2
giovani e una contro il lavoro minorile, oppure combattere per i diritti
sessuali dei giovani e contro l’abuso sessuale sui minori.
È importante per entrambe le politiche che ci sia una chiara
distinzione nella definizione giuridica.
Sulla definizione di “bambini” non sorgono molti dubbi,
essendo considerati tali gli individui di età inferiore a 14 anni.
Per riuscire ad individuare qualitativamente le persone che
appartengono alla gioventù, è necessario iniziare ad individuarle
quantitativamente.
Le Nazioni Unite, ad esempio, definiscono i giovani come le
persone tra 15 e 24 anni di età. Accettiamo, per ora, questa
definizione, dal momento che riteniamo opportuno iniziare la nostra
analisi con uno sguardo a livello mondiale.
In base ai dati che le Nazioni Unite forniscono, la popolazione
mondiale nel 1995 ammontava a circa 5.722 milioni di persone, e
quella compresa tra i suddetti limiti di età era di 1.030 milioni di
unità, corrispondente al 18% del totale. La grande maggioranza della
popolazione mondiale giovanile (l’84% sempre nel 1995) viveva nei
paesi in via di sviluppo; peraltro quasi il 60% della gioventù si trova
in Asia.
3
Per il 2025, si stima che il numero dei giovani ammonterà a
circa 1.400 milioni di unità, ossia dovrebbe scendere a poco più del
16% della popolazione mondiale.
1
In compenso la percentuale di
giovani che vivrà nei paesi in via di sviluppo nel 2025 è destinata ad
aumentare fino all’89% a causa dei differenti tassi di crescita della
popolazione.
2
1.2 ALCUNE CONSIDERAZIONI DI NATURA
DEMOGRAFICA.
3
Tra il 1990 e il 1995 la popolazione mondiale è cresciuta ad un
tasso dell’1,48% annuo, significativamente al di sotto dell’1,72%, al
quale la popolazione era cresciuta nei precedenti 20 anni. Il corrente
tasso di crescita della popolazione è il più basso dai tempi della
Seconda Guerra Mondiale e ciò conferma il suo trend di diminuzione
che dura dalla metà degli anni Sessanta.
Le proiezioni delle Nazioni Unite sulla fertilità indicano che il
1
United Nations youth unit, Home page. c/o INTERNET: - gopher://gopher.un.
org:70/11/sec/dpcsd/dspd/youth.txt.
2
United Nation Economic and Social Commission for Asia and Pacific, Youth
concern, c/o INTERNET: - http://www.escap-hrd.org/yconcern.htm.
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tasso di crescita continuerà a scendere, all’1,37% annuo tra il 1995 e
il 2000 fino allo 0,45% all’anno tra il 2045 e il 2050. Nonostante la
diminuzione di tale tasso, l’incremento annuale rimarrà stabile intorno
a 80 milioni di unità fino al 2025 e poi scenderà gradualmente fino ai
45 milioni di unità tra il 2045 e il 2050.
Tali dati nascondono grandi differenze regionali: tra il 1990 e il
1995, la popolazione delle regioni meno sviluppate è cresciuta
all’1,77% annuo, mentre nelle regioni sviluppate solo allo 0,4%.
Tra il 1950 e il 1996, altresì, la popolazione delle regioni meno
sviluppate è aumentata del 168%, mentre per i paesi sviluppati la
crescita è stata appena del 45%.
Seguendo le previsioni di medio periodo, la popolazione delle
regioni meno sviluppate crescerà di un ulteriore 79% entro il 2050. Di
contro, nelle regioni sviluppate la popolazione raggiungerà la vetta di
1.220 milioni nel 2025 e poi calerà, così che nel 2050 la popolazione
sarà dell’1% inferiore a quella del 1996.
Come si nota dalla tabella 1-1, la crescita e quindi la
distribuzione della popolazione mondiale differiscono in modo
rilevante tra continenti, per motivazioni storiche, culturali e
ambientali.
5
Ad esempio, la popolazione dell’Africa è cresciuta da 224 a
Tabella 1-1. Tasso medio annuo di variazione della popolazione nel
mondo, 1950-2050.
4
Previsoni
Area 1950-1955 1990-1995 2045-2050
---------------------------------------------------------------------------------------------
Mondo 1.8 1.5 0.5
Paesi sviluppati
a
1.2 0.4 -0.2
Terzo Mondo
b
2.1 1.8 0.6
Quarto Mondo
c
1.9 2.6 1.1
Africa 2.2 2.7 1.1
Asia 1.9 1.5 0.3
di cui, Cina 1.9 1.1 -0.1
India 2.0 1.8 0.4
Europa 1.0 0.2 -0.4
America Latina e Caraibica 2.7 1.7 0.5
America del nord 1.7 1.0 0.1
Oceania 2.2 1.4 0.4
----------------------------------------------------------------------------------------------
a
I paesi sviluppati comprendono tutta l’Europa e il Nord America oltre
all’Australia, la Nuova Zelanda e il Giappone.
b
Il Terzo Mondo include tutti i paesi dell’Africa, Asia (escluso Giappone),
America Latina e Caraibica, Melanesia, Micronesia e Polinesia.
c
Il Quarto Mondo è composto dai 48 paesi meno sviluppati, dei quali 33 sono in
Africa, 9 in Asia, 1 in America Latina e 5 in Oceania. Tutti sono comunque
considerati facenti parte anche del Terzo Mondo.
720 milioni di persone, con un incremento di oltre il 220% dal 1950
al 1995. Questo significa un incremento medio del 2,6% annuo, che
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rappresenta il più alto tasso di crescita mondiale in questo periodo di
45 anni.
La popolazione dell’America Latina, crescendo a più del 2%
annuo dal 1950, è passata da 166 a 477 milioni di abitanti nello stesso
arco di tempo, mentre l’Asia con una crescita di poco inferiore al 2%
ha raggiunto i 3.400 milioni di abitanti.
Il continente in cui la popolazione sta crescendo più lentamente
è l’Europa, ove la situazione è quasi stazionaria essendo il tasso di
crescita inferiore all’1%; per il prossimo mezzo secolo è peraltro
previsto un calo in termini assoluti.
Il tasso medio di fertilità mondiale continua comunque a
diminuire: negli ultimi 10 anni è sceso del 17%, da 3,6 a 3 nascite per
donna, e negli ultimi 5 anni lo ha fatto più velocemente che in
precedenza.
Molte sono tuttavia le differenze nei tassi di fertilità riscontrati
nei diversi paesi e continenti (vedi Tabella 1-2).
Nel periodo 1990-1995 il tasso medio di fertilità per le regioni
sviluppate è stato di 1,7 nascite per donna, molto basso se paragonato
a quanto registrato per il gruppo dei paesi del Quarto Mondo con un
valore di 5,5 nascite. Questa differenza riflette la situazione non
7
uniforme nello sviluppo sociale ed economico mondiale e nella
diffusione dei mezzi contraccettivi tra i gruppi di paesi.
Tabella 1-2. Tassi di fertilità mondiali e loro variazione, 1980-1995.
5
Tasso di fertilità
a
Percentuale di variazione
1980 1985 1990 1980-85 1985-90 1980-85
Area 1985 1990 1995 1985-90 1990-95 1990-95
----------------------------------------------------------------------------------------------------
Mondo 3.6 3.4 3.0 -5.6 -11.8 -16.7
Paesi sviluppati 1.8 1.8 1.7 0.0 -5.6 -5.6
Terzo Mondo 4.1 3.8 3.3 -7.3 -13.2 -19.5
Quarto Mondo 6.4 6.0 5.5 -6.3 -8.3 -14.1
Africa 6.3 6.0 5.7 -4.8 -5.0 -9.5
Africa Orientale 6.9 6.7 6.4 -2.9 -4.5 -7.2
Africa Centrale 6.5 6.5 6.4 0.0 -1.5 -1.5
Nord Africa 5.6 4.8 4.1 -14.3 -14.6 -26.8
Africa Meridionale 4.9 4.5 4.2 -8.2 -6.7 -14.3
Africa Occidentale 6.7 6.6 6.4 -1.5 -3.0 -4.5
Asia 3.7 3.4 2.8 -8.1 -17.6 -24.3
Asia Orientale 2.5 2.4 1.9 -4.0 -20.8 -24.0
Asia Centrosud 4.9 4.4 3.7 -10.2 -15.9 -24.5
Sudest Asiatico 4.2 3.6 3.2 -14.3 -11.1 -23.8
Asia Occidentale 5.0 4.7 4.1 -6.0 -12.8 -18.0
Europa 1.9 1.8 1.6 -5.3 -11.1 -15.8
Europa Orientale 2.1 2.1 1.6 0.0 -23.8 -23.8
Nord Europa 1.8 1.8 1.8 0.0 0.0 0.0
Europa Meridionale 1.8 1.6 1.4 -11.1 -12.5 -22.2
Europa Occidentale 1.6 1.6 1.5 0.0 -6.3 -6.3
America Latina 3.8 3.3 2.9 -13.2 -12.1 -23.7
America Caraibica 3.1 2.9 2.7 -6.5 -6.9 -12.9
Centro America 4.5 3.9 3.4 -13.3 -12.8 -24.4
Sud America 3.7 3.2 2.8 -13.5 -12.5 -24.3
Nord America 1.8 1.9 2.0 5.6 5.3 11.1
Oceania 2.6 2.5 2.5 -3.8 0.0 -3.8
----------------------------------------------------------------------------------------------------
a
Numero di nascite per donna in età utile per procreare.
5
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8
Il continente con il tasso di fertilità più elevato continua ad
essere l’Africa, anche se al suo interno vi sono nette differenze
regionali. Negli anni ‘70 l’alta fertilità africana era sostenuta dai paesi
subsahariani, con tassi superiori a 8 nascite per donna, mentre oggi
tali paesi hanno subito un netto declino del tasso di fertilità (in
particolare il Kenya da 8 nel 1977-78 a 5,4 nel 1990-93 e il Ruanda
dall’ 8,5 nel 1978-83 al 6,2 nel 1989-92). Le più veloci riduzioni di
tale tasso si sono comunque riscontrate nell’Africa del nord,
principalmente in Algeria, Egitto e Marocco.
In Asia e in America Latina si hanno esperienze simili, con una
diminuzione del tasso di fertilità di circa il 24% ed un valore del 2,8 e
del 2,9 rispettivamente, anche se l’America Latina presenta dati più
uniformi al suo interno rispetto a quelli dell’Asia.
In Europa, il tasso di fertilità è continuato a scendere, da 1,9 a
1,6 nascite per donna, che corrisponde ad una variazione di circa il
16% nel decennio, mediando tra il tasso medio di fertilità rimasto
costante nell’Europa del Nord e la diminuzione di oltre il 20%
nell’Europa orientale e meridionale.
Nell’America del nord tale tasso presenta un trend crescente in
controtendenza con il resto del mondo.
9
La situazione sperimentata dall’Oceania è di un tasso di fertilità
decisamente stabile.
V’è in linea generale da osservare che i valori sin qui
considerati presentano indubbiamente non pochi problemi di
uniformità e omogeneità, ciononostante riescono a riflettere in modo
soddisfacente le dimensioni dei fenomeni.
Lo stesso può dirsi a riguardo dei dati concernenti la mortalità
infantile sui quali intendiamo ora brevemente soffermarci, basandoci
sulla Tabella 1-3.
10
Tabella 1-3. Stime della mortalità infantile mondiale, 1990-1995.
6
Continenti e aree Tasso di mortalità infantile(‰)
-------------------------------------------------------------------------------------
Mondo 62
Regioni sviluppate 11
Terzo Mondo 68
Quarto Mondo 109
Africa 94
Africa orientale 108
Africa centrale 97
Africa del nord 67
Africa del sud 55
Africa occidentale 98
Asia 62
Asia orientale 41
Asia centromeridionale 78
Sudest asiatico 54
Asia occidentale 60
Europa 13
Europa orientale 19
Europa del nord 7
Europa del sud 11
Europa occidentale 7
America Latina 40
America Caraibica 43
America centrale 37
America del sud 41
America del nord 9
Oceania 26
Australia/Nuova Zelanda 7
Nonostante la media mondiale di 62 bambini morti ogni 1000
nati nel periodo 1990-95 sia molto elevata, essa denota un valore
assai basso (11) nelle regioni sviluppate, dovuto alle conoscenze
6
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11
mediche e all’organizzazione sociale e sanitaria presente, mentre tale
valore sale vertiginosamente fino a 109 per quei paesi che non hanno
a disposizione quelle conoscenze, strutture e condizioni sociali che
possano ridurre drasticamente questo problema.
Sebbene rilevanti progressi siano stati fatti nella riduzione del
tasso di mortalità infantile, soprattutto in Africa e negli ultimi 20 anni,
in alcune nazioni nel mondo tale tasso è rimasto praticamente stabile
e in alcuni casi ha fatto segnare dei trend crescenti, come in Liberia,
Iraq, Uganda, Sierra Leone e Armenia.
Nell’ultima decade, è stata in ogni caso la migrazione
internazionale la componente della popolazione che più chiaramente
ha influenzato i cambiamenti di grande importanza che vi sono stati
nell’ambiente geopolitico mondiale. In particolare, ciò è stato causato
dalla scomparsa di alcuni Stati.
Così, le guerre che hanno accompagnato la disintegrazione di
alcuni Paesi hanno portato a visibili e sostanziali flussi di rifugiati, di
persone che cercavano asilo politico e di profughi che hanno portato
l’immigrazione all’ordine del giorno tra i problemi internazionali: di
tale fenomeno non è però ancora possibile avere un quadro preciso.
12
Nel 1990 l’Europa ospitava 25 milioni di emigranti e l’America
del Nord 24. Di questi 24 milioni, gli Stati Uniti ne ospitavano 20,
inclusi i circa 3 milioni di emigranti senza permesso il cui status fu
regolarizzato dall’Immigration Reform and Control Act del 1986.
Tra i paesi in via di sviluppo, l’Asia ne ospita il numero
maggiore (43 milioni), anche se la loro distribuzione è tutt’altro che
uniforme. In Asia occidentale, il rapido aumento degli emigranti dal
1975 è associato all’arrivo di lavoratori stranieri nei paesi produttori
di petrolio di quelle regioni ove le rendite aumentarono notevolmente
dopo gli shocks petroliferi degli anni ‘70.
In Europa, l’aumento delle persone emigranti nel 1985-90 è
dovuto ai cambiamenti avvenuti in seguito alla fine della guerra
fredda e all’allentamento dei controlli all’emigrazione dai paesi
dell’Europa centro-orientale. Anche la divisione dell’ex Russia ha
portato ad un incremento dell’immigrazione verso quei paesi
sviluppati con una economia di mercato.
Dal 1990, comunque, la fonte più grande di immigrati in
Europa è stata l’ex Yugoslavia, la cui divisione ha portato al conflitto
tra Bosnia-Erzegovina e Croazia e al più grande flusso di vittime di
guerra e rifugiati dalla Seconda Guerra Mondiale.
13
Anche in Africa l’elevato numero di emigranti è dovuto
principalmente ai rifugiati a causa dei continui conflitti interni, etnici
e non, che caratterizzano tale continente.
A conclusione di queste sparse considerazioni di natura
demografica possiamo ribadire, in via generale, che la popolazione
continua ad aumentare specie nei paesi in via di sviluppo e del Terzo
e Quarto Mondo, mentre nei paesi sviluppati l’incremento endogeno
si è praticamente arrestato.
Ciò porta ad un incremento dei giovani soprattutto in quelle
aree del mondo ove essi sono costretti a vivere nelle situazioni più
disagiate con i conseguenti problemi sanitari e sociali e, considerando
il problema dell’immigrazione, composto in ampia parte dai giovani,
in ambienti non conosciuti, spesso non ben disposti all’accoglienza,
talvolta ostili.
14
1.3 SITUAZIONE EDUCATIVA.
L’istruzione dei giovani è un problema che risente in modo
rilevante delle differenze culturali, sociali e storiche del paese che la
deve porre in atto, per cui è molto difficile usare una chiave di lettura
comune per tutti per giudicarla e per proporre soluzioni.
Nei paesi sviluppati di solito l’accesso all’istruzione inferiore è
garantito per tutti, in condizioni di uguaglianza e gratuità ed è
obbligatorio. L’esperienza rivela che è diventato normale che in
questi paesi i ragazzi proseguano gli studi almeno fino ad un livello
secondario, se non addirittura universitario, mentre è sempre meno
presente la figura del giovane che non può finire neanche la scuola
dell’obbligo.
Questa prolungata permanenza dei giovani nell’ambito
scolastico porta ad un livello di preparazione superiore, ma ad un
ritardo del loro ingresso nel mondo del lavoro, dovuto sia alla
maggior durata degli studi che alle misure adottate dagli stati per
impedire che coloro che escono dalla scuola senza alcuna qualifica si
presentino impreparati sul mercato del lavoro, quali programmi di
assistenza o di formazione. Questo è sicuramente positivo, ma come
15
ogni medaglia ha il suo rovescio: la famiglia è così costretta a
mantenere il figlio fino alla fine degli studi, che spesso si protraggono
per oltre 15 anni, con tutte le conseguenze sociali del caso, come
“perdita di valore” della famiglia, difficoltà nella costituzione di una
vita propria, oltre al più evidente problema economico del
mantenimento vero e proprio.
Di contro, nei paesi che fronteggiano situazioni economiche e
politiche più instabili, o situazioni sociali precarie o influenzate da
culture differenti, l’istruzione è vista solo come un periodo di tempo
durante il quale il giovane è costretto a rimanere a scuola. Questo
porta inevitabilmente ad un rallentamento all’ingresso nel mondo del
lavoro, con una conseguente perdita di denaro, per cui molti non
arrivano neanche a completare la scuola dell’obbligo, per motivi non
solo culturali ma anche prettamente economici.
In questi paesi la famiglia vive spesso in condizioni ambientali,
sanitarie ed economiche precarie e il tasso di fertilità molto elevato
che già abbiamo ricordato è anche dovuto alla mancanza di un sistema
di protezione sociale.