23
1.5. La ‘rivoluzione’ portata dai mezzi di comunicazione di
massa
L’epoca in cui viviamo vede la presenza sempre più insistente dei mezzi di comunicazione
di massa.
Le potenzialità che hanno i mass media di raggiungere, con i loro messaggi, milioni di
persone, sono state osservate anche dai linguisti ai quali non è sfuggita la grande capacità
che essi hanno di diffondere la “lingua”.
Essi iniziarono a parlare dei media, come potenti mezzi linguistici, e ad analizzarli di
conseguenza, relativamente tardi rispetto alla loro capillare diffusione; ciò avvenne dagli
anni ’50 in poi, proprio quando cinema, radio, fumetti, giornali, etc., erano ampiamente già
diffusi. Ricordiamo che soltanto nel 1984 Sabatini parlò di varietà del trasmesso: tipologia
linguistica a metà strada tra parlato e scritto. Questo ritardo in realtà, si colloca in un più
generale ritardo degli studi sulle lingue parlate rispetto a quelle scritte
35
.
Questo per diverse motivazioni
36
:
- il privilegio di cui godeva la lingua letteraria scritta giudicata, per molti anni (e soprattutto
in Italia), la sola lingua che occorresse studiare;
- la riluttanza ad affrontare argomenti di stretta contemporaneità;
- il timido sviluppo di certi mezzi di comunicazione di massa non paragonabile certo a
quello dei giorni nostri.
La lingua dei mass media non è caratterizzata da “sottocodici” cioè da varietà di lingua con
caratteri particolari propri di un determinato settore: i media utilizzano la lingua corrente e,
per questo, hanno una diffusione molto più ampia. Questo discorso ovviamente riguarda i
media in senso lato, perché è ovvio che i linguaggi settoriali sono presenti in tv, come al
cinema, come su Internet. Basti pensare alle telecronache calcistiche, ad una fiction di
medicina, ad un sito Internet che si rivolge ad una determinata categoria di lavoratori o ad
35
Miriam Voghera ad esempio, nel suo lavoro sull’italiano parlato dal titolo Sintassi e intonazione
nell’italiano parlato (1992:pag.11), più volte citato, nota la generale scarsità di approcci sulle lingue parlate
rispetto a quelle scritte:”Non si deve infatti credere che mai prima d’ora ci si fosse occupati di parlato, ma
piuttosto che prima d’ora il parlato non era mai venuto così prepotentemente fuori come possibile oggetto
autonomo delle indagini linguistiche. Le riflessioni sul parlato si sono così, nel corso della storia, disperse in
mille rivoli trovando spazio in ambiti di ricerca molto diversi tra loro (dalla retorica alla stilistica, dalla
semiologia alla etnoantropologia, dalla psicologia alla psicolinguistica), mentre molto più raramente hanno
occupato un posto di rilievo nelle descrizioni linguistiche in senso stretto.”
36
Cfr. Masini A., “L’italiano contemporaneo e la lingua dei media”, in Bonomi I., Masini A., Morgana S,
2012, pag.11.
24
un film poliziesco, dove vengono usati termini assolutamente tecnici che non sempre i non
addetti ai lavori possono comprendere (ma che altresì possono così essere conosciuti).
Un’altra loro peculiarità è data dal canale di trasmissione, che può essere lo schermo,
l’altoparlante o la carta stampata: non c’è quindi un destinatario che può interagire in alcun
modo col mezzo. La fruizione dei mezzi di comunicazione di massa presuppone dunque,
nella quasi totalità dei casi, un destinatario assolutamente passivo.
Quali sono le finalità dei mass media? Fondamentalmente tre: informare, diffondere
cultura e divertire
37
.
Proprio per questo essi devono raggiungere la più larga fetta di pubblico possibile e proprio
per questo essi devono usare una lingua che sia comprensibile anche a coloro che non
hanno una grande scolarizzazione o non ne hanno affatto.
La lingua usata non è certo una lingua unitaria data la grandissima varietà di argomenti di
cui i media sono portatori ma sicuramente, in linea di massima, possiamo riconoscere nella
loro lingua tutti gli ingredienti del parlato neostandard.
“Le espressioni linguistiche dei mass media sono orientate così in diafasia verso usi che si
situano, in linea di tendenza, verso zone centrali della scala, non troppo sbilanciati verso
l’italiano trascurato e alieni al tempo stesso da pretenziosi paludamenti formali; anche in
diastratia si tendono ad evitare gli estremi, sia dell’italiano popolare, sia di quello che è
appannaggio solo delle classi sociali più avanzate; in diamesia si oscilla, come si è visto,
fra i due poli dello scritto-scritto e del parlato-parlato, ma le strade più battute sono in
direzione di tipologie intermedie, che mescolano i due principali piani diamesici: da un lato
l’italiano trasmesso, una realizzazione orale che non può prescindere del tutto dalla
scrittura; dall’altro, nei media scritti, una scrittura che ammicca volentieri all’oralità,
simulandone molti andamenti ma senza riprodurne compiutamente tutte le caratteristiche.
Le lingue dei mass- media, insomma, nascono come uno specchio che riflette l’italiano
contemporaneo nelle varietà più diffuse fra la popolazione, attento a non sconfinare, se non
in modo occasionale o con precisi intendimenti espressivi, nelle zone di eccessiva
marcatezza sociolinguistica.
38
”
È soltanto dopo che i mezzi di comunicazione di massa sono stati studiati nelle loro
potenzialità linguistiche che si è fatta strada l’idea che essi esprimano un modo di
comunicare che non rientra né nel parlato né nello scritto. Bisogna aspettare gli anni ’80
del ‘900.
37
Cfr. Masini, “L’italiano contemporaneo e la lingua dei media”, in Bonomi I., Masini A., Morgana S., 2012.
38
Masini (2012:26).
25
1.6. Un nuovo canale di trasmissione del linguaggio verbale: il
trasmesso
Un testo, si è visto, può realizzarsi sia per mezzo della scrittura che dell’oralità. I linguisti
hanno tuttavia individuato tra questi due poli l’esistenza di registri intermedi, tra i quali
riveste particolare importanza, anche per la sua incidenza sociale, il parlato trasmesso: cioè
il parlato diffuso dai mezzi di comunicazione di massa.
Lungo l’asse che Nencioni
39
ha definito dallo ‘scritto scritto’ (cioè privo di ogni modalità
caratteristica del parlare) al ‘parlato parlato’ (il parlato della conversazione), la varietà del
trasmesso, individuata da Sabatini
40
, si colloca esattamente nel mezzo.
“I rapporti tra orale e scritto non possono essere stabili una volta per tutte con una formula
definitiva e generica. L’universo dei testi è complesso e variegato: non ammette un’unica
forma di comprensione. […] In effetti, nell’epoca dei mass media i due mondi
interagiscono tra di loro producendo una stragrande maggioranza di testi nei quali si
riscontra un’effettiva cooperazione tra le due modalità della lingua. Così, di giorno in
giorno, si consolida e si estende un settore di ‘testi misti’, che nella nostra società gode di
grande fortuna come mezzo interpretativo e come modello di rappresentazione.
41
”.
Il trasmesso, collocandosi in una via di mezzo tra parlato e scritto, ha diverse
caratteristiche in comune con l’uno e con l’altro.
Con il parlato condivide: l’utilizzo della voce, la vista dell’interlocutore e l’utilizzo del
linguaggio gestuale e mimico, l’uso di vista ed udito, l’unicità del messaggio trasmesso.
Con lo scritto invece il trasmesso ha i seguenti punti in comune: il messaggio, se registrato,
può essere riutilizzato; nella maggior parte dei casi la comunicazione è unidirezionale;
emittente e ricevente sono in luoghi diversi, si comunica contemporaneamente ad un alto
numero di persone.
39
Cfr. Nencioni G., Di scritto e di parlato: discorsi linguistici, Zanichelli, Bologna, 1983, pp. 126 – 179.
40
Cfr. Sabatini F., “La comunicazione orale, scritta e trasmessa: la diversità del mezzo, della lingua e delle
funzioni”, in Boccafurni A.M., Serromani S., Educazione linguistica nella scuola superiore: sei argomenti
per curricolo, Roma, Provincia di Roma – CNR, 1984, pp. 105-127.
41
Dardano M., “Testi misti”, in De Mauro T., Come parlano gli italiani, La Nuova Italia, Firenze, 1994, cit.
pag. 176.
26
In una prima fase, come sottolinea D’Achille
42
, si è trattato solo di ‘parlato a distanza’
(telefono, radio, cinema, televisione), poi si è aggiunto anche lo ‘scritto a distanza’ (siti
internet, posta elettronica, chat, sms, social network).
Sarà presentato, di seguito, un breve excursus di queste varietà di trasmesso, rimandando al
prossimo capitolo per il trasmesso televisivo, che sarà oggetto di indagine più dettagliata.
1.5.1. Il trasmesso telefonico
La conversazione telefonica è quella che più si avvicina alla conversazione spontanea
faccia a faccia. È una conversazione bidirezionale, tra due interlocutori, i quali comunicano
non soltanto con quello che dicono ma ‘come’ lo dicono quindi tenendo conto del tono, del
volume e dell’accento. Rispetto al parlato vero e proprio però i due interlocutori non si
vedono (a meno che non stiano facendo una videochiamata), quindi non hanno lo stesso
contesto e non possono ricorrere né a gesti né a elementi deittici. Per evitare che i due
interlocutori si sovrappongano nella conversazione, si usano dei segnali fàtici, alcuni dei
quali sono esclusivi di questo canale (Pronto?, Mi senti?).
Il trasmesso telefonico però non è del tutto spontaneo: chi chiama ha, in genere, qualcosa
da dire o comunque sa di quale argomento parlare con il suo interlocutore.
È ovvio inoltre che, a seconda dell’interlocutore, ci saranno telefonate più o meno formali
e diverso ruolo avranno, a seconda dell’occasione, gli elementi rituali (saluti, convenevoli,
etc.) o anche la lingua usata (tra due parenti anziani ad esempio verrà usato il dialetto).
Tipiche di una conversazione telefonica sono inoltre:
- I segnali di apertura: (Pronto?, Si?)
- I segnali di presentazione e di riconoscimento (Sono Mario, Gigi è in casa?, Parlo col
Signor Rossi?)
- I segnali di chiusura, che sono le tipiche forme di saluto.
- L’uso dell’imperfetto di cortesia (Ti chiamavo per sapere se hai fatto quell’esame)
In una chiamata da cellulare invece, i convenevoli o i segnali di presentazione sono molto
più rapidi giacché si tratta di un apparecchio personale che accompagna il possessore.
42
Cfr. D’Achille (2003).
27
1.5.2. Il trasmesso della radio
Il linguaggio radiofonico è un linguaggio esclusivamente parlato, benché per molto tempo
abbia fatto parte della categoria di ‘parlato – scritto’ per il fatto che era costituito da testi
scritti e letti ad alta voce. Tuttora vi sono alcuni testi scritti che vengono letti, come i
notiziari o il meteo, ma è comunque un tipo di trasmesso che utilizza solo la voce ed
esclude qualsiasi tipo di linguaggio gestuale
43
.
La radio di oggi è molto variegata al suo interno; nonostante ciò, possiamo riconoscere tre
metageneri: informazione, intrattenimento culturale e intrattenimento leggero.
Nel nostro paese la radio è stata, insieme al teatro di prosa, uno dei luoghi privilegiati in
cui veniva ‘coltivato’ l’italiano standard; oggigiorno invece, soprattutto nelle radio locali,
vi è sempre più una diffusione della pronuncia tipica del luogo o la presenza di tratti che
imitano le parlate settentrionali, per un fattore di moda. L’ascoltatore comunque può
entrare in una trasmissione radiofonica attraverso ‘la telefonata’ e quindi può portare la sua
parlata locale.
Il parlato radiofonico, riprendendo le regole date da Carlo Emilio Gadda nel 1953
44
, deve:
usare frasi brevi, preferire la paratassi ed evitare incisi, parentesi e inversioni sintattiche.
In Italia la radio iniziò le sue trasmissioni nel 1924. Per decenni è stato l’unico mezzo di
intrattenimento e di informazione e, insieme alla televisione, uno dei più importanti canali
di diffusione dell’italiano in un periodo in cui, specie dalle classi più povere, non era quasi
conosciuto. Scrive Beccaria: “La radio ha dato un grande apporto alla lingua italiana. Ha
funzionato come scuola di italiano in un paese nella sua quasi totalità dialettofono. Parlo
degli anni Trenta, quando in Italia la radio nasce come servizio pubblico, agosto del 1924,
data in cui si inaugura a Roma la prima stazione di radiodiffusione, le trasmissioni iniziano
in ottobre, l’anno seguente comincia Milano.
45
”
Nel capitolo seguente avremo modo di confermare che radio e televisione hanno una storia
simile. Nata dalla società poi diventata RAI, dal 1924 ai primi anni settanta il monopolio
della radio pubblica è stato incontrastato così come il suo intento pedagogico e
informativo. Le cose cambiano quando nel 1976 una sentenza della Corte Costituzionale
limita tale monopolio alle trasmissioni nazionali, consentendo ai privati l’esercizio di radio
e televisioni locali. A partire dagli anni Ottanta poi le radio regionali più forti cominciano
ad espandersi a livello nazionale portando quindi la caratteristica parlata settentrionale in
43
Anche se oggi è possibile seguire alcuni canali radiofonici anche dalla televisione digitale o satellitare.
44
Cfr. D’Achille (2003).
45
Beccaria G. (2006:100-101).
28
tutta Italia e ponendosi come modello linguistico anche per le radio delle altre regioni
italiane.
Come accennato prima, per l’evoluzione del palinsesto ha rivestito grande importanza,
dalla fine degli anni sessanta, l’introduzione del telefono, che ha permesso una massiccia
partecipazione degli ascoltatori che intervengono direttamente nelle trasmissioni per dire la
loro o per vincere premi.
Oggi, con l’apertura a qualsiasi tipo di parlante, il mezzo radiofonico è sempre più
specchio della realtà linguistica e sempre meno una fonte di orientamento, fondata com’è
sul flusso continuo di frammenti parlati e sonori.
“La multiformità del linguaggio radiofonico è dovuta alla sua natura di ‘parlato
programmato caratterizzato dalla presenza di margini di spontaneità di ampiezza
variabile
46
’. Pur essendo un parlato programmato che, per ragioni funzionali, si colloca
nella parte alta di quella scala che va dal parlato colloquiale alla scrittura, è al suo interno
estremamente diversificato a seconda del rapporto tra dipendenza da un testo scritto e
improvvisazione: troviamo il parlato letto tipico dei notiziari, il parlato recitato dei
radiodrammi, il parlato difficile dei programmi culturali, il parlato improvvisato della
radiocronaca sportiva ecc. I margini di spontaneità aumentano nella conduzione dei dj e nei
programmi in diretta in cui il telefono permette la partecipazione del pubblico. […] La
radio oggi non presenta solo un’oralità di ritorno dipendente dalla scrittura, ma anche una
nuova oralità, una rivincita dell’oralità primaria precedente alla scrittura e all’immagine.
47
”
Sorge spontanea una riflessione: come mai la radio non è mai stata demonizzata come la tv
benché anche quest’ultima abbia avuto ai suoi esordi lo stesso intento pedagogico e
informativo? La risposta ce la da Beccaria: “La radio è meno imperiosa della tv, è più
rilassante, meno distraente, la si ascolta volentieri perché è pura voce, non ha bisogno di
fondali, scenari, colori, li puoi immaginare. […] Infine, la radio mette di più in rilievo
quello che si dice, il ragionamento, il contenuto, senza che la presenza fisica di chi parla
influisca (cosa che la tv invece esalta al massimo).
48
”
46
In Stefanelli S. (1997b: 60).
47
Atzori E., “La lingua della radio”, in Bonomi I., Masini A., Morgana S., La lingua italiana e i mass media,
Carocci editore, Roma, 2012, cit. pagg.37-38.
48
Beccaria G. (2006:101).