2
Misure a favore della competitività del
mercato del lavoro
6
Prefazione
Già in epoca romana classica vigevano gli istituti della “locatio
operarum”, che deriva dalla locazione degli schiavi e delle “operae
liberales” come quelle prestate da medici, retori, grammatici, artisti
figurativi, filosofi, musici, avvocati, giureconsulti. Riguardo agli
“advocati” ed ai patrocinatori legali, la lex Cincia de donis et
muneribus del 204 a. C, vietava che i clienti dovessero versare loro i
compensi. Tuttavia, non è verosimile che essi esperissero
gratuitamente la loro professione, anzi, se è vero quanto riportato da
Cassio Dione in una notizia storica alquanto curiosa, è pensabile che i
compensi richiesti siano stati talmente elevati da provocare lo sdegno
dell’imperatore Augusto. Questi stabilì attraverso la “lex Iulia
Iudiciaria” che essi dovessero restituire ai clienti il quadruplo degli
onorari che avessero da loro ricevuti
1
. Verso la “locatio operarum” la
giurisprudenza postclassica, con l’influenza del cristianesimo divenne
presto insofferente, a causa del concetto schiavistico del locator al
conductor in essa insito. Ciò che si ottenne fu proprio quello cui si
auspicava: in tanto potè essere mitigato il concetto di “ schiavitù”, in
quanto si cominciò a considerare oggetto del contratto di lavoro le
“operae” del lavoratore piuttosto che il lavoratore stesso
2
.
1
Sulle operae liberales, Antonio Guarino,”Diritto privato romano” editore Jovene Napoli
2001.Capitolo XIII “Le obligationes ex contractu”. Per tutte le categorie professionali, i clientes
potevano ricorrere alla lex Aquilia de damno dato per far valere un’eventuale responsabilità dei
professionisti a meno che non agissero ex locato, considerandoli conductores operis.
2
Sulla locatio operarum, Antonio Guarino “Diritto privato romano”, questo istituto era sorto come
affidamento o locazione (locatio appunto) di una cosa dal conductor al locator ma col passare degli
anni, cioè in epoca classica, i giuristi romani cominciarono a pensare che vi fosse locatio operarum
anche quando il locator non avesse ricevuto alcuna cosa dal conductor affinchè fosse trasformata, ma
si impegnasse a realizzare ex novo un’opera ( caso emblematico quello del piccolo imprenditore che
dietro compenso si impegna a costruire un edificio).
7
Dal diritto romano ad oggi è trascorso molto tempo e negli anni è
sorta una disciplina di alta importanza giuridica denominata “diritto
del lavoro”, tuttavia ho scelto di riferirmi comunque alle origini
romanistiche in quanto lo schema basilare del contratto di lavoro
attuale ricalca, a grandi linee, sia sotto l’aspetto della subordinazione
che sotto l’aspetto della retribuzione , quello del diritto antico.
Anche illustri economisti hanno focalizzato la loro attenzione
sull’argomento “lavoro”. Mi riferisco ad Adam Smith che nella sua
celebre opera “An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of
the Nations” pubblicata nel 1776, spiega in cosa consista la ricchezza
e quali siano le leggi che ne regolano la formazione. “La causa
principale del progresso nelle capacità produttive del lavoro, nonché
della maggior parte dell’arte, destrezza ed intelligenza con cui il
lavoro viene svolto e diretto, sembra sia stata la divisione del lavoro”.
Smith sottolinea il ruolo che ha la specializzazione dei lavoratori
rispetto alle capacità produttive. Alla specializzazione concorrono
svariati elementi quali innovazioni tecnologiche, un migliore
addestramento dei lavoratori nonché processi di accumulazione del
capitale
3
.
Questa separazione è applicata, secondo l’illustre economista, in quei
paesi che godono del più alto grado di industria e progresso : “ciò che
è opera di un solo uomo in una civiltà arretrata, in una società
incivilita diviene opera di molti”.
3 Sul punto, corso di scienza delle finanze anno 2009- 2010, G. Stornaiuolo e testo “Teoria
dell’intervento pubblico”, appendice, 1 F.Pica. Emblematico l’esempio della fabbrica di spilli dove si
dimostra che anche per la realizzazione di un oggetto così semplice quale uno spillo è necessaria la
divisione del lavoro in diversi rami speciali. Gli operai si ripartiscono il lavoro: uno tira il filo del
metallo, un altro lo tende, un altro lo taglia, un altro ancora quando gli spilli sono fabbricati li pulisce
e un altro infine li mette in carta. Ci sono fabbriche che, in questo modo, hanno prodotto anche 48.000
spilli al giorno a fronte dei neppure 20 spilli che gli operai avrebbero prodotto se avessero lavorato
separatamente.
8
Da un punto di vista ontologico, cioè scevro da qualsiasi
condizionamento di dottrina e giurisprudenza, le misure atte a favorire
la competitività del mercato del lavoro sono da ricercare nella
promozione ed incentivazione delle capacità personali, attitudinali di
ogni individuo.
D’altra parte è la stessa carta costituzionale che, nei principi
fondamentali all’art. 1 asserisce che l’Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro, ma ad una più attenta indagine
dovrebbe essere “fondata sul mercato del lavoro”. Più avanti i
Costituenti hanno inserito il diritto al lavoro (art.35 ss. Cost.) nel titolo
III della Costituzione mentre avrebbe trovato una più significativa
collocazione nel titolo II in quanto nella routine comunitaria
emergente dalla Costituzione dopo la famiglia e la scuola (titolo II,
rapporti etico-sociali) viene il lavoro e non la sanità che dovrebbe
essere inserita nella previdenza generale. Questa erronea collocazione
costituisce un limite sistematico e politico perché comporta
l’impossibilità di garantire il lavoro in modo altrettanto sicuro di altri
contesti comunitari. L’origine dell’equivoco sta nella nostra economia
che non è da lavoro, come dovrebbe avvenire in ogni economia
comunitaria, ma è da capitale, in rapporto al quale il lavoro è solo una
variabile economica che può essere comprata, venduta, delocalizzata,
eliminata. Eppure è forte la garanzia che il Costituente offre al lavoro
nell’art 36 Cost. che recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso
sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua famiglia un’esistenza libera e
dignitosa”. Se il lavoro deve permettere al lavoratore un’esistenza
libera e dignitosa, cioè il quomodo, a fortiori, deve essergli reso
possibile il lavoro stesso cioè l’an, ossia la sua esistenza sicura per
un’assoluta logica priorità dell’an sul quomodo come argumentum a
maiori ad minus.
4
L’argomento oggetto della nostra analisi concerne la produttività, il
cui aumento è fondamentale ai fini della crescita economica e del
4 Sulla questione trattata e sui principi costituzionali pertinenti, De Lalla Millul, “La comunità
democratica”, III volume, Guida Editore, 2009.
9
miglioramento del tenore di vita della popolazione. In via di prima
approssimazione una proposta per incentivare la produttività è quella
di riformare il modello di contrattazione salariale per realizzare un più
“virtuoso” legame tra salari e produttività, veicolo indispensabile per
conseguire il duplice importante obiettivo di favorire la produttività
stessa, e al tempo stesso di migliorare la dinamica retributiva.
Stringendo i termini della questione, si tratterebbe di modificare il
meccanismo contrattuale vigente attraverso il depotenziamento della
contrattazione di “primo livello” e lo spostamento del fulcro della
contrattazione su un “secondo livello”, inteso prevalentemente come
livello aziendale. Il giuslavorista ha a disposizione un “glossario” e
insieme con esso alcuni strumenti di analisi che la teoria economica
può fornire sul tema della produttività. Possiamo dire fin d’ora, che le
“determinanti strutturali” della produttività, sono l’investimento in
beni capitali, la spesa per la Ricerca e Sviluppo, l’investimento in
istruzione, oltre a fattori istituzionali di regolazione del mercato del
lavoro atti, per esempio, a promuovere rapporti di lavoro continuativi
che, a differenza delle “relazioni d’impiego” temporanee, favoriscono
l’investimento in capitale umano. Secondo una misura comunemente
usata, il benessere medio di cui godono gli abitanti di un paese
dipende dalla quantità di beni e servizi che ciascuno di essi può
consumare. La produzione totalmente realizzata in un sistema
economico, comunemente definita come Y, è misurata in termini di
Pil, o prodotto interno lordo o, più semplicemente, prodotto o reddito
nazionale. Se vogliamo che il benessere medio di una collettività
aumenti, dobbiamo assicurarci che cresca il prodotto per abitante detto
anche prodotto pro capite o reddito pro capite che definiremo come
Y/Pop ( dove Y è il reddito nazionale e Pop è la popolazione). A
questa misura del benessere medio si possono muovere diverse
obiezioni: in primo luogo, il prodotto pro capite, perché è una media,
non tiene conto del profilo distributivo; in secondo luogo questa
misura non tiene conto della qualità dei prodotti (il prodotto pro capite
non ci dice se i beni prodotti siano, per esempio, armamenti o servizi
sanitari); in terzo luogo, l’uso del prodotto pro capite come misura del
benessere è stato a ragione criticato perché non tiene conto dei
10
possibili costi ambientali della produzione. Di là dalle critiche, tra
l’altro condivisibili, questo indicatore del benessere è quello più
comunemente diffuso. Ma da cosa dipende allora il benessere medio
della popolazione, adottando come misura il reddito pro capite, è
l’interrogativo al quale, è nostro dovere rispondere: un paese potrà
permettersi di distribuire a ciascuno dei suoi abitanti un reddito pro
capite tanto maggiore quanto maggiore è la quota dei suoi abitanti che
contribuisce alla produzione (anziché, per esempio, essere
disoccupata) e quanto maggiore è l’efficacia con cui ciascuno degli
occupati contribuisce alla produzione stessa. In conclusione,
“l’attivazione del lavoro” e la sua “produttività” sono le principali
determinanti del benessere. Più precisamente la grandezza del Pil
dipende dal numero di ore di lavoro H complessivamente attivate
rapportato alla sua popolazione, e dalla produttività oraria di ciascun
addetto al processo produttivo (cioè da quanto il lavoratore o la
lavoratrice media riesce a produrre in un’ora di lavoro). La misura del
prodotto pro capite è allora la seguente : Y/Pop = Y/H e H/Pop dove
Y/H è la produttività oraria del lavoro e H/ Pop è il rapporto tra le ore
di lavoro erogate e la popolazione. La produttività oraria del lavoro
sarà tanto maggiore quanto maggiori sono: “l’intensità capitalistica del
processo produttivo”, ossia l’attrezzatura di capitale messa a
disposizione di ciascun lavoratore per “assisterlo” nel processo
produttivo, la Produttività totale dei fattori (Total factor productivity ).
Quest’ultima riveste particolare importanza ai fini della nostra analisi
perché essa sintetizza tutti gli elementi che contribuiscono a
determinare l’efficacia con cui capitale e lavoro, considerati
congiuntamente, contribuiscono alla produzione: vi rientrano in
particolare fattori relativi alle caratteristiche qualitative del lavoro e
del capitale, e fattori di natura tecnologica, istituzionale ed
organizzativa. Tra i fattori qualitativi particolare rilievo rivestono ai
nostri fini i profili qualitativi del lavoro. Sulla qualità del lavoro
influiscono soprattutto il livello di istruzione dei lavoratori ed il loro
livello di formazione professionale. Stime empiriche recenti hanno
dimostrato che “il capitale umano”, come si dice nel gergo tecnico,
costituisce uno dei fattori principali che influenzano la produttività.
11
Per comprendere come operino i fattori di natura tecnologica è
opportuno chiarire che il maggiore o minore contributo alla
produzione che i fattori lavoro e capitale possono dare, dipende dallo
stato della tecnologia, ossia dai frutti del progresso tecnico. Prendendo
come esempio la manifattura delle scarpe, è evidente che il numero di
scarpe prodotte da un ciabattino in un’ora di lavoro, con martelli e
chiodi, è inferiore a quello prodotto nello stesso arco di tempo con un
processo produttivo computerizzato. La ragione di questa maggiore
produttività, in questi casi, non risiede nel fatto che la quantità di
capitale adoperata sia maggiore ma nel fatto che il processo produttivo
computerizzato incorpora l’uso di una tecnologia più avanzata di
quella contenuta nel martello e nei chiodi
5
.
Anche gli elementi di natura istituzionale rivestono una notevole
importanza perché è stato dimostrato che possono influenzare in
misura considerevole l’efficacia del processo produttivo. Leggi e
regolamentazioni severe, relative alla disciplina dei licenziamenti,
aiutano a rendere la relazione tra datore di lavoro e lavoratore più
stabile e continuativa e forniscono ad entrambi un incentivo ad
investire in formazione e in competenze specifiche (cioè in “capitale
umano”). Relazioni di impiego meno stabili e continuative viceversa
(come quelle regolate dai contratti a termine e quelle poco protette
contro i licenziamenti ), scoraggiano la formazione di capitale umano
perché entrambi gli attori sanno che il frutto dei loro investimenti in
competenze specifiche svanirà al momento della cessazione del
rapporto e quindi, andrebbe perduto. In definitiva, la legislazione
protettiva dell’impiego ed il mantenimento dei contratti a tempo
indeterminato come forma prevalente del rapporto di lavoro si
traducono in un forte fattore di incremento della produttività,
5 Può essere opportuno osservare in questo contesto, ai fini della nostra analisi, l’articolo “Glossario
dell’economista per il giuslavorista”, L. Costabile in Rivista giuridica del lavoro 2009, II volume, pp.
175 ss. Negli ultimi decenni il progresso tecnico ha preso la forma prevalente, anche se non unica,
dell’applicazione alla produzione delle cosiddette tecnologie dell’informazione e della comunicazione
(Ict).
12
attraverso i loro effetti positivi sull’investimento nella formazione e
nel know-how.
Infine hanno un peso preponderante nella determinazione della
Produttività totale dei fattori elementi di natura organizzativa. Tra
questi rientrano i progressi derivanti da un miglioramento delle
relazioni industriali, che inducono un miglior “clima” sul posto di
lavoro e quindi un possibile aumento della “motivazione” del
lavoratore o della lavoratrice. Altri fattori di tale species consistono
nella riduzione dei livelli gerarchici, nella produzione di squadra, nella
rotazione delle mansioni, nel coinvolgimento dei lavoratori nei
processi decisionali e cognitivi e quindi nel maggior grado di
autonomia di cui i lavoratori godono. Secondo la teoria moderna dei
salari di efficienza, sulla motivazione possono influire elementi come
la percezione di essere coinvolti in una “relazione d’impiego” equa,
cioè non discriminante e sufficientemente remunerativa o altri fattori
come il pagamento di salari “alti” o di premi che agiscono come
incentivo all’impegno lavorativo. Possiamo concludere ritenendo che
le chances di ripresa della produttività sono da ricercarsi nel ruolo
della dimensione dell’impresa, nell’investimento, nell’innovazione,
nella ricerca, nell’istruzione, nella promozione di relazioni d’impiego
stabili, nel potenziamento della formazione e così via. Nella logica
della riforma, il silenzio sul ruolo di questi fattori corrisponde ad una
totale deresponsabilizzazione dell’impresa e dell’autorità pubblica,
percepite come presenze passive ed esonerate dall’intervento
strutturale per la promozione di quei fattori.