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Prefazione
Quando si parla degli anni Settanta in Italia il primo pensiero corre
immediatamente alla situazione di estrema instabilità che la democrazia ha
attraversato durante quel decennio.
Soprannominati “anni di piombo”, essi hanno rappresentato senza dubbio
uno dei momenti piø difficili che lo Stato italiano e la società nel suo
complesso abbiano dovuto affrontare dal secondo dopoguerra in poi. Gli
attentati terroristici delle Brigate Rosse, le stragi e la “strategia della
tensione” adottata dai gruppi di estrema destra rappresentavano solo le
manifestazioni piø evidenti dell’instabilità politica che caratterizzava l’Italia
intera e al tempo stesso ne approfondivano la gravità.
Le rivolte studentesche, l’occupazione delle università, gli scioperi e le
dimostrazioni di piazza organizzate assieme al movimento operaio che
cominciarono nell’“autunno caldo” del 1969 costituivano il centro delle
preoccupazioni per gli ambienti piø conservatori e animavano lo spirito
combattivo di chi in quegli anni cominciò ad intravedere la possibilità del
cambiamento. La risposta dello Stato a tale mobilitazione fu spesso
repressiva e contribuì a sua volta ad innalzare il livello dello scontro.
Tali e tanti sono gli spunti di riflessione su un decennio così ricco di
avvenimenti, ma tra questi non si può dimenticare la permanente esistenza
di un fenomeno la cui evoluzione ha accompagnato la storia italiana sin
dalle sue origini e che anche nel corso di questi anni non può che essere
oggetto di studio: si tratta del fenomeno mafioso.
Il presente lavoro concentra la propria attenzione sulla mafia siciliana nella
provincia di Palermo, da sempre epicentro indiscusso del potere mafioso
1
.
1
Falcone Giovanni, E’ Palermo l’epicentro del fenomeno mafioso, brano disponibile su
ANTIMAFIAduemila, www.antimafiaduemila.com.
2
Durante gli anni Settanta Cosa Nostra non è stata al centro dell’attenzione
dell’opinione pubblica italiana, nØ la sua esistenza ha destato particolari
preoccupazioni all’interno delle istituzioni statali, impegnate com’erano a
dispiegare la maggior parte delle proprie forze nella lotta al terrorismo, ma
proprio in questo periodo l’organizzazione mafiosa ha conosciuto una
crescita straordinaria del proprio potere, raggiungendo livelli di ricchezza
mai saggiati prima di allora.
Tutta la storia della mafia è caratterizzata da momenti di relativa calma
durante i quali l’organizzazione fa parlare poco di sØ e allora finisce per
essere guardata come un fenomeno circoscritto o addirittura, nei casi di
maggiore ottimismo, come un problema sulla via dell’estinzione. Invece, è
proprio nei periodi caratterizzati dal silenzio che Cosa Nostra affila le sue
armi e sviluppa nuove capacità.
2
Gli anni Settanta sono uno di questi periodi.
Essi sono delimitati da due omicidi eccellenti, quello del magistrato Pietro
Scaglione, ucciso dal clan dei corleonesi il 5 maggio del 1971, e quello del
Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio
del 1981, e hanno rappresentato un periodo di relativa pace interna e di
scarsa esposizione per la mafia siciliana. Situato a cavallo tra le due guerre
di mafia, quella svoltasi tra il 1961 e il 1963, ma di fatto conclusa
definitivamente con la strage di viale Lazio nel dicembre del 1969, e la
cosiddetta “mattanza” corleonese la cui violenza investì l’intera
organizzazione criminale nei primi anni Ottanta, questo decennio
rappresentò un momento di sviluppo economico e di crescita del potere di
Cosa Nostra. Durante questi anni la mafia allargò i propri orizzonti e si avviò
verso un processo di internazionalizzazione dei propri affari, dimostrando di
possedere incredibili capacità di adattamento ad una società circostante in
piena trasformazione.
2
Sulla sottovalutazione del problema mafia da parte dello Stato vedi Falcone Giovanni
(1991), Cose di cosa Nostra, Milano, Rizzoli, pp.102-108.
3
Gli anni Settanta hanno rappresentato per la mafia siciliana un “periodo di
transizione” da molti punti di vista.
3
E’ in questo momento, infatti, che
dentro Cosa Nostra si verificarono notevoli mutamenti sia in campo
economico che organizzativo.
Il contrabbando di tabacco e il traffico internazionale degli stupefacenti, la
speculazione edilizia e l’inserimento parassitario nella costruzione di opere
pubbliche, ottenuti anche attraverso un approfondimento dei legami con
uomini politici e grandi personalità dell’economia, sono i nuovi campi
d’azione in cui Cosa Nostra investì le proprie risorse. Durante questo
decennio la Sicilia assunse un ruolo di primo piano nei traffici internazionali
dell’eroina e la mafia conquistò progressivamente il mercato internazionale
della droga fino a gestirne l’intero ciclo produttivo, dall’importazione della
materia prima proveniente dal Medio Oriente alla lavorazione, che si
svolgeva nei centri di raffinazione costruiti nella Sicilia occidentale,
dall’esportazione della merce lavorata alla sua distribuzione negli Stati Uniti
d’America.
4
Gestire interessi così vasti e variegati determinò a sua volta la necessità di
una ristrutturazione interna dell’organizzazione mafiosa.
La Commissione, l’organo direttivo di Cosa Nostra, venne ricostituita nel
1970 sotto il controllo di un triumvirato composto da tre dei piø potenti
capimafia della provincia di Palermo. Il potere all’interno dell’organizzazione
assunse una struttura sempre piø verticistica e gerarchica avente
l’obbiettivo di mantenere un controllo unitario su tutti gli affari gestiti
all’interno di Cosa Nostra.
Tuttavia, l’enorme crescita economica, ottenuta soprattutto attraverso
l’affare della droga, e il parallelo accentramento del potere finirono per
esacerbare le rivalità interne all’organizzazione e per condurre allo scoppio
delle ostilità tra le famiglie piø potenti.
3
Santino Umberto (2000), Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all’impegno
civile, Roma, Editori Riuniti, pp.201-241.
4
Ibidem, pp.376-382.
4
I primi due capitoli del lavoro sono dedicati alla storia della mafia durante gli
anni Settanta. Dopo aver descritto le caratteristiche salienti della mafia
siciliana, rivelandone le regole interne, la struttura gerarchica e il modo di
operare all’interno del tessuto sociale, vengono ripercorse le vicende
principali di quegli anni allo scopo di presentare i nuovi interessi economici
di Cosa Nostra, le trasformazioni che si verificarono all’interno della sua
struttura di potere, i suoi legami con il mondo della politica e il modo in cui i
rapporti con essa si modificarono nel corso del decennio. Queste stesse
trasformazioni da una parte comportarono il rafforzamento dell’onorata
società, che si evolse adattandosi alle nuove necessità e alle opportunità
affaristiche cui andava incontro, ma dall’altra parte contenevano le radici dei
problemi e delle fratture interne che si manifestarono in modo evidente
all’inizio degli anni Ottanta con l’esplodere della seconda guerra di mafia.
Parallelamente gli anni Settanta hanno rappresentano un periodo di
trasformazione anche per la società circostante, dal cui interno iniziarono a
pervenire dei segnali che minavano l’autorità di Cosa Nostra mettendone a
repentaglio il radicamento territoriale. La seconda parte dell’elaborato si
concentra proprio su queste trasformazioni e piø in particolare sulla rottura
dell’omertà, ossia sulla ribellione alla regola del silenzio imposta
dall’onorata società.
In questo periodo storico, contro la legge del silenzio si schierarono sia
personaggi estranei all’ambiente mafioso ma portatori di un progresso
sociale che metteva a nudo l’assoggettamento della popolazione locale alle
regole di Cosa Nostra, sia individui provenienti dall’interno del tessuto
mafioso, che con il loro tradimento a Cosa Nostra mostrarono l’esistenza di
crepe interne all’organizzazione criminale e deturparono l’immagine di forza
impenetrabile che essa aveva nel tempo costruito su di sØ.
In particolare, gli ultimi due capitoli trattano due storie di vita che trovano il
loro epilogo durante gli anni Settanta, i cui protagonisti scelsero
consapevolmente di distaccarsi dal sistema mafioso dal quale provenivano,
ribellandosi al loro destino e infrangendo una delle norme piø importanti
posta a salvaguardia della segretezza di Cosa Nostra.
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Il primo caso riguarda Leonardo Vitale, il primo pentito di Cosa Nostra che
nel 1973, a seguito di una crisi spirituale, si consegnò alle forze dell’ordine
e cominciò a descrivere dettagliatamente l’organizzazione criminale di cui
aveva fatto parte fino ad allora. Il secondo caso è quello di Giuseppe
Impastato, giovane militante di sinistra che pur provenendo da una famiglia
mafiosa dedicò la sua intera esistenza alla lotta contro la mafia.
I due casi sono accomunati da diversi aspetti. Entrambi, Vitale e Impastato,
intrapresero la loro battaglia contro la mafia pur essendo cresciuti all’interno
del contesto mafioso. Il primo, infatti, era un membro affiliato
all’organizzazione criminale, mentre il secondo era imparentato con
importanti uomini d’onore e per questo predestinato come minimo a restare
fedelmente legato all’ambiente d’origine e alla mentalità mafiosa. Le loro
storie si svilupparono nel corso degli anni Settanta, quando la lotta contro il
fenomeno mafioso era ancora qualcosa di straordinario e le conoscenze
stesse sull’argomento assai limitate. Infine, le vite di Leonardo Vitale e di
Giuseppe Impastato subirono lo stesso tragico destino per mano mafiosa.
Nessuno dei due ebbe allora il meritato riconoscimento da parte delle
istituzioni. Vitale venne dichiarato “seminfermo di mente” e trascorse dieci
anni richiuso in manicomio. Fu ucciso cinque mesi dopo essere stato
scarcerato, nel 1984, su mandato del boss corleonese Salvatore Riina.
5
Giuseppe Impastato, eliminato dalla mafia di Cinisi nel maggio del 1978,
venne prima accusato di essere un terrorista rimasto ucciso durante la
preparazione di un attentato dinamitardo e in seguito considerato un morto
suicida.
Ripercorrendo le loro storie ed evidenziando l’importante contributo fornito
da entrambi nella lotta alla mafia, si completa uno dei possibili quadri
interpretativi degli anni Settanta. Essi da un lato hanno rappresentato un
periodo di crescita per l’organizzazione mafiosa e dall’altro sono stati
generatori di forze inverse in grado di mostrare la debolezza dei collanti
5
Dickie John (2005), Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Roma-Bari, Editori Laterza,
pp.361-362.
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interni a Cosa Nostra e mettere in pericolo la sua stabilità. Questi rischi
vennero sapientemente percepiti dall’onorata società, ma non altrettanto da
parte dello Stato che perse allora la possibilità di infliggere un duro colpo
all’organizzazione criminale, anticipando forse di circa un decennio la
comprensione del fenomeno.
7
1. La mafia alla prova degli anni Settanta
Per parlare correttamente del fenomeno mafioso è necessario munirsi di
alcune nozioni fondamentali sull’argomento, senza le quali ogni ulteriore
indagine conoscitiva rischierebbe di restare incompleta.
Oggi con la parola mafia si fa riferimento ad un’organizzazione criminale
specifica e caratterizzata da attributi peculiari, quali la segretezza, la
struttura strettamente gerarchica e le norme interne stabili e vincolanti.
Nonostante il termine sia comunemente utilizzato con riferimento ad ogni
tipo di criminalità organizzata, la mafia in senso proprio trova le sue origini
in Sicilia e va identificata con quell’organizzazione unitaria e verticistica,
denominata “Cosa Nostra”.
La mafia siciliana condivide con gli altri fenomeni di criminalità organizzata
diverse caratteristiche, tuttavia essa presenta delle specificità tali da
renderla unica nel panorama internazionale. Si tratta in particolare di
requisiti strutturali che la differenziano da tutte le altre associazioni
malavitose e senza i quali non avrebbe raggiunto le capacità e la forza di
cui dispone.
Senza allargare il campo d’indagine alle esperienze estere bisogna
ricordare che in Italia, oltre a Cosa Nostra, esistono altre tre organizzazioni
criminali originarie di altrettante regioni del meridione. Si tratta della
camorra campana, dell’ ‘ndrangheta calabrese e della Sacra Corona Unita,
radicata in Puglia.
Al di là degli specifici settori economici, prevalentemente illeciti, in cui
ognuna di queste organizzazioni predilige investire le proprie risorse, esse
condividono delle caratteristiche e delle modalità d’azione che le assimilano
alla mafia siciliana. Da un esame esterno si nota immediatamente come
tutte presentino un profondo radicamento territoriale, ottenuto attraverso il
racket delle estorsioni da una parte e la sottomissione della popolazione
locale alla regola dell’omertà dall’altra, dispongano di una notevole
influenza nella pubblica amministrazione, e facciano largo uso
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dell’intimidazione e della violenza.
6
Piø precisamente le caratteristiche
fondamentali che rendono un’organizzazione criminale di “tipo mafioso”
coincidono con l’uso della violenza come ultima ratio nella risoluzione dei
conflitti, con il controllo del territorio, con la creazione di legami e “rapporti
privilegiati e sistematici con il potere politico”, e con l’instaurazione di una
“fitta rete di dipendenze personali”. Si tratta di caratteristiche indivisibili e
interdipendenti tra loro che rendono inequivocabilmente “mafiosa”
un’organizzazione criminale.
7
Tuttavia, esistono delle differenze tra Cosa Nostra e le altre che,
diversamente dalla prima, si caratterizzano per una struttura interna di tipo
orizzontale in cui ogni gruppo di potere lavora come una organizzazione
locale autonoma e interagisce con gli altri solo saltuariamente. La
conseguenza immediata di una tale frammentazione consiste
nell’impossibilità di assumere decisioni unitarie riguardo agli scopi e al
futuro dell’organizzazione nel suo insieme.
Non così per la mafia siciliana.
Diversamente dalle altre organizzazioni criminali in cui la mentalità mafiosa
si limita a riprodurre “una sorta di spirito di fratellanza” che viene sempre e
comunque prevaricato dall’interesse individuale, in Cosa Nostra “questa
mentalità si è addirittura sviluppata in un’alleanza federativa, che ha
prodotto un’organizzazione unitaria”.
8
Questo le ha permesso di anteporre l’interesse dell’organizzazione nel suo
insieme all’interesse dei singoli, le ha dato la possibilità di dotarsi di una
struttura verticistica attraverso cui prendere decisioni unitarie e condivise e
6
Vedi Giovanni Falcone, Che cosa è la mafia, brano tratto dal libro “Giovanni Falcone:
interventi e proposte. 1982-1992” a cura della fondazione “Giovanni e Francesca Falcone”,
ed. Sansoni, disponibile su http://www.antimafiaduemila.com.
7
Dalla Chiesa Nando (2010), La convergenza. Mafia e politica nella seconda repubblica,
Milano, Melampo Editore, p.35.
8
Giovanni Falcone, Che cosa è la mafia, brano tratto dal libro “Giovanni Falcone: interventi
e proposte. 1982-1992”, cit., disponibile su http://www.antimafiaduemila.com.
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di stabilire norme di comportamento cui ogni affiliato ha l’obbligo di
attenersi.
1.1 Cos’è la mafia
Nel corso degli ultimi decenni, autorevoli studiosi hanno discusso e
indagato sul concetto di mafia da diverse angolazioni. Molti di essi sono
caduti in errori interpretativi o hanno seguito percorsi d’analisi spesso
influenzati da pregiudizi antropologici. Tuttavia, occorre dire come ciò sia
stato fortemente condizionato dall’assenza di fonti provenienti dall’interno
del tessuto mafioso, fonti dirette che solo dalla seconda metà degli anni
Ottanta hanno cominciato a dare il loro fondamentale contributo alla
conoscenza del fenomeno.
La mafia è stata identificata come il naturale prodotto di una società arcaica
e tradizionale, come un ordinamento giuridico indipendente e parallelo allo
Stato, come un’impresa, come un’organizzazione.
Ognuna di queste descrizioni ha offerto ed offre tuttora un importante
contributo conoscitivo, ma non è credibile che una soltanto tra di esse sia
sufficiente a spiegare integralmente un fenomeno tanto complesso.
Per molto tempo si è accreditata la tesi secondo cui la mafia altro non fosse
se non il semplice prodotto di una società ancora legata a valori arcaici e
tradizionali, un tipo di mentalità determinato da specifici condizionamenti
locali che si sarebbe estinta con l’avanzare del progresso economico.
Tuttavia, come spiega Salvatore Lupo “l’equazione mafia-latifondo, insieme
all’altra, piccola proprietà-progresso sociale, rappresenta in realtà un modo
di leggere il fenomeno come un residuo piø o meno feudale, proiettandolo
verso il passato e liberando il futuro dalla sua fosca ipoteca”.
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Un’analisi di questo tipo venne fatta proprio dalla prima ricerca empirica
condotta sul fenomeno mafioso e conclusasi con la pubblicazione nel 1876
9
Lupo Salvatore (2004), Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Roma, Donzelli
Editore, cit. p.20.