LEGITTIMA DIFESA NELLA STORIA E NEL DIRITTO COMPARATO
CAPITOLO I:
LEGITTIMA DIFESA NELLA STORIA E NEL
DIRITTO COMPARATO
SOMMARIO: Premessa: ragioni di un introduzione storico-comparativa. – 1. Legittima difesa
nel diritto romano e nel diritto medievale. – 2. Evoluzione storica dell’istituto: dalle
codificazioni preunitarie al codice Rocco. – 3. Legittima difesa nel diritto comparato: alcuni
ordinamenti di Civil Law e di Common Law
Premessa: ragioni di un introduzione storico-comparativa
L’introduzione della “nuova” legittima difesa nel nostro ordinamento penale con Legge
13 febbraio n. 59 del 2006 è stato il risultato e la conseguenza di incessanti richieste
provenienti da commercianti e privati cittadini, i quali “pretendevano” un ulteriore
strumento di tutela, rispetto quello offerto dalla legittima difesa “comune”, contro il
dilagare di determinati fenomeni delittuosi quali rapine in esercizi commerciali e furti
d’appartamento, spesso posti in essere con modalità violente ed efferate.
Prima di analizzare nello specifico l’istituto in esame, oggetto tra l’altro di dibattiti a
livello dottrinale e giurisprudenziale, nonchØ vedere in concreto come e in quali ipotesi
esso risulta essere stato applicato dalla giurisprudenza, è opportuno soffermarci su
alcuni aspetti storico-comparatistici. In tal senso porremo l’accento sull’evoluzione
storica dell’istituto, muovendo l’analisi dal diritto romano e giungendo sino all’attuale
configurazione della legittima difesa nell’ordinamento penale italiano, passando dagli
ordinamenti di mezzo e dalle codificazioni ottocentesche, per poi accingerci ad
effettuare un’analisi comparata della scriminante con alcuni tra i piø importanti
ordinamenti giuridici penali di Civil Law e di Common Law. Siffatta indagine avrà il
fine di verificare, in primo luogo, se la nuova legittima difesa introdotta nel nostro
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ordinamento risulta essere una ‘novità in senso assoluto’, ossia se prima d’ora non fosse
mai stata presente nella storia del diritto un’ipotesi particolare di difesa legittima
(prevedendola espressamente, ad esempio, nell’ipotesi di uccisione del ladro che
s’introduce nelle abitazioni private, ovvero quale giustificazione dell’eccesso per paura
o panico); in secondo luogo se l’istituto in esame risulta essere una ‘novità in senso
relativo’, ossia se la legittima difesa introdotta di recente nel nostro ordinamento non sia
già presente in altri contesti normativi, europei ed extra-europei. Chiaramente in
quest’ultimo senso si prenderanno in considerazione ordinamenti simili al nostro, sia dal
punto di vista giuridico-penale, sia dal punto di vista socio-culturale.
1. Legittima difesa nel diritto romano e nel diritto medievale
L’istituto in esame non è di epoca recente ma, al contrario, ha alle sue spalle secoli di
storia (in particolare) europea. Esso infatti affonda le sue radici nel Diritto romano, che
già prevedeva il diritto di autodifesa contro aggressioni poste in essere da terzi. La
ragione fondante l’istituto è da ricercare in una naturalis ratio: nel diritto romano si
determina il fondamento teorico della fattispecie, ma quest’ultima sarebbe insita nella
natura umana, cosicchØ allo Stato (e, piø in generale, al diritto) spetterebbe soltanto il
compito di riconoscere formalmente siffatta fattispecie
1
. L’esercizio del diritto che ne
scaturiva, tra l’altro, presupponeva non di rado l’alternativa tra il perire e l’occidere,
ossia tra una situazione di conflitto generata tra soggetti pari (per età, sesso, status e
1
POSITANO DE VINCENTIIS, sub Difesa legittima, stato di necessità, disposizione della Legge e
ordine dell’Autorità, in Dig. It., vol. IX, parte 2a, Torino, 1884-1921, pag. 359. In senso confermativo
SZEGÖ, Ai confini della legittima difesa, un’analisi comparata, Padova, pag. 14; BELLINI, La difesa
legittima, Torino, 2006, pag. 11. Di diverso avviso circa il fondamento della legittima difesa FALCHI,
Diritto penale romano, (dottrine generali), 2a ed., Padova, 1937, pag. 61, secondo cui essa troverebbe la
sua ratio nello ius gentium.
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vigore fisico) che si fronteggiavano in campo aperto
2
. Quanto ai requisiti dell’istituto in
esame, elementi essenziali erano considerati, oltre alla minaccia di un’aggressione
nonchØ la imminenza (periculum praesens)
3
e ingiustizia della medesima (iniusta
aggressio), la necessità dell’azione difensiva al fine di tutelare il bene aggredito
4
. Non
pareva sussistere invece alcuna norma che imponesse il rispetto del requisito della
proporzione
5
: ciò sembrerebbe confermato dal fatto che la reazione difensiva “letale”
fosse legittimata anche in quelle ipotesi in cui ad essere minacciati dalla condotta
aggressiva non erano solamente i beni della vita o dell’integrità fisica, ma anche i beni
del pudore e dell’onore, proprio o altrui
6
; difendibili erano anche i beni patrimoniali
dell’aggredito, ma solo se, contestualmente, vi era un pericolo imminente sulla persona
proprietaria del bene.
7
Questo grosso modo era lo schema classico della legittima difesa
nel diritto romano.
2
E’ il caso, richiamato nell’opera di Szegö, di Milone e Clodio: i due politici si affrontano in uno scontro
nella via Appia, e il primo cagionò la morte del secondo. Nel patrocinare Milone, Cicerone sostenne la
legittimità della difesa posta in essere da Milone e il suo esercizio trovò fondamento nella natura stessa
(ossia nella naturalis ratio), in una legge non scritta. SZEGÖ, Ai confini della legittima difesa. Un’analisi
comparata, cit., pag. 14.
3
I Romani consideravano “attacco attuale” non soltanto quello già iniziato, laddove l’aggressore abbia
già posto in essere atti di violenza, ma anche quello soltanto eventuale, ossia in procinto di iniziare (così
come nel caso di colui che avanza arma in pugno verso la vittima, dimostrando l’intento di aggredirlo).
POSITANO DE VINCENTIIS, sub Difesa legittima, stato di necessità, disposizione della Legge e ordine
dell’Autorità, cit., pag. 359.
4
Anche se siffatta condizione non implicherebbe un’inevitabilità in senso assoluto di sfuggire
all’aggressione, ma soltanto una “difficoltà” a sottrarvi senza conseguenze dannose per il bene
minacciato. Così BELLINI, La difesa legittima, cit., pag. 12.
5
BELLINI, La difesa legittima, cit., pag. 12. Tuttavia la proporzione tra l’offesa imminente e la reazione
alla medesima verrebbe ricavata dalla formula del moderamen inculpatae tutelae (poi utilizzata nel diritto
canonico per indicare l’intera figura della legittima difesa), e tuttavia la sua esistenza non potrebbe
determinarsi a priori attraverso un’indagine empirica, ma attraverso una (successiva) valutazione di fatto.
Così SZEGÖ, Ai confini della legittima difesa. Un’analisi comparata, cit., pag. 15; FALCHI, Diritto
penale romano (dottrine generali), cit., pag. 150. In senso confermativo circa la sussistenza del requisito
della proporzione MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol II, Torino, 1982, pag. 278.
6
Con riferimento al bene dell’onore, paradigmatico è un caso, richiamato da Szegö e risalente al diritto
romano, in cui il soldato Plozio subì un tentativo di stupro omosessuale da parte del centurione Luscio e il
primo, al fine di difendere il proprio pudore, reagì uccidendo quest’ultimo. Al soldato Plozio venne
riconosciuta la scriminante della legittima difesa, e venne conseguentemente assolto. SZEGÖ, Ai confini
della legittima difesa, un’analisi comparata, cit., pag. 15.
7
MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., pag. 278.
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6
Tuttavia alla scriminante così intesa era prevista un’eccezione con riferimento alle
aggressioni poste in essere dal ladro che si introduceva nel domicilio privato della
vittima: quest’ultima infatti, secondo quanto espressamente previsto dalla Legge delle
XII Tavole
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, era legittimata, al fine di difendere se stessa, all’uccisione del ladro
medesimo. Nello specifico, la norma ammetteva la reazione letale contro il ladro
notturno che agiva di notte ed attentava alla proprietà dei beni della vittima
dell’aggressione, e contro il ladro diurno, ma a condizione che l’aggressore resista a
mano armata e a condizione che la persona aggredita chieda (previamente) aiuto
9
. La
distinzione tra le due ipotesi eccezionali avveniva anche sul piano processuale: se il
ladro agiva di giorno, il pericolo che il medesimo arrecava alla vita della vittima doveva
essere provato; se il ladro agiva di notte (c.d. fur nocturnus) non occorreva la prova del
pericolo giacchØ quest’ultimo era “presunto”; ciò in quanto, seppur la situazione reale
che si veniva a configurare di notte era la medesima di quella diurna, e che in tal senso
potrebbe non legittimarsi una reazione rivolta all’uccisione del ladro, il “timore” che
induce la vittima alla reazione è sicuramente maggiore di notte che di giorno, posta
inoltre la sussistenza di un pericolo ragionevolmente (rectius: presumibilmente)
maggiore derivante dalla difficoltà di perpetrare la difesa in condizioni di scarsa
visibilità
10
. Tuttavia si ritiene
11
che l’ordinamento romano abbia sì voluto presumere
8
La legislazione decemvirale romana così recitava: «Si nox fortum faxit, si im occisit, iure caesus esto;
luci, si se telo defendit, endoque plorato». Testo ripreso da FALCHI, diritto penale romano (dottrine
generali), cit., pag. 176.
9
Da considerare, inoltre, la possibilità di uccisione dello schiavo senza limitazione alcuna, ossia
indipendentemente dalle circostanze in cui sia avvenuto il furto. Così SZEGÖ, Ai confini della legittima
difesa, un’analisi comparata, cit., pag 16. In senso confermativo FORTE, I nuovi confini della legittima
difesa, in Cass. pen., 2006, pag. 3070. Arangio-Ruiz sosterrebbe infine la possibilità di uccisione del fur
manifestus, ossia il “ladro di cui il derubato riesce ad impossessarsi, cogliendolo sul fatto”; contro tale
lettura però Gioffredi, secondo cui il ladro colto in flagranza di reato non viene ucciso ma soltanto
fustigato, dopodichØ cadrebbe in potere del derubato. V., per maggiori approfondimenti sulla questione,
ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, 14a ed., Napoli, 1960, pag. 369 e GIOFFREDI, I principi
del diritto penale romano, Torino, 1970, pag. 13.
10
FALCHI, Diritto penale romano (dottrine generali), cit., pag. 154. Confermativo della presunzione di
maggior pericolo del fur nocturnus CADOPPI, “Si nox fortum faxit, si im occisit, iure caesus esto”,
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legittima la reazione dell’aggredito contro il fur nocturnus in presenza di un fondato
timore, ma che quest’ultimo derivi principalmente, piø che dalle “condizioni
ambientali” (carenza di luce), dalla “situazione inaspettata” (quale può essere
l’intrusione, di notte, del ladro che approfitti dell’altrui sonno) e dalle “conseguenze”, di
fatto sconosciute all’aggredito, della condotta dell’intruso, potenzialmente lesive di tutti
i beni, non soltanto patrimoniali ma anche quelli della vita ed integrità fisica degli
abitanti della casa.
E’ stato sostenuto
12
che, nonostante la reazione difensiva contro l’aggressione del fur
nocturnus potesse essere “sproporzionata” sulla base di un pericolo presunto derivante
dal maggior timore in capo alla vittima, sarebbe comunque richiesta a quest’ultima di
rivolgere all’intruso dapprima un’intimazione ad andarsene e solo successivamente a
tale intimazione, se non vi fosse stata desistenza, la possibilità di difendersi mediante
l’uccisione del ladro. Di diverso avviso, tuttavia, altro Autore
13
, secondo cui, come si è
già accennato precedentemente e quantomeno con riferimento al ladro diurno,
l’aggredito poteva uccidere colui che si fosse introdotto furtivamente nella sua
abitazione solo se, a seguito di richieste di aiuto rivolte a terzi soggetti, nessuno di
questi interveniva in suo soccorso.
Sia che ci troviamo di fronte allo schema classico ovvero alle due eccezioni previste a
tale schema, la legittima difesa nel diritto romano è considerata quale ‘atto giusto’, e ciò
fa venir meno l’antigiuridicità del fatto commesso contro l’aggressore: l’azione è in
sostanza considerata iure facta, cioè esercizio di un diritto
14
. Tuttavia, come si vedrà a
Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa in Studi in onore di G. Marinucci, vol. II, Milano, 2006,
pag. 1383; BELLINI, La difesa legittima, cit., pag. 13.
11
SZEGÖ, Ai confini della legittima difesa, un’analisi comparata, cit., pag. 17.
12
CAMAZZA-RAMETTA, Studio sul diritto penale dei romani, Messina, 1883, pag. 136.
13
SZEGÖ, Ai confini della legittima difesa, un’analisi comparata, cit., pag. 16 e ss.
14
SZEGÖ, Ai confini della legittima difesa, un’analisi comparata, cit., pag. 18.
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breve, questa considerazione della scriminante in esame andrà mutando negli
ordinamenti “di mezzo”, in particolare nel diritto barbarico, nel diritto canonico e negli
ordinamenti comunali.
Nel diritto barbarico infatti, la legittima difesa perde il suo carattere di iure facta per
essere considerata quale ‘atto di vendetta’. Paradigmatico è l’ordinamento germanico in
tal senso. Nella società germanica il delitto era considerato un fatto che distrugge la
pace, tanto nella sfera pubblica (incidendo negativamente sulla collettività) quanto nella
sfera privata (incidendo negativamente sui singoli); tuttavia, mentre contro le lesioni
della sfera pubblica si poneva rimedio al delitto attraverso l’intervento di un’autorità
centrale (che puniva il reo, ad es., cacciandolo dalla comunità e dichiarandolo
delinquente), contro le lesioni della sfera privata dei gruppi parentali erano gli stessi
individui facenti parte del gruppo a perseguire i reati attraverso quello che è possibile
definire un vero e proprio “regolamento di conti tra clan”. E quest’ultimo avveniva o
attraverso un pagamento di una somma di denaro, ovvero - come piø spesso accadeva -
attraverso la ‘vendetta’, ossia l’uccisione di colui il quale aveva per primo commesso il
delitto. Questa vendetta privata altro non era che una «forma embrionale di legittima
difesa differita nel tempo»
15
che, tra l’altro, veniva accettata maggiormente a livello
sociale rispetto alla legittima difesa di stampo romanistico
16
.
Nel diritto longobardo, anche a seguito della crescente importanza acquisita dall’animus
dell’agente, e dunque con una maggiore rilevanza data alle circostanze concrete, le
15
Così PEVERATI, Considerazioni sulla legittima difesa, Torino, 1942, pag. 23.
16
Questo in quanto la “vendetta” in luogo della “difesa romana” era considerata piø “giusta” per
soddisfare la finalità di composizione delle faide insorte tra clan: se un membro di un gruppo veniva
ucciso da un membro di un altro gruppo, la soluzione migliore risultava essere l’uccisione del reo
piuttosto che il pagamento di una somma di denaro a titolo di indennizzo, anche perchØ in tal modo la
catena di uccisioni terminava. Invece nel diritto romano siffatta catena veniva, in un certo senso,
“spezzata”, e ciò sembrava “ingiusto” in quanto, da un punto di vista puramente oggettivo, siffatta
reazione comportava conseguenze piø gravi in ordine alla violazione della pace sociale rispetto quella
posta in essere per vendetta. SZEGÖ, Ai confini della legittima difesa, un’analisi comparata, cit., pag. 20.