Introduzione
Dove guardavamo, dove stiamo guardando
«La chiave per il futuro della televisione è
smettere di pensare ad essa in termini di
televisione. Sarà un grande vantaggio per la tv
se la si penserà in termini di bit» (Negroponte
1995: 43).
Così Nicholas Negroponte – noto per i suoi toni “estremisti” – già a metà degli
anni Novanta anticipava quello che da lì a poco sarebbe stato lo scenario in cui
s’inserisce oggi il mezzo televisivo. Da oltre un decennio in tutto il mondo, è comune
denominatore studiare la televisione, con l’ambizione di voler identificare le avvisaglie
del suo processo di cambiamento (Spigel, Olsoon 2004; Turner, Tay 2009; Scaglioni
2011). Professionisti, studiosi e critici s’interrogano se la televisione stia finalmente
uscendo da un’epoca – che l’ha vista primeggiare per oltre mezzo secolo nell’industria
mediale – pronta ad allacciare legami e stringere connessioni con altre forme, linguaggi
e pratiche sociali. Dopo tutto: «se il termine televisione si attribuisce a tecnologie,
logiche industriali, politiche governative e a pratiche di visione che erano legate al
medium nella sua dimensione classica di servizio pubblico – caratterizzata dalla
presenza di pochi network – sembra che stiamo entrando in una nuova fase della
televisione, la fase che viene dopo la televisione» (Spigel – Olsoon 2004: 2 corsivo
nostro). Parlare di una “televisione dopo la televisione” mi pare però riduttivo, poiché
l’accezione dell’espressione stessa, sottintende a una molteplicità di possibili scenari del
mezzo televisivo – sia tecnologici sia fruitivi – che tuttavia non rimettono in discussione
il “nome della cosa”. Studiare oggi la televisione, suggerisce – per la prima volta nella
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LA POST-TELEVISIONE NELL’ERA DEI SOCIAL MEDIA: TEORIE, SCENARI E PUBBLICI.
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storia dei mezzi di comunicazione – l’urgenza di interrogarsi sulla sua definizione.
Come rimarca Cardini in merito alla serialità televisiva: «sento sempre più spesso
utilizzare termini storicamente superati per oggetti che oggi sono profondamente
trasformati rispetto al momento della loro nascita. Non credo che sia la stessa cosa
definire Lost una serie tv, una fiction o un telefilm. O meglio: può essere la stessa cosa
nel linguaggio comune, ma non deve esserlo nel linguaggio di un esperto o in un’aula
universitaria» (Cardini 2010: 7). Stessa cosa vale per la televisione intesa come
macrocategoria. Quando siamo interpreti di pratiche di consumo che profanano
completamente le caratteristiche ontologiche del medium come, per esempio, guardando
on demand pillole di programmi televisivi o intere serie tv, ha ancora senso definire
tutto questo come “televisione”? La risposta non è così scontata e in questo senso, un
primo passo indispensabile sarebbe quello di scindere a livello terminologico il
contenuto dal mezzo che lo trasmette. A differenza dell’industria cinematografica, dove
i confini terminologici tra luogo (cinema) – mezzo (schermo) – contenuto (film o
documentario) appaiono ben demarcati; in ambito televisivo, contrariamente, è uso
comune parlare di televisione sia si tratti del mezzo tale (televisione), del consumo
(vedere la televisione) e del contenuto (programma televisivo), a prescindere che si
guardi uno show, una fiction o un programma d’informazione. Un successivo problema,
emerge quando il contenuto “tradizionale” è fruito attraverso altri dispositivi (pc, tablet,
smartphone) o veicolato attraverso la rete (catch up tv) o viceversa: prodotti
appositamente ideati e costruiti per il web – ad esempio le web series e gli user
generated content – vengono a loro volta trasmessi e fruiti sul mezzo televisivo. Il
rischio di incappare in fraintendimenti terminologici è alto, ma al contempo è pur vero
che la televisione sia tuttora un processo in divenire, da indagare e scrivere e «queste
indistinzioni connaturate al termine “televisione” sono in qualche misura inevitabili e
anche opportune, perché colgono la dimensione complessa che è connessa all’ essenza
stessa del mezzo» (Marinelli, Celata 2012: 13 corsivo nostro). E’ proprio, nel voler
coglierne la sua dimensione così eterogenea che studiare oggi la televisione, e più in
generale il sistema dei media, impone – come mai prima d’ora – non solo scontrarsi con
le particolarità native del medium in sé, bensì adottare uno sguardo complessivo,
osservando le sfumature che emergono e contraddistinguono un medium dall’altro. E’
INTRODUZIONE
3
partendo da questa considerazione, che le pagine a seguire si prefiggono di tracciare lo
scenario in cui si situa oggi il mezzo televisivo analizzando: l’emergere di nuove
pratiche e forme di consumo, il proliferare dell’offerta delle reti e l’imporsi di nuove
tecnologie.
In un contesto che si direziona sempre più verso la convergenza dei media,
difatti, uno dei cambiamenti più rilevanti sembra toccare i processi di costruzione del
flusso televisivo: un decisivo riequilibrio nei rapporti di potere tra reti e pubblici e una
radicale trasformazione delle pratiche di visione della tv che da tendenzialmente
omogenee, diventano sempre più individuali e frammentate. La ricca diffusione dei
nuovi canali digitali, il consolidamento della televisione satellitare, ma anche
l’esplosione dei contenuti on demand, ha spinto il mercato dei player, ad adottare
soluzioni ibride di arricchimento e integrazione dell’offerta televisiva, facendo appello
alle potenzialità date dal Web. Il sorgere di un’offerta differenziata figura il momento in
cui il contenuto emerge come principio decisivo per la costruzione delle pratiche di
visione, inducendo un ripensamento della tv come un mezzo che caratterizza il
contenuto che viaggia al suo interno. Le reti, presa consapevolezza della rimediazione
del medium, accostano e integrano all’offerta e alle strategie di palinsesto tipiche della
televisione generalista, nuovi modelli e strategie di business. La moltiplicazione di
canali e delle opportunità di distribuzione – caratteristiche di questa fase di transizione –
incide perciò profondamente le dinamiche inscritte nella configurazione originaria della
televisione. Moltiplicazione dei canali, moltiplicazione delle piattaforme,
moltiplicazione dei contenuti, moltiplicazione delle pratiche di visione. E’ questo lo
scenario impetuoso che si figura davanti ai nostri occhi. Alla luce di questi
cambiamenti, l’audience non solo si frammenta e sceglie cosa vedere – tra un numero
elevato di canali – ma esercita un maggiore potere nella creazione della propria
esperienza di consumo.
Ecco il senso più profondo delle pagine che vado a presentare e a tal proposito è
sembrato necessario, come primo passo, nei CAPP. I e II, prendere spunto dalle
tradizioni teoriche e di ricerca dei Television Studies, ripercorrendo le tappe
fondamentali che hanno visto l’imporsi del mezzo televisivo nella sfera pubblica/privata
e come protagonista indiscusso dei cambiamenti socio-culturali.
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LA POST-TELEVISIONE NELL’ERA DEI SOCIAL MEDIA: TEORIE, SCENARI E PUBBLICI.
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Il secondo passaggio – cuore di tutta la ricerca – cui sono dedicati i CAPP. III e
IV, consiste nel provare a dare un senso a uno scenario che va sempre più verso la
convergenza mediale, fotografando lo stato dell’arte in cui versa la televisione
nell’epoca digitale e il rinnovamento di alcune pratiche di visione – così lontane, così
vicine – specifiche degli albori del mezzo, che scaturiscono dall’avvento dei Social
Media e dalla cosiddetta Social TV. E’ su queste ultime suggestioni che le ultime pagine
propongono una riflessione sui potenziali scenari offerti dal rapporto tra televisione e
Social Network che ridefiniscono totalmente, da un lato la filiera e il business televisivo
e dall’altro i meccanismi con cui s’indaga l’esperienza di consumo dell’audience.
Quest’ultima considerazione mi porta agli ordinari e imprescindibili
ringraziamenti, dato che questo lavoro – esito di un lungo percorso di studio, ricerca,
fatica e passione in merito alla televisione – non sarebbe potuto nascere se non grazie ad
alcune persone che a diverso titolo hanno contribuito alla sua concretizzazione. Vorrei
dunque ringraziare per prima Daniela Cardini che, nel corso degli ultimi cinque anni, ha
indirizzato con pazienza e dedizione i miei sforzi e se sono maturato, devo molto a lei.
Eugenia Burchi e il team di Blogmeter per l’esperienza vissuta insieme. Ilaria Nicosia
per aver avuto fiducia in me e per la grande opportunità offertami. Massimo Scaglioni
per la sua costante disponibilità e i suoi preziosi consigli. Amiche e amici che mi hanno
aiutato a non mollare mai e hanno sempre creduto in me: in ordine sparso, Giulia
Scaccheri, Jona Cara, Sara Carrabba, Fabrizio Vaccari, Carlotta Battola, Matteo
Miranda, Giulia Pellerani, Vincenzo Aprile, Giulia Borgato, Daniele Marinucci, Alice
Tassinato, Andrea Belletti, Matteo Zanni. Infine, il ringraziamento più grande va solo a
una persona a mia Nonna, perché se oggi sono la persona che sono diventato, è
esclusivamente per merito suo.
1
1
Nota metodologica: le citazioni dall'inglese si intendono tradotte da chi scrive, salvo diversamente
indicato.
PARTE PRIMA
Storia, esperienze e teorie
I
La TV del tempo. I tempi della TV
In un’ordinaria mattina domenicale di gennaio, un gruppo di persone sedute sul
proprio divano di casa, davanti ad un nuovo apparecchio luminoso posto sul mobiletto
del salotto – che fino a qualche istante prima aveva ospitato la “vecchia” radio – attende
con fermento, curiosità e sguardo quasi intimorito, l’inizio delle trasmissioni televisive
in Italia. Era il 3 gennaio 1954 e ad inaugurare l’esordio della televisione nelle case
degli italiani, fa la sua apparizione Fulvia Colombo: la prima storica annunciatrice della
Rai. Nessuno aveva ancora ben chiaro cosa fosse la televisione, quante novità e quali
potenzialità racchiudesse al suo interno, tantomeno nessuno prevedeva che quel
semplice apparecchio si sarebbe imposto, da lì a poco, nella vita privata e pubblica
dell’intera popolazione italiana, collocandosi – fin dal suo esordio – come veicolo
comunicativo di grande accelerazione e semplificazione, molto più di quanto non lo
fossero state la carta stampata e la radio. Da quel momento in poi la presenza diffusa
della televisione nella sfera pubblica e privata ha modificato e continua tuttora a farlo,
l’interazione sociale umana in tutti gli ambiti rilevanti della vita: da quelli più intimi e
privati, a quelli più generali e pubblici.
In questa prospettiva lo scopo di questo primo capitolo è quello di inquadrare il
mezzo televisivo, da un lato come tecnologia che ha introdotto nuove modalità di
percezione e testimonianza del mondo e dall’altro come uno dei principali promotori del
cambiamento socio-culturale della società contemporanea, rivolgendo in particolare
modo uno sguardo alla realtà italiana nel suo complesso.
COSI’ LONTANI, COSI’ VICINI
LA POST-TELEVISIONE NELL’ERA DEI SOCIAL MEDIA: TEORIE, SCENARI E PUBBLICI.
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1.1. Una finestra aperta sul mondo: per una storia sociale della TV
2
Tradizionalmente la letteratura sulla televisione tende a suddividere la storia del
mezzo televisivo in due grandi epoche: la paleotelevisione e la neotelevisione. In questa
sede – senza voler sconfessare la valida suddivisione proposta da Eco (1983) – si è
scelto di presentare nelle pagine a seguire, una variante offerta dallo studioso inglese
John Ellis (2000). Secondo quest’ultimo la storia sociale della televisione si divide in tre
grandi epoche: l’età della scarsità (scarsity), l’età della disponibilità (availability) e l’età
dell’abbondanza (plenty). La prima combacia con l’ascesa della televisione
nell’ambiente casalingo, del suo decollo come basilare e popolare mezzo
d’intrattenimento e d’informazione e meccanismo di modernizzazione della cultura di
massa. In Italia, come in tutta Europa è nelle mani dello Stato e si configura come
servizio pubblico. Nella seconda età – che inizia a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta
– si assiste a un mutamento socio culturale che è riassumibile nel passaggio da una
«società dei consumi a una consumistica» (Grasso 2003), che coincide con l’avvento
delle televisioni commerciali. Pertanto la televisione nell’età della disponibilità vede
affiorare una tendenza sostanziale: l’improvviso allargamento dell’offerta televisiva, sia
in termini di canali fruibili, sia in termini di tempi di trasmissione e l’imporsi della
cosiddetta televisione di flusso. Infine, con l’età dell’abbondanza – coincidente con
l’inizio del nuovo millennio – la strategia di flusso è messa a dura prova e porta la
programmazione televisiva, o ancor meglio il consumo televisivo a svincolarsi da orari
e palinsesti. La nascita delle nuove tecnologie, del satellite, del digitale conduce al
declino dei grandi network: i contenuti non viaggiano più su un’unica piattaforma, ma
contaminano media inesplorati, primo fra tutti internet. Tuttavia, per comprendere a
fondo le dinamiche che caratterizzano lo spirito del tempo è necessario fare un passo
indietro, in un tempo non così molto lontano.
2
Quello che le prossime pagine tratteranno, non si prefigge di essere un quadro esaustivo della storia
della televisione (italiana), bensì suggerisce una cornice essenziale, il cui scopo è di tracciare le tappe
fondamentali del mezzo televisivo come tecnologia e modello socio-culturale. Per un approfondimento
dettagliato sulla storia della televisione, si rimanda a Monteleone (1995) e Grasso (2002).
1. LA TV DEL TEMPO. I TEMPI DELLA TV
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1.2. Costruire il nuovo mondo di domani: l’età della scarsità
«La prima epoca è caratterizzata dalla presenza di pochi canali che a loro volta
trasmettono solo durante una parte della giornata. Era l’epoca della scarsità, che
durò per quasi tutti i paesi fino alla fine degli anni Settanta o agli inizi degli
anni Ottanta. L’era della scarsità è l’epoca in cui la televisione si è inserita
all’interno della società inaugurando su larga scala l’esperienza di testimoniare
la vita di tutti i giorni. Fondatasi sulle scorte del successo della radio, come
mezzo domestico, porta le immagini in diretta nelle case delle persone» (Ellis
2000: 40).
A pochi mesi dall’invasione della Polonia da parte di Hitler e l’inizio della
seconda guerra mondiale – oltreoceano – ha inizio il 30 aprile 1939, con un titolo
impegnativo “Costruire il nuovo mondo di domani”, l’Esposizione universale di New
York:
«L’obiettivo delle grandi corporations americane che hanno prenotato uno
“spazio”, qui nel Queens, è stupire il mondo con qualcosa di straordinario […]
C’erano mezzo milione di persone, quel giorno, all’inaugurazione della grande
Fiera. Alcune a bocca aperta, altre un po’ perplesse. E ce n’erano poi alcune
migliaia sparse nell’area metropolitana di quella che sarebbe diventata la
Grande Mela, alla quale era stato concesso il privilegio di partecipare in prima
persona all’evento. La RCA, la società che possedeva la catena radiofonica
NBC, aveva scelto la fiera del 1939 per presentare l’ultima meraviglia delle
meraviglie, una “cosa” chiamata tv. Una telecamera primordiale, montata su
una struttura ingombrante quanto una gru, era stata installata su una piattaforma
a poco meno di 20 metri dal palco degli speaker. Alle 12.30 si era accesa per
inquadrare il sindaco di New York […] subito dopo, il presidente degli Stati
Uniti Franklin Delano Rooswelt veniva inquadrato mentre pronunciava il
discorso di inaugurazione. C’erano soltanto 200 televisori accesi quel giorno
nell’area metropolitana di New York, per la gran parte posseduti dai dirigenti
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LA POST-TELEVISIONE NELL’ERA DEI SOCIAL MEDIA: TEORIE, SCENARI E PUBBLICI.
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della NBC o da eccentrici miliardari. Ma c’erano anche parecchi monitor nel
grande atrio del quartiere generale della RCA a Manhattan, in alcune vetrine di
grandi magazzini e negli stand dell’Esposizione riservati alle società. Tutti
coloro che videro le prime inquadrature […] rimasero impressionati dalla
nitidezza delle immagini. David Sarnoff, gran capo della RCA, rilasciò subito
un’entusiasta dichiarazione ai giornalisti, non esitando a definire rivoluzionaria,
quella fresca invenzione e annunciando che, dal giorno dopo, la RCA avrebbe
messo in vendita gli apparecchi necessari perché tutti godessero di un simile
prodigio della tecnica»
(Grasso 2011: 3-5).
La televisione nasce, al termine di quel mezzo secolo straordinario per la storia
dell’umanità che ci ha regalato tra l’altro la fotografia, il cinema, la radio, il telefono. La
sua invenzione non ha simboleggiato una svolta così eccezionale rispetto alle precedenti
dal punto di vista tecnologico: ne è stata una perfetta sintesi. Proprio, perché legata allo
sviluppo delle tecnologie, l’evoluzione del mezzo televisivo ha attraversato fasi
instabili, caratterizzate da accelerazioni e stasi, complici gli eventi economici e politici
del secolo (Temporelli 2004; Ortoleva – Temporelli 2010). Come rileva Grasso
(Ibidem), si possono individuare quattro periodi sostanziali della fase pioneristica del
mezzo: quello compreso tra il 1870 e il 1890, nel quale si iniziò a configurare la
trasmissione d’immagini a distanza come tecnologia a sé stante, mentre procedeva lo
sviluppo del cinema e del telefono; gli anni che vanno dal 1920 al 1935, durante i quali
la sperimentazione conobbe un’accelerazione grazie alla crescita collaterale della
radiofonia; il periodo compreso tra il 1935 e la seconda guerra mondiale, che vide la
nascita dei primi servizi di diffusione pubblici e privati nel mondo anglosassone; infine,
dopo il conflitto, gli anni in cui decollò l’industria televisiva vera e propria che vede
affermarsi un sistema produttivo.
Al suo affermarsi – circa più di trent’anni prima – la radio suscitò molta meno
apprensione nell’opinione pubblica, riguardo la sfera delle relazioni sociali e culturali:
«l’atto di ascoltare sembrava più naturale e domestico, poteva tranquillamente
combinarsi alle attività normali di genitori e figli, non richiedeva un’attenzione
polarizzante ed esclusiva […] fin dall’inizio, invece, la televisione viene vista come una
1. LA TV DEL TEMPO. I TEMPI DELLA TV
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presenza ingombrante e minacciosa, potenzialmente eversiva» (Gozzini 2011: 3-4).
Argomentazioni determinate a reiterarsi fino ai giorni nostri, in contrapposizione –
seppur minore – a chi, invece, non vedeva del “male” nel nuovo mezzo televisivo, come
ben specifica Gianni Granzotto
3
:
«cominciamo intanto con il dire che non bisogna avere paura della televisione.
Ho letto anch’io, qui in America […] sui pericoli e le minacce della televisione.
Le stesse cose si dissero e si scrissero quando la televisione incominciò a
diffondersi negli Stati Uniti. Si disse che avrebbe ucciso la cultura, che avrebbe
ucciso la conversazione, la lettura, le vecchie abitudini della vita sociale […] Si
è cominciato in America con venti ore di trasmissione alla settimana: ora la
media è di sei ore e anche meno. La ipnosi della tv non è un male cronico, ma
una febbre passeggera. Se la televisione prende un posto preminente nelle
abitudini di certe famiglie questo accade nelle case dove non esistevano
nemmeno prima quelle forme di vita sociale che si teme vengano distrutte: case
dove non si leggeva o si leggeva poco e male, dove non si tenevano
conversazioni brillanti o concerti. In quelle case la televisione ha colmato un
vuoto, e Dio volesse che la stessa cosa avvenisse anche in Italia» (Gozzini
2011: 5).
L’apparizione della televisione costituiva, quindi, una risposta competitiva alla
grande attrattiva del cinema sonoro. Sia in Inghilterra, sia in Germania – seppur con un
numero di apparecchiature molto modesto – era iniziata la trasmissione regolare nel
1936, seguita pochi anni dopo dalla Francia. Negli Stati Uniti il lancio avvenne con
grande entusiasmo e curiosità in occasione della mostra internazionale di New York del
1939, stesso anno in cui Italia e Unione Sovietica s’intrapresero le prime
sperimentazioni. Tuttavia, il lancio della tv fu accantonato, a causa dello scoppio della
seconda guerra mondiale, che si manifestò – a tutti gli effetti – come un conflitto
radiofonico.
3
Inviato della “Stampa” negli Stati Uniti e non a caso futuro amministratore delegato della RAI tra il
1965 e 1969.
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LA POST-TELEVISIONE NELL’ERA DEI SOCIAL MEDIA: TEORIE, SCENARI E PUBBLICI.
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La televisione fu dunque esito del dopoguerra, un’annunciatrice del benessere e
della pace ritrovata. Nell’Europa annientata dal conflitto mondiale, le prospettive del
nuovo mezzo erano ambivalenti: si presentava da una parte come presupposto alla
ricostruzione e pacificazione, dall’altro come fattore di unità nazionale e di
stabilizzazione geopolitica all’interno del blocco occidentale, riflettendo fin dall’inizio
le singole differenti identità nazionali. Eppure, un modello europeo unitario di
televisione innegabilmente esisteva, a cominciare delle funzioni conferite al mezzo
televisivo e ai suoi legami con le istituzioni e lo stato: in primo luogo, la televisione è
vista ovunque come parte di un “servizio pubblico” che lo stato fornisce potenzialmente
a tutti i cittadini attraverso un servizio di broadcasting e dall’altra parte la
programmazione era declinata secondo la triade reithiana (informare, educare,
intrattenere). La Tv si è fatta promotrice della modernizzazione e dello sviluppo della
società dei consumi, ma l’ha fatto «in un modo particolarmente intimo. Dal palinsesto
emerge, come le reti iniziassero a capire che la particolare natura del mezzo – la diretta
“live nature” – riuscisse ad instaurare nella vita di tutti i giorni, un legame intimo con i
suoi spettatori» (Ellis 2000: 43) e ancora: «il broadcasting ha unito insieme persone,
eventi e situazioni e ha dato al mondo un ordinario aspetto riconoscibile – in virtù di
una equilibrata sequenza temporale di eventi – dando alla vita di tutti i giorni struttura e
sostanza» (Scannel 1996: 153).
Nel 1947 si tenne la prima assemblea sulle radiocomunicazioni ad Atlantic City,
dove i rappresentanti di sessanta paesi furono invitati ad accordarsi sulla distribuzione
delle frequenze e sugli standard e le modalità di trasmissione: «la conferenza è
solitamente ricordata perché fu in quella sede che venne deciso il nome del nuovo
mezzo (televisione, appunto e non radiovisione) e per le grandi manovre commerciali
intorno agli standard trasmissivi» (Sorice 2002: 8). L’accordo non fu raggiunto: «gli
Stati Uniti si ostinarono nel mantenimento dello standard a 525 linee mentre l’Europa
scelse, nel 1951, lo standard a 625 linee (tecnicamente migliore di quello americano ma
più complesso nella sua utilizzazione), con due eccezioni: la Gran Bretagna, che rimase
alle 405 linee, e la Francia, che optò per uno standard a 819 linee, molto raffinato ma
che, marginalizzando, di fatto, l’industria francese» (Sorice 2002: 9), provocò un
considerevole ritardo nella diffusione del mezzo televisivo.