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Introduzione
“Architetti e urbanisti non immaginano neppure con quanta leggerezza essi si giocano
la nostra felicità, quanto fasta può riuscire la loro opera, oppure nesìfasta alla mente, ai
costumi, ai destini di un popolo.”
Alberto Savinio
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Quotidianità
“Gli architetti, noi architetti, abbiamo grandi colpe.
Imperdonabili. E la principale è proprio di aver cre-
duto di poter ‘plasmare’ la vita, i gusti, i desideri di
chi abita gli spazi che progettiamo.”
1
È la brutta architettura, il brutto disegno urbano,
la costruzione frettolosa di parti di città per risol-
vere il fabbisogno di case che porta ad avere una
società problematica?
È colpa dell’omogeneità sociale? Una certa omo-
geneità sociale, quella verso il basso, che è un po’
come dire che operai e immigrati sono brutti e
sporchi. È davvero così?
Sono i quartieri operai (ora disoccupati), i ghetti
degli immigrati, che rendono brutta l’architettura?
O sono i luoghi ad abbruttire le persone, a omolo-
garle, a renderle sfiduciate nei confronti dell’auto-
rità, a farle sentire chiuse in recinti invalicabili?
Sempre più spesso le periferie europee vanno in
fiamme, Lione nel 2000, Parigi nel 2005, Londra ad
agosto 2011 nell’ultimo anno dei preparativi per le
olimpiadi, Stoccolma nel 2013.
1 Boeri S., L’ Anticittà, Editori Laterza, Roma 2011, Edizione Digitale
[ AGOSTO 2011, LONDRA BRUCIA ]
Un banale fatto di cronaca, come tanti, e
scoppia la scintilla, le periferie di Londra sono
sotto assedio, interviene la Polizia in assetto
militare. La sommossa si espande anche in al-
tre città, poi, dopo qualche giorno, tutto rien-
tra e la normalità riprende il suo corso.
Quando e cosa ha innescato la scintilla, quan-
ti giorni è durata la rivolta, quali città, quali
quartieri di Londra ha coinvolto? ...e, soprat-
tutto, perché?
Leggiamo dal Corriere della Sera la prima noti-
zia al riguardo: “Una follia improvvisa, esplosa
per una protesta contro la polizia. L’uccisione
di un uomo in uno scontro a fuoco ha portato
alla mobilitazione spontanea di diverse deci-
ne di abitanti della zona, che si sono radunati
davanti al posto di polizia.”
1
La notizia è del 7 agosto 2011, si parla di follia
improvvisa, fuoco, esplosione, mobilitazione
di abitanti.
Davvero si tratta di follia improvvisa?
Davvero gli abitanti di un intero quartiere si
1 http://www.corriere.it/esteri/11_agosto_07/scontri-tot-
tenham_91cfdb74-c0ce-11e0-a989-deff7adce857.shtml
sono mobilitati in modo spontaneo?
Davvero la protesta era imprevedibile?
“Le periodiche esplosioni di rabbia popolare
che si traduce talvolta in vera sommossa han-
no genesi simili: un fatto che coinvolge una
persona – in genere un giovane – del quartiere
e che suscita una reazione del potere pubblico
giudicata ingiusta o illegittima. […] L’elemento
in comune tra queste situazioni disparate è il
sentimento di ingiustizia talvolta suscitato da
una semplice ‘voce’ con scarsi riferimenti alla
realtà. Questo rumeur scatena il desiderio di
vendetta (che è sempre vivo anche quando è
invisibile come il fuoco sotto la cenere) contro
i ‘nemici’, cioè le forze dell’ordine, gli abitanti
‘normali’, le amministrazioni locali.”
2
Due giorni dopo si sa che l’uomo ucciso dalla
polizia aveva la pelle nera, importante anche
se non siamo negli Stati Uniti, ma soprattutto,
la perizia balistica ha dimostrato che la scin-
tilla non è partita dall’uomo ucciso, ma è sta-
ta la stessa polizia a fare fuoco su un uomo
disarmato, è sufficiente questo per scatenare
tre giorni di guerriglia urbana che si estende
anche ad altri quartieri di Londra, guarda caso
multietnici e problematici?
2 Gazzola A., Intorno alla città. Problemi delle periferie in
Europa e in Italia, Liguori, Napoli 2008, Edizione Digitale
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Il 9 agosto, sempre dal Corriere della Sera,
“Le violenze [sono] sintomo di un più diffuso
malessere sociale […] Edifici, auto e bidoni
dell’immondizia sono stati incendiati; negozi
sono stati presi d’assalto e saccheggiati, con
schiere di persone, in parte ragazzini, che
rompevano vetrine e rubavano dagli scaffali”
3
.
Il quartiere di Tottenham è il punto di par-
tenza, ma in pochi giorni altri quartieri par-
tecipano e si infiammano, Brixton, Peckham,
Islington, Hackney, Lewisham, Oxford Circus e
King’s Road.
Dopo un paio di giorni anche le città di Birmin-
gham e Manchester esplodono.
La polizia interviene in assetto di guerra e an-
che i numeri sono da guerra, centinaia gli ar-
resti, i feriti, da ambo le parti, e ci sono anche
dei morti, oltre al primo.
I danni ammontano a centinaia di migliaia di
sterline.
Negozi saccheggiati, i grandi magazzini, ma
anche i piccoli negozi di quartiere, una rabbia
devastante che si richiama con dei tweet nella
rete del web, tanto che le autorità, al culmine
della rivolta, pensano a come bloccare Twitter
e gli altri social network.
I quartieri sono quelli disagiati, quelli degli
esperimenti di integrazione multirazziale.
Londra sembrava un modello di integrazione
3 http://www.corriere.it/esteri/11_agosto_09/londra-scon-
tri-ovunque_83b30186-c247-11e0-80c8-eb6607a7b6a7.shtml
razziale, preso a riferimento anche dai fran-
cesi per le banlieue, le banlieue di Lione sono
bruciate nel 2000, quelle di Parigi nel 2005.
Questa volta la rabbia non ha colore o razza,
questa volta è una questione di disagio sociale
legato alle opportunità, al divario sempre più
ampio tra le classi sociali, al fatto che questo
divario sia sempre più evidente, quando, or-
mai sembrava quasi superato nell’era dell’ac-
cesso, con la tecnologia alla portata di tutti, i
televisori al plasma, tablet e palmari di ultima
generazione alla portata di tutti, i centri com-
merciali e i centri del divertimento sempre
pieni, le arterie degli outlet con il traffico delle
città nelle ore di punta, il credito al consumo
facile che permette di pagare la vacanza eso-
tica in un anno.
Poi ci si guarda intorno, e anche se la disoccu-
pazione in Inghilterra non è ai livelli del resto
dell’Europa, il lavoro per i giovani è sempre un
problema, e un problema ancora più grosso è
la totale mancanza di prospettive, per sé e per
i propri figli. Non c’è mobilità sociale, e questo
sembra una condanna, sembra che nessuno
sforzo permetta di superare il livello raggiunto
dai propri genitori e, anzi, la discesa è dietro
l’angolo, senza speranza non c’è futuro, e se
non c’è futuro rimane la rabbia e la desola-
zione.
“A chi vede l’insurrezione covare nelle perife-
rie europee bisognerebbe spiegare che il peri-
colo per la sicurezza della vita civile non viene
dalle periferie, dai margini esterni delle città.
No, la verità è che nelle città europee sta cre-
scendo una vera e propria Anticittà.
Migliaia di persone, giovani e anziani, tagliate
fuori dalla vita culturale, dagli scambi econo-
mici, dalle relazioni istituzionali.
L’ Anticittà cresce parallela alla città ufficiale,
come un corpo separato. Nasce e si estende
in luoghi del mondo dove si concentra la di-
sperazione di individui privati di un futuro…”
4
I ghetti non sono più legati all’immigrazione, i
ghetti sono legati alle classi sociali, le periferie
non sono più legate alla geografia dei luoghi,
sono isole del più vasto arcipelago città.
“Periferia oggi nelle città europee è una con-
dizione mobile, un’etichetta per paesaggi plu-
rali, eterogenei.”
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Non servono i muri per creare dei ghetti.
Molti dei nostri quartieri sono impenetrabili
da chiunque non faccia parte di quel quartie-
re, e chi non fa parte del quartiere cerca di
starne il più distante possibile.
Senza muri il confronto tra il noi e il loro è
ancora più evidente e sconfortante, si allon-
4 Boeri S., L’ Anticittà, Editori Laterza, Roma 2011, Edizione
Digitale
5 Boeri S., L’ Anticittà, Editori Laterza, Roma 2011, Edizione
Digitale
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E quando le problematicità non esplodono in modo
violento ci sono episodi di cronaca meno urlati che
parlano di un disagio diffuso e sottile che pervade
la città, le città, interamente.
E poi c’è la quotidianità.
…abitare la periferia, abitare lo sprawl…
Ci sono parti di città, parti della stessa città, più
faticose di altre. Il benessere, il bene-stare nella
città, che si può scomporre in comfort, sicurezza e
salubrità
2
, in alcune zone non è riscontrabile.
“Si tratta della fatica di abitare molti pezzi di città e
di territorio costruiti in occidente dal secondo do-
poguerra, che la storia ci consegna spesso in modo
assai frammentato; dell’ostilità che questi estesi
brani di tessuto edificato sembrano manifestare
nei confronti degli abitanti e non solo di quelli di-
versamente abili o delle fasce d’età estreme.”
3
E si esce dalla città, quasi espulsi, cacciati da logi-
che immobiliari che rendono la città inavvicinabile
per i ceti medio-bassi, quelli che guadagnano trop-
po per il social housing ma troppo poco per potersi
permettere un affitto o un mutuo in città.
Ci si rifugia nello sprawl e anche un po’ più in là…
Questo studio parte da un’esigenza familiare, esi-
genza peraltro condivisa con buona parte della
2 Tosi A. C., Lo spazio del welfare in Europa, in Urbanistica n. 139,
Maggio-Agosto 2009, pp 88-91
3 Ibidem
popolazione italiana, quella parte composta da
famiglie senza rete e quindi da famiglie che cer-
cano perennemente di stare in equilibrio su quel
sottilissimo filo che viene chiamato conciliazione
famiglia-lavoro.
La conciliazione può essere più o meno facile in
base al luogo di residenza.
L’abitare, il dove abitare diventa il punto focale, lo
snodo attorno a cui sviluppare la propria esistenza.
La mia famiglia si è ritrovata esiliata da Milano,
sempre un po’ più in là dal centro di opportunità
e lavoro che la metropoli rappresenta, per ragioni
puramente economiche.
L’investimento iniziale è spesso il primo ostacolo,
l’acquisto o l’affitto di un’abitazione a Milano è
decisamente più rilevante rispetto all’acquisto o
all’affitto di un’abitazione in provincia.
Questa differenza di costo iniziale a vantaggio del-
la provincia viene, però, ridistribuita giorno dopo
giorno in termini di tempi di percorrenza, costi per
trasporti, costi per servizi aggiuntivi che compensi-
no la mancanza di una rete famigliare, diventando
un maggior costo di gestione della quotidianità,
quasi degli interessi.
In questo modo, in questo allontanamento forza-
to, però, è proprio la quotidianità che viene messa
a dura prova, la distanza dai luoghi di lavoro, la ne-
cessità di utilizzare il mezzo privato per raggiunge-
re i mezzi pubblici (quasi una contraddizione di ter-
mini), i lunghi tempi di percorrenza che occupano
tanano gli indesiderati da zone che una volta
erano popolari e ora sono ricercatissime dalle
nuove élite, gli esclusi si sentono ancora più
esclusi e chi sentiva di cominciare a respirare
viene ricacciato giù.
“La parola chiave è gentrification. Noi direm-
mo ‘imborghesimento’ o qualcosa del genere.
Ex quartieri popolari vengono ristrutturati con
soldi misti pubblico-privati, gli abitanti origi-
nari espulsi o messi a vivere fianco a fianco
con il ceto medio che dà la propria impronta
ai quartieri. Broadwater Farm restò popolare,
ma ghetto: un modo a parte rispetto alla nuo-
va Londra che avanzava.”
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E’ questa, dunque, la chiave di lettura dei fatti
di Londra?
6 Battaglia G., Le vie della rivolta, in E-Il mensile,
Ottobre 2011