I
INTRODUZIONE
L’insufficienza del codice civile ad esaurire l’area degli istituti di
diritto privato e la conseguente assenza di normativa in numerosi
settori dell’esperienza giuridica, trova conferma, nella realtà d’oggi,
in tutta quella messe di nuove figure, piø in generale, di strumenti
operativi, che la pratica commerciale viene via via ad elaborare.
Constatazione quest’ultima che si accompagna al rilievo secondo cui
il codice civile avrebbe perduto oggi, almeno in parte, la centralità
che aveva un tempo, quando cioè esprimeva i principi fondamentali
dei rapporti interprivati.
Il codice civile del 1942, se ha provocato una letteratura di vasta
portata, non ha avuto, e non poteva avere, sia nel sistema delle fonti,
sia nella regolamentazione della realtà pratica, un’efficacia in
qualche modo simile a quella che altre codificazioni hanno avuto.
Piø volte, nel corso della storia, è stato sottolineato il valore del
codice napoleonico e del nostro codice del 1865 nella società
borghese per trarre la conclusione che il codice civile del 1942 non
ha svolto un ruolo comparabile a quello che tutti riconoscono a quei
codici.
E ciò deriva essenzialmente dal fatto che, << a brave distanza dalla
sua emanazione, il codice civile del 1942 è stato superato dalla nuova
Carta costituzionale Repubblicana >>. Superato non soltanto per il
valore gerarchicamente superiore riconosciuto dalla nuova Carta alle
norme costituzionali e non soltanto per la prevalenza da accordare
alla espressione piø recente della volontà legislativa: ma soprattutto
perchØ la Costituzione contiene su parecchi punti, principi direttivi
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ben diversi, se non talora addirittura opposti, a quelli consacrati nel
codice civile.
Concepito in un momento di profonda crisi, tra la prima e la seconda
guerra mondiale, quando tutti i sistemi politici economici e sociali
avevano attraversato o stavano attraversando sconvolgenti vicende, il
codice entrava in vigore in anni di lacerazioni profonde quando era
addirittura incerto l’avvenire del mondo.
Era pertanto inevitabile che il codice civile del 1942 – collocandosi
alla fine di un’epoca, piuttosto che all’inizio di quella successiva – si
dimostrasse ai nostri occhi di stampo conservatore e senza quella
carica innovativa che va invece riconosciuta alla Carta
Costituzionale.
La necessità della sua integrazione con leggi speciali era da tutti
riconosciuta, essendo diffusa l’opinione che sarebbe stato impossibile
che il codice potesse contenere l’intera disciplina di materie che
richiedevano una normativa minuta o che, per tradizione, erano
contenute in autonomi testi legislativi.
Il codice civile, in definitiva, non aveva la pretesa di svolgere un
effettivo ruolo di legge generale di ogni settore del diritto privato.
Esso affidava, piuttosto, ai suoi principi e alla flessibilità della
normativa il proposito di abbracciare un consistente spazio nelle aree
dei rapporti giuridici privatistici.
La realtà socio-economica contemporanea caratterizzata dalla
progressiva emersione di concetti ed interessi sconosciuti al
legislatore del 1942, ha posto e pone l’esigenza di una profonda e
parallela mutazione anche nel campo normativo.
Il tratto piø significativo di tale evoluzione è da individuare nel
continuo ricorso alle leggi speciali. Come è stato osservato tentare di
III
individuare in queste categorie di leggi e leggine se non un sistema
almeno un complesso di regole durevoli è pressochØ impossibile.
Il processo di produzione legislativa giorno per giorno è infatti una
delle piø manifeste espressioni dell’odierna allarmante incertezza.
Poco importa che l’applicazione della legge incontri ostacoli perfino
nello stabilire quale sia, tra piø norme di recente emanazione, quella
legittimamente vigente.
La storia del nostro secolo rivela, sotto il profilo delle vicende
legislative, un radicale indirizzo centrifugo. Mentre il secolo decimo
nono converge nei codici civili, che perciò offrono, non semplici
criteri normativi, ma complete immagini di società laica e moderna; il
secolo ventesimo sgretola, insieme con il potere statale, i suoi simboli
piø alti e suggestivi. La fuga dal codice civile riguarda fondamentali
istituti ed interi complessi rapporti.
Al giurista non è data la consolazione della nostalgia, nØ la serena
tristezza di chi scruta il tramonto: egli ha l’ineludibile dovere di
capire, del ricomporre, tra le rovine del passato ed i labili o incerti
segni del futuro, la logica del proprio tempo.
Emerge a chiare lettere il diffondersi di un atteggiamento di diffidenza
non solo verso la codificazione, ma anche verso le tecniche di
formulazione del dato normativo di tipo regolamentare che, come è
noto, lasciano ristretti margini di discrezionalità all’interprete.
Una codificazione o, piø in generale, una legislazione troppo
minuziosa, non consentirebbe un sufficiente adeguamento del diritto
alla realtà sociale, anche perchØ il legislatore, troppo spesso lento,
non è sempre in grado di legiferare con prontezza sui nuovi problemi
che la realtà sociale propone.
IV
Accade, allora, di frequente, che restino privi di disciplina, o meglio,
vengano lasciati alla sola interpretazione giurisprudenziale, tutta una
serie di settori della vita economica che la pratica commerciale è
venuta, con sempre maggiore frequenza, ad elaborare.
Detta vicenda si registra, invero, nei piø disparati settori: basta
consultare anche velocemente la dottrina piø recente sui vari istituti
di diritto privato, per rendersi conto che essa costantemente lamenta
l’esistenza di un considerevole stacco tra la realtà sociale e il dato
normativo. Non vi è dubbio, però, che detto fenomeno assuma tratti di
maggior rilievo nella materia contrattuale, se è vero che quest’ultima
è maggiormente esposta alle sollecitazioni provenienti dalla realtà
socio-economica.
La continua emersione di nuovi tipi negoziali, in assenza di una
specifica disciplina, costringe così l’interprete ad individuare le
regole ad essi applicabili. In tale processo, tuttavia, è proprio il
codice civile ad offrire il primario criterio di valutazione attraverso il
ricorso non già a singole fattispecie, ma alle cosi dette clausole
generali.
Ed un chiaro esempio di ciò, è offerto dall’art. 1322 c.c., il quale
sancisce il principio di autonomia contrattuale, che si risolve nella
libertà dei privati circa il compimento dell’atto ed il modo di porlo in
essere.
Tale norma considera due aspetti di questa libertà: la determinazione
del contenuto nei limiti imposti dalla legge (art. 1322) e la possibilità
di concludere contratti che non appartengono a tipi aventi una
disciplina particolare, purchØ siano diretti a realizzare interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322).
V
Espressione del principio di autonomia contrattuale è appunto la
continua emersione di modelli creati dalla pratica commerciale che
non trovano rispondenza in un tipo legale. Al riguardo si deve
osservare che un gran numero degli odierni contratti tipici sono nati e
si sono diffusi nella pratica degli affari prima che la legge li
prevedesse e li regolasse.
Sebbene possa ormai dirsi in fase avanzata l’elaborazione teorica di
figure quali il leasing, il factoring, il franchising che costituiscono la
riprova dell’insufficienza del sistema legislativo a ricomprendere le
molteplici forme dell’attuale realtà economica, si assiste oggi, con
sempre maggiore frequenza, al diffondersi di nuove operazioni
commerciali che confermano, appunto, l’inadeguatezza dell’attuale
sistema normativo rispetto a nuovi fenomeni emergenti
dall’evoluzione del processo socio-economico.
Il tale prospettiva assume concreta rilevanza il fenomeno della
sponsorizzazione.
Questo modello negoziale, appartenente all’area dei contratti di
pubblicità e di notevole rilevanza applicativa, si è imposto
all’attenzione dei giuristi, per l’oggettiva esigenza di individuare una
disciplina idonea a regolare il fenomeno, in assenza di regole
desumibili dai testi normativi.
Il termine sponsor è un vocabolo di origine inglese o latina che
significa “padrino” o “garante”. Nel linguaggio attuale è definito
sponsor colui che, per ricavarne pubblicità, finanzia l’attività di atleti
singoli o in squadra, di cantanti o generalmente artisti,
l’organizzazione di spettacoli pubblici e mostre d’arte, la diffusione di
trasmissioni televisive e radiofoniche. La definizione, sebbene
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sintetica, è certo idonea a rappresentare i tratti caratterizzanti del
fenomeno.
Tuttavia, la sponsorizzazione si presenta notevolmente piø complessa
e ricca di un’ampia articolazione a seconda dei vari settori di
operatività. L’attività di sponsorizzazione corrisponde ad un livello
notevolmente sofisticato nella evoluzione dell’azione pubblicitaria.
Essa consiste in un’ attività tesa alla diffusione di un determinato
messaggio commerciale, il piø delle volte un marchio o la
denominazione di un prodotto, attraverso la utilizzazione di un evento
o di una serie di eventi di cui sono protagonisti uno o piø soggetti,
comunque terzi, rispetto all’impresa cui il messaggio è riferito.
La sponsorizzazione diffonde il proprio messaggio attraverso un
collegamento che può assumere molteplici forme, si può dire
attraverso una presenza reale, tangibile nell’evento che può essere
della piø diversa natura quale una manifestazione sportiva, una prova
agonistica del tutto singolare, una mostra d’arte, un convegno di
qualsiasi specie; e al contrario non si risolve in una inserzione
pubblicitaria in periodici, mass-media o altro.
Preliminare rispetto all’individuazione della disciplina applicabile
risulta, tuttavia, l’analisi del fenomeno << sponsorizzazione >> allo
scopo di determinare gli interessi che le parti intendono
concretamente realizzare. Ed, invero, solo se si riesce a determinare
la funzione assolta dal contratto in esame, diventa possibile
individuare la struttura di quest’ultimo e così la disciplina piø idonea
a dare una adeguata risposta alle esigenze che i privati intendono
soddisfare.