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Considerando che la muratura costituisce la struttura portante di gran parte delle costruzioni
residenziali antecedenti il 1950, ciò significa che gli edifici in muratura rappresentano una parte
davvero considerevole del patrimonio edilizio italiano [I.35]. Per quanto riguarda la nuova
costruzione, gli edifici costruiti in muratura portante sono pochi, tuttavia è possibile cogliere
quanto sia radicata la tradizione della muratura in Italia anche negli edifici odierni che, pur con
ossatura portante in calcestruzzo armato, presentano le pareti di tamponamento in mattoni forati.
Quindi la trattazione degli edifici in muratura riguarda solo marginalmente la nuova
costruzione, ma piuttosto il consolidamento di edifici realizzati secondo prassi consolidate
sull’esperienza costruttiva e non secondo un corpo normativo. Infatti in Italia solo il 20
novembre del 1987 viene emanato il primo decreto ministeriale per la progettazione degli edifici
in muratura portante: D.M.LL.PP. 20/11/87 - Norme tecniche per la progettazione, l’esecuzione
e il collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento.
Di conseguenza, la trattazione di questo tipo di edifici è complessa poiché legata a una tecnica
antica di circa 6000 anni e caratterizzata da un’estrema alea costruttiva. Questa molteplicità
dipende sia dal periodo storico sia dalla localizzazione geografica che anticamente determinava
la prassi costruttiva in relazione ai materiali disponibili. Ad esempio, le prime costruzioni sono
state realizzate in muratura di pietra posate a secco, mentre in seguito la tecnica si è evoluta
introducendo l’utilizzo di malte per collegare tra loro i blocchi e i mattoni fino ad arrivare alla
muratura armata o precompressa. Non esisteva uno standard costruttivo per questa tecnica a
differenza del calcestruzzo armato o dell’acciaio, il cui utilizzo come materiali da costruzione
edile si è diffuso in parallelo con lo sviluppo scientifico in termini di calcolo, metodi costruttivi
e apparato normativo.
Le conoscenze che si hanno circa il comportamento di tali strutture sono tuttora limitate e fino a
qualche tempo fa, a livello normativo, i principi di riferimento per la progettazione di edifici in
muratura portante erano di carattere empirico e insufficienti per determinare il livello di
sicurezza di una struttura. La comunità scientifica ha sviluppato lo studio delle strutture in
Grafico 1.2 - Edifici a uso abitativo per tipo di materiale usati per la struttura portante - valori assoluti.
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muratura solo in conseguenza ai terremoti del Friuli e dell’Irpinia, rispettivamente del 1976 e
del 1980. Infatti, il terremoto del 6 maggio 1976, di magnitudo 6.4, rade quasi al suolo il Friuli
Venezia Giulia, colpendo 137 comuni, lasciando circa 45.000 senzatetto, 15.000 edifici da
ricostruire e 70.000 da riparare. Dal 1976 e fino al 2006 sono stati spesi 4,8 miliardi di euro, in
valore nominale che, rivalutati sulla base degli indici ISTAT di rivalutazione monetaria a prezzi
2011, ammontano a circa 17,8 miliardi di euro. Allo stesso modo, il sisma del novembre del
1980 in Campania e Basilicata, di magnitudo 6.9, colpisce circa 200 comuni, causando 2.914
morti e 8.800 feriti, 280.000 senzatetto e 150.000 edifici da ricostruire. Per la ricostruzione delle
zone terremotate sono stati autorizzati stanziamenti, espressi in valori nominali, pari a oltre 23,5
miliardi di euro che, rivalutati sulla base degli indici ISTAT di rivalutazione monetaria a prezzi
2011, ammontano a circa 50 miliardi di euro. È evidente come questi eventi sismici catastrofici
abbiano sollevato il problema della ricostruzione e della riparazione degli edifici, per la maggior
parte realizzati in muratura. Per prima cosa la ricerca scientifica si è orientata verso
l’omologazione delle pratiche costruttive. Il decreto del 1987 per la prima volta in Italia
stabilisce una completa schematizzazione delle caratteristiche morfologiche e meccaniche degli
elementi per le murature, indica i parametri per definire portante un edificio e fornisce i metodi
di calcolo e verifica. In merito alla progettazione di nuovi edifici in muratura, la norma più
attuale cui si fa riferimento è l’Eurocodice 6 del 2006.
Dal punto di vista sismico, prima del decreto del 1987, si utilizzavano metodi di analisi di
carattere puramente empirico. In realtà, è possibile costatare che in Italia, nelle zone
caratterizzate da frequenti episodi sismici, fin dall’antichità, sono state adottate tipologie
costruttive efficaci riguardo alla sismoresistenza [I.4]. Al contrario, nelle regioni a bassa
sismicità, le costruzioni sono molto vulnerabili anche per terremoti di piccola intensità. Infatti,
non esistevano parametri costruttivi sistematici, ma si trattava per lo più di insegnamenti, per la
maggior parte tramandati oralmente, dedotti dagli effetti dei terremoti e basati sul “buon senso”
edilizio. Dato che gli effetti dei terremoti consistevano prevalentemente nel danneggiamento e
nella distruzione del patrimonio edilizio, dalle osservazioni derivavano le regole del buon
costruire. Allo stesso modo, i metodi di misurazione si basavano sulla gravità degli effetti e
sulle conseguenze che producevano su persone e costruzioni, piuttosto che sulla misurazione del
fenomeno in sé. Non a caso la prima legge italiana in materia sismica è il Regio Decreto n°193
del 18 aprile 1909 che fu emanato in seguito al catastrofico terremoto di Messina del 28
Dicembre del 1908. Con una magnitudo di 7.2, il terremoto di Messina è stato la più grande
sciagura naturale in Europa per numero di vittime, 120000 circa, a memoria d’uomo. Il decreto
forniva indicazioni in merito alla scelta del terreno, con il divieto di costruire su terreni franosi o
in forte pendio, alle pratiche costruttive, con istruzioni sulla realizzazione delle fondazioni e dei
materiali da utilizzare, ad esempio si proibiva l’utilizzo di muratura a secco o di ciottoli, ghisa o
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materiali fragili, e alle limitazioni sulla altezza degli edifici. Inoltre, per la prima volta, si
eseguiva una classificazione del territorio italiano in zone di pericolosità sismica.
Chiaramente il fatto che l’emanazione di nuove norme sia sempre avvenuta in seguito a eventi
sismici distruttivi comporta una grande debolezza dovuta alla naturale velocità intrinseca nei
momenti di forte emergenza; derivano disposizioni poco meditate e spesso influenzate da fattori
esterni a conoscenze in campo sismico.
Con il progredire della ricerca in questo ambito e con l’adozione di nuove tipologie costruttive
quali il cemento armato, che, a differenza della muratura, non godevano di alcuna regola del
buon costruire derivata dall’esperienza sui terremoti anteriori, la comunità scientifica ha
evidenziato la necessità di fondare una disciplina indipendente. La prassi costruttiva basata
sull’esperienza non era più sufficiente, ma era necessario codificare metodi e regole basati su
solide teorie, anche se bisogna aspettare gli anni ’50 e ’60 per assistere ai primi sviluppi
dell’Ingegneria Sismica grazie all’istallazione di fitte reti sismometriche, allo sviluppo di
programmi di calcolo e alla possibilità di eseguire prove sperimentali complesse sulle
costruzioni.
Nonostante il progresso scientifico, è solo nel 2003, in seguito al terremoto del Molise di
magnitudo 6, che fu emanato l’OPCM 3274/2003 come provvedimento di urgenza. Il 31 ottobre
2002 il sisma ha colpito i territori al confine fra il Molise e la Puglia interessando tutti i comuni
nelle province di Campobasso e di Foggia. Per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto
gli stanziamenti previsti ammontavano a oltre 1,6 miliardi di euro a prezzi correnti, circa 1,7 a
prezzi 2011. Solo nel 2008, in seguito all’ordinanza 3274/2003, sono state emanate le Norme
Tecniche per le Costruzioni per recepire le nuove prescrizioni e armonizzare i diversi documenti
normativi esistenti.
Da quanto esposto in precedenza si evince che il progresso scientifico in campo sismico e
l’emanazione di norme tecniche strutturate sono posteriori alla costruzione della maggior parte
del patrimonio edilizio italiano in muratura, ma piuttosto riconducibili all’epoca del
calcestruzzo armato.
La stessa problematica riguarda anche l’ambito delle prestazioni energetiche degli edifici in
muratura. Le costruzioni in muratura sono state in maggior parte realizzate secondo la regola
dell’arte, un insieme di tecniche costruttive considerate corrette per l’esecuzione di determinate
lavorazioni; questo complesso di indicazioni determina il buon comportamento energetico, oltre
che strutturale, di un edificio in muratura. Come precedentemente è stato evidenziato, la prassi
costruttiva presenta caratteri di specificità territoriale legati a diversi parametri, tra cui
emergono quelli climatici, molto diversi per latitudine e altitudine. Inoltre, esiste una differenza
sostanziale rispetto ai requisiti strutturali poiché quelli energetici sono legati a un’esperienza
tangibile e quotidiana di confort termico abitativo, che ciascuno può esperire in maniera diretta;
quindi la prassi costruttiva ha potuto rispondere in modo puntuale e mirato all’esigenza del
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confort termico interno, legato principalmente a temperatura e umidità. Un tempo le necessità
abitative legate al benessere termo-igrometrico, oltre che acustico, esigevano requisiti e
prestazioni notevolmente inferiori rispetto a quelli richiesti oggi sia a livello di utenza che a
livello normativo. Le pareti perimetrali erano prive di uno strato di isolamento termico e
acustico perché i grandi spessori murari erano sufficienti a soddisfare le esigenze richieste. Di
norma, le chiusure verticali erano un elemento monostrato che grazie ai suoi spessori
considerevoli, comunemente maggiori di 30 cm, garantivano l’isolamento termico, la funzione
portante, l’isolamento acustico e la tenuta all’aria e all’acqua; era possibile mantenere il calore
all’interno delle abitazioni e sopportare i caldi estivi senza necessità di impianti di
climatizzazione, normalmente solo pochi locali erano riscaldati. Al contrario, gli standard
abitativi odierni sono notevolmente più restrittivi e le tecniche costruttive di un tempo non sono
più adeguate. Gli edifici sono divenuti degli organismi via via più complessi attraverso un
processo circolare evolutivo di cambiamento delle esigenze dell’utenza, di progresso scientifico
e tecnologico e di aggiornamento normativo.
Quindi è chiaro che i vecchi edifici con struttura portante in muratura presentano delle carenze
non solo in termini di confort abitativo e di prestazioni energetiche, ma anche in termini di
esigenze di integrazione tecnologica, basti pensare alle fitte reti impiantistiche dei moderni
edifici. Tutto ciò è ancor più evidente se si esegue un rapido excursus delle principali norme in
ambito prestazionale e tecnologico. Al pari delle questioni sismiche e strutturali, si ricorda che
gli edifici in muratura sono stati realizzati per il maggior numero prima degli anni ‘50, mentre la
prima legge in Italia sul contenimento dei consumi termici degli edifici è stata la n. 373 del 30
aprile 1976; essa riguardava gli impianti di riscaldamento e di produzione di acqua calda
sanitaria e introduceva il concetto di isolamento termico degli edifici. Questa legge rimase in
vigore fino al 9 gennaio 1991, quando fu emanata la legge n.10 che avviava l’attuazione di un
piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di
sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. Solo nel 1993, il D.P.R. n. 412 introdusse la
suddivisione del territorio nazionale in zone climatiche dalla A alle E, la classificazione degli
edifici in base alla destinazione d’uso e la limitazione del funzionamento degli impianti termici
a seconda della zona di appartenenza. In seguito, il decreto legislativo n. 192 del 19 agosto
2005, poi corretto dal n. 311 del 2006, ha accolto la direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento
energetico degli edifici e ha introdotto il concetto di certificazione energetica, stabilendo per
ogni zona climatica i limiti di trasmittanza delle chiusure verticali opache e trasparenti, delle
chiusure orizzontali e dei vetri. Inoltre il decreto legislativo 311 del 2006 prescrive, per tutte le
categorie di edifici pubblici e privati, classificati in base alla destinazione d’uso, l’impiego di
fonti rinnovabili per la produzione di energia termica ed elettrica. In particolare, bisogna
impiegare fonti di energia rinnovabili in modo da soddisfare almeno il 50% del fabbisogno
annuo di energia primaria richiesta per la produzione di acqua calda sanitaria, percentuale
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ridotta al 20 % per gli edifici situati nei centri storici. Nel 2009 il DPR 59/09, attuativo al D.lgs.
192/05, viene emanato con la finalità di promuovere un’applicazione omogenea, coordinata e
immediatamente operativa delle norme per l’efficienza energetica sul territorio nazionale;
definisce le metodologie, i criteri e i requisiti minimi degli edifici e degli impianti, in particolare
quelli di climatizzazione estiva. L’applicazione del decreto esclude, però, alcuni casi tra cui gli
edifici di particolare interesse storico o artistico qualora il rispetto delle prescrizioni implichi
un’alterazione delle loro caratteristiche. L’evoluzione normativa, al pari del progresso
scientifico e tecnologico, diviene negli anni sempre più accelerata; a oggi le UNI TS 11300
rappresentano il principale strumento per il calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici in
merito al fabbisogno di energia termica per la climatizzazione estiva e invernale e fanno parte di
un vasto panorama normativo che fornisce indicazioni e prescrizioni tecniche che affiancano il
progettista nella scelta delle strategie costruttive. Chiaramente le scelte progettuali dipendono
sempre dalle condizioni al contorno, cioè dall’insieme di vincoli dettati dal contesto fisico, dalla
disponibilità di capitale, dal panorama tecnologico, dalle esigenze della committenza, oltre che
dalla normativa vigente. Quindi la definizione di una strategia di intervento ottimale è un
processo già complesso nel caso di nuova costruzione, e ancora più articolato nel caso di
riqualificazione del patrimonio esistente in quanto il progettista deve mediare le proprie scelte
considerando le caratteristiche del fabbricato.
Nei successivi paragrafi si analizzano le caratteristiche tipologiche, tecnologiche, strutturali e
prestazionali degli edifici in muratura portante con lo scopo di comprendere a fondo le esigenze
e gli obiettivi del recupero edile di questa tipologia di fabbricati, per definire le linee guida con
cui delineare la proposta di intervento in termini di requisiti del sistema.
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1.2 Caratteri tipologici, tecnologici e strutturali degli edifici in muratura
1.2.1 La tipologia edilizia
Nel paragrafo precedente è stato ampiamente evidenziato che le tecniche costruttive tipiche
degli edifici in muratura, sono numerose e differenziate sul territorio nazionale; non è possibile
dire lo stesso a livello di complessità architettonica a causa delle limitate possibilità offerte da
questa tecnica in termini di libertà di configurazione in pianta e in altezza.
Il patrimonio in muratura portante comprende per lo più edifici bassi di modeste dimensioni
realizzati fino alla seconda guerra mondiale con tecniche in pietra e laterizio dettate da culture
regionalistiche legate alla facilità di reperimento delle materie prime [I.14]. Di norma, per
contenere i costi, si prediligevano tecniche costruttive realizzabili da maestranze non altamente
specializzate e la tipologia edilizia, subordinata alla tecnologia adottata, era elementare. Nei
primi decenni del 1900 nelle città in via di industrializzazione dell’Italia centro-settentrionale, si
iniziano a costruire edifici più alti che raggiungono i quattro o cinque piani realizzati in
laterizio, infatti la distanza delle cave di pietra rendeva più ragionevole l’utilizzo del mattone;
con il tempo si assiste a successive innovazioni dall’uso di nuovi tipi di laterizi cavi
all’introduzione del ferro, fino alle prime applicazioni di calcestruzzo armato. La vera svolta si
ha nell’immediato dopoguerra quando il settore delle costruzioni è caratterizzato da un impiego
sempre più frequente di nuovi macchinari da cantiere che consentono una diversa
organizzazione dei cicli lavorativi, un impiego più razionale della manodopera e soprattutto
l’introduzione di nuove lavorazioni nelle industrie produttrici di materiali per l’edilizia. Si
diffonde la tipologia del condominio che trasforma i canoni consolidati all’interno del tessuto
urbano e afferma il nuovo lessico formale del Novecento. Sulla base dei dati statistici raccolti in
occasione del quattordicesimo censimento ISTAT, aggiornato al 2001, è semplice leggere
questa evoluzione storica in termini numerici.
Il grafico seguente mostra il numero di abitazioni per edificio classificati in base al periodo di
costruzione.
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Sulla base dei dati evidenziati nel grafico è possibile fare alcune considerazioni. Il tipo edilizio
casa isolata tipicamente monofamiliare è il più diffuso fino al 1945 e insieme alla casa
bifamiliare costituisce almeno il doppio degli immobili costruiti rispetto alle altre tipologie
abitative. Dopo gli anni ’50 aumenta il numero degli edifici costituiti da un numero di abitazioni
superiore a 9, in particolare da 16 in su, in altre parole accrescono i condomini, ma, nonostante
questo aumento, il numero delle residenze unifamiliari o bifamiliari resta alto e paragonabile al
numero dei grandi complessi condominiali.
Parallelamente è interessante analizzare altre due serie di dati. Il grafico a sinistra distingue gli
edifici in base al numero dei lati contigui con altri edifici, mentre quello a destra li suddivide in
base al numero dei piani fuori terra.
Grafico 1.3 - Numero di abitazioni per edificio in relazione all’epoca di costruzione - valori assoluti.