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INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo lavoro è di presentare, in chiave descrittiva, l’evoluzione fonetica e fonologica
del dialetto di Donnici, paesino posto nelle vicinanze del centro cittadino di Cosenza.
Nella prima sezione si propone uno sguardo di ampio respiro circa la storia della dialettologia e del
suo sviluppo radicale sino alla vera e propria costituzione di un ambito glottologico entro cui si
sono divincolati i differenti studi sulle parlate in coesistenza alla lingua standard.
Si è tracciato un excursus storico circa le diverse concezioni che si sono susseguite nel corso del
tempo e che hanno concorso alla determinazione e alla specificazione della disciplina glottologica
che individuò in Graziadio Isaia Ascoli il fondatore riconosciuto della suddetta area di ricerca.
Attraverso un processo deduttivo, si passa poi all’analisi dettagliata delle caratteristiche distintive
appartenenti alle macro-aree dialettali riconducibili, geograficamente, alla pars settentrionale e
meridionale della nazione Italiana.
Son stati individuati quindi, facendo opportuni riferimenti alle teorie scientifiche del tempo circa i
dialetti, specifici fenomeni concernenti alle realizzazioni linguistiche che dimostravano sostanziali
divergenze tra aree geografiche seppur prossime.
Dopo aver seguito un ideale asse temporale che ha visto la specificazione scientifica della
glottologia, si tratterà uno studio approfondito sullo status linguistico dialettale della Calabria.
Si pongono in rilievo le caratteristiche peculiari riguardo il differente vocalismo che abita la
regione Calabrese.
Si osserva infatti vocalismo instabile e frammentato in diverse categorizzazioni: area Lausberg,
area a vocalismo napoletano e area a vocalismo siciliano.
Emerge, in ogni singolo esito fonetico, fonologico e morfologico, la rilevanza a contrasto del
sostrato latino da un lato, e greco dall’altro.
Il consonantismo, indistintamente in tutta la regione, presenta esiti alquanto conservativi tenendo
presente la matrice latina originaria.
Nella sezione sperimentale relativa all’illustrazione dettagliata della fonetica ed della fonologia del
dialetto di Donnici, si è inteso proporre e presentare uno studio diacronico circa le realizzazioni
vocaliche e consonantiche a partire dalla langue-culture che è andata a costituire poi un sostrato
decisamente denso e compatto, il latino.
Nell’ultima sezione, quella relativa alla fonologia, oggetto dell’analisi sperimentale sono i diversi
fenomeni fonologici in praesentia che specificano e caratterizzano in maniera assoluta il dialetto
del paesino di Donnici.
4
Attraverso questo studio, alla fine, si giunge alla definizione di un’isoglossa che tiene conto
dell’inventario fonetico e fonologico analizzato e che permette una sostanziale circoscrizione della
parlata dialettale entro i confini amministrativi del paese cosentino.
Avendo dunque illustrato i fenomeni fonologici che permettono di differenziare il dialetto in
questione dagli altri geograficamente limitrofi, sarà dunque possibile tracciare un’isoglossa che
andrà ad isolare e a caratterizzare la parlata dialettale, oggetto di questo lavoro.
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CAPITOLO I
I. 1 DISTINZIONE STRUTTURALE TRA DIALETTO E LINGUA STANDARD
Il termine dialetto ha subito nel corso del tempo costanti circoscrizioni di significato, di ambito di interesse
e continue precisazioni della relazione che intercorre tra esso e la lingua “standard”. Essa è intesa da
Giacomo Devoto e da Gian Carlo Oli
1
, come :
<< […] 4.Insieme di convenzioni (fonetiche e morfologiche, rispetto alla forma, sintattiche e lessicali,
rispetto al significato) necessarie per la comunicazione orale e l’espressione scritta fra i singoli appartenenti
a una comunità etnica, politica, sociale, consacrate dalla storia, dal prestigio degli autori, dal consenso dei
componenti della comunità. […] >>
Tale definizione, eminentemente strutturale, è dunque strettamente legata all’uso, o meglio alle effettive
condizioni d’uso, le quali << sono il solo criterio universalmente valido […] per distinguere una lingua da un
dialetto
2
>> .
Essa coincide dunque con la lingua Italiana, oggetto di descrizioni normative e prescrittive della
grammatica. Concretamente, essa si realizza quasi completamente nella forma scritta.
La definizione di dialetto ha assunto maggiori particolarizzazioni nel corso del suo graduale percorso di
determinazione e di autonomia rispetto alla lingua nazionale. Se quest’ultima ha sempre costituito il
codice
3
, inteso in senso jakobsoniano, della forma scritta e orale di un’area geografica effettivamente
ampia che aderisce perfettamente ai confini nazionali, il dialetto va a permeare le modalità d’espressione
dell’oralità di particolari aree geografiche inscritte nel perimetro nazionale.
1
Giacomo Devoto, Gian Carlo Oli, Dizionario Devoto Oli della Lingua Italiana, ediz. 2004 – 2005, Firenze, Le Monnier, 2004, pag.
1548.
2
C. Grassi, A.A. Sobrero, T. Telmon, Fondamenti di dialettologia italiana, II ed. 2001, Editori Laterza, volume 82, pag.17
3
per una soddisfacente panoramica della teoria della comunicazione jakobsoniana cfr. Roman Jakobson, Essais de linguistique
générale, 1963, Éditions de Minuit (trad. it. Di Luigi Heilmann e Letizia Grassi, Saggi di linguistica generale, Milano, Giangiacomo
Feltrinelli Editore, 2010, pagg. 181 e seguenti.
6
I. 1. 1 DI FFE RENTI PR OPOSTE D I CATEG OR IZZAZI ONE D IA LETTO – LINGU A STANDA RD
Un’efficace categorizzazione è stata proposta da Loporcaro quando presenta le due entità linguistiche
innanzitutto riducendole allo status, importato dalla sociolinguistica, di varietà
4
.
In seguito a tale operazione di livellamento, la lingua standard e il dialetto si possono considerare in termini
di autonomia ed eteronimia
5
. La lingua standard si definisce autonoma quando i suoi parlanti ne
riconoscono in essa la norma. Così intesa, va a costituire la cosiddetta lingua tetto, termine mutuato dal
tedesco Dachsprache. Il dialetto è una varietà invece eteronoma rispetto ad una varietà A, in quanto viene
continuamente sottoposto a processi di adeguamento o standardizzazione alla varietà A, considerata come
norma.
Possiamo concludere con una citazione decisamente nota del celeberrimo linguista Noam Chomsky il quale
differenziava le due varietà per differenza di mezzi : << A language is a dialect with an army and a navy >> .
Stabilito dunque il carattere istituzionale e da passe-par-tout della lingua standard, si procederà ora ad una
specificazione del dialetto e del suo ambito di interesse.
4
<< […] il termine varietà, usato in (socio)linguistica per indicare un qualsiasi sistema linguistico, facendo astrazione da
considerazioni di prestigio, uso, estensione geografica ecc. e senza dunque le ambiguità sedimentate nel termine dialetto. >> da
Michele Loporcaro, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Manuali Laterza, I ed. 2009, volume 275, pag. 5
Inoltre, un’ulteriore chiarificazione sul termine varietà, viene proposta da C. Grassi, T. Telmon e A. A. Sobrero in “Introduzione alla
Dialettologia Italiana”, ed. Laterza, 2003, Manuali di base, vol. 11, pag. 143 : << Con il termine varietà si intende un insieme di
forme linguistiche (lessicali, morfologiche, sintattiche, foniche, ecc.) riconoscibile, e riconosciuto in quanto tale dai parlanti >>.
5
Michele Loporcaro, Op. Cit., pag. 8.
7
I.2 IL DIALETTO. EXCURSUS DI SIGNIFICATI E DI UTILIZZO.
Si consideri la definizione di dialetto contenuta nel Dizionario Devoto Oli della Lingua Italiana
6
:
<< […] Sistema linguistico di ambito geografico limitato, appartenente a un gruppo di sistemi
geneticamente affini ( per es. i dialetti italiani nel loro complesso) e contrapposto a quello che storicamente
si è imposta come lingua nazionale o di cultura. Il che significa che, oltre a soddisfare le esigenze espressive
quotidiane e familiari, e al di sopra degli standard del linguaggio tecnico e dell’informazione di massa, l’uso
del dialetto non consenta il raggiungimento di livelli artistici particolari, anche assai elevati. […] >>
Per giungere ad un campo semantico così specifico, il termine preso in esame, nel tempo, ha oscillato entro
confini di significato non sempre così precisi.
La sua iniziale apparizione si ebbe nel greco antico. Infatti, διάλεκτος designava, secondo la ragione
etimologica, ‘conversazione, colloquio’, costituendo, appunto, un sostantivo derivato dal verbo διαλέγομαι
(dialégomai), il quale è l’equivalente del verbo moderno ‘parlare’. Esso era utilizzato per indicare la lingua
specifica di ogni genere letterario dell’antico mondo classico greco: il dorico per la lirica corale, l’eolico per
la lirica monodica, ecc.
Più tardi, venne utilizzato nell’accezione di << sermo unicuique genti peculiaris, come lo definisce lo
Stephanus nel suo Thesaurus Graece Lingua
7
>>.
A Roma, il termine greco διάλεκτος aveva il << particolare significato post-aristotelico – dovuto, sembra,
agli Stoici – di ‘ parlata locale assunta a importanza letteraria’
8
>> .
6
Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Op. Cit. , pag. 824.
7
Manlio Cortelazzo, Avviamento Critico della Dialettologia Italiana, Pisa, Pacini Editore, 1980, vol.1, pag. 9.
8
Manlio Cortelazzo, Op. Cit. , pag. 11
8
Comune a tutte le primigenie definizioni di dialetto era la caratteristica di essere circoscritta ad un ambito
geografico poco esteso. Esso era dunque determinante per l’univocità di ogni area geografica Occidentale.
In Italia, in particolare, la varietà dialettale ha acquisito maggiore chiarezza e precisazione grazie all’opera di
Dante nel ‘De Vulgari Eloquentia’. Egli infatti << abbozzò la prima classificazione delle parlate italiane
indicando correttamente nell’Appennino tosco-emiliano il loro principale confine interno
9
>>.
Tra le differenti varietà dialettali che egli aveva individuato, in particolare una, dal XIV secolo, sarà
riconosciuta e utilizzata parimenti come lingua nazionale, intesa e compresa da tutti coloro abitassero la
penisola italiana, la varietà dialettale toscana. Poiché il suo preminente utilizzo era in forma scritta, Pietro
Bembo, nel 1500, osservò correttamente che era una conoscenza, o meglio una competenza, la quale era
ascrivibile ad una discreta élite socialmente abbiente che deteneva un buon livello di cultura.
Due secoli dopo, Alessandro Manzoni divenne fautore di una ricerca linguistica che mirasse a trovare una
lingua intermedia tra quella prestigiosa, riservata quindi ad un’ esigua cerchia sociale e tra le varie realtà
dialettali, proprie di ogni micro-area nazionale. La sua ambizione aveva come obiettivo quello di creare una
realtà linguistica che avesse potuto raggiungere lo status di <<lingua nazionale unitaria
10
>> .
Questo merito era, per Manzoni, attribuibile al fiorentino parlato. La Toscana ha continuato, quindi, a
possedere il monopolio linguistico e di espressione letteraria di una buona parte della storia linguistica
Italiana.
Pochi decenni dopo, Graziadio Isaia Ascoli, confutò la tesi portata avanti precedentemente da Manzoni.
Difatti, l’innovazione della sua concezione, perfettamente permeante e conseguente alla realtà Italiana di
fine Ottocento, riguardava soprattutto la coesistenza di lingua e dialetto. Egli era evidentemente convinto
che l’italiano, lingua assurta dunque allo status di standard, fosse di origine fiorentina.
9
C. Grassi et al. , 2001, pag. 12.
10
C. Grassi et al. , 2001, pag. 18.