3
forma autobiografica, l’identità poeta-amante, rappresentano i tratti
salienti dell’elegia romana d’amore e connotano la “consustanzialità”
dei due ruoli che si uniscono nella stessa persona. Il tratto d’unione
che accomuna le due elegie, la romana e l’ellenistica, consiste nella
narrazione di storie amorose, ma il legame è di natura del tutto
formale, poiché l’anima vera della poesia è completamente differente.
Ed è proprio questa diversità che ha innescato e tenuta viva, già nel
corso dell’Ottocento, una annosa questione che aveva indotto i
filologi a parlare di elegia soggettiva romana ed elegia oggettiva
ellenistica. Classificazione ancora oggi valida, tenendo conto degli
ulteriori studi che si sono aggiunti fino ad oggi. All’inizio del
Novecento Friedrich Leo
3
sosteneva l’esistenza di un’elegia
alessandrina soggettiva, fonte d’ispirazione per gli elegiaci romani.
D’altra parte Felix Jacoby individuava il nucleo originario dell’elegia
romana nell’epigramma greco, debitamente ampliatosi e modificatosi,
fino a divenire qualcosa di completamente nuovo. Durante il
2
F. Jakoby, Zur Entstehung der romischen Elegie, RhM 60 (1905), 38-105.
3
F. Leo, Vergil und die Ciris, Hermes 37 (1902), 14-15
4
Novecento alle posizioni del Leo si sono accostati Mario Puelma
4
e
Wilfried Stroh
5
che insistono precipuamente sul carattere gnomico e
dunque sull’oggettività dell’elegia romana stessa. Alle posizioni di
Jakoby invece, si sono avvicinati Augusto Rostagni
6
e Giuseppe
Giangrande
7
. Antonio La Penna
8
si colloca in una posizione
intermedia affermando nel suo saggio su Properzio che il poeta:
“conserva tracce sia di un’elegia narrativa o con debole aggancio
soggettivo o completamente oggettiva, sia di un’elegia con forte
tendenza gnomica”. Egli continua, poi, per meglio chiarire il suo
punto di vista: “Se è giusto rilevare il peso dell’autobiografia
nell’elegia latina, è altrettanto importante sottolineare che della
situazione autobiografica il poeta non tende a mettere in rilievo
quanto essa ha di individuale, di unico, di irripetibile, ma piuttosto
quanto di essa rientrava in una situazione generale, umanamente
tipica ed estremamente attraente”. Paolo Fedeli
9
parlava di un’elegia
4
M. Puelma, Gli Aitia di Callimaco come modello dell’elegia romana d’amore, A&R 28 (1983),
113-131.
5
W. Stroh, Die romische Liebeselegie als werbende Dichtung, Amsterdam 1971.
6
A. Rostagni, L’influenza greca sull’origine dell’elegia erotica latina, Entretiens Hardt II, Geneve,
59-82, ora in Scritti minori II, 2 , Bottega D’Erasmo, Torino 1956, 23-48.
7
G. Giangrande, Motivi epigrammatici ellenistici nell’elegia romana, Napoli 1984.
8
A. La Penna, L’integrazione difficile. Un profilo di Properzio, Torino 1977.
9
P. Fedeli, Properzio I, 3. Introduzione e proposte sull’origine dell’elegia latina , MH 31 (1974), 23-
41.
5
come “genere aperto” ad influenze provenienti da più generi letterari,
quali ad esempio la commedia, l’epigramma, l’epicedio e l’epillio. Al
di là di sterili contrapposizioni fra elegia romana “soggettiva” ed
elegia greca “oggettiva”, bisogna studiare ed approfondire il diverso
trattamento di elementi fondanti l’elegia e come tali presenti sia in
ambito ellenistico che romano, e cioè: l’aspetto didascalico e la
concezione di eros come maniva.
6
CAPITOLO I
L’amore come pathos e dementia
L’amore, passione totalizzante cui non vi è alcun rimedio è uno dei tratti
fondanti dell’’elegia erotica. In età ellenistica Callimaco, Filita di Cos, Teocrito
cantarono gli effetti che esso produceva sugli amanti in una dimensione
idealizzata, atemporale, mitica. Nell’undicesimo carme Teocrito
1
racconta
l’insana passione del ciclope Polifemo per la bella Galatea. Il Ciclope, di fronte
al diniego della donna amata non trova requie per la sua desolazione
Pauvsasqai d jejsidwvn tu kai; uJvsteron oujdev tiv pa/ nußn
ejk thvnw duvnamai: ti;n d j ouj mevlei, ouj ma; Div j, oujdevn.
(Theocritus Id. XI, 28-29)
L’amore non corrisposto si trasforma in pavqo", penetra intimamente le fibre
dell’amante provocandogli un furore che lo pervade e trasfigura. Dall’elegia
alessandrina gli effetti del mal d’amore, passione devastante che brucia l’animo,
confluirono nella generazione degli elegiaci romani. Tramite di questa
operazione fu Partenio di Nicea che conobbe ed influenzò Cornelio Gallo, fin da
Jakoby considerato l’iniziatore dell’elegia erotica latina. Di Cornelio Gallo
2
rimangono soltanto nove versi, più uno tramandato indirettamente da altra parte,
1
cfr. sul carme XI i lavori di: A. Brooke, Theocritus’ Idyll 11: A Study in Pastoral, Arethusa 4
(1971), 73-81; J. Farr, Theocritus: Idyll 11, Hermes 119 (1991), 477-484; E. B. Holtsmark, Poetry as
Self-Enlightenment: Theocritus 11, TAPhA 97 (1971), 253-259.
2
R.D. Anderson- P.J. Parsons-R.G.M. Nisbet, Elegiacs by Gallus from Qasr Ibrim, JRS 69 (1979),
125-155; A. Barchiesi, Notizie sul “Nuovo Gallo”, A&R 26 (1981), 153-166; A.M. Morelli,
Rassegna sul nuovo Gallo, in Disiecti Membra Poetae, vol. II Foggia 1985.
7
contenuti in un papiro ritrovato a Qasr Ibrim in Egitto, zona in cui il poeta nel
29 a.C. prese parte ad operazioni militari. La sua figura è stata molto dibattuta e
controversi sono i risultati di queste discussioni. E’ fuor di dubbio invece che
egli, quale continuatore dell’elegia ellenistica, ne avesse introdotto a Roma i
suoi caratteri essenziali. Essi saranno assunti anche da Properzio e Tibullo nella
finzione autobiografica. Ne indichiamo alcuni: la passione d’amore come
esperienza coinvolgente l’intera esistenza; la dedizione ad un amore unico, che
si esplica come tensione inappagata, corteggiamento e in atti straordinari
denuncianti uno status esistenziale fuori delle norme comuni; ancora: l’inanità
della sapienza filosofica; il nesso vitale tra sofferenza d’amore e produzione
poetica. L’amore, inoltre, per Gallo dovette essere tormento, insania che non
conosceva alcun rimedio e, come tormento sentì l’amore soprattutto Properzio:
Omnis humanos sanat medicina dolores:
solus amor morbi non amat artificem.
(Propertius II 1, 57-58)
Sempre Properzio è a dire:
Non ego tum potero solacia ferre roganti,
cum mihi nulla mei sit medicina mali;
(Propertius I 5, 27-28)
Appare evidente da questi confronti che per Properzio non esiste alcuna
medicina per rimediare alle pene d’amore e che esso domina incontrastato
8
sull’amante, soggiogandone la personalità. David O. Ross
3
sostiene che:
“Propertius in his elegy (Cynthia prima…) demands of him total submission,
for wich there is no medical cure, wich can find its poetic image only in the
desolate solitude of nature: this is the aspect of Gallan elegy wich Propertius
will follow and develop. The Gallus of the Tenth Eclogue had finally submitted:
omnia vincit Amor: et nos cedamus Amori” (10.69, his last words): from this
point Propertius begins his elegies (Cynthia…me cepit)”. Risalendo alle origini
del pavqo" come tovpo" letterario è necessario prendere quale punto di
riferimento l’importante opera jErwtikav paqhvmata di Partenio di Nicea.
Su di essa Luciano Nicastri
4
dice: “E’ una produzione [scil.di manuali di
exempla erotici] che, da quel che ci avanza, si indovina sterminata, di qualità
non sempre eccelsa, tanto che si potrebbe parlare di letteratura di consumo, ma
piena di attrattive e fin solleticante, in cui viene sbriciolata e semplificata, fino
alla rudimentalità delle reazioni passionali, la complessa indagine etico-
psicologica della tragedia euripidea, in alcuni suoi aspetti. Un tèma infatti vi
predomina, variato ed esemplificato all’infinito, (propagandato), potremmo dire,
come una scoperta intellettuale e morale che, anche per la sua ripetitività,
dovette assumere agli occhi degli esordienti poetae novi una forza di
suggestione particolare: è il tema della ineluttabilità dell’amore, rappresentato
come pavqo", povqo", ejpiqumiva, novso", maniva.”
3
D.O. Ross, Backgrounds to augustan poetry: Gallus elegy and Rome, Cambridge 1975, 70.
9
Continua il Nicastri: “Gli allievi latini di Partenio accolsero volenterosamente,
insieme al callimachismo, la tematica della sofferenza d’amore, sia in chiave
mitologica che storica – vera miniera eij" ejvph kai; ejlegeiva" – che veniva
incontro, in qualche modo, ai loro nuovi bisogni di conoscenza dell’uomo e di
acquisto di modelli di identificazione più autentici e gratificanti dei
tradizionali”. Nonostante le controversie che si pongono allo sviluppo
dell’esperienza amorosa, il poeta, impassibile e fermo nella sua irrevocabile
scelta persiste in essa, pertinace nel servitium spesso fonte di dolor. L’amore
come dimensione esistenziale è il tratto connotante dell’intera produzione
elegiaca erotica latina perché infonde di sé il poeta che racconta le sue
vicissitudini in chiave “soggettiva”. Di tali momenti negativi che rendono agra
la vita al poeta si possono cogliere illuminanti esempi nell’opera properziana:
In me nostra Venus noctes exercet amaras
(Propertius I 1, 33)
Ancora in Properzio:
Horum ego sum vates, quotiens desertus amaras
explevi noctes, fractus utroque toro.
( Propertius II 17, 3-4)
ed inoltre:
sunt maiora, quibus, Basse, perire iuvat
4
L. Nicastri, Cornelio Gallo e l’elegia ellenistico romana, Napoli 1984, 52-53.
10
( Propertius I 4, 12)
Anche in Tibullo il dolore è fonte di poesia :
Et mihi precipue: iaceo cum saucius annum
et faveo morbo cum iuvat ipse dolor
usque cano Nemesim, sine qua versus mihi nullus
verba potest iustos aut reperire pedes
(Tibullus II 5, 109-112)
1.2 La concezione di eros come pathos sulla poesia latina di età
repubblicana
I prodromi della concezione di eros come pathos si possono cogliere già nella
commedia latina. Alfredo Morelli
5
, studiando il rapporto intercorrente tra
commedia latina arcaica e poesia preneoterica, nota che i poeti latini arcaici
hanno recepito tovpoi greci attraverso la mediazione dei commediografi latini.
Nella Casina, Plauto usa un tovpo" di derivazione saffica:
timor praepedit verba
(Plautus Casina, 704)
che ritroveremo poi in Valerio Edituo.
5
Alfredo M. Morelli, L’epigramma latino prima di Catullo, Cassino 2000, 201.
11
Il Murgatroyd
6
sostiene che: “The Republican period also produced a number of
innovation. If love is a kind of warfare, it seems only natural to expect that
peace may be established at some stage.” Così è in Terenzio:
in amore haec omnia insunt vitia: iniuriae,
suspiciones, inimicitiae, indutiae,
bellum, pax rursum.
(Terentius Eunuchus, 59-61)
Il tema dell’amore come follia, insania travolgente l’anima, è presente anche nel
circolo dei newvteroi, influenzato da Partenio di Nicea, da cui emersero
personalità quali Valerio Edituo, Porcio Licino, Lutazio Catulo che nella poesia
erotica, non solo romana, hanno da dire.
Leggiamo ora iversi dell’Edituo rivolti alla sua amata, Pamphila:
Dicere cum conor curam tibi, Pamphila, cordis,
quid mi abs te quaeram, verba labris abeunt,
per pectus manat subito<subido>mihi sudor;
sic tacitus, subidus, dum pudeo, pereo.
(Valerius Aedituus, fr.1 Mor.)
Le analogie con l’ode 31 Voigt sono evidentissime e nel contempo ogni
commento a tali versi già di per sé molto espressivi sarebbe superfluo.
6
P. Murgatroyd, Militia amoris and the Roman Elegists, Latomus 34 (1975), 59-79.
12
Cerchiamo di cogliere l’importanza del significato di questa poesia tanto breve
e tanto intensa. Il poeta cerca di esprimere l’affanno, il tormento del proprio
cuore a Pamphila, ma vedendola le parole scompaiono dalle sue labbra, è
percorso da continui fremiti che lo lasciano in deliquio, così se ne sta in silenzio
e nella ben calibrata allitterazione dell’ultimo verso esprime la sua condizione e
la vergogna che ne prova. Questi versi ci dicono i sintomi di un male che si
chiama amore, male che rende interessante la vita. Già in Catullo nel carme 68
l’amore è fiamma che brucia e tormenta, oppure è fonte d’inconsolabile
disperazione:
Nam, mihi quam dederit duplex Amathusia curam,
Scitis, et in quo me corruerit genere,
cum tantum arderem quantum Trinacria rupes
lymphaque in Oetaeis Malia Thermopylis,
maesta neque assiduo tabescere lumina fletu
cessarent tristique imbre madere genae.
(Catullus 68, 51-56)
Nel carme 76, che racchiude i principali motivi dell’amore catulliano, esso
diviene malattia, dalla quale il poeta vorrebbe guarire.
13
Paolo Fedeli
7
commenta a proposito: “ La passione per Lesbia è rappresentata
come una peste, un flagello, un languore”.
Languore che si insinua sin nelle più intime fibre:
eripite hanc pestem perniciemque mihi,
quae mihi subrepens imos ut torpor in artus
expulit ex omni pectore laetitias.
(Catullus 76, 20-22)
Aggiunge il Fedeli: “Catullo è giunto a un punto tale di disperazione, che non si
preoccupa più del futuro del suo amore con Lesbia, ma desidera solo guarire
dalla sua orribile malattia (v. 25) ”. Come traspare dal verso 25 sempre del
carme 76:
Ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum.
(Catullus 76, 25)
Solo nel carme 75 l’amore diviene sinonimo di pazzia:
Huc est mens deducta tua, mea Lesbia, culpa,
atque ita se officio perdidit ipsa suo,
ut iam nec bene velle queat tibi, si optuma fias,
nec desistere amare, omnia si facias.
(Catullus 75)
7
P. Fedeli, La poesia elegiaca nella scuola secondaria, in Tredici secoli di elegia latina. Atti del
convegno internazionale organizzato dall’Accademia Prperziana del Subasio, Assisi 1988, 209-213.
14
L’animo del poeta si è ridotto in uno stato tale di follia, che neppure se Lesbia si
macchiasse delle peggiori nefandezze egli potrebbe cessare di amarla. Lo stato
mentale del poeta elegiaco, spossato da crisi depressive, che ne comprimono la
personalità riducendola in termini patologici, è inadatto alla vita quiritaria,
civilmente impegnata. Nell’elegia I, 1 di Properzio, l’esperienza d’amore
equivale ad un vivere sine ratione, in una visione cupa del mondo ed
autodistruttiva: il poeta vive freneticamente nullo consilio evitando le caste
fanciulle, preferendo loro le prostitute. Anche Virgilio nei versi della decima
Bucolica, in cui era sottolineata l’insania di Gallo, aveva affermato come
l’amore sia follia:
Certe sive mihi Phyllis sive esset Amyntas
seu quicumque furor (quid tum, si fuscus Amyntas?
et nigrae violae sunt vaccinia nigra),
mecum inter salices, lenta sub vite iaceret;
serta mihi Phyllis legeret, cantaret Amyntas.
Hic gelidi fontes, hic mollia prata, Lycori,
hic nemus; hic ipso tecum consumerer aevo.
(Virgilius X Ecloga 37-42)
Concetto poi ripreso e ribadito con forza da Properzio nella sua prima elegia: il
poeta accetta pienamente l’amore sotto veste di follia.
15
1.3 Modelli ellenistici per la concezione eros-pathos
Attraverso quali modelli alessandrini si impone questa dimensione dell’eros in
Roma? Un ruolo importante dové sicuramente svolgere il Callimaco degli Aitia,
in particolare di episodi come quello di Aconzio e Cidippe.
Mario Puelma
8
sostiene che: “ la forza di modello che ebbe a Roma il monologo
sentimentale dell’Aconzio callimacheo risiede forse specialmente nel fatto che è
un uomo, non come d’abitudine nella poesia greca una donna, che è
rappresentato nella situazione dell’abbandonato che si lamenta, ciò che per
ragioni da discutere diventò la regola negli Amores romani”.
Altre tematiche e punti-chiave mutuati dall’Aconzio e Cidippe, sviluppati in
seguito nell’elegia d’amore latina sono: la grande passione che si accende a
prima vista ed è irrefrenabile, i segni della malattia dell’eros meticolosamente
registrati (insonnia, dimagrimento, propensione alla solitudine, evocazione dei
differenti remedia amoris).
Il Puelma aggiunge inoltre che La Chioma di Berenice: “contiene i tratti
caratteristici del lamento di un essere abbandonato Klage der Verlassenen, che
conosciamo in varie forme della lirica di Saffo e della chanson ellenistica
chiamata Des Madchens Klage, dalla Bucolica di Teocrito e dal lamento di
Arianna nell’epillio idillico di Catullo, ma soprattutto, in molteplici variazioni,
8
art. cit. pag. 2
16
dalla permanente lamentazione dell’elegia d’amore romana, sia proferita dal
poeta stesso sia da un’altra persona, come la Cinzia o Arethusa di Properzio IV
o le Eroidi di Ovidio ”. Cerchiamo ora di analizzare quali siano i punti di
contatto e le analogie tematico-stilistiche adoperate nell’elegia latina e tratte
dalla scuola elegiaca greca. Bisogna puntualizzare che nell’ambito della poesia
erotica ellenistica vi furono due correnti, di opposti ideali.
Callimaco e Posidippo consideravano l’amore con occhio ironico e
proclamavano apertamente la loro infedeltà nei confronti della donna amata. Al
contrario Meleagro è il rappresentante di una poesia dai toni fortemente
passionali, in cui l’amore è ritenuto, sì, fonte di sofferenza, ma è comunque
considerato un’esperienza da vivere seriamente, anche se c’è spesso una sottile
ironia nei confronti della frenzy del poeta amante
9
. In luogo di sorridere
ironicamente dei suoi amori, come Callimaco e Posidippo, Meleagro patisce il
pikro;n kevntron di jErw" (AP V, 163) e piange davkrua qermav (AP XII 68,6).
Properzio ponendo un motivo meleagreo all’inizio del suo Programm vuole dire
che, in materia d’amore, è un seguace di Meleagro e non di Callimaco.
Giuseppe Giangrande
10
sostiene che: “ Propercio es un adherente de la escuela
de Meleagro mas escrupoloso que Meleagro”.
9
cfr. D.H. Garrison, Mild Frenzy: A Reading of the Hellenistic Love Epigram, Wiesbaden 1978.
10
G. Giangrande, Los topicos helenisticos en la elegia latina, EM 42 fasc. 1° (1974), 1-36.