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Introduzione
La scelta dell’argomento della tesi è dovuta a motivi legati alla condizione
personale di disabile, che si pone il quesito dello scarso interesse, soprattutto nel
nostro Paese, sulla disabilità come fattore sociale. Nonostante il cambiamento del
concetto di handicap avvenuto nel tempo si è ancora lontani da una vera integrazione
del disabile e dal favorire la sua autonomia nelle azioni quotidiane, a causa delle
barriere mentali e materiali tuttora esistenti.
La dissertazione verrà articolata in tre capitoli i cui contenuti hanno l’obiettivo finale
di focalizzare l’attenzione sulle conseguenze che le barriere architettoniche hanno
sulla partecipazione sociale del disabile e di come esse ne determinino la condizione.
Nel primo capitolo, verranno descritte le diverse concezioni della disabilità in alcuni
periodi storici quali Greco Antico, Medio Evo, Illuminismo, dove il disabile era
considerato, in ordine di tempo, un maledetto dagli dei, un infelice da commiserare,
un menomato da correggere, senza interrogarsi su cosa implicasse essere disabile
nella società. Per avere una lettura di questo tipo bisognerà attendere la seconda metà
del XX secolo, epoca in cui a seguito del forte aumento di invalidi provocato dalle
due Guerre Mondiali e al loro reinserimento nella quotidianità, nella seconda metà
degli anni ’60 il significato di disabilità inizia a non coniugarsi solamente ad una
patologia medica, ma ad uno status della stessa causata dalla società medesima. In
questo periodo sorgono inoltre, negli Stati Uniti, i primi movimenti di rivendicazione
dei diritti civili per una nuova concezione sociale del “diverso”, che include anche il
disabile. Il Movimento e i suoi principi arriveranno anche in Europa e, negli anni ’70,
nasceranno in Gran Bretagna studi a carattere umanistico multidisciplinare, i
Disability Studies, il cui difficile obiettivo è definire ed interpretare il concetto di
disabilità astratto dal paradigma medico. In relazione alla complessa rielaborazione
del significato di disabilità che esuli dagli stereotipi a cui essa è legata, verranno
esaminati i modelli sociali e la prospettiva materialista storica illustrati da Brendan
Gleeson nel suo libro Geographies of Disability.
Successivamente all’analisi dello sviluppo del rapporto tra scienze sociali ed
handicap, si osserverà quello tra considerazione pubblica e disabilità, sottolineando
l’interesse di un’organizzazione a livello mondiale come l’ONU, che nel 2006 ha
approvato la Convenzione per i Diritti delle Persone con Disabilità, e le finalità
principali di alcune di associazioni a livello nazionale che si occupano della tutela dei
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diritti degli invalidi e dell’abbattimento di ogni tipo di barriera. Verranno citati alcuni
articoli della Convenzione che meglio sottolineano le finalità della stessa nel
coinvolgimento delle Istituzioni di ogni grado per favorire l’integrazione, a qualsiasi
livello, del disabile. Per evidenziare come l’attuazione delle norme ONU possa
applicarsi in qualsiasi campo, compreso quello sportivo, verrà portata come esempio
la partecipazione, inizialmente ostacolata, alle Olimpiadi di Londra 2012 dell’atleta
bi-amputato Oscar Pistorius.
Il secondo capitolo illustrerà il tema delle barriere architettoniche attraverso
una panoramica delle iniziative e provvedimenti intrapresi in diversi Paesi e città
esteri, per giungere infine ad un confronto con la realtà italiana.
Nella prima parte due avvenimenti accaduti nel 1965 sottolineeranno l’interesse a
livello mondiale per la disabilità: la proclamazione della Giornata Mondiale del
Disabile e la Conferenza, tenutasi a Stresa, sull’accessibilità di edifici e spazi
pubblici ai portatori di handicap, alla quale intervennero rappresentanti di diversi
Paesi europei e non. Verranno inoltre evidenziate le differenze tra l’Italia ed il resto
dei partecipanti riguardo la cultura sull’handicap. Il Convegno mise infatti in rilievo
gli studi effettuati e le misure adottate da Stati Uniti, Canada, Paesi del Nord Europa,
Svizzera e Francia sulla problematica delle barriere architettoniche, inizialmente su
basi autonome, in seguito in rapporto ai modelli sociali dei Disability Studies, mentre
in Italia una sensibilizzazione sull’argomento era ancora sconosciuta. Sarà grazie al
summit tenutosi a Stresa che anche il nostro Paese verrà coinvolto dall’argomento.
Per meglio comprendere se e come quanto succitato è stato applicato sino ad oggi,
verrà descritta la situazione di alcuni Paesi europei, con l’aiuto di esempi sia negativi
che positivi, basati su documentazione rilevata da testi, da siti Internet e da
esperienza personale in città francesi e tedesche.
La seconda sezione del capitolo sarà dedicata ad alcune normative italiane e
alla verifica della loro applicazione tramite la rassegna di cinque città campione
selezionate in base alla collocazione geografica e all’importanza storica, culturale e
industriale: Roma, Milano, Venezia, Parma, Ancona e Lecce.
Dall’analisi dei risultati si comprenderà come l’Italia sia ancora lontana dalla piena
applicazione delle normative. Nonostante vi siano città d’eccellenza come Parma e
Venezia, il divario con gli altri Paesi è ancora ampio. La concezione della disabilità è
ancora legata alla non autonomia, all’idea che l’invalido abbia bisogno costante di
aiuto per svolgere azioni che, se supportate da fattori ambientali favorevoli, potrebbe
tranquillamente compiere senza l’intervento di terzi. L’arretratezza e la noncuranza
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delle Istituzioni italiane che ancora avvolgono le tematiche relative all’handicap,
sono imputabili a diversi fattori, tra i quali risalta la nostra impostazione di welfare di
tipo familistico. Per meglio intendere l’impatto che tale modello può avere
sull’autogestione del disabile, il nostro sistema verrà confrontato con quello
socialdemocratico dei paesi del nord Europa, che mira alla piena autonomia degli
individui e, forse per questo, risulta essere il migliore applicabile al tema della
disabilità.
Il terzo capitolo, diviso anch’esso in due sezioni, sarà il risultato di una
personale ricerca sul campo finalizzata a dimostrare, empiricamente, come le barriere
fisiche e mentali possano condizionare il disabile che vuole vivere la città in
autonomia. L’elaborato conterrà, oltre la documentazione fotografica, diverse
interviste di cui verranno riportati testualmente i passaggi più significativi e
distintivi: tale scelta è motivata dall’effetto dovuto alla spontaneità degli interlocutori
che il riassunto o la parafrasi non darebbero.
La ricerca è stata effettuata percorrendo su sedia a rotelle alcune vie della
città di Torino, al fine di valutare il grado di accessibilità di esercizi commerciali,
spazi pubblici, luoghi culturali e di intrattenimento, ma non si è limitata alla mera
osservazione. Per una valutazione obiettiva sull’agibilità della città, sono stati
contattati anche funzionari dell’Amministrazione Comunale e del Trasporto Urbano,
ai quali sono stati sottoposti interrogativi sui provvedimenti adottati per
l’eliminazione delle barriere architettoniche nel Settore Pubblico. I funzionari
comunali consultati fanno capo al Settore Arredo Urbano-Urbanistica Commerciale,
al Settore Riqualificazione Spazio Pubblico, all’Urban Center Metropolitano; il
referente dei Trasporti Pubblici è il Disability Manager, una nuova figura che si
occupa dei problemi legati alla fruibilità dei mezzi di trasporto da parte dei disabili.
Nella prima parte del capitolo, relativa agli ostacoli che si possono trovare in
città, saranno riportate le testimonianze, raccolte nella ricerca, relative a casistiche,
negative e positive, sull’accessibilità di negozi e spazi pubblici, corredate da
immagini fotografiche, interviste, nonché commenti spontanei dei cittadini sulle
difficoltà incontrate nell’eseguire semplici azioni quali prelevare ad uno sportello
automatico. Saranno altresì riportati gli esiti degli incontri con i referenti dell’Urban
Center e del Settore Arredo Urbano-Urbanistica Commerciale.
Nella seconda parte, dedicata ai progressi della città, lo stesso metodo di
ricerca interesserà luoghi d’arte e cultura, visitabili nella quasi totalità in modo
autonomo. Un ampio spazio sarà dedicato all’incontro con l’architetto Filippo Orsini,
5
redattore del Manuale L’Abbattimento delle Barriere Architettoniche, volume in
dotazione ai tecnici comunali, che nel colloquio ha sottolineato aspetti relativi alle
esigenze delle diverse tipologie di handicap, sovente non valutate dai disabili stessi.
Pari importanza sarà data alle spiegazioni avute dal Disability Manager della GTT
(Gruppo Torinese Trasporti) che ha risposto in modo molto chiaro ai quesiti
riguardanti la non totale accessibilità dei mezzi pubblici di trasporto.
L’insieme delle dichiarazioni degli addetti ai Musei e Palazzi Storici,
sommate a quelle dei funzionari, evidenzieranno l’impregno degli Amministratori di
Torino, diretto a renderla vivibile per tutti i cittadini.
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Capitolo 1: Handicap e scienze sociali/ Handicap, diritto e
considerazione pubblica
1.1.Handicap e scienze sociali
Le scienze sociali si sono avvicinate al tema della disabilità in tempi
abbastanza recenti. In diverse epoche storiche, infatti, il concetto di handicap assume
differenti prospettive che tuttavia non considerano la condizione del disabile in un
contesto sociale, ma prettamente come disgrazia da commiserare o problema fisico
da correggere: per gli antichi Greci, ad esempio, la disabilità era un anatema inflitto
dagli dei; nel Medio Evo era confinata all’idea di povertà ed oggetto di carità e
misericordia; nel periodo dell’Illuminismo veniva trattata come menomazione che
necessita di correzione. Associata all’idea di assistenza e cura, quest’ultima
concezione si protrarrà fino all’inizio del XX secolo, periodo in cui, come affermano
Roberto Medeghini e Enrico Valtellina, le due Guerre Mondiali determinano nella
società
un cambiamento concettuale nei confronti della disabilità: emerge infatti
un nuovo atteggiamento sociale e culturale a causa del gran numero di
mutilati che la guerra provoca. Il mutilato […] non è solo colui al quale è
stato amputato un arto: infatti la mutilazione e l’amputazione coinvolgono
anche il senso dell’integrità della persona che investe il modo di
percepirsi e di essere percepita e il posto da ricoprire nel sociale.
1
Tale innovazione concettuale non viene recepita nell’immediato, ma è negli
anni ’60 che, con il sorgere negli Stati Uniti dei primi movimenti per la difesa dei
Diritti Civili, si inizia ad avere una presa di coscienza sulla condizione del disabile
non solo come individuo da “assistere” ma persona a cui devono essere riconosciute
le pari opportunità dei normodotati. Dagli Stati Uniti i movimenti si diffusero in
Europa e negli anni ’70 in Gran Bretagna nascono presso la Open University i
Disability Studies, grazie anche al contributo degli studiosi Mike Oliver
2
e Vic
1
Medeghini, Roberto, Valtellina, Enrico, Quale disabilità? Culture, modelli e processi d’inclusione,
Milano, Franco Angeli, 2006, p. 29.
2
Attivista per i diritti civili dei disabili e professore emerito dei Disability Studies all’Università di
Greenwich (http://en.wikipedia.org/wiki/Mike_Oliver_(disability_advocate)).
7
Finkelstein
3
che sentirono la necessità di cominciare a scrivere sulle condizioni di
vita del disabile e su come sia la società stessa, attraverso un processo di costruzione
sociale, ad etichettarli come tali.
Negli anni ’80 i Disability Studies vennero inseriti in ambito accademico
dapprima in Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia, in seguito nei Paesi del Nord
Europa, Paesi Bassi e Belgio, dando vita ad un vero e proprio settore di studio
umanistico a indirizzo multidisciplinare che spazia dalla sociologia all’antropologia,
dalla storia alla psicologia e comprende anche discipline spaziali come la geografia e
l’architettura. In Italia tale concezione è ancora assente, infatti, come segnalato dalla
rivista Italian Journal of Disability Studies
pur esistendo dei corsi di master su Disabilità e Diritti Umani (Università
di Padova), corsi generali sullo studio dell’ICF (International
Classification of Functioning Disabliity and Health) e la disabilità, ancora
non esiste infatti in Italia nessuna cattedra accademica specifica sui
Disability Studies. Inoltre i corsi esistenti offrono soprattutto seminari di
stampo medico piuttosto che corsi completamente dedicati allo studio
della disabilità da un prospettiva sociale.
4
I Disability Studies, al contrario di quanto avviene nel nostro Paese, non si
occupano dell’analisi medica dell’handicap, ma hanno come proposito principale la
ricerca di risultati tangibili che servano, ad esempio, a definire e interpretare il
concetto di disabilità, compito che risulta essere assai arduo.
In relazione alla difficoltà di concettualizzazione e di definizione di disabilità,
secondo Brendan Gleeson,
5
possono essere formulati quattro social models:
strutturalista, umanista, idealista, normalista.
La prospettiva strutturalista considera la disabilità come un fenomeno
macrosociale allo stesso modo della politica, della cultura e dell’economia. In
contrapposizione con il punto di vista medico, che tratta la disabilità come una
condizione fisica o mentale dovuta a menomazioni che necessitano di cure, lo
strutturalismo imputa alle condizioni ambientali, quali ad esempio le barriere
architettoniche o il malfunzionamento dei servizi pubblici, l’origine della disabilità.
6
3
Morto nel Novembre del 2011, è stato uno scrittore e attivista disabile ed è considerato figura
portante del modello sociale della disabilità (http://en.wikipedia.org/wiki/Vic_Finkelstein).
4
http://gridsitaly.net/?page_id=112.
5
Gleeson, Brendan, Geographies of disability, Londra, Routledge, 1999, pp. 19-22.
6
Gleeson, Brendan, Geographies of disability, Londra, Routledge, 1999, p. 20; Si veda anche
(http://en.wikipedia.org/wiki/Disability_studies).
8
La visione umanista, sorta negli ultimi anni, in auge tra gli attivisti e il mondo
della politica, insiste sull’utilizzo di espressioni che evidenzino l’umanità delle
persone disabili. L’idioma people with disabilities, ad esempio, pone in primo piano
l’individuo anziché il suo deficit fisico. L’umanesimo quindi, alla stregua dello
strutturalismo, si contrappone alle spiegazioni mediche, auspicando piuttosto una
condizione sociale paritaria tra disabili e non.
7
L’ottica idealista sostiene che l’ambiente circostante sia il prodotto di
comportamenti e credenze comuni della società. Nell’ambito dei disability studies
tale teoria trova la sua fondamentale applicazione nella psicologia sociale, ove la
disabilità viene vista come un concetto ideologico basato sulle connotazioni negative
e stereotipate che la società le attribuisce. Come afferma B. Gleeson,
8
l’esempio più
importante è stato formulato da Erving Goffman attraverso la «teoria della
stigmatizzazione sociale». In tale assunto, la disabilità è considerata come uno
«stigma», vale a dire una caratteristica negativa che emerge dalle interazioni sociali e
viene utilizzata per portare un individuo (in questo caso il disabile) ad una
condizione di inferiorità.
L’ultimo social model riportato da B. Gleeson,
9
il normalista, che si è
affermato notevolmente negli anni ’70, auspica il trattamento egualitario degli
individui o gruppi considerati socialmente inferiori; nel caso specifico dei disabili
ipotizza un mondo in cui gli si propongano le medesime condizioni di vita degli altri
partendo dalla semplice routine quotidiana, ossia da semplici atti che possono
comprendere l’andare a scuola, al lavoro, il rimanere a casa o fare una passeggiata.
10
È interessante la critica avanzata da Paul Abberley,
11
studioso disabile, per il
quale le persone con handicap non cercano la normalità, bensì un ruolo partecipativo
nella collettività. Le esigenze, inoltre, variano da individuo a individuo, che sia
disabile o no, quindi non ci può essere una valutazione standardizzata di normalità.
I disability studies e i social models sono caratterizzati dalla noncuranza per
la storia della disabilità, poiché si basano su ricerche applicate, che prevedono
l’utilizzo di dati preesistenti, per poterne ricavare risultati concreti (ad esempio
trovare una soluzione al problema della discriminazione degli handicappati).
7
Ivi, pp. 20,21.
8
Ibidem, p 21.
9
Ivi, p. 22.
10
http://en.wikipedia.org/wiki/Normalisation_(people_with_disabilities).
11
Gleeson, Brendan, Geographies of disability, Cit., p. 22.