5
Introduzione
L’obiettivo di questa tesi è di analizzare gli strumenti a disposizione delle imprese del
Made in Italy per contrastare la minaccia derivante dalla contraffazione dei loro
prodotti. L’interesse per questa tematica nasce dalla constatazione della crescente
rilevanza del fenomeno, come segnalato anche da alcuni casi eclatanti.
La contraffazione minaccia tutti i comparti tipici del Made in Italy dall’abbigliamento,
all’arredamento, dall’alimentare fino alla meccanica. Si pensi, ad esempio nel settore
alimentare, alla portata del c.d. Italian Sounding, cioè del richiamo all’italianità nei
marchi di prodotti non di origine italiana.
È nata pertanto, una forte curiosità per l’argomento in questione, alimentata dal voler
capire fino in fondo l’entità del problema nelle sue diverse prospettive: quella delle
normative anti-contraffazione, quella dei consumatori che comprano prodotti
contraffatti e, soprattutto, quella delle imprese italiane, così da capire gli strumenti a
loro disposizione per difendersi dalla contraffazione.
Il metodo di analisi adottato si è basato innanzitutto sulla consultazione di report sulla
contraffazione predisposti da istituti ed organismi (come Ice, Agenzia delle Dogane,
Camera dei Deputati, Consiglio Nazionale Anticontraffazione) e di articoli scientifici in
materia (pubblicati su riviste quali: European Journal of Marketing, Journal of
Consumer Marketing, Journal of Consumer Behaviour e altre). Attraverso l’analisi di
questo materiale si è inteso tracciare un quadro generale. Si è poi deciso di approfondire
ulteriormente l’analisi lo studio del caso dell’azienda Pedrollo Spa.
Il lavoro si articola in tre capitoli.
Il primo capitolo si incentra sull’analisi del quadro normativo per la tutela del Made in
Italy. Nella prima parte si analizzano le principali normative italiane e successivamente
si fornisce un quadro più ampio, citando le normative più rilevanti a livello comunitario,
evidenziando alcune incongruenze tra le normative nazionali e comunitarie, che
impediscono un’efficace tutela del Made in Italy.
Il secondo capitolo introduce innanzitutto alcune precisazioni terminologiche inerenti
il fenomeno della contraffazione, riportando poi dei dati concreti riferiti al mercato degli
Stati Uniti e a quello dell’Australia. Successivamente viene analizzato il punto di vista
6
del consumatore, per capire le motivazioni che lo possono portare ad acquistare prodotti
contraffatti.
Il terzo capitolo, infine, adotta la prospettiva delle imprese dei principali comparti del
Made in Italy, cercando di individuare gli strumenti e le azioni che esse possono
adottare per difendersi dalla contraffazione. Infine viene presentata l’analisi del caso
Pedrollo Spa, basata sul materiale raccolto attraverso un’intervista con il titolare
dell’azienda.
7
Capitolo I
Una sintesi del quadro normativo sulla tutela del “Made in Italy”
1.1 Introduzione e necessità di una normativa adeguata per la tutela del
Made in Italy
Per il “Sistema Italia” nel suo complesso e per le singole imprese nel nostro paese una
problematica decisamente rilevante è rappresentata dalla minaccia a livello mondiale
all’autenticità dei prodotti “Made in Italy”.
La portata del fenomeno della contraffazione è decisamente allarmante infatti, secondo
Sos Impresa-Confesercenti (XII Rapporto, 2010), per il solo mercato italiano, il valore
della contraffazione si attesterebbe su una cifra pari a 6,5 miliardi di euro. La Dia
(Direzione investigativa antimafia), invece individua un valore compreso tra 3,5 e 6
miliardi di euro. Secondo Confindustria il valore complessivo dei prodotti contraffatti,
solo in Italia, ammonterebbe a 7 miliardi di euro
1
, mentre a livello mondiale, l’Ocse ha
stimato che il commercio costituito da tali merci riguarderebbe l’8% del totale.
2
Secondo una ricerca pubblicata dal Censis nell’aprile 2009, il commercio del falso nel
nostro paese con il solo riferimento al mercato interno (senza dunque considerare la
quota di merci contraffatte all’estero) ha prodotto, nel 2008, un fatturato di 7 miliardi
109 milioni di euro, con una perdita non solo per le imprese, ma anche per il bilancio
dello Stato in termini di mancate entrate fiscali, tra imposte dirette e indirette, di circa 5
miliardi 281 milioni di euro: il 2,5% del totale delle entrate statali.
3
Nel 2008, sul territorio italiano sono stati sequestrati circa 30 milioni di oggetti
contraffatti, tra cui 2.479.166 pezzi di varia natura, 18.742.894 capi nel settore tessile,
dell’abbigliamento e della pelletteria, 4.367.766 oggetti tra giocattoli, libri e
1
Camera dei Deputati, audizione del Presidente della Commissione per la tutela dei marchi e la lotta alla
contraffazione di Confindustria, dottor Guglielmi Carlo -16 marzo 2011.
2
Camera dei Deputati, Relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare, approvata dalla
Commissione nella seduta del 6 dicembre 2011, pag.16. Si veda sito:
http://leg16.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/022bis/002/INTERO.pdf.
3
Camera dei Deputati, audizione del procuratore nazionale antimafia, dottor Pietro Grasso-13 luglio
2011.
8
cartolibreria, 2.158.255 prodotti audio-video, 869.831 confezioni nel settore dei prodotti
farmaceutici, cosmetici e chimici e 65.709 prodotti alimentari.
Si è riscontato inoltre che nelle attività di contraffazione partecipano attivamente clan
camorristi tramite il controllo di imprese commerciali, operato per mezzo della
mimetizzazione in attività imprenditoriali e la creazione in Italia e in molteplici paesi
stranieri (Europa occidentale, Usa, Brasile, Canada e Australia) di un’articolata rete
economico finanziaria.
4
Il fenomeno contraffattivo inoltre, è in forte crescita anche a causa dell’espansione di
internet come strumento di distribuzione dei prodotti e questo fenomeno sta invadendo
vari mercati dal business to business, al business to consumer, fino al consumer to
consumer.
5
Ampliando la prospettiva ai mercati esteri, seconde le stime della Banca Mondiale, il
volume d’affari della contraffazione in generale si aggira intorno ai 350 miliardi di euro,
pari al prodotto interno lordo di 150 dei paesi meno ricchi. La World Customs
Organization
6
, nel suo rapporto “Customs and Ipr 2009” evidenzia che, su un totale di
oltre 290 milioni di prodotti contraffatti sequestrati dalle dogane mondiali nel 2009, il
34% dei sequestri è avvenuto nell’area asiatica e pacifica, il 30% in Europa, il 18% in
Medio Oriente, il 14% in America e solo lo 0,7% in Africa.
La globalizzazione, favorendo la libera circolazione delle merci, ha alimentato anche
la diffusione delle imitazioni e quindi la contraffazione dei prodotti e dei marchi
aziendali delle imprese (in particolare da parte di produttori specialmente dell’area
asiatica).
A titolo esemplificativo si può citare il caso del prodotto Ferrero Rocher che fece
clamore qualche anno fa. L’azienda italiana iniziò ad operare in Cina nel 1984 e già
dall’inizio degli anni novanta subì la concorrenza sleale della società Montresor.
L’effetto devastante ci fu con i “Tresor Doré”, in tutto e per tutto identici ai Ferrero
Rocher originali. La Ferrero nel 2003 decise pertanto di citare in giudizio la Montresor e
nell’aprile del 2008 vinse la causa contro la società cinese che fu condannata al
4
Camera dei Deputati, Relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare, approvata dalla
Commissione nella seduta del 6 dicembre 2011, pag. 25.
5
Ibidem, pag. 42.
6
Organizzazione intergovernativa con sede a Bruxelles, si veda il sito: http://www.wcoomd.org/
9
risarcimento simbolico di 50 mila euro alla Ferrero e fu costretta a sospendere le vendite
e cambiare la confezione dei suoi cioccolatini “Tresor Doré”
7
.
Questa minaccia è accresciuta dalla mancanza di una normativa che sia univoca e
chiara innanzitutto a livello nazionale e comunitario
8
.
Ad esempio, nel caso specifico del settore agroalimentare, ciò implica che se il titolare
di un marchio registrato in Italia pretende la modifica di un marchio simile (o uguale)
già registrato in un paese terzo, è assai probabile invece che proprio il titolare del
marchio italiano dovrà modificare il marchio stesso (o dovrà acquistare il brand dal
proprietario locale) per poter esportare quel tipo di prodotto nel paese di riferimento
9
. A
tale riguardo, nel prossimo capitolo si vedrà in maniera specifica il caso degli Stati
Uniti, dove non viene riconosciuta l’indicazione geografica dei prodotti DOP e IGP
italiani.
In merito alla mancata chiarezza vale la pena affermare che tra le varie convenzioni
multilaterali non si trova una definizione trasparente e univoca del significato di “Made
in”. Tuttavia, risulta corretto considerare questa espressione come un’indicazione che fa
riferimento al paese come al luogo di origine di un prodotto; si crea pertanto un nesso
geografico tra il prodotto e il territorio e questa relazione non implica necessariamente
una qualità specifica o delle caratteristiche determinate attribuibili al luogo di origine.
10
È interessante affermare come talvolta l’indicazione di origine non implichi il legame
del prodotto con un unico Paese infatti, per uno stesso prodotto possono esservi fasi di
fabbricazione e lavorazione dislocate in più paesi e quelle considerate più rilevanti
vengono prese come riferimento ai fini dell’acquisizione dell’origine e di questo si
occupa l’Accordo OMC sulle regole di origine, il cui obiettivo è quello di armonizzare
il più possibile le legislazioni commerciali dei diversi stati, all’insegna del libero
commercio.
11
7
Da un articolo de “La Repubblica”: La Ferrero vince causa in Cina “Copiavano i suoi cioccolatini”,
del 28/04/2008. Si veda sito: http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/economia/ferrero-cina/ferrero-
cina/ferrero-cina.html
8
Fortis M., Quadrio Curzio A., Un marchio d’origine contro la contraffazione, Economia e politica
industriale n.118, 2003.
9
Camera dei Deputati, Relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare, approvata dalla
Commissione nella seduta del 6 dicembre 2011, pag. 107.
10
Cfr. il documento dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale
(OMPI)WIPO/GEO/BEI/07/7.
http://www.wipo.int/portal/en/index.html
11
Bertoli, G., Valdani, E., Mercati internazionali e marketing, Milano, Egea, 2010, cap. 9 pag. 330.