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PREMESSA
el mondo del lavoro, e in particolare nelle organizzazioni
aziendali, è sempre più forte il richiamo (spesso inascoltato) alla
necessità di sostenere le risorse umane nei momenti di
difficoltà personale, nei disagi e nelle insoddisfazioni professionali che,
inevitabilmente, influiscono sulle prestazioni lavorative, rallentando così il
processo di crescita formativa e produttiva del lavoratore.
Conseguentemente, si assiste alla determinazione di un sostanzioso
aumento dei costi del lavoro (assenteismo, contenziosi, disciplinari,
risarcimenti, transazioni, …) e dei costi sociali indiretti (improduttività,
disoccupazione, spesa sanitaria, assistenziale, pensionistica, etc.).
In questo contesto, è il counseling aziendale che si propone come uno
strumento importante nella relazione d’aiuto, mirando alla promozione del
benessere della persona e valorizzando nello stesso tempo tutte quelle
capacità individuali, peraltro indirizzandone le energie e le motivazioni dei
singoli lavoratori verso gli obiettivi di sviluppo aziendali e le esigenze del
mondo del lavoro e della società.
La promozione del benessere dei lavoratori è richiamata anche dall’art. 35
della Costituzione Italiana che assegna alla Repubblica il compito di curare
“la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”, in coerenza e naturale
evoluzione dell’art. 1 della stessa Costituzione: “L’Italia è una Repubblica
democratica, fondata sul lavoro”.
Dalle previsioni costituzionali potremmo immediatamente dar luogo a una
serie di considerazioni di carattere politico, sociale ed economico, ma il
punto di partenza che è importante sottolineare con decisione è
l’affermazione della “persona” come minimo comune denominatore per
tutte le politiche sociali ed economiche, in particolare per quelle riguardanti
il lavoro.
N
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Il counseling pone esattamente la “persona” al centro di ogni iniziativa e,
facendo seguito a mie diverse esperienze professionali, ho costatato,
purtroppo, come spesso, nei luoghi di lavoro, non solo si tende a valutare
per sommi capi le competenze e le conoscenze tecnico-operative dei
lavoratori ma si minimizzano le ricadute che hanno le dinamiche relazionali
createsi tra i lavoratori. Con ciò, ci si dimentica che gli effetti, positivi o
negativi, si ripercuotono immancabilmente a medio e lungo termine su tutti
gli ambiti e i soggetti coinvolti, risentendone in primis la produttività e
l’efficienza aziendale.
Quando in ambito lavorativo si manifestano situazioni di conflitto
interpersonale, si cerca di intervenire prevalentemente con percorsi
formativi, cercando di potenziare le abilità comunicative e relazionali dei
soggetti coinvolti. In questo modo, si attribuisce impropriamente
all’intervento formativo la responsabilità di debellare le criticità del sistema
relazionale.
Spesso, tali conflitti si rivelano essere segnali di disagi profondi radicati nella
sfera intima del lavoratore, le difficoltà comunicative e relazionali
rappresentano i sintomi di questi disagi.
Prenderei il via da queste prime osservazioni, sottolineando che nella
risoluzione dei conflitti è da considerarsi insufficiente un intervento
formativo standard (seppur denominato intervento ad hoc), giacché il
rischio è quello di intervenire unicamente sul segnale del disagio ma non
sulle cause più profonde che, se ignorate o sottovalutate, possono perdurare
nel tempo e aggravarsi.
Per garantire gli equilibri e facilitare la crescita di un team di lavoratori che
operano in stretta relazione tra loro, è necessario lavorare prima sulle
eventuali difficoltà del singolo, ipotizzando la possibilità di risoluzione
anche attraverso un intervento di counseling cui far seguire la progettazione
di specifici percorsi formativi che si occupino efficacemente dapprima di
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una singola unità produttiva, proseguendo in seguito con una serie
d’interventi di rete.
Oltre all’intervento di counseling e all’azione formativa, importantissimo e
in stretta correlazione è da considerare il termine empowerment con cui
s’indica quel processo di crescita individuale e/o di gruppo, basato
sull'incremento della stima di sé, dell'autoefficacia e
dell'autodeterminazione, al fine di far emergere risorse potenzialmente
latenti per portare l'individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo
potenziale che, a sua volta, potrà decidere di mettere al servizio del sistema
aziendale, politico o sociale.
Questo lavoro, che conclude il Corso di Laurea Magistrale in Pedagogia,
costituisce l’approfondimento sul counseling nel mondo del lavoro, in
naturale coerenza e continuità con quanto affrontato nella mia precedente e
propedeutica Laurea in Scienze dell’Educazione e della Formazione
(Università G. Marconi, 2007), con tesi sperimentale sui finanziamenti alla
formazione.
A l f i n e d i d e f i n i r e i l c a m p o d i l a voro, ho individuato come obiettivo
specifico quello di descrivere le linee generali del counseling, ritenendo che
il miglior approccio fosse quello trasversale ovvero tracciare le metodologie
e le regole comuni applicabili a tutti i settori.
Per circoscrivere il campo d’indagine ho scelto di focalizzare la mia
attenzione sul counseling aziendale e, in particolare, ho cercato di
approfondire come, e in che termini, questo riesca a impattare sulla
persona, sull’impresa, sulla formazione, sulla progettazione, sulla
comunicazione e sul mondo del lavoro in generale.
Pertanto, il primo capitolo della tesi si sostanzierà in un inquadramento
generale del mondo del lavoro, della crisi economica, della disoccupazione,
dell’inoccupazione, degli ammortizzatori sociali, dei cambiamenti del
mondo del lavoro, degli effetti sulle motivazioni delle risorse umane, delle
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professioni, delle gratificazioni professionali, delle relazioni, dei
comportamenti, dei conflitti nel lavoro e della loro incidenza sull’efficienza
lavorativa.
Nel secondo capitolo, oltre a porre l’accento sul rapporto costo/beneficio
di un intervento di counseling aziendale, si procederà a una ricostruzione
sui caratteri generali del counseling, soffermandosi sui modelli applicativi e
sul potenziale ruolo nella cultura aziendale tracciandone anche gli scenari
nazionali e internazionali, continuando con la rappresentazione del
colloquio di counseling in ambito aziendale, introducendo il ruolo del
counselor, descrivendo le tecniche d’intervento per il miglioramento delle
relazioni professionali (l’ascolto attivo, l’empatia, il problem solving, il
reframing, il feedback fenomenologico e il lavoro in team), proseguendo
con il tema della motivazione delle risorse umane nei contesti organizzativi,
la gestione del conflitto e delle criticità, la relazione “Io-Tu” tra counselor e
persona (cliente), concludendo con la trattazione del bilancio di
competenze.
Nel terzo capitolo sarà l’empowerment oggetto di approfondimento con la
definizione e la classificazione, definendo inoltre l’approccio operativo
individuale (self-empowered) e l’approccio organizzativo psico-socio-
politico, le scale di misurazione dell’empowerment, terminando con
l’influenza dell’empowerment nello sviluppo organizzativo e la distinzione
tra organizzazione empowering ed empowered.
Nel quarto capitolo si analizzerà il processo e le dinamiche della
comunicazione, la sinergia tra counseling e formazione, l’assertività, il
triangolo di Karpman, la riunione come strumento di comunicazione
interpersonale, la metodologia gestalt, l’Analisi Transazionale, la
Programmazione Neuro Linguistica (PNL), le dinamiche del gruppo di
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lavoro, per concludere con un quadro aggiornato sui fondi paritetici
interprofessionali come potenziale strumento per finanziare e promuovere
interventi sinergici di formazione e counseling aziendale.
Nelle conclusioni del lavoro si avanzeranno alcune riflessioni in particolare
sull’utilità del counseling aziendale e delle relative prospettive di
applicazione in azienda, con un’ipotesi d’intervento attuativo del benessere
lavorativo in ambito aziendale, progettato (in linee generali) alla luce di
competenze e reali conoscenze di quelle profonde e particolareggiate
dinamiche relazionali che trasversalmente condizionano il lavoro
quotidiano, con l’obiettivo di contribuire alla valorizzazione dell’azienda e
del lavoratore.
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1. IL MONDO DEL LAVORO
1.1. La crisi economica e la disoccupazione
’attuale e persistente crisi economico-finanziaria, iniziata nel 2007,
è considerata da molti economisti come la peggiore crisi
economica della storia, seconda solo a quella del 1929.
Una crisi economica generalizzata, manifestatasi in numerosi paesi del
mondo e in special modo quello occidentale, e che, dopo una parziale
ripresa economica avvenuta alla fine del 2009, si è allargata negli anni 2010 e
2011 ai debiti sovrani e alle finanze pubbliche di molti paesi (Portogallo,
Irlanda e Grecia) con un’ingente erogazione di prestiti, denominati piani di
salvataggio.
Inevitabilmente, i redditi dei lavoratori sono stati condizionati dalla crisi
contribuendo a produrre una forte contrazione dei consumi e degli
investimenti: quelli dei lavoratori autonomi sono calati repentinamente, i
redditi dei pensionati e quelli dei lavoratori dipendenti hanno mantenuto
apparentemente un trend pre-crisi, anche se, per esempio, i dipendenti
pubblici sono stati destinatari di alcuni provvedimenti
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di blocco della
contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti per il
periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2014.
Queste gravi recessioni economiche hanno determinato un effetto
comportamentale descrivibile come crollo del rapporto di fiducia che sta
alla base non solo degli affari ma, in tutte le relazioni sociali.
Infatti, questa crisi ha determinato l’avvento di quel senso di paura, di quel
sentimento di sospetto, che cambia profondamente l’aspetto relazionale tra
le imprese e le persone a livello globale.
Se, per mancanza di fiducia nel mercato, le imprese non investono nello
sviluppo aziendale, allora si crea la situazione per cui vengono a mancare sia
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Legge n. 122/2010 e provvedimento di proroga del Consiglio dei Ministri datato 8 agosto 2013.
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