corrispondentemente tra decentramento burocratico e decentramento politico, la nostra
Costituzione esige che anche lo Stato sia decentrato. Lo Stato italiano, per quanto unitario,
deve o dovrebbe essere organizzato in modo tale che le sue decisioni siano adottate nel
maggior numero di casi non direttamente dal centro ma da organi decentrati in tutto il
territorio, a stretto contatto con i bisogni degli interessati. In pratica che non tutto, e neanche la
maggior parte, venga deciso a Roma, ma che lì si coordini l’attività decisionale degli organi
decentrati e si adottino le decisioni amministrative realmente generali, mentre la stragrande
maggioranza delle decisioni che riguardano persone o gruppi locali, situazioni specifiche e
zone determinate, siano adottate da organi i più vicini possibile agli interessati. Esistono
quindi le Prefetture, le Direzioni Provinciali del Tesoro ecc.
D’altra parte anche lo Stato più accentrato è costretto per esigenze ovvie di funzionamento a
decentrare alcuni suoi compiti e poteri. In questo caso il decentramento costituisce una tecnica
amministrativa dello Stato, opportuna quanto si vuole, utile e politicamente desiderabile, ma
che non tocca l’unitarietà dello Stato: gli organismi amministrativi decentrati sono soggetti
burocratici, dipendono pur sempre dallo Stato e dunque sono ricondotti, attraverso i
tradizionali strumenti di controllo e di direzione, entro le decisioni politiche dello Stato nel suo
insieme.
Tutt’altra cosa e molto più importante e significativa, è il decentramento politico (o autonomia
per usare l’espressione della Costituzione). In questo caso non è lo Stato che si articola a
livello locale, ma sono le comunità locali che esprimono da se stesse i propri programmi e da
se stesse traggono i dirigenti che guidano l’apparato locale destinato a realizzarli.
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Il momento di differenza essenziale sta in questo collegamento tra Ente che cura certi interessi
e popolazione interessata, e dunque nelle possibilità che tali Enti rappresentativi possano
formulare programmi decisi autonomamente, e se del caso, divergenti rispetto a quello
perseguito dallo Stato nello stesso periodo.
L’analisi tecnico–giuridica degli specifici meccanismi che concretano questa autonomia
politica è essenziale per capire se e fino a che punto gli Enti locali riescono effettivamente a
perseguire una propria politica da essi stessi decisa, ma di per se stessi, considerati ciascuno
isolatamente, dicono ben poco. È il loro senso complessivo e la loro funzionalità ai fini della
garanzia e della autonomia politica quello che conta.
Misurate con questo metro, le Regioni, effettivamente offrono una possibilità, per quanto
delimitata e controllata dallo Stato, di perseguire programmi politici autonomamente elaborati.
Con le Regioni si ha un effettivo decentramento politico e non solo burocratico
amministrativo. Accanto alle Regioni vi sono le Province e i Comuni, quali Enti autonomi
locali, che in linea di principio non sono subordinati alle Regioni, poiché dipendono
direttamente dallo Stato. Tra Regioni, Province e Comuni non vi sono quindi rapporti
gerarchicamente ordinati, pur tuttavia essi non possono rimanere rigidamente separati, sia
perché le Regioni legiferano su competenze amministrative che sono anche di Province e
Comuni (e dunque in questo senso condizionano tali Enti), sia perché le Regioni possono
delegare o subdelegare a Province e Comuni ed altri Enti locali, funzioni amministrative
rispettivamente proprie o delegate, e dunque entrano in stretti rapporti con essi, sia
complessivamente per la forza delle cose, che esige forme di coordinamento e collaborazione
tra Enti che si occupano in sostanza delle medesime materie a diversi livelli.
Le Regioni, in quanto Enti territoriali autonomi, pur garantite dalla Costituzione nel ’48,
furono istituite nel 1970, dopo aver superato un forte ostruzionismo in Parlamento da parte
delle forze conservatrici.
Le Province sono enti artificiali, senza base sociale reale, imposti a fini amministrativi dallo
Stato liberale e recepiti dalla Repubblica.
I Comuni sono invece enti di origine molto antica e dalla tradizione molto radicata, soprattutto
se si guarda non tanto al legame tra popolazione e apparato comunale quanto allo spirito
municipalistico molto vivo in quasi tutte le regioni italiane e in quasi tutti i cittadini (è di uso
comune l’espressione “campanilismo”, e facilmente constatabile l’esistenza
dell’atteggiamento cui l’espressione, del tutto chiara, rinvia). La ragione di ciò è semplice: il
comune è anche e soprattutto il luogo in cui una popolazione stabile vive fisicamente vicina.
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Questo spiega come lo spirito municipale sia più forte nelle piccole città che nelle grandi,
giacchè nelle prime la vicinanza è reale e dunque è la base di solidi e stabili rapporti
interpersonali; nelle grandi città la vicinanza è apparente, non produce più conseguenze sociali
unificanti, ma al contrario è fonte di isolamento e disgregazione.
Ugualmente si spiega perché lo spirito municipale è forte nei periodi e nelle zone di
insediamento stabile, si allenta e addirittura scompare nei periodi e nelle zone di forti
spostamenti migratori. Si spiega anche perché lo spirito municipale unisce, quando unisce la
popolazione urbana e non ricomprende gli abitanti delle campagne circonvicine.
L’interesse per la dimensione locale della politica si è accentuato a partire dalla metà degli
anni sessanta, quando l’attenzione si è spostata sul modo in cui il governo locale funziona
realmente, e ha dato luogo a una certa ricchezza di ricerche sulle politiche pubbliche locali, i
conflitti politici tra centro e periferia, la distribuzione del potere nella città.
La crescita dell’attenzione alla politica locale deriva da alcuni sviluppi che hanno
caratterizzato le democrazie contemporanee. In primo luogo, si è notata una sempre maggiore
rilevanza della partecipazione a livello locale.
I cittadini imparano la politica nelle loro interazioni con il livello di governo ad essi più vicino
e la classe politica nazionale si forma nelle esperienze amministrative a livello locale. E
ancora, insieme ai movimenti e ai partiti etnico–regionali, è riemersa la convinzione di un’alta
capacità delle comunità locali di generare sentimenti di appartenenza.
All’inizio degli anni sessanta, si è sviluppata infatti una fiducia nelle associazioni organizzate
a livello decentrato come strumento di riforma sociale e politica. Anche successivamente è
stata notata una crescita della partecipazione politica organizzata attorno al luogo di residenza.
Alla politica locale viene attribuito, quindi, un valore educativo come terreno di formazione
democratica e un’alta capacità di creare identificazione. Gli Enti locali svolgono inoltre una
funzione importantissima per i cittadini, offrendo la maggior parte dei servizi pubblici.
Quello locale viene sempre più spesso considerato il più adeguato livello di intervento per la
soluzione dei principali problemi sociali, stimolando il buon governo e l’innovazione.
Sintetizzando, sembra svilupparsi la convinzione che i governi locali conoscano meglio i
bisogni della loro comunità, favoriscano la partecipazione politica, siano più recettivi e più
responsabili, oltre che più efficienti nella distribuzione dei servizi.
La storia del governo locale è certamente lunga e complessa. Momenti di accentramento e
decentramento territoriale si sono spesso succeduti nel tempo.
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La tradizione del governo locale viene spesso fatta risalire alle antiche città stato greche o, un
po’ più vicino a noi nel tempo, alla città–stato germanica, che si sviluppò nell’XI secolo come
cittadella fortificata in cui la popolazione poteva rinchiudersi in caso di pericolo.
In Italia, l’XI secolo vide il crollo dell’impero bizantino al Sud e di quello germanico al Nord.
Mentre al Sud un potente impero centrale si ricostruì quasi subito sotto il regno normanno, al
Nord iniziò una fase di forte decentramento con la creazione, nel XII secolo, di centinaia di
comuni autonomi. Dall’incontro tra nobiltà rurale e nobiltà urbana nacque un nuovo ceto
medio–alto, mentre artigiani e commercianti si costituirono in gilde e corporazioni.
Successivamente il processo di creazione dello stato moderno portò ad un progressivo
accentramento del potere. In particolare tra il XVI e XVII secolo, la monarchia assoluta abolì i
poteri concessi ai signori locali durante il medioevo.
Nel XVIII secolo responsabili dei governi locali, intesi come suddivisioni del governo
centrale, erano in genere i ministri degli Interni. Nell’Italia pre-unitaria, ad esempio,
l’amministrazione comunale era scelta dai rappresentanti dei sovrani tra i notabili del luogo e
doveva operare sotto il loro controllo. Solo nel XIX secolo ci fu la creazione o il
rafforzamento degli organi elettivi del governo locale, che cominciò quindi ad essere
concepito come “comunità auto – governantesi”. L’Italia non fa eccezione.
Alla costituzione del Regno d’Italia, seguendo la tradizione degli stati preunitari, il controllo
del centro sulla periferia si attuava attraverso il sistema prefettizio – con il prefetto, alto
funzionario dello stato, che presiedeva il governo provinciale e aveva considerevoli
competenze soprattutto in tema di ordine pubblico – mentre i sindaci erano nominati dal re.
I consigli comunali e provinciali erano però elettivi: già nel regno di Sardegna, tra il 1847 e il
1848, il principio della elezione dei rappresentanti della Camera dei deputati venne esteso
anche ai corpi locali, con l’elezione, seppure a suffragio ristretto, dei consiglieri comunali e
provinciali.
In questo modo, venne introdotto il principio della legittimazione degli amministratori locali
in base al consenso della comunità e non in base alla fiducia raccordata loro dal governo
centrale. Successivamente grazie anche alla crescente rilevanza delle città, che divennero
centro di produzione e di erogazione dei servizi pubblici, aumentò ancora il bisogno di
consenso dei governi locali, finchè alla fine del XIX secolo la carica di sindaco divenne
elettiva e venne sottratta al prefetto la presidenza della giunta provinciale. Ancora oggi, nelle
democrazie occidentali sono compresenti a livello locale due tipi di organi: gli organismi
periferici dello Stato, legittimati dal rapporto con il governo centrale; gli Enti territoriali,
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legittimati dal consenso della comunità locale. La tensione tra governo nazionale e governi
locali deriva proprio dalla presenza, anche a livello sub–nazionale, di governi eletti, e quindi
legittimati democraticamente.
La peculiarità del governo locale moderno è infatti nel suo essere legittimato, nelle sue
istituzioni più significative, secondo i principi della democrazia rappresentativa: <Il governo
locale è il luogo in cui la democrazia si è sviluppata, spesso prima e in modo più ampio che
nel governo nazionale. La partecipazione diretta dei cittadini nella elezione dei loro dirigenti
locali è stata a lungo identificata come una classica fonte di democrazia >. Per questo si parla a
proposito degli Enti territoriali di decentramento politico, distinguendolo dal decentramento
burocratico relativo alle strutture amministrative del governo nazionale che svolgono i loro
compiti a livello locale.
Attraverso il decentramento politico vi è una pluralità di centri indipendenti l’uno dall’altro,
seppure con un certo livello di coordinamento; dal punto di vista della legittimazione del
potere viene realizzato in esso il pluralismo, la partecipazione e il controllo dal basso.
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CAPITOLO PRIMO
I CONSIGLI DI CIRCOSCRIZIONE
Ogni Ente comunale di grandi dimensioni può essere organizzato secondo forme organizzative
contrapposte, le quali non riscontrano in pratica un’applicazione rigida ed esclusiva.
Queste due forme sono: l’accentramento, il quale comporta l’attribuzione delle potestà
decisionali esclusivamente agli uffici centrali con i quali gli uffici periferici si trovano in un
rapporto di tipo gerarchico. L’altra forma, quella del decentramento, comporta l’attribuzione
dei poteri decisionali anche agli uffici periferici.
Con i consigli di circoscrizione viene attuato l’ultimo livello del decentramento
amministrativo: la popolazione locale può prendere direttamente parte alla gestione dei servizi
pubblici che la riguardano, anche nei grandi centri urbani, dove il rischio della dispersione e
della disgregazione è più forte.
La più ampia partecipazione alla gestione dell’autogoverno viene ad essere garantita, ma nello
stesso tempo ogni comune realizza la partecipazione secondo regole diverse che rispecchiano
la volontà della comunità nella sua totalità. Le circoscrizioni amministrative vengono adattate
alle peculiarità locali, venendo incontro alle diverse esigenze pur sempre nell’unità del
comune.
I comuni di maggiore dimensione territoriale e demografica utilizzano il processo per
conferire maggiore efficacia e tempestività all’azione amministrativa. D’altra parte oggi più
che mai si è acquisita coscienza che i grandi comuni hanno assimilato una maggiore
responsabilità sul piano istituzionale, portatori di quel tanto acclamato principio di
sussidiarietà, il tutto nell’ottica dell’innovazione della Pubblica Amministrazione. Dal punto di
vista legislativo con l’art. 13 della L. 142/90 si è abrogata la prima L. 278/76, stabilendo le
norme generali per le circoscrizioni di decentramento comunale che hanno trovato la
disciplina per la loro attuazione nello Statuto e nello specifico Regolamento comunale.
La L. 278/76 aveva fatto rilevare un ruolo dei consigli circoscrizionali a mezzo tra istanze di
partecipazione e compiti di gestione. D’altra parte non era stato concretamente conseguito un
significativo risultato per quanto riguardava il livello politico molto legato alle specifiche
realtà di quartiere. Successivamente l’art. 10 della L. 81/93 ha stabilito che i comuni con
popolazione superiore ai 100.000 abitanti articolano il loro territorio con l’istituzione di
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circoscrizioni di decentramento quali organismi di partecipazione, di consultazione e di
gestione dei servizi di base, nonché di esercizio di funzioni delegate dal comune.
Le circoscrizioni di decentramento costituiscono articolazioni territoriali sub-comunali dotate
di propria soggettività, anche esterna al comune, ma prive di personalità giuridica. Destinate a
dare attuazione al decentramento comunale, rispondono in primis all’esigenza di avvicinare al
bacino di utenza i servizi erogati; ma in quanto organismi, dotati di propria rappresentatività,
sono deputate al governo delle comunità di riferimento pur negli ambiti di propria
competenza.
Organismi tuttavia, non Enti e, in conseguenza, incapaci di esprimere una propria politica: gli
indirizzi generali della comunità di riferimento.
In dottrina è stato affermato che i consigli circoscrizionali partecipano e concorrono alle
funzioni amministrative e di governo del comune per cui, pur dovendosi escludere che essi
abbiano una personalità giuridica propria, vengono a costituire pur sempre articolazioni
organizzative ed amministrative del comune e quindi anche sedi periferiche del comune
medesimo considerate le funzioni loro attribuite e la dotazione di appositi uffici per esercitarle.
Perciò la loro sede è una sede periferica del comune ed è considerata comunque casa
comunale (anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 169 c. p. p. ).
D’altra parte la ratio del soggetto circoscrizionale è quella di agevolare i cittadini dei grandi
agglomerati urbani i quali possono rivolgersi qualora residenti nel territorio di una
circoscrizione a questa ultima invece che alla sede centrale del comune, potendo utilizzare
uffici e servizi e quindi anche per ricevere comunicazioni e notificazioni.
La costituzione delle circoscrizioni all’interno degli Enti comunali deve rispondere ad un
criterio di efficienza, di effettiva utilità. Esse non sono dunque organismi necessari dell’assetto
territoriale comunale.
Istituzione delle circoscrizioni
L’istituzione delle circoscrizioni è obbligatoria per i comuni con popolazione superiore ai
100.000 abitanti, mentre è facoltativa per i comuni con popolazione tra 30.000 e 100.000
abitanti. In tale ultimo caso la valutazione dell’opportunità di articolare il territorio in
circoscrizioni è rimessa allo stesso ente istitutore.
Implicitamente la norma non consente, invece, l’istituzione delle circoscrizioni per i comuni
con popolazione inferiore a 30.000 abitanti. Il legislatore reputa che il rapporto tra cittadini ed
ente nei comuni più piccoli sia sufficientemente diretto e il decentramento superfluo, salvo che
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non sussistano motivi legati alla storia stessa del comune. Si pensi nei comuni nati da fusione,
alla costituzione dei municipi per conservare alle comunità di origine le erogazioni dei servizi
di base ed una sia pur ridotta autonoma rappresentatività.
I comuni con più di 300.000 abitanti possono prevedere particolari e più accentuate forme di
decentramento anche allontanandosi dallo schema delineato dal legislatore per le
circoscrizioni.
Funzioni delle circoscrizioni
L’art. 17 del D.Lgs. n. 267/2000 al comma 1 individua espressamente le funzioni delle
circoscrizioni nella partecipazione, consultazione, gestione dei servizi di base ed esercizio di
funzioni delegate. È corretto ritenere che l’ente istitutore sia chiamato a specificare l’ambito
funzionale circoscrizionale, ma che non possa ridurlo fino a configurare le circoscrizioni come
organismi solo partecipativi e consultivi (com’era possibile vigente la L. 278/76). Le
circoscrizioni, infatti, sono espressamente configurate dalla legge quali organismi di
decentramento e la legge stessa individua il decentramento nell’esercizio di funzioni (in ambiti
territoriali adeguati art. 13 comma 2)
D’altronde il decentramento deve necessariamente sostanziarsi (anche) nell’esercizio di
funzioni amministrative per poter rispondere alle finalità sue proprie: avvicinare la gestione e
l’erogazione dei servizi prestati al cittadino fruitore.
Perché si configuri la circoscrizione è necessaria, dunque, l’attribuzione di funzioni
amministrative in senso tecnico che si sostanzino nel potere di produrre effetti all’esterno
dell’amministrazione (per la cura dell’interesse altrui). L’espressione di pareri o il ruolo di
promotore della partecipazione popolare non lo sono: non hanno autonoma capacità di
incidere sulla realtà sociale. Ovviamente i comuni con popolazione fino a 100.000 abitanti,
nell’esercizio della propria autonomia, potranno prevedere istituti che valorizzano le libere
forme associative, promuovere organismi di partecipazione popolare all’amministrazione
locale (art. 8 comma 1) ma a tali organismi, qualunque ne sia il nomen iuris non può
riconoscersi natura giuridica di circoscrizioni – organismi di decentramento.
Tramite la circoscrizione il comune gestisce in economia i servizi pubblici ad esso riservati in
via esclusiva dalla legge o autonomamente assunti, assicurandone la migliore fruibilità
territoriale ai cittadini. Agli organi di governo della circoscrizione spetta il compito di
indirizzo e controllo sulla gestione dei servizi di base, rimanendo affidata agli organi
burocratici la gestione diretta di tali servizi.
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