ermeneutica circa il senso del cristianesimo nel mondo adulto. Non esiste infatti una soluzione
dogmatica al problema ermeneutico del cristianesimo. Il fermarsi a riflettere quando l’azione
chiama indica che non si è colto, che si è smarrito il senso profondo del cristianesimo. È la stessa
biografia di Bonhoeffer a testimoniare questa sua visione; egli, infatti, rinunciò alla tranquilla
attività speculativa che l’esilio americano gli forniva per essere accanto al suo popolo ed agire
concretamente per arginare e sconfiggere il totalitarismo hitleriano.
Il problema ermeneutico del senso del cristianesimo nel mondo adulto ha dunque come
risposta l’obbedienza concreta al comandamento divino. Questa affermazione, secondo il modo
comune o, come direbbe Bonhoeffer, religioso d’intendere il significato del termine
‘comandamento divino’, potrebbe apparire come un circolo vizioso.
Quando comunemente si pensa al ‘comandamento divino’ vengono in mente il decalogo, la
Torah, intesi come un oggettivo modo di comportarsi che deve essere regola universalmente valida.
Ma quando Bonhoeffer parla di ‘comandamento divino’ intende prioritariamente tutt’altra cosa; per
Bonhoeffer ‘comandamento divino’ è Gesù Cristo stesso:
Il comandamento di Dio è e rimane quello rivelato in Gesù Cristo. Non esiste
altro comandamento di Dio se non quello che egli, per suo beneplacito, ha rivelato
in Gesù Cristo…Il comandamento di Dio diventa l’elemento nel quale si vive pur
senza essere consapevoli a ogni istante; in quanto tale, esso implica libertà di
muoversi e di operare, libertà dal timore di decidere e di agire, significa sicurezza,
tranquillità, fiducia, equilibrio e pace. Io onoro i genitori, sono fedele nel
matrimonio, rispetto la vita e la proprietà altrui non perché alla frontiera della mia
vita si elevi un minaccioso “non devi…”, ma perché io stesso affermo quelle realtà
che Dio ha stabilito e che trovo al centro e nella pienezza della mia vita: genitori,
matrimonio, vita, proprietà; perché vivo e voglio vivere in esse. Il comandamento
mi libera dall’angoscia e dall’incertezza della decisione soltanto quando non si
limita a minacciarmi perché trasgredisco i limiti, ma mi convince e mi afferra per il
suo contenuto effettivo.
3
Essere cristiani oggi significa vivere come vivrebbe Cristo o, meglio, come vive Cristo che è
in noi. Vivere da cristiani è lasciare che Cristo viva in noi, è liberazione da ogni vincolo mondano
alla luce della comunione con Cristo, è un vivere nel mondo, liberi dal mondo e per il mondo.
Con la sua attività teologica, Bonhoeffer ha cercato di spiegare al mondo il vero essere del
cristianesimo, il senso del messaggio cristiano. In questa sua attività egli si è mosso in svariati
ambiti, dall’iniziale attenzione per la chiesa allo studio biblico, dall’impegno ecumenico alla
predicazione, dalla militanza politica (se così si può definire la sua partecipazione al
controspionaggio tedesco) alla battaglia contro il Paragrafo ariano. Uno e uno solo è però il
3
Etica, cit., p. 235-237.
costante punto di riferimento di Bonhoeffer: Gesù Cristo. Tutta la sua attività è mirata
all’interpretazione, che è sequela, di Cristo; nulla ha senso al di fuori di Cristo. Se si vuole trovare il
punto archimedico del pensiero di Bonhoeffer bisogna guardare all’essere di Gesù Cristo.
2. Da Sanctorum communio a Resistenza e resa: salto o continuità?
Lo stabilire se vi sia o meno continuità nel pensiero di Bonhoeffer alla luce delle ‘novità’
emerse dalle Lettere dal carcere non è certo problema di poco conto. Il modo stesso in cui si è
diffuso il pensiero del teologo berlinese potrebbe influenzare il giudizio a tal proposito. Bonhoeffer,
infatti, è venuto alla ribalta del panorama culturale mondiale con la pubblicazione delle Lettere dal
carcere, avvenuta negli anni cinquanta. Il clamore suscitato dal libro ha portato molti studiosi ad
occuparsi del pensiero di Bonhoeffer, con la conseguente riscoperta delle sue precedenti opere.
Certo è che un approccio di tal genere può facilmente indurre a sottolineare una frattura tra il
primo e l’ultimo Bonhoeffer. Leggere Sanctorum communio o Sequela dopo essere stati colpiti dal
contenuto di Resistenza e resa potrebbe far nascere nel lettore un senso non certo di delusione, ma
forse di mancanza, mancanza di quell’incisività che caratterizza il testamento teologico
bonhoefferiano. Ecco, dunque, che le prime opere di Bonhoeffer possono sembrare molto lontane
dalle ultime o, meglio, dall’ultima, in quanto è proprio l’ultima “opera” di Bonhoeffer — Resistenza
e resa — ad essere considerata il novum del pensiero bonhoefferiano.
Ritengo quindi che la frattura rilevata nel pensiero di Bonhoeffer sia da imputare
principalmente al modo con cui ci si accosta al suo pensiero. Chiunque, studioso e non, si sia
occupato di Bonhoeffer avrà probabilmente avuto con Resistenza e resa il suo primo approccio col
teologo tedesco. Limitarsi però a questo scritto, o leggere le altre sue opere solo mossi dalla
curiosità di ritrovare in queste la stessa ‘radicalità’ propria della prima lettura, non è il giusto modo
di accostarsi al pensiero bonhoefferiano, pena il perderne il vero significato.
Come l’emozione di una scalata deriva non solo dallo stare in vetta, ma dall’avere compiuto
l’intero percorso che porta a questa, così il fascino del pensiero di Bonhoeffer sta nel percorrere le
sue opere dalle prime sino all’ultima, scoprendo in questa il coronamento di quelle. Seguendo
questo percorso si troverà quindi che Resistenza e resa non solo non è avulsa dal resto della
produzione teologica di Bonhoeffer, non solo non è la punta di un iceberg che si eleva al di sopra di
un piatto mare teologico, ma è il coronamento e lo sbocco dell’intera attività sia teologica sia
pastorale ed umana di Dietrich Bonhoeffer.
Come della vetta della montagna, per continuare con la metafora, il massiccio sottostante è
parte integrante, così Sanctorum communio, Venga il tuo Regno, Cristologia, Sequela, Etica e tutte
gli altri scritti di Bonhoeffer costituiscono le basi e lo sviluppo che portano alla ‘vetta’ del pensiero
bonhoefferiano che è Resistenza e resa.
Se la roccia è l’elemento che accomuna tanto i piedi quanto la vetta della montagna, quale
sarà l’elemento cardine del pensiero di Bonhoeffer, quale sarà cioè quell’elemento che segna la
continuità nello sviluppo del suo pensiero? Giunti a questo punto dell’indagine del pensiero
bonhoefferiano non dovrebbe essere difficile ravvisare in Gesù Cristo questo elemento.
La domanda sull’essere di Cristo può essere considerato il trait d’union dell’intero pensiero
bonhoefferiano. Eberhard Bethge rileva molto bene questa continuità:
Nel corso sulla cristologia del 1933, Bonhoeffer descrive il suo tema nella
forma di una domanda insistente: « Chi sei TU? »; questa domanda conferisce al
corso la sua architettura particolare. La stessa domanda guida ancora nel 1944 le
meditazioni di Tegel, solo in una forma più generalizzatrice e ampliata con
un’aggiunta: « Chi è Cristo per noi oggi? ». Noi vedremo come questa aggiunta
provochi un profondo cambiamento nella domanda stessa.
4
Continuità sì, ma non certo stagniazione quanto piuttosto originale sviluppo nella direzione
di un’attenzione più marcata nei confronti della maggiore età del mondo.
Sono Gesù Cristo e la ricerca del senso del suo essere a costituire lo sviluppo del pensiero di
Bonhoeffer e a fornire quella continuità all’interno di esso. È dunque la domanda sull’essere di
Gesù Cristo a costituire la continuità nello sviluppo del pensiero di Bonhoeffer. Da Sanctorum
communio a Resistenza e resa Bonhoeffer cerca di risolvere questa domanda e la sua attività
teologica è la testimonianza di questa ricerca. Non a caso sulla pietra nel campo di concentramento
di Flossenburg, Bonhoeffer è ricordato come “ testimone di Cristo tra i fratelli ”. Don Giovanni
Barra ben riassume quella che è stata una vita vissuta nella continua testimonianza di Cristo al e nel
mondo adulto:
Il suo messaggio può essere riassunto, da questo punto di vista, nell’impresa
avvincente, e testimoniata fino al martirio, di indicare ai cristiani come continuare
a credere in un mondo adulto che ha perduto la categoria religiosa. Chiunque
abbia avuto la pazienza (e la gioia) di leggere e rileggere le sue pagine,
indubbiamente gravate da quello che fu detto « frammentarismo teologico », deve
riconoscere che Bonhoeffer fu una persona ricca di doni spirituali: volontà di
azione e capacità di trascendimento mistico, laicità illuministica e filiale sequela di
Cristo fino all’immolazione suprema, dedizione alla Chiesa e fedeltà alla terra,
4
Dossier Bonhoeffer, cit., p. 204.
culto quasi borghese della famiglia e della stabilità sociale e distacco volontario e
rischioso in imprese di violenza e rivoluzione.
5
Il carattere universale del cristianesimo non va ricercato, sostiene Bonhoeffer, nella fissità di
una legge restrittiva e vincolante che non fa che irretire le potenzialità umane vincolando l’uomo ad
un moloc insormontabile. L’universalità del cristianesimo sta nel riscoprire in Cristo il vero essere
della trascendenza, che, lungi da essere una verticalità irraggiungibile, è un’orizzontale
partecipazione alle sofferenze umane.
Il cristianesimo può anche oggi, nel mondo moderno, parlare agli uomini non in quanto li
assoggetta ad una potenza superiore rispetto alla quale tutti sono ugualmente oppressi e alle quali
tutti prestano ascolto per riverenziale timore, ma in virtù della reale presenza tra gli uomini del suo
stesso fondamento, Gesù Cristo. Il cristianesimo dei tempi moderni è la comunità dei discepoli non
dell’eroe Gesù Cristo, bensì del fratello Gesù Cristo. Gesù Cristo che è sì Signore della comunità,
ma non in virtù della sua potenza, bensì della sua debolezza. Un signoria ottenuta con la forza della
propria potenza non farebbe che entrare in conflitto con il mondo moderno, adulto; essa
comporterebbe uno scontro tra uomo e Dio che finirebbe per capitolare nella lacerazione causata
dalla scelta escludente di uno dei due termini. O si opta per la potenza dell’uomo (sempre più in
ascesa con le nuove scoperte tecnologiche) ed allora Dio verrebbe cacciato come sorpassato
retaggio della precedente ‘tecnologia’ — che farsene oggi del motore immobile quando si dispone
del più utile, che so, motore a propulsione atomica? — o si rimane ancorati, come un naufrago alla
propria zattera, alla visione, che più non appartiene all’uomo di oggi, del Dio onnipotente solo in
attesa di un inevitabile naufragio. Se la prima soluzione ha nella tronfia boria dell’uomo la sua
fallacia, la seconda è l’errata visione non solo dell’essere di Dio, ma anche della condizione
dell’uomo.
La visione che Bonhoeffer ha dell’uomo e di Dio è tale da rendere ad entrambi il merito che
spetta a ciascuno; non vanno cioè né misconosciute la maturità e la potenza dell’uomo né la signoria
di Dio. Il giusto equilibrio tra uomo e Dio è proprio Gesù Cristo e la modalità corretta del loro
rapporto è la signoria di Cristo sul mondo. Cristo allora è
veramente il signore del mondo
6
in virtù della sua sostituzione per il prossimo, in virtù cioè del suo essere non al di sopra, ma al
posto dell’uomo e accanto a lui.
5
D. BONHOEFFER, Testimoniare Cristo tra i fratelli, a cura di Giovanni Barra, 1975
Gribaudi, Torino, p. 28.
6
Resistenza e resa, cit., p. 350.
3. Interpretazione non – religiosa come interpretazione cristologica.
Il risultato a cui approda Bonhoeffer in Resistenza e resa è proprio la coincidenza tra
interpretazione non – religiosa e interpretazione cristologica. Riscoprire il vero senso del
fondamento del cristianesimo — Gesù Cristo — comporta una visione de–religiosizzata del
cristianesimo. Ecco dunque che le opere posteriori a Resistenza e resa analizzano sotto vari aspetti
l’essere di Cristo; e nelle Lettere dal carcere Bonhoeffer non fa che, per così dire, tirare le somme
delle sue precedenti analisi.
Il cristianesimo non – religioso di Bonhoeffer, che le Lettere dal carcere hanno portato alla
ribalta, è parzialmente contenuto in nuce nelle opere precedenti, ma è stato proprio il lavoro
ermeneutico compiuto in Resistenza e resa a farlo emergere e ad annunciarlo al mondo con tutta la
forza e innovazione che nessuno può disconoscergli.
Interpretare in modo non religioso il cristianesimo significa eliminare tutte quelle
‘incrostazioni’ che non permettono di coglierne il vero senso. Cosa emergerà allora da questa opera
di ‘ripulitura’? Niente di più e niente di meno di quello che è a tutti manifesto, ma spesso
dimenticato: il vero essere di Gesù Cristo.
L’opera di de–religiosizzazione del cristianesimo compiuta da Bonhoeffer potrebbe
ricordare il movimento (non certo l’essenza!) che caratterizza la novella novalisiana Giacinto e
Fiordirosa.
7
Come Giacinto si trovava già nella completa unione ( manchevole solo della
consapevolezza ) con l’amata, così i primi discepoli di Cristo vivevano già in perfetta comunione
con lui; essi erano, potremmo dire, al di qua della visione religiosa del cristianesimo. È con il
passare dei secoli che l’uomo ha rivestito di religiosità ciò che per sua essenza religioso non è.
Proprio come Giacinto peregrina a lungo alla ricerca di quel qualcosa che gli manca, per poi
scoprire che la pienezza della sua esistenza è data proprio dall’unione con Fiordirosa, così il
cristiano, dopo la ‘peregrinazione’ religiosa, si renderà conto che la vera essenza del cristianesimo
sta nella comunione vissuta con Cristo dai primi discepoli. Scoprire l’essenza del cristianesimo è
dunque un riscoprire, non è un inventare, ma un ritrovare. Nella Bibbia questa essenza è da sempre
contenuta, occorre ‘solo’ sollevare il velo religioso perché questa ritorni ad essere manifesta come
era agli inizi.
Interpretare il cristianesimo in chiave non – religiosa non è altro che leggerlo esclusivamente
alla luce di Cristo e del suo messaggio. Ma leggere oggi il cristianesimo, prescindendo dal retaggio
religioso, non è certo cosa facile.
7
In NOVALIS, Die Lehrlinge zu Sais [trad. it. I discepoli di Sais, 1985 Tranchida Editori, Milano].
Il velo religioso si è così saldato al kerygma che la separazione di questo da quello,
compiuta da Bonhoeffer, ha comportato o un deviazionismo ateo che ha sacrificato oltre alla
religiosità lo stesso kerygma — e qui il riferimento va, ancora una volta, ai teologi della morte di
Dio — o alla diffidenza, per non dire ostilità, nei confronti del pensiero di Bonhoeffer da parte della
chiesa ufficiale.
8
Vediamo ora che cosa intendesse precisamente Bonhoeffer con l’espressione interpretazione
non – religiosa del cristianesimo, vale a dire il senso profondo dell’essere di Gesù Cristo o, per
dirla con le parole di Bonhoeffer stesso, che cosa sia veramente per noi, oggi, il cristianesimo, o
anche chi sia Cristo.
L’interpretazione non – religiosa è infatti l’esito del pensiero bonhoefferiano, l’unica
possibilità, secondo il teologo berlinese, per riscoprire la vera essenza del cristianesimo. Se è vero,
come è stato detto sopra, che l’interpretazione non – religiosa altro non è che un’interpretazione
cristologica, allora solo se si coglie il significato dell’essere di Cristo è possibile comprendere
appieno il messaggio kerygmatico.
4. Conclusione. Il Dio “ con noi ” e “ per noi “
Chi è — si chiede Bonhoeffer durante la prigionia a Tegel — Cristo per noi oggi? Punto di
partenza per la risposta a questa a domanda è sicuramente: Il Dio con noi e per noi. Cristo è la
forma (Gestalt) della presenza di Dio sulla terra, è quanto l’uomo può conoscere di Dio, è il Dio che
si dà a conoscere all’uomo, ma non solo questo. In Cristo, infatti, Dio non si dà solo a conoscere
all’uomo, ma è con l’uomo, è accanto a questi, come vero uomo, nel mondo, e per l’uomo, è al
posto di questi nelle sue mancanze.
Parafrasando passi dell’Etica, Nestore Pirillo riassume bene il significato e la portata
ontologica della forma di Cristo:
Nella Gestalt Cristo (an ihr) si rivela il segreto del mondo e di Dio . Con essa
nasce « l’uomo nuovo ». Chi lo disprezza, disprezza la Gestalt di Dio che si è fatto
uomo e nella quale l’uomo nuovo riconosce e trova il suo se stesso.
9
Gesù Cristo è quindi non solo simbolo, ma reale testimonianza dell’unità koinonale tra Dio e
mondo,
Il « nome » che comprende Dio e il mondo è Gesù Cristo.
10
8
Si veda a tal proposito l’inizio del saggio di E. FEIL L’eredità. Un contributo per la storia della recezione, in G.
RUGGIERI, Dietrich Bonhoeffer, 1996 Società Editrice Il Mulino.
9
N. PIRILLO, Desacralizzazione e obbligazione politica, in A. CONCI – S. ZUCAL (a cura di), Dietrich Bonhoeffer.
Dalla responsabilità di Dio alla responsabilità dell’uomo, 1997 Morcelliana Brescia, pp.294 – 295.
10
Ibid., pag. 300.
Prima di analizzare che cosa Bonhoeffer intenda propriamente con l’espressione Dio con noi
e quali caratteristiche abbia il ‘suo’ Cristo, occorre vedere chi non è il Dio di Bonhoeffer o, per
usare una terminologia prettamente bonhoefferiana, cosa egli intenda per visione religiosa di Dio.
Nella lettera del 5 maggio 1944 è lo stesso Bonhoeffer a spiegare che cosa si debba
intendere per interpretazione religiosa:
Secondo me, da una parte significa parlare in modo metafisico e dall’altra in
modo individualistico. Entrambi, questi modi non colgono né il messaggio biblico
né l’uomo d’oggi.
11
Parlare in modo metafisico di Dio significa parlare della sua utilità, della sua potenza. Il Dio
metafisico è quello che interviene a risolvere i problemi dell’uomo, è il Deus ex machina chiamato
solo per le questioni ultime, per dare una risposta rassicurante circa le questioni vitali. È quindi un
Dio che ha il suo spazio solo ai margini della vita dell’uomo e solo se questi permane in una
situazione di insecuritas. La potenza del Dio metafisico comporta necessariamente l’impotenza
dell’uomo. Si comprende bene, a questo punto, cosa Bonhoeffer intenda con l’espressione Dio
tappabuchi, il Dio che interviene cioè solo quando le forze umane vengono meno, quando le
capacità umane vanno in scacco.
A parte la svalutazione che comporta un appellativo quale tappabuchi, che ne sarà — si
chiede Bonhoeffer — di questo Dio nel giorno in cui l’uomo riuscirà anche a risolvere le cosiddette
“questioni ultime”?
I passi avanti che l’uomo è riuscito a fare in tutti i campi del sapere sono così notevoli che
questo giorno non appare più così lontano. Non solo negli ambiti prettamente scientifici, ma anche
in quello religioso, l’uomo riesce a procedere perfettamente anche senza quell’ipotesi di lavoro che
per molti secoli è stata Dio.
Occorre quindi ripensare il significato che per l’uomo ha l’essere di Dio e non solo per
salvare ostinatamente qualcosa che sta tramontando. La visione metafisica che Bonhoeffer vuole
abbattere non solo non è adeguata per l’uomo di oggi, ma è anche fallace. Occorre, come sostiene
anche J. A. T. Robinson,
12
superare la visione metafisica di Dio per parlare di come Dio è
veramente per l’uomo, vale a dire crocifisso e impotente, debole e inutile; solo così Dio può essere
per e con l’uomo nel mondo.
Parlare di Dio in modo individualistico significa invece non cogliere la vera essenza di Dio,
il suo essere interamente per gli altri in Cristo. L’essere di Dio per gli uomini è l’essere per gli altri
11
Resistenza e resa, cit. p. 355.
12
Il riferimento va qui all’opera di J.A.T. ROBINSON, The Honest to God, 1963, SCM Press [trad. it. Dio non è così,
1965, Vallecchi, Firenze], nella quale il vescovo inglese riprende e sviluppa in modo molto chiaro la polemica di
Bonhoeffer contro il Dio metafisico e soprannaturale.
di Cristo. Anche cercare un rapporto immediato con Dio è indice di una visione individualistica del
rapporto con Dio, vuol dire non aver colto la portata della venuta di Cristo sulla terra. Cristo è
venuto per riconciliare l’intera umanità con Dio, egli è quindi il mediatore assoluto; la salvezza
dell’umanità passa esclusivamente attraverso di lui e non attraversa la richiesta del singolo a Dio.
La vocazione pastorale di Bonhoeffer, come è facile evincere dalla sua biografia, ha dovuto
prendere il sopravvento, causa le circostanze storiche, su quella teologica e non a caso quindi egli
ebbe grandi doti di introspezione sociale. La sua attività di pastore lo portò a vivere a stretto
contatto con gli uomini del suo tempo e a coglierne la mentalità. Egli poté quindi notare
parallelamente alla progressiva fine della religione, testimoniata da un sempre maggiore
allontanamento degli uomini dalle chiese e dalle pratiche cultuali, un avvicinamento, anche se
spesso inconsapevole, a Cristo come depositario di tutti i valori.
13
Per riassumere la polemica bonhoefferiana contro la religione possiamo leggere un passo
tratto dal Bonhoeffer di Italo Mancini:
Sono dunque cinque i motivi nei quali si articola la radicale critica
bonhoefferiana della religione:
a) Negazione dell’apriori religioso.
b) Negazione di ogni valore dell’apologetica.
c) Negazione del valore religioso delle nozioni metafisiche.
d) Negazione del valore cristiano del pietismo.
e) Rifiuto dell’interpretazione religiosa dei due Testamenti.
14
Eccoci giunti finalmente al cuore del discorso bonhoefferiano: Cristo, il Dio con noi,
l’essere per gli altri; ancora una volta risultano illuminanti le parole del Mancini:
Perché Cristo è la vera esperienza di Dio?…Perché in lui si dà l’unica vera
trascendenza che interessa, quella del darsi agli altri fino alla consumazione.
15
L’approdo dell’intero percorso teologico di Bonhoeffer è racchiuso nell’interpretazione
della croce di Gesù Cristo. In essa si trova racchiuso il ‘miracoloso mistero’ della dialettica divina
di presenza e abbandono.
Per introdurre questo rapporto dialettico è fondamentale uno dei passi più famosi delle
Lettere dal carcere:
E non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel
mondo — « etsi deus non daretur ». E appunto questo riconosciamo — davanti a
Dio! Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento. Così il nostro diventar adulti
13
Cfr. a tal proposito Etica, cit., p. 47ss.
14
Ulteriori approfondimenti riguardo ai cinque punti elencati si trovano nel testo dal quale è stata tratta la citazione:
Bonhoeffer, cit., p. 351 – 352.
15
Bonhoeffer, cit., p. 386.
ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio.
Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla
vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Mc 15,34)! Il Dio
che ci fa vivere nel mondo senza l’ipotesi di lavoro Dio è il Dio davanti al quale
perennemente stiamo.
Ed ecco il punto più ‘chiaroscurale’ del passo:
Davanti a Dio e con Dio viviamo il senza Dio.
16
Bonhoeffer illustra in queste righe non quello che ritiene essere il suo punto di vista rispetto
al rapporto tra uomo e Dio, ma la reale situazione nella quale l’uomo adulto si trova. Nel mondo di
oggi non è possibile vivere da cristiani nel senso ‘religioso’ del termine, non ha senso un
cristianesimo che non tenga conto di questa situazione di tensione dialettica tra presenza e
abbandono di Dio rispetto all’uomo. Ciò che Bonhoeffer consegna al mondo con queste parole non
è quindi una chiave di lettura di un cristianesimo per i tempi moderni, ma l’analisi del significato
del cristianesimo stesso.
Voler parlare del cristianesimo prescindendo dalla maggior età dell’uomo non è che un
ostinato tentativo di difendere tempi ormai passati; non riconoscere lo sviluppo compiuto dal genere
umano e continuare a considerare il cristianesimo come se questo sviluppo non ci fosse stato, non
solo non è un merito che fa di questo strenuo difensore un ‘cavaliere della fede’, ma è il modo più
sbagliato di salvare il cristianesimo. Così facendo, infatti, l’uomo si allontanerà sempre più da un
cristianesimo così inteso perché questo non solo non ha più niente da dire all’uomo adulto, ma si
presenta come un ostacolo al suo sviluppo.
Il cristianesimo non – religioso di Bonhoeffer, ovvero il cristianesimo per il nostro tempo, si
caratterizza per un’inversione di tendenza nel considerare il rapporto tra uomo e Dio in relazione
alla categoria della potenza:
Per potenziare l’uomo, Dio permette il depotenziamento di sé. Nel mondo
adulto è possibile Dio soltanto come impotenza.
17
4.1. Il significato del “ vivere senza Dio ”
Quando Bonhoeffer scrive che davanti a Dio e con Dio noi dobbiamo vivere il senza Dio,
vuol porre l’accento sulla prima parte della frase, davanti e con, e considerare la seconda, senza,
come dipendente dalla prima.
16
Resistenza e resa, cit., p. 440.
17
Bonhoeffer, cit., p. 396.
Il vivere senza Dio qui in questione non è un tronfio ateismo di stampo materialistico; esso
indica la ‘morte’ non del Dio tout court, ma del Dio metafisico, il Dio onnipotente e soprannaturale.
È Dio stesso, il vero Dio, a volere la morte del Dio metafisico.
La corretta visione di Dio, una visione che abbia cioè nella theologia crucis il suo centro,
porta naturalmente con sé la fine di ogni visione soprannaturalistica della divinità. Kerygma e Dio
metafisico non possono convivere se non con una sorta di mistificazione del kerygma stesso.
L’essere senza Dio, lungi da essere una perdita che mutila la fede, è conditio sine qua non
per un’autentica fede. Vera fede che è la comunione con il Dio impotente e debole; Dio che è sì
quello di cui parla Bonhoeffer, ma non è solo il Dio di Bonhoeffer. Il Dio impotente e debole è il
solo che può render ragione di una corretta considerazione che comprende i tre cardini del
cristianesimo: kerygma, theologia crucis e sequela Christi.
Non dunque il Dio metafisico, ma solo quello impotente e debole è il vero Dio del
cristianesimo. Essere senza il Dio metafisico non è un dunque regresso, è, anzi, l’inizio della
corretta visione del Dio cristiano.
4.2. Il depotenziamento di Dio
Continuando la citazione tratta dalla lettera del 16 luglio 1944 si legge:
Dio si lascia cacciare fuori del mondo sulla croce, Dio è impotente e debole
nel mondo e solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta.
18
Punto veramente nodale di questo passo è il si lascia. È Dio che sceglie, che decide di
allontanarsi dal mondo per lasciare spazio all’uomo e non irretirlo con la sua potenza. Dio decide di
rinunciare alla sua potenza per dare spazio all’uomo, per dare all’uomo quella libertà che è alla base
del suo essere. Mentre il Dio metafisico esclude la libertà dell’uomo, in quanto questi risulta
schiacciato dalla potenza di quello, il volontario depotenziamento di Dio fonda la libertà umana.
Risulta fondamentale cogliere appieno il senso di questo si lascia per non cadere in false
interpretazioni della teologia bonhoefferiana. La strumentalizzazione del pensiero di Bonhoeffer
compiuta dai teologi della morte di Dio parte proprio dall’avere tralasciato questa scelta di libero
allontanamento compiuta da Dio.
Non ha cioè senso, secondo il punto di vista di Bonhoeffer, parlare della morte di Dio come
irreversibile uscita di Dio dalla storia. Se in Bonhoeffer si vuole proprio parlare di ‘morte di Dio’,
l’espressione va solo riferita, appunto, alla fine della visione metafisica di Dio, non certo
all’esistenza di Dio stesso. ‘Morte di Dio’ in Bonhoeffer può solo significare cambiamento della
18
Resistenza e resa, cit., p. 440.
presenza di Dio nel mondo; Dio è cioè presente nel mondo non più in virtù della sua potenza, ma
solo attraverso la sua impotenza.
Ritengo che Alberto Gallas abbia ben spigato il significato che Bonhoeffer attribuisce
all’allontanamento di Dio dal mondo per dar spazio all’uomo:
E provo a illustrare questo con un esempio che tocca l'esistenza un po' di
tutti noi o come genitori o come figli. Se un genitore si lava le mani
dell'educazione dei figli, questo è un genitore assente, questo corrisponderebbe
all'assenza di Dio. Se ne lava le mani, ignora il figlio. Quindi il figlio dall'altra
parte avrebbe teoricamente tutta la libertà completa, perché il genitore non
interviene. Ma ha una libertà priva di relazione con il genitore. Mentre invece se
un genitore si ritira progressivamente man mano che la maturità del figlio
aumenta, questo non è un essere assenti da parte del genitore, ma è un crescere
della relazione fra genitore e figlio secondo la maturità dell'uno e dell'altro.
E diciamo un'altra cosa in più per restare ancora più vicini al discorso di
Bonhoeffer, perché di fatto poi i rapporti genitori e figli non sono così idilliaci: uno
cresce, l'altro si ritira. C'è anche una lotta. Allora quello che interviene è la
capacità del genitore di lasciarsi scacciare nella misura adeguata, perché se si ritira
del tutto torniamo al caso di prima, l'assenza, che non è rapporto. Se si istituisce
una dialettica tra figlio che cresce, che lotta per la sua autonomia, come è giusto
che sia in un giovane, un ragazzo, un adolescente, e un genitore che si lascia
scacciare, cioè che non solo per propria iniziativa, ma in qualche modo anche
recependo la spinta (anche il genitore deve essere educato in qualche misura, è una
dialettica, in un rapporto continuo), questo spazio che si libera per il figlio non è
uno spazio senza storia e senza educazione: è uno spazio con una storia, è uno
spazio che riceve l'impronta della vicenda da cui nasce. Ovviamente il paragone
vale per quel che vale, ma penso che si avvicini molto all'idea di Bonhoeffer per
dire in concreto che cosa vuol dire questo Dio che ci aiuta nella misura in cui è
debole, perché, appunto, dimostrandosi il Dio che non resiste alla crescita
dell'uomo, che non oppone resistenza, che soffre anche per il fatto che l'uomo
cresce, che soffre anche per la vicenda dell'età moderna, non oppone resistenza,
attua quella forma di rapporto con l'uomo che è la massima conversione e
rovesciamento della logica del soggetto al centro. Lasciandolo essere il soggetto
che acquista il suo spazio, ma mostrandogli che c'è un soggetto capace di cedere,
che è appunto Dio, confuta anche la pretesa dell'uomo di essere il centro, come
centro irrelato, e gli mostra che l'essere autonomi significa anche lasciarsi
scacciare, cedere spazio a un altro da me, lasciare che un altro occupi il centro. Ma
allora quello che occuperà il centro, se entra nella logica del rapporto con Dio, non
occuperà più il centro come se lui fosse il despota, ma imparerà a sua volta da
questa logica. Questo Bonhoeffer chiama esserci per gli altri.
19
Bonhoeffer non parla mai non solo di ‘morte di Dio’, ma nemmeno di assenza di Dio. Il Dio
di Bonhoeffer — che come detto non è una sua invenzione, ma è il Dio di cui parla la Bibbia — è il
Dio che si allontana dal mondo per creare un nuovo rapporto con l’uomo. Allora lo spazio che si
libera per il fatto che Dio non è più qui, non è una semplice assenza, come se Dio se ne fosse
andato, fosse sparito, ma è uno spazio che nasce da una relazione, che nasce da una storia. Dio,
lasciandosi scacciare, costruisce una relazione con l’uomo.
4.3 L’essere per gli altri di Gesù Cristo
Chi altri è il Dio impotente e debole che costruisce una nuova relazione con l’uomo in virtù
del suo lasciarsi scacciare, se non Gesù Cristo? Ecco dunque il senso dell’espressione Dio con noi e
per noi; il Dio che è accanto all’uomo nel mondo non è il trascendente Dio metafisico, ma il Dio
sofferente. La conclusione della citazione tratta dalla lettera del 16 luglio chiarisce bene questo
punto:
È assolutamente evidente, in Mt 8,17, che Cristo aiuta non in forza della sua
onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza!
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La nuova visione della trascendenza che Bonhoeffer vuole porre all’attenzione del mondo è
quella di una trascendenza orizzontale. Se la trascendenza verticale è la classica visione metafisico–
religiosa di Dio, vale a dire il Dio onnipotente e lontano, l’essere per sé, la trascendenza orizzontale
è racchiusa nell’essere–per–gli–altri di Gesù Cristo.
La vera trascendenza di cui l’uomo può far esperienza, alla quale egli stesso può partecipare,
è quella che ha nella sostituzione vicaria di Cristo per l’umanità il suo momento più alto. Essere per
l’altro: questa è autentica trascendenza; non fuga dal mondo, ma impegno mondano a favore del
prossimo e del lontano: questo è il solo modo che l’uomo adulto ha di avvicinarsi a Dio.
La ‘nuova’ trascendenza sostitutiva comporta dunque un radicale cambiamento di
prospettiva — la metànoia di cui parla Bonhoeffer nelle Lettere dal carcere — non si tratta più del
rivolgersi a Dio per chiedere soccorso e aiuto circa i problemi umani, ma del partecipare alle
sofferenze di Dio stesso. Innanzitutto occorre precisare che questa trascendenza orizzontale non
solo non è un novum assoluto, un’invenzione di Bonhoeffer per suscitare scalpore, ma altro non è
che il significato reale della domanda che Cristo rivolge ai discepoli nel Getsemani — Non potete
vegliare con me un’ora? (Mt 26,40) —. La trascendenza orizzontale come partecipazione alle
sofferenze patite da di Dio in Cristo non è nemmeno un absurdum. Se Dio in Cristo è realmente
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A. GALLAS, Relazione dal convegno della Diocesi di Vicenza, http://home.spaziopiu.it
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Resistenza e resa, cit., p. 440.
presente sulla terra in ogni uomo, se l’intera umanità è stata assunta da Cristo per essere redenta,
partecipare alle sofferenze di Cristo significherà condividere e caricarsi delle sofferenze e dei
peccati del prossimo, stare al posto del prossimo nelle di lui difficoltà, fare cioè per il prossimo
quello che Gesù Cristo fece per l’umanità intera.
Insomma, il partecipare alle sofferenze di Cristo significa aiutare il prossimo in quanto —
come si legge in Matteo 10,40: Chi riceve voi, riceve me; e chi riceve me, riceve Colui che mi ha
mandato — ogni cosa fatta al prossimo, data la presenza di Gesù in ogni uomo, è come fosse fatta a
Cristo stesso. Non un atto religioso, ma la partecipazione alla sofferenza di Dio è ciò che fa di un
uomo un cristiano, è ciò che testimonia la fede. Solo chi partecipa alle sofferenze di Dio crede
veramente in Lui.