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INTRODUZIONE
Questa tesi vuole essere un piccolo lavoro dedicato al mondo
dell’underground, dalle sue origini al suo sviluppo fino al suo
arrivo sul territorio culturale italiano e l’influenza che questo
stesso movimento ha avuto nel nostro panorama sociale e
culturale.
Vorrei quindi sviluppare un percorso che, attraverso l'apporto di
diverse discipline, dalle teorie e tecniche giornalistiche, alla
storia contemporanea e dell’editoria, ma anche della sociologia
del costume, della storia e dell’influenza musicale, faccia una
panoramica descrivendo quelli che sono il mondo e il concetto
di controcultura e underground.
Partendo da un quadro storico, dove il movimento si inserì e a
sua volta mosse, passerò a un analisi più sociologica per quello
che fu un fenomeno culturale, artistico e musicale, ma
soprattutto giovanile e di affermazione individuale; in seguito
analizzerò il panorama italiano con un focus sulle sue realtà
editoriali di controcultura, in particolare quella di Re Nudo, e
tutto ciò che gravitava attorno al “movimento” e al suo mondo
correlato, dai concerti, alle manifestazioni ai momenti di
aggregazione.
Il fenomeno della controcultura fu una particolare congiuntura
di fattori sociali, economici e politici dove, a partire
dall’Inghilterra prima, all’America dopo, per poi esplodere in
tutto il mondo, i giovani prendevano coscienza delle loro libertà
e dei loro diritti, aspirando a un mondo migliore dove il lavoro,
l’università, la famiglia e i diritti, di genere e razza, fossero
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predominanti e riconosciuti.
Questa necessità di affermazione si farà sentire in maniera
orizzontale per un grande strato di popolazione che, attraverso
la protesta, le manifestazioni, le droghe, la musica e l’arte si
ribellavano agli schemi classici dei genitori, della società e delle
istituzioni che avevano fino ad allora “assopito” le loro menti.
Il termine cotrocultura e la sua definizione è fondamentale per
capire a fondo i fenomeni che si andranno a trattare e il loro
interagire con il tessuto sociale e il particolare momento
storico: esso è utilizzato, sia in antropologia sia in sociologia,
per indicare un movimento di gruppi di persone i cui valori e
modelli culturali di comportamento sono differenti da quelli
dominanti.
Una cultura del diverso ma anche una cultura del dissenso,
ovviamente legato al dualismo maggioranza-minoranza, dove
una è in contrapposizione all’altra ma è anche possibile che una
diventi l’altra in base allo sviluppo dei suoi modelli sociali e
comunicativi.
L’underground non nacque dal nulla quindi ma crebbe nel
contesto storico degli anni successivi alla seconda Guerra
mondiale fondando le sue motivazioni culturali e politiche nella
cultura beat, partita dall’Inghilterra per approdare in America,
terra dove, per diverse ragioni, potè svilupparsi più solidamente
e concretamente, specie perchè supportato da un potente
alleato: il rock.
Il rock, come le droghe, fu uno degli strumenti più potenti che
venne utilizzato come grimaldello dai giovani per sovvertire
tutto il complesso istituzionale.
In Italia il fenomeno della controcultura assunse tratti del tutto
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tipici, infatti, a seguito delle particolari condizioni economiche,
sociali e di costume del nostro paese il mondo underground,
editoriale e musicale, fu molto più politicizzato, legato
intimamente con la realtà delle organizzazioni politiche
extraparlamentari di sinistra.
L’underground italiano non potè fare a meno di mischiare la sua
natura con quella delle lotte operaie e della contestazione alle
istituzioni, sviluppandosi in piazza e davanti ai cancelli dei
concerti, contro il foglio di via e contro il “padrone nemico”.
Un fermento che generò un periodo creativo molto produttivo
nel nostro paese, dalle arti, alla musica, all’editoria
indipendente, che si chiuse con gli anni di piombo.
La tesi vuole analizzare, anche se in minima parte, il fenomeno
sotto tutti questi aspetti, cercando di capire infine, se l’eredità
di quel periodo esiste attualmente o se invece tutto è finito in
una nuvola di fumo, dove i protagonisti si sono conformati,
senza portare avanti una reale discussione su qual’era il ruolo
della cultura e dei giovani nella società, discussione che oggi
rende immobile il confronto su questi temi, dove forse ancor
meno di un tempo, le istituzioni sono in grado di capire le reali
future esigenze dei giovani attuali.
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CAP 1
Gli anni ’60: un decennio di
preparazione alla rivoluzione
Situazione generale
Dopo il 1945, le distruzioni provocate dalla guerra rafforzarono il
compito dello Stato, sino a trasformarlo in elemento propulsore
della ricostruzione di sistemi economici devastati.
Si pose allora il problema dei costi politici e delle risorse
economiche necessarie all’impegno imposto da tali esigenze.
Nell’Unione Sovietica, superate alcune esitazioni dell’immediato
dopoguerra, la questione venne risolta con un ritorno all’ antico,
cioè con la ripresa del sistema di pianificazione centralizzata,
secondo i criteri di scelta che tuttavia anteponevano i problemi
della politica di potenza a quelli delle condizioni materiali della
popolazione. Il dissenso e il malcontento vennero repressi o
trasformati in dibattito tecnico, che non scalfiva la natura del
sistema economico sovietico ma, nei successivi decenni, mirò solo
a smussare le incongruenze più evidenti o a trovare la strada della
produttività mediante soluzioni solo organizzative. Nel resto del
mondo la questione si pose in modi diversi secondo le condizioni di
ciascun paese, ma restò perennemente legata all’andamento dei
cicli economici. Il caso più clamoroso di parziale mutamento delle
regole fu quello rappresentato in Gran Bretagna dall’esperimento
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laburista.
Vinte le elezioni nel luglio del 1945, il governo di Clement Attlee
avviò risolutamente una politica economico-sociale di carattere
fortemente innovativo dove si cercava di tradurre in realtà un’idea
di welfare state basata sulla capacità dello Stato di controllare
l’economia del paese così da riuscire ad assicurare a tutti i cittadini
condizioni di benessere, dalla nascita alla vecchiaia.
L’esempio britannico, non dissimile nell’ispirazione da quanto
avevano operato le socialdemocrazie dei paesi “nordici”, divenne
una sorta di parametro del “socialismo possibile” e compatibile con
l’economia di mercato. L’emergere di problemi nuovi dava a
quell’esperienza un carattere eccezionale: la corsa agli armamenti
provocata dal conflitto bipolare, la burocratizzazione generalizzata,
che nel sistema della pubblica assistenza trovava le sue ragioni
d’essere ma anche le occasioni per una proliferazione patologica, il
mutamento dei costumi e dei consumi, la rivoluzione tecnologica,
acceleratore formidabile del cambiamento sociale, si traducevano in
altrettanti stimoli all’incremento delle spese a carico del bilancio
pubblico.
Tutto questo ebbe una ricaduta abbastanza ovvia: propensione al
consumo e alla spesa privata e pubblica nelle fasi della crescita
economica, crisi sociale e paralisi della spesa privata nelle fasi di
recessione o di incremento dei costi. Della spesa privata e non di
quella pubblica, essendo la prima elastica, la seconda anelastica, in
conseguenza delle variabili socio-politiche che ne determinavano la
rigidità.
L’esplosione sociale del ’68-’69 nell’Europa occidentale, come nel
resto del mondo, fu la sintesi di attese che si esprimevano in
slogan come “il tutto e subito”, ma riflettevano la consapevolezza
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diffusa del fatto che buona parte della ristrutturazione del sistema
capitalistico dopo la crisi bellica era legata al basso livello di salari.
Nasceva una domanda sociale, affrontata nei vari paesi con sistemi
diversi: in Gran Bretagna grazie alle istituzioni create dalla
rivoluzione laburista, in Francia mediante un’accelerazione della
modernizzazione voluta, poco dopo il 1959, dal presidente De
Gaulle, negli Stati Uniti, dalla politica riformistica dei presidenti
democratici, come Harry S. Truman, o Lyndon B. Johnson. In Italia
questa prima strettoia, che metteva in luce le conseguenze dei
grandi successi ottenuti durante la ricostruzione e negli anni del
cosiddetto “miracolo economico”, poneva in primo piano la
situazione politico-sociale del paese e traduceva i nuovi problemi in
una politica di ardite riforme sociali dapprima virtuose ma poi
sempre meno ancorate alla verifica dei conti economici pubblici. La
necessità che il potere politico, instabile o costruito sull’ambiguità
di intese non manifeste che mantenesse intatto un consenso
sociale non sempre visibile, imponeva fughe in avanti sul piano
delle spese sociali, alle quali non corrispondevano più né un
incremento della produzione, né un incremento della produttività,
né un incremento dei profitti. Invece che la privatizzazione in Italia
prendeva piede la pubblicizzazione e fra il 1963 e il 1979 il peso
delle aziende pubbliche nell’economia quasi raddoppiò, passando
dal 12% al 20% del prodotto interno lordo.
La situazione divenne globalmente drammatica quando il problema
dei costi della produzione fu aggravato oltre che dalla domanda di
una remunerazione del lavoro più vicina alle attese sociali, da altri
due ordini di mutamenti: la fine della convertibilità del dollaro
(agosto del 1971) e lo shock petrolifero del 1973.
L’ascesa del prezzo del petrolio provocò una spinta inflazionistica e