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Introduzione
Il presente lavoro ha per oggetto una delle più importanti novità della riforma del processo
penale minorile, avvenuta con il D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, attraverso la quale viene
introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento l’istituto della sospensione del processo e
messa alla prova del minore.
Tale istituto si configura come strumento principale per attuare la funzione educativa
dell’intervento penale nei confronti dei giovani devianti, mirando alla salvaguardia della
personalità del minore con l’obiettivo di articolare la fase processuale attraverso interventi
finalizzati a favorire la responsabilizzazione attiva del minore imputato.
La sospensione del processo con messa alla prova del minore, disciplinato dagli artt. 28 e 29
del D.P.R. 448/1988, rappresenta il fulcro di tutta la riforma del procedimento penale
minorile, in quanto realizza appieno l’orientamento del legislatore che ha ritenuto l’ingresso
del soggetto autore di comportamenti illeciti o devianti nel circuito penale, come ipotesi da
non privilegiare quando ci si trova di fronte a personalità ancora in evoluzione, quali sono
appunto le personalità minorili; alla base dell’istituto c’è la consapevolezza che il recupero del
reo avviene più facilmente nel suo ambiente di vita quotidiano che non nella istituzione chiusa
del carcere che lo isola, lo impoverisce e lo stimola negativamente. Di conseguenza nei
confronti del minore, le limitazioni della libertà personale e soprattutto il carcere, sono
estremamente marginalizzanti, e lo stesso processo penale è considerato un accadimento che
può arrecare pregiudizio all’evoluzione d0ella personalità del soggetto.
La forte innovazione insita nell’istituto risiede nel fatto che, al contrario di tutte le ipotesi di
probation applicate in altri paesi che suppongono la pronuncia di una sentenza di condanna,
nel sistema processuale penale minorile italiano la messa alla prova rappresenta una risposta
alternativa a quella punitiva, in quanto con tale provvedimento il processo viene direttamente
sospeso e il minore viene affidato ai Servizi minorili dell'amministrazione della giustizia che,
in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, svolgono nei suoi confronti
attività di osservazione, sostegno e controllo.
Antecedentemente alla riforma del 1988, la risposta penale nei confronti del minorenne era
caratterizzata da specificità riguardanti le condizioni di esclusione o diminuzione
dell’imputabilità e quindi della responsabilità e della pena, i luoghi e le condizioni di
esecuzione della pena detentiva, la concessione del perdono giudiziale, la misura di sicurezza
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del riformatorio. Nel sistema attuale, il processo penale minorile ha come primaria funzione
quella di soddisfare contestualmente l'esigenza di punire il soggetto che ha commesso un
reato, con quella di risocializzare, rieducare e restituire al mondo una personalità non più
deviata.
In questo senso, la disciplina della messa alla prova si fa portatrice dei valori e principi
enunciati sia dalla Carta Costituzionale sia dai trattati internazionali in materia minorile:
primari in questo senso sono infatti la funzione educativa riconosciuta al rito minorile che
trova fondamento costituzionale nel rispetto del diritto all’educazione del minore e la
realizzazione del diritto inviolabile alla personalità del minore, alla sua crescita libera, ad un
dignitoso sviluppo, ad un sano e proficuo inserimento sociale.
Inoltre la messa alla prova consente di vedere concretizzato un altro valore fondamentale,
quello della minima offensività del processo penale minorile: il processo infatti andrebbe
evitato ogni qualvolta si riveli non necessario ( ad esempio quando si tratta di reati lievi, di
scarso allarme sociale) o addirittura pregiudizievole in quanto interrompe i percorsi educativi
in atto.
L’applicabilità della misura non è compromessa né dall'eventuale esistenza di precedenti
giudiziari e penali né da precedenti applicazioni né dalla tipologia di reato; la decisione del
giudice si fonda sugli elementi acquisiti attraverso l'indagine di personalità prevista dall'art. 9
del D.P.R. 448/88: fondamentali sono infatti le caratteristiche di personalità del ragazzo che
inducono a ritenere possibile il suo recupero, attraverso la mobilitazione delle sue risorse
personali e di idonee risorse ambientali; è proprio sulla base di queste risorse che i servizi
sociali elaborano il progetto di messa alla prova, che deve necessariamente essere accettato e
condiviso da ragazzo.
La scelta di concentrare il presente lavoro su questo istituto è stata dettata primariamente dalla
forte curiosità e attrazione che il mondo della Giustizia Minorile ha sempre suscitato in me e
in secondo luogo per la estrema importanza e complessità del ruolo rivestito dal servizio
sociale, ruolo assolutamente determinante, come vedremo, nell’ambito di uno degli istituti più
importanti del settore, appunto la messa alla prova.
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Parte prima
La sospensione del processo e messa alla prova nel D.p.r 448/88
I principi del nuovo processo penale minorile.
Prima di iniziare con l’analisi dell’istituto della sospensione del processo e messa alla prova,
ritengo doveroso enunciare sinteticamente i principi ispiratori del nuovo processo penale
minorile, introdotti nel D.p.r. 22 settembre n. 448 del 1988 e caratterizzanti gli istituti previsti
per il minore autore di reato.
Il D.p.r 448/88 ha infatti introdotto una nuova concezione di giustizia nei confronti dei minori
che commettono reati, ispirata in primo luogo al principio di adeguatezza; l’art. 1, comma 1,
d.p.r. n. 448 del 1988 sancisce infatti che: "Nel procedimento a carico di imputati minorenni
si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del
codice di procedura penale. Tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità
e alle esigenze educative del minorenne".
Le norme del processo penale minorile devono essere applicate quindi tenendo presente le
esigenze educative del minore e in modo adeguato alla sua personalità, in conformità con la
finalità educativa e responsabilizzante del processo penale minorile.
L’obiettivo primario del processo deve infatti essere quello di innescare una ripresa
dell'itinerario educativo del minore, interrotto o comunque compromesso dal suo agito
deviante.
Il secondo principio ispiratore della riforma in questione, è quello di minima offensività del
processo. Questo principio si basa sulla constatazione che il processo può arrecare pregiudizio
al minore e causare delle ferite incolmabili nella sua personalità ancora fragile e in
evoluzione.
Per questo motivo, il processo penale minorile ha introdotto delle disposizioni che hanno
come scopo quello di arrecare il minor danno all'imputato minorenne, che prevedono degli
istituti processuali che tendono a porre fuori dal circuito penale il minore in modo anticipato.
Emblematico in tal senso è l’istituto dell’irrilevanza del fatto che viene applicato, per
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disposizione esplicita dell’art. 27 c.p.p min., quando l'ulteriore corso del processo non
coincide più con un’esigenza educativa del minore, ma anzi può arrecare solo pregiudizio
all’evoluzione della sua personalità.
Anche l’istituto della sospensione del processo e messa alla prova, che tratterò ampiamente in
questo lavoro, è totalmente in linea con questo principio giacché l'estinzione del reato per
esito positivo della prova evita al minore gli effetti stigmatizzanti di una condanna penale e
rappresenta il risultato dell’adesione ad un progetto educativo ad hoc finalizzato a colmare le
lacune che sono emerse dall’osservazione e valutazione della personalità del minore.
Nella stessa logica del principio appena enunciato, si inserisce quello di de-stigmatizzazione
del processo penale minorile, che deve esplicarsi attraverso istituti che tutelino l’identità
sociale del minore dai pregiudizi e, nello specifico, dallo stigma derivante dal contatto del
minore con il sistema penale.
Anche in questo caso, l’istituto della messa alla prova risponde pienamente alle finalità
imposte da questo principio, in quanto limita il contatto del minore con il sistema penale
configurandosi come una risposta alternativa a quella meramente afflittiva della condanna e
detenzione, e riduce gli effetti stigmatizzanti che comunque questo percorso genera, attraverso
la cancellazione della sentenza che pronuncia l'estinzione del reato per esito positivo della
prova dal casellario giudiziale.
Inoltre, nella stessa direzione (quella della tutela della riservatezza del minore e del
contenimento degli effetti stigmatizzanti del processo) vanno le norme sul divieto di
pubblicazione e di divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a
consentire l'identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento art. 13,
c.p.p.m.
Un ulteriore principio ispiratore della riforma è quello di indisponibilità del rito e dell'esito del
processo che sancisce la necessaria partecipazione del minore.
In tal senso, è prevista la possibilità che il giudice disponga l'accompagnamento coattivo
dell'imputato qualora non compaia (art. 31 c.p.p.m).
La partecipazione obbligatoria del minore consente di svolgere più funzioni: innanzitutto
tende a garantire il pieno esercizio del diritto di difesa; in secondo luogo mira ad ottenere la
responsabilizzazione del soggetto, il quale, così come stabilito dall’art. 1 c.p.p.m, viene reso
consapevole dal giudice di quanto si svolge intorno a lui. In ultima analisi, la sua presenza
rappresenta uno strumento fondamentale per il giudice, attraverso il quale verificare quanto
sia emerso dall’osservazione della personalità del giovane, in base alla relazione dei servizi
sociali.
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Infine, un ultimo principio da tenere in considerazione è quello della residualità della
detenzione. Nel processo penale minorile infatti, la detenzione ha una funzione di extrema
ratio in quanto l'esigenza del recupero del minore è preminente rispetto alla pretesa punitiva
dello Stato.
Questo principio si esplica, in particolare, nell’art. 16 c.p.p.m., che indica le condizioni per
procedere all'arresto e al fermo, e nell’'art. 23 c.p.p.m., per la custodia cautelare, oltre che
nell’ampia possibilità di ricorrere alle sanzioni sostitutive.
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Capitolo primo
L’istituto della messa alla prova - Il Come, il Quando e il Perché
della concessione della misura.
1.1 La genesi della messa alla prova.
L’istituto della sospensione del processo e messa alla prova del minorenne, disciplinato dagli
artt. 28 e 29 D.p.r 448/88 e, per la normativa di attuazione, dall’art. 27 D.lgs. 272/89, si
configura all’interno del procedimento penale minorile come una risposta alternativa a quella
punitiva, idonea a salvaguardare le esigenze educative del minore deviante e strumentale alla
sua responsabilizzazione e al suo reinserimento sociale posto in essere mediante un intervento
realizzato durante la fase di sospensione del processo. L’obiettivo, in estrema sintesi, è
osservare l’evoluzione della personalità del minore all’esito della prova che, se positiva,
condurrà all’estinzione del reato.
L’art. 28 del D.P.R 448/1988 recita espressamente: “Il giudice, sentite le parti, può disporre
con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del
minorenne all'esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un
periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena
dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per
un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione.
Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili
dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi
locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo
provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato
e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”.