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INTRODUZIONE
Il carcere, come tipo di pena e come tipo di struttura, è un argomento di
discussione molto delicato che, tutt'oggi, suscita accesi dibattiti. Proprio perché
molto spesso, e da ormai troppo tempo, sentiamo parlare di progetti di riforma
carceraria per tutti quei penitenziari italiani fatiscenti ed esageratamente sovraffollati,
abbiamo pensato di approfondire questa tematica, studiando, quando e come, questo
tipo di pena abbia avuto concreto sviluppo.
Vista l'ampiezza dell'argomento, abbiamo circoscritto la nostra ricerca ad una
singola regione della penisola italiana, in un periodo ben preciso: il Granducato di
Toscana durante il governo di Pietro Leopoldo. Oltre ad un personale interesse per la
mia regione di appartenenza, gli anni del sovrano Lorenese offrono una vasta
documentazione relativa alla giurisdizione criminale che, come sappiamo, sotto il
suo governo venne completamente riformata. Premesso che non ci occuperemo della
Leopoldina, che è già stata ampiamente analizzata da vari studiosi, i cui contributi
sono, per la maggior parte, confluiti in quella collana, intitolata: la "Leopoldina",
criminalità e giustizia criminale nelle riforme del' 700 europeo
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, ci occuperemo
esclusivamente della pena carceraria: di come questa venisse applicata e quanto sia
stata utilizzata. Ovviamente, tratteremo della riforma penale sancita il 30 novembre
del 1786, ma solamente nei confronti della pena carceraria. Prenderemo infatti la
Leopoldina come uno spartiacque dei venticinque anni di governo di Pietro
Leopoldo, cercando di vedere se, per il carcere, ci sia stato un cambiamento,
un'evoluzione, sulla base degli argomenti trattati nel nuovo codice penale.
Una domanda a cui andremo a rispondere è, se fu proprio il XVIII secolo, il
secolo dell'illuminismo e delle riforme, a influenzare la nascita della pena carceraria
moderna. È necessario specificare che in realtà il penitenziario, per meglio dire la
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La "Leopoldina" - Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del' 700 europeo - ricerche
coordinate da L. Berlinguer, Milano, Giuffré editore, 1988-1989-1990-1991-1995, più volumi. Ogni
anno, il 30 novembre, la data della riforma, così cara a noi toscani, viene ricordata e celebrata
annualmente dal 2000, quando venne assunta come anniversario per la festa della regione Toscana.
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pena detentiva, è una realtà che si sviluppò solo nel secolo successivo,
nell'Ottocento, ma i primi cambiamenti, i primi passi per un metodo di punizione,
fino ad allora poco considerato, avvennero proprio nel periodo di nostro interesse.
Questa ricerca è rivolta a capire se, nel Granducato di Toscana di Pietro Leopoldo, il
sovrano, che più di tutti in Europa si avvicinò alle idee dei pensatori illuministi, si
manifestò una nuova concezione riguardo alla pena carceraria e alle sue
caratteristiche.
In un secolo che vide completamente mutato il concetto di pena attraverso il
progressivo abbandono delle punizioni corporali, in una Toscana in cui furono
abolite tutte le mutilazioni, tutte le torture e la pena di morte, bisogna capire se fu
proprio in questo periodo che la pena carceraria, in sostituzione a tutte le altre
condanne abbia trovato la sua completa applicazione.
Il primo capitolo di questa tesi Un nuovo concetto di pena, è dedicato proprio a
quella realtà giuridica, che si concretizzò poi nella seconda metà del XVIII secolo, e
che mutò il significato della parola "pena". Le terribili condanne corporali, quei tetri
spettacoli voluti dalle autorità, lasciarono lentamente spazio a una nuova concezione
del reato. In questo grande cambiamento, l'opera Dei delitti e delle pene
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del
milanese Cesare Beccaria, ebbe il merito di influenzare positivamente le autorità
competenti ad operare un drastico rinnovamento. Dunque, anche se possiamo
affermare che il 1700 fu il secolo che vide la giustizia penale profondamente
innovata, non possiamo dire completamente lo stesso per quanto riguarda la pena
carceraria. Infatti, dai giusdicenti dell'epoca, ancora non era del tutto scontato
affiancare le parole "pena" e "carcere". Il penitenziario era visto come un luogo di
detenzione, ma era riservato, per la maggior parte, ai detenuti in attesa di giudizio.
Era il luogo che anticipava la condanna; non era la pena vera e propria. L'unica
eccezione, almeno nel caso fiorentino, riguardava i debitori civili, che, per la loro
insolvenza, venivano barbaramente rinchiusi. Oltre a non essere considerato un luogo
di condanna, il carcere fu soggetto ad aspre critiche perché ritenuto, giustamente, di
2
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di A. Burgio, prefazione di S. Rodotà, Milano, Feltrinelli,
2007.
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essere un luogo totalmente insalubre, malsano e poco adatto per il recupero del reo
ed il suo reinserimento nella società (il condannato, non lavorando, si abbandonava
facilmente ad un'oziosità, che sarebbe pesata negativamente dopo la scarcerazione).
Comunque, il dibattito sulla questione carceraria cominciò a diffondersi e, anche se
in Italia rimase marginale e legato, quasi sempre, alla questione della riforma penale,
in Europa, specialmente in Inghilterra, assunse un ruolo predominante.
Furono autori come John Howard e Jeremy Bentham, che spostarono
l'attenzione non solo sulla detenzione carceraria come tipo di pena, ma al carcere
come struttura. Differentemente da come faranno molti pensatori e sovrani italiani -
come vedremo, lo stesso Pietro Leopoldo, anche se opererà attivamente per
migliorare lo status dei detenuti, non effettuerà grandi interventi sulla struttura
carceraria - i due inglesi cercarono, con le loro opere, di attirare l'attenzione, su un
settore che, da molto tempo, era stato abbandonato. Se lo sceriffo Howard, con il
suo: État des prisons, des hôpitaux et des maisons de force
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descrisse le maggiori
prigioni di Europa, denunciando i gravi abusi e le ingiustizie a cui i detenuti erano
sottoposti; Jeremy Bentham, con il Panopticon,
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tentò di rivoluzionare totalmente la
struttura del penitenziario, ideata a forma circolare per favorire quell'assiduo
controllo, necessario al reinserimento dei condannati nella società.
Visto che abbiamo scelto di analizzare il Granducato di Toscana all'epoca di
Pietro Leopoldo, è stato assolutamente necessario, accennare alla sua vita e a tutte
quelle tappe che condussero a una delle più grandi riforme penali ricordate nella
storia. Il secondo capitolo, Legislazione carceraria nella Toscana del XVIII secolo
prima della Leopoldina, è inizialmente dedicato all'infanzia del Granduca,
all'istruzione ricevuta alla corte di Vienna ed ai primi passi effettuati come sovrano.
Tutti questi aspetti, sono ormai noti grazie all'opera dello storico Adam Wandruszka,
Pietro Leopoldo: un grande riformatore
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, che ha ricostruito minuziosamente tutte le
tappe fondamentali del governo di Pietro Leopoldo. Fin dal suo arrivo in Toscana,
3
J. Howard, État des prisons, des hôpitaux et des maisons de force, a Paris, chez Lagrange, Libraire,
rue S. Honoré, 1788.
4
J. Bentham, Panopticon, ovvero la casa d'ispezione, a cura di M. Foucault e M. Perrot, Venezia,
Marsilio Editori, 2002.
5
A. Wandruszka, Pietro Leopoldo: un grande riformatore, Firenze, Vallecchi, 1968.
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ebbe l'esatta percezione delle riforme da attuare, in più ambiti, non solo in quello
della giustizia. Infatti, i più grandi cambiamenti che riguardarono questo settore, si
ebbero nel secondo periodo del governo di Pietro Leopoldo, dalla fine degli anni '70
a tutti gli anni '80 del secolo.
Grazie ad alcuni fondi conservati all'Archivio di Stato di Firenze, come, Leggi
e Bandi, Segreteria di Gabinetto e Soprastanti alle Stinche
6
, è stato possibile
ricostruire i complessi aspetti legislativi relativi al carcere, ai carcerati e alle pene
irrogate. Per quanto riguarda il nostro settore di interesse, il primo vero cambiamento
attuato, fu nel 1767, quando venne stabilito che la razione giornaliera di pane per i
detenuti, non fosse più fissata in base al prezzo, ma alla quantità. Infatti, le razioni di
cibo, erano ingiustamente legate all'andamento del mercato e della moneta, che, nei
periodi di crisi, vedeva inevitabilmente diminuito il proprio potere d'acquisto e,
quindi, la possibilità di acquistare una quantità di cibo adeguato per il sostentamento
dei detenuti. Come vedremo più ampiamente nel seguito della nostra ricerca, questo
intervento fu di vasta portata. Se i più grandi illuministi e riformatori, denunciarono
le estreme condizioni di vita alle quali i detenuti erano sottoposti, una disposizione di
legge di questo genere, seppur modesta paragonata alla mole della Leopoldina, ci fa
capire quanto Pietro Leopoldo fosse interessato alle condizioni dei carcerati. Lo
stesso Howard, quando visitò le prigioni del Bargello e delle Stinche di Firenze,
osservò: «le pain dont on les nourrit est bon
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». Seppur gradualmente, fu proprio
durante il Granducato leopoldino, che si sviluppò una maggiore attenzione nei
riguardi di un settore che, da sempre, era stato poco considerato. Questa sarà la
particolarità che ci accompagnerà durante tutta la nostra ricerca; anche se la pena
carceraria non sarà considerata come una pena effettiva fino a tutto il secolo
seguente, fu proprio nel Settecento che, in Toscana, avverrà quel cambiamento che
porterà l'istituzione penitenziaria a quella dimensione che tutti oggi conosciamo.
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Data l'enorme quantità di carte e documenti inerenti al Granducato di Pietro Leopoldo, è stato
possibile fare una vasta ricerca che ci ha portato a consultare fondi e filze conservate all'Archivio di
Stato di Firenze. Nella tesi sono indicati, via via, i vari fondi utilizzati.
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J. Howard, État des prisons, des hôpitaux et des maisons de force, cit., pp. 265-267.
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Sempre nel secondo capitolo, dopo aver elencato i maggiori cambiamenti
inerenti alla giustizia toscana, (come la soppressione del Magistrato degli Otto e la
conseguente creazione del Supremo Tribunale di Giustizia e la nomina delle due
nuove cariche di Presidente del Buon Governo e di Presidente del Tribunale di
Giustizia, rese necessarie per l'eliminazione della figura dell'Auditore Fiscale)
tratteremo della complessa questione della «carcere per i debitori civili», che dopo
tanti anni e diversi provvedimenti, venne definitivamente abolita nel 1782. Ora, ciò
che più scandalizzava di questa pena, non era tanto il tipo di punizione in sé, ma i
funesti effetti che produceva. Rinchiudendo l'uomo, il capofamiglia, colui che
sfamava moglie e figli con il proprio lavoro, veniva condannato l'intero nucleo
familiare a una vita di stenti, tanto che spesso solo con la mendicità, si riusciva a
soddisfare i bisogni primari. Con la fine di questa prassi giudiziaria, venne mosso un
primo passo verso l'effettivo utilizzo del penitenziario come forma di pena da
applicare. Come vedremo meglio, sarà proprio in quegli anni, che il carcere non
venne più riservato ai debitori, o a quanti fossero in attesa di giudizio, ma bensì ai
"veri" criminali.
Grazie alle tabelle conservate nel fondo Segreteria di Gabinetto Appendice,
che raggruppano i reati commessi e le rispettive pene inflitte dal 1762 al 1781 nel
Granducato di Toscana, è stato possibile analizzare concretamente, quanto, come e
se, la pena carceraria sia stata utilizzata. Dalle analisi e dai grafici realizzati è emerso
un primo risultato: questo tipo di condanna, nel vastissimo scenario delle punizioni
allora vigenti, era la terza pena più utilizzata. Questo primo dato, almeno
inizialmente, ci porterebbe a sconfessare le affermazioni fatte in precedenza. In
realtà, analizzando anno per anno, ogni reato per il quale i colpevoli venivano
condannati alla prigione, vediamo che il carcere era sì abbastanza utilizzato, ma solo
per un reato ben preciso: il furto. Anche se con moltissimi limiti, come vedremo, la
pena carceraria iniziò effettivamente, passo dopo passo, ad acquisire sempre più
importanza nel panorama giudiziario toscano.
Dopo aver analizzato la legislazione allora vigente, relativamente alla prigione
e alla pena carceraria, dopo aver studiato dettagliatamente le pene, con le rispettive