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INTRODUZIONE
Franco Fasolo è stato uno degli autori di riferimento della scuola gruppoanalitica italiana e ad
oggi, a poco più di due anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel settembre del 2010, il suo
pensiero continua ad avere un ruolo centrale in ambito gruppoanalitico.
Fasolo, nato il 15 marzo 1946, conseguì la laurea in medicina presso l’Università di Padova, per
poi specializzarsi in psichiatria, in particolare in malattie nervose e mentali, all’Università di
Modena. Egli lavorò soprattutto nel padovano, sua zona d’origine, ricoprendo molteplici ruoli: è
stato infatti psichiatra, gruppoanalista, full member della Group Analytic Society di Londra
(fondata da Foulkes), direttore Emerito del Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale di
Padova, ma anche Presidente della C.O.I.R.A.G. (Confederazione delle Organizzazioni Italiane
per la Ricerca Analitica sui Gruppi) dal 1995 al 1997 e, infine, presidente dell’AS.VE.GR.A.
(Associazione Veneta per la Ricerca e la Formazione in Psicoterapia Analitica di Gruppo e
Analisi Istituzionale). L’associazione fu da lui stesso fondata, nel 1983, assieme agli psichiatri
Giovanni Gozzetti, Sergio Fava ed Eliodoro Novello, ispirandosi all’opera di Resnik e al
pensiero di Heidegger nella riflessione di Bateson con lo scopo di: “promuovere la ricerca e la
formazione nel campo della psicoterapia psicoanalitica di gruppo e dell’analisi istituzionale;
stabilire rapporti di reciproca collaborazione con associazioni nazionali ed internazionali che
svolgono attività simili; stabilire rapporti con la Regione Veneto e le ULSS del Veneto perché il
metodo della psicoterapia psicoanalitica di gruppo e dell’analisi istituzionale vengano utilizzati
come contributo alla formazione ed alla clinica nel campo dell’assistenza psichiatrica”, parole
tratte dal primo Statuto AS.VE.GR.A. (www.asvegra.it).
Tra le sue innumerevoli opere contiamo circa centosettanta pubblicazioni e undici volumi a
stampa: tra questi ricordiamo “Grottesche” (1991); “Gruppi che curano & gruppi che
guariscono” (2002); “Sviluppi della soggettualità nelle reti sociali” (con I. Ambrosiano e A.
Cordioli, 2005), “Psichiatria senza rete” (2007), “Gruppoanalisi e salute mentale” (2009) e,
postumi nel 2011, “Gruppi per adulti. I Dipartimenti di Salute Mentale e la terapia di gruppo in
Italia” (con O. Galuppi e T. Baisini, a cura di) e “Respirare il gruppo. Introduzione alla
gruppoanalisi senza neutralità” ultimato grazie al lavoro di Michela Fasolo.
Il mio elaborato, nella sua modestia, ha l’obiettivo di illustrare al meglio, dopo una presentazione
delle teorie più rilevanti della gruppoanalisi di Bion e Foulkes e della realtà italiana, il pensiero
di Franco Fasolo, negli aspetti più salienti e innovativi da lui introdotti nel panorama
gruppoanalitico italiano; in particolare, verrà trattato, oltre ovviamente ai concetti di gruppo e di
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gruppoanalisi, l’importanza delle reti sociali e dei caregivers per un risultato soddisfacente della
terapia volta al cambiamento e al benessere dell’individuo e il ruolo di tutto ciò all’interno di una
psichiatria di comunità.
Nel primo capitolo verrà trattato lo sviluppo della gruppoanalisi partendo dal contributo
dell’autore “padre”, ovvero Foulkes e dalla riflessione psicodinamica sui gruppi di Bion, in
particolare per quanto riguardo il primo e il secondo Esperimento di Northfield, due degli esempi
più eclatanti di come la gruppoanalisi possa influire positivamente all’interno di una comunità
terapeutica. Per lo stesso motivo verrà illustrato anche il contributo di Diego Napolitani, il
quale, con l’apertura negli anni Sessanta di due delle prime comunità terapeutiche in Italia, sia in
ambito pubblico che in ambito privato, ha dato un profondo contributo allo sviluppo della
psicoanalisi e della gruppoanalisi all’interno di tali strutture, portando a una profonda evoluzione
rispetto agli istituti psichiatrici manicomiali chiusi, o per meglio dire, citando Fasolo, “aperti”, in
quelli stessi anni.
Inoltre nel primo capitolo verranno esposti alcuni concetti base della gruppoanalisi, compresi i
fattori terapeutici e il ruolo e le abilità del conduttore, sia nell’approccio foulkesiano, sia nelle
successive elaborazioni della scuola italiana. Tutto ciò al fine di mostrare, nei capitoli successivi,
come Fasolo abbia arricchito tali contributi con le sue innovative teorizzazioni, tracciando un
percorso che, viaggiando tra psichiatria e gruppoanalisi, ma senza tralasciare la psicoanalisi, ci
permetta di illustrare le straordinarie intuizioni teoriche dell’autore.
Il secondo capitolo sarà dunque centrato sugli aspetti teorici e sui gruppi sviluppati e condotti
negli anni da Fasolo, valutando gli sviluppi rispetto alla gruppoanalisi “classica” e il ruolo di
alcuni elementi chiave come l’umorismo. Il terzo capitolo sarà invece centrato sulla psichiatria di
comunità e su come i nuovi gruppi fasoliani si inseriscano e vivano all’interno di essa. Il tutto
valutando l’importanza dell’inserimento della comunità in un determinato territorio sociale,
senza dimenticare il ruolo dell’etica per la presa in carico e la guarigione dei pazienti.
Il mio lavoro, frutto di molteplici incontri con diversi colleghi e amici di Franco Fasolo, ma
anche di visite di luoghi libreschi (come il reparto psichiatrico di cui era primario e i vari gruppi
da lui condotti), è un tentativo di dare un’organizzazione strutturata al lavoro dell’autore per
quanto riguarda gli argomenti prescelti. Tutto ciò facendo fronte alle molteplici difficoltà nel
reperimento del materiale, poiché Fasolo, più noto agli addetti ai lavori che al grande pubblico,
ha sì pubblicato un notevole numero di articoli e libri, ma in piccole case editrici e in svariate
riviste. Inoltre egli, per sua scelta, non si è mai dedicato a un’organizzazione sistematica del suo
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lavoro in base agli argomenti trattati, dunque il mio elaborato è un tentativo di riunire i suoi
contributi per approfondire l’approccio gruppoanalitico fasoliano e la sua influenza all’interno
dei servizi psichiatrici in cui ha prestato servizio.
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CAPITOLO 1 – IL PENSIERO GRUPPOANALITICO
La gruppoanalisi, come ben espresso da Franco Di Maria e Ivan Formica nell’introduzione al
testo “Fondamenti di gruppoanalisi” (2009), è allo stesso tempo un pensare e un fare, una cornice
teorica e un metodo pratico di intervento.
La gruppoanalisi fa riferimento a quattro concetti sui quali ogni gruppo si regge: la relazione, la
circolarità, la trasformazione e la molteplicità. Ovviamente la relazione è la dimensione più
importante di qualunque gruppo, poiché è nel setting terapeutico che emergono tutti i vari livelli
comunicazionali, consci e inconsci, che caratterizzano la terapia e questi producono la
circolarità, ossia il fatto che qualsiasi fenomeno che si verifica all’interno del gruppo coinvolge,
in misura diversa, tutti i partecipanti, compreso il terapeuta. Tutto ciò porta alla trasformazione,
il passaggio dalla narrazione a esperienze dotate di senso, dovute anche alla molteplicità, cioè al
coinvolgimento di tutti i soggetti del gruppo, le quali promuovono il cambiamento dei pazienti
che imparano a guardare il mondo con occhi diversi (Di Maria, Formica, 2009).
Ma che cos’è un gruppo? Le definizioni sono molteplici, tanto da rendere difficile trovarne una
univoca e precisa, poiché essa dipenderà dall’approccio di riferimento, dal tipo di intervento e di
ricerca messa in atto, dalle operazioni esercitate su di esso e dalle dimensioni (piccolo, medio,
grande). Inoltre i gruppi si distinguono in base alla loro origine, avendo quindi i gruppi primari
quando sono insiemi di persone che interagiscono tra loro direttamente, essendo legate da vincoli
di tipo affettivo e con un forte senso di appartenenza e lealtà verso il gruppo; i gruppi secondari
invece sono insiemi di persone, con determinati scopi da raggiungere, ruoli differenziati e
relazioni impersonali legate allo scopo del gruppo stesso. Infine, possiamo ancora distinguere tra
gruppi formali e gruppi informali a seconda dell’aggregazione istituzionale o naturale che li crea
(Speltini, Palmonari, 1999).
Ufficialmente il primo caso di gruppi utilizzati per fini terapeutici risale al 1904, quando, a
Boston, Joseph Pratt utilizzò riunioni periodiche per discutere di aspetti psicologici e medici con
i pazienti affetti da tubercolosi: l’autore sosteneva che tale lavoro avesse un effetto positivo sul
morale dei soggetti e, avendo successo, questa tecnica fu ripresa in diversi ambiti. A partire dagli
anni ’30 anche gli psicoanalisti adottarono il gruppo come strumento di intervento (Di Maria,
Formica, 2009).
Sulla visione psicodinamica ebbe notevole influenza il lavoro in ambito psicosociale, con la
ripresa dei concetti espressi da Kurt Lewin nella formulazione del T – Group, degli studi di
Tajfel sui pregiudizi, gli stereotipi e i conflitti e delle elaborazioni di Moscovici sulle
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rappresentazioni sociali. Inoltre, alla fine degli anni Venti avvenne anche la fondazione dello
psicodramma da parte di Jacob Levi Moreno. Tutto ciò senza però dimenticare che il termine
analisi di gruppo fu coniato nel 1927 da Trigant Burrow, il quale teorizzò l’esistenza di una
primaria tendenza aggregativa nell’uomo, ostacolata dai codici di comportamento, ma finalizzata
alla solidarietà e all’integrazione sociale; questo contrasto crea il sintomo, che riflette una società
nevrotica. Dunque il gruppo diviene il luogo che dà la possibilità di trattare i conflitti psichici,
permettendo di mettere in crisi le false immagini di sé, dovute ai ruoli e alla morale sociale
imposta. Queste teorie ebbero un notevole impatto nella storia delle terapie di gruppo, ma furono
anche la causa dell’espulsione di Burrow dalla Società psicoanalitica (Di Maria, Lo Verso,
1995).
In ambito psicoanalitico, in seguito alle prime esperienze di Burrow, gli orientamenti gruppali
furono tre: l’analisi in gruppo, l’analisi di gruppo e l’analisi mediante il gruppo, differenti a
causa della dialettica teorica e delle motivazioni divergenti degli autori che se ne occuparono. Il
primo approccio nega la specificità del gruppo, visto semplicemente come un luogo “altro” dove
praticare l’analisi individuale; il secondo approccio, che possiamo far risalire a Bion, riconosce
una specifica dimensione psichica al gruppo, concependolo come oggetto di analisi e studiandolo
come se fosse un singolo individuò (lo stesso Bion dubitò della validità del suo lavoro e rivisitò
le sue teorizzazioni in senso individualistico – kleiniano). Infine, l’analisi mediante il gruppo
deriva dal lavoro di Foulkes con un preciso intento teorico e clinico, che pur partendo dalla
psicoanalisi se ne differenzia (Di Maria, Lo Verso, 1995).
La gruppoanalisi, pur avendo subito le influenze di tutte le precedenti concettualizzazioni, trova
ovviamente la propria origine nel pensiero psicoanalitico e in particolare nella teoria delle
relazioni oggettuali, secondo la quale le pulsioni emergono dalle relazioni con il mondo esterno,
soprattutto quello familiare e strutturano la personalità dell’individuo, in relazione con i mondi
oggettuali interni ed esterni. Tuttavia la gruppoanalisi compie un’ulteriore evoluzione teorica,
passando alla teoria delle relazioni soggettuali, la quale sottolinea come l’interiorizzazione delle
relazioni coinvolga l’intero ambito sociale e culturale (Lo Verso, 1994).
Dal punto di vista storico possiamo individuare due principali pensatori per quanto riguarda le
dinamiche di gruppo: il “padre fondatore” della gruppoanalisi, ovvero Siegmund Heinrich
Foulkes e Wilfred Bion, che all’inizio della sua attività diede un importante contributo
all’approccio psicodinamico dei gruppi. Entrambi lavorarono, in periodi differenti, nell’ospedale
militare di Northfield, una cittadina nei pressi di Birmingham (Inghilterra), dove la struttura