I
Introduzione
Il lavoro da me intrapreso, che ha come oggetto un’analisi per lo più completa
dell’attività di restauro tra gli anni 1908 e 1924, è convogliato in una ricerca volta a
decifrare, scovare e analizzare documenti, - molto spesso inediti, altre volte già
utilizzati da altri studiosi, - appartenenti alla Divisione I del Fondo della Direzione
Generale per le Antichità e le Belle Arti, che ha come estremi, appunto, gli anni della
mia ricerca.
In una visione generale del Fondo in questione, le Divisioni corrispondono agli archi
di tempo secondo cui si è proceduto al versamento dei documenti presso l’Archivio
Centrale di Stato tra il 1860 ed il 1960: alla Divisione I 1860 – 1891, inventariata dal
Dottor Matteo Musacchio, segue la Divisione I 1892 – 1908 e la Divisione I 1908 –
1912, che presenta un inventario analitico consultabile presso la Sala Studio
dell’ACS; e ancora la Divisione I 1908 – 1924, la Divisione II 1925 – 1928, la
Divisione II 1929 – 1933, la Divisione II 1934 – 1940, la Divisione II 1940 – 1945,
la Divisione II 1945 – 1955, la Divisione II 1952 – 1960.
Delle seguenti, per comprendere la metodica analitica dei versamenti, è possibile
ovviamente disquisire solo sulla prima Divisione, quella inventariata dal Dottor
Musacchio.
L’inventario contiene la documentazione prodotta dalla Direzione Generale delle
Antichità e Belle Arti dal 1860 al 1891, comunemente conosciuto come "Primo
versamento" , la cui consistenza è di buste 642 e reggo 178.
1
Nonostante probabilmente sarebbe risultato più auspicabile come data di chiusura del
primo versamento il 1902, anno in cui si riuscì ad ottenere la prima vera e propria
legge di tutela,
2
si è preferita la data del 1891, sia perché coincidente con lo
1
Dopo l'unificazione del Regno fu approvata la nuova pianta organica del Ministero della pubblica
istruzione con r.d. Il ago 1861 , n . 202. Dalla divisione I, competente in materia di personale
amministrativo e insegnante, dipendevano anche le accademie di belle arti, i musei, gli scavi, i
conservatori di musica, le accademie scientifiche e letterarie, i congressi scientifici le esposizioni, le
biblioteche, gli archivi, le deputazioni di storia patria, i teatri e gli affari generali. Dal 1863 al 1874
alla Divisione I subentrò la Divisione II che divenne Provveditorato artistico nel 1876. Nel 1875 era
stata istituita la Direzione generale degli scavi e musei di antichità con funzioni distinte da quelle del
Provveditorato artistico. Nel 1880 la Direzione generale degli scavi e musei di antichità si trasformò in
Direzione generale delle antichità e belle arti che assorbì anche le funzioni del Provveditorato
M. MUSACCHIO, L’archivio della Direzione Generale delle antichità e belle arti, Ministero per
BBCCAAAA, Roma 1994, pag. 9.
2
La legge n. 185/1902, denominata “Legge Nasi”, dal nome del Ministro della Pubblica Istruzione in
carica al momento dell’approvazione, fu la prima soluzione concreta alla tutela dei beni siti in Italia.
II
scioglimento della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, sia perché
concludente la fase più fertile dell'esperienza amministrativa postunitaria prima della
legge organica, (appunto la 185/1902), sia per rispettare la organizzazione delle serie
nell'ambito dell'archivio generale.
3
È in visione di quanto detto per la Divisione I 1860 – 1890, che si concepisce quindi
la Divisione I 1890 – 1908, che culmina con l’avvio esecutivo della legge del 1907
sull’Istituzione delle Sovrintendenze, e la Divisione I 1908 – 1924, che prosegue gli
anni successivi alla legge suddetta, a sfociare nella legge Rosadi 364/1909, sino al
1923.
Dopo aver chiarito a cosa corrisponde la voce Divisione, sarebbe opportuno quindi
discutere circa la voce Posizione, inerente agli argomenti di suddivisione delle buste
di ogni versamento del fondo.
La voce Posizione, riguarda appunto l’oggetto nel quale è raggruppabile l’insieme di
documenti inerenti ad una busta: le posizioni inerenti al Fondo DG AABBAA,
riguardano gli scavi, i musei, le gallerie, gli oggetti d’arte, le esportazioni, i
monumenti, le pubblicazioni di archeologia, le scuole d’arte e l’amministrazione,
settori toccati dagli interventi della Direzione Generale per l’Antichità e le Belle Arti.
Per quanto per la mia ricerca abbia avuto modo di guardare attentamente a tutte le
posizioni, si è basata principalmente sulle posizioni inerenti i musei (perché a questa
sono ascrivibili i restauri effettuati nei diversi musei italiani), le gallerie (vale lo
stesso discorso dei musei), gli oggetti d’arte (a questa posizione vanno ricondotti i
restauri alle tavole ed alle tele custoditi negli edifici ecclesiastici e nei palazzi
municipali) ed i monumenti (in questa posizione vengono inseriti i restauri ai dipinti
mobili facenti parte di un progetto volto, molto spesso, al completo restauro della
struttura in cui essa viene custodita).
La suddetta istituiva un “Catalogo Unico Nazionale” (opere artistiche e storiche dello Stato) e
approfondiva le questioni già preesami nate nell’Editto Pacca, riguardanti il diritto di prelazione da
parte dello Stato ed il divieto d’esportazione dei beni.
G. SALITURO, Beni culturali e quadri normativi, Rubettino Editore, 2006, pag. 8.
3
Contrariamente a quanto avvenne in altri settori amministrativi, per i quali nell'arco del primo
decennio postunitario si procedette a una progressiva estensione delle istituzioni piemontesi ai territori
annessi, o all'elaborazione di una nuova normativa unificata, per l'amministrazione delle antichità e
belle arti si dovette attendere - come si è detto - un quarantennio, e precisamente il 1902, perché fosse
posta in essere una legislazione organica che uniformasse criteri, direttive e struttura dell'intervento
statale, e che abolisse ogni superflua sopravvivenza degli apparati preunitari.
M. MUSACCHIO, L’archivio della Direzione Generale delle antichità e belle arti, Ministero per
BBCCAAAA, Roma 1994, pagg. 9 - 10.
III
Premesso ciò, in questo discorso tecnico archivistico è da collocarsi il laboratorio
fortemente voluto dal professor Gianfranco Mario Micheli con la collaborazione ed il
tutoraggio della Dottoressa Maria Letizia Sagù, all’interno dell’ACS, istituito con il
compito di creare una schedatura analitica per fascicolo, delle buste del versamento
Divisione I 1908 – 1924, successiva a quella già analizzata da Musacchio.
Così come era già stato creato un indice analitico della Divisione I 1860 – 1890,
della Divisione I 1890 – 1908 e della Divisione I 1908 – 1912, anche alcune buste
della Divisione I 1908 - 1924, per la precisione 188 buste, erano state già analizzate
sotto la supervisione di Musacchio; per cui, considerando che la Divisione in
questione presenta al suo interno ben 1459 buste, sottraendo le buste che presentano
quindi un indice analitico sufficiente alla ricerca, la schedatura analitica delle
rimanenti 1271 buste sono il compito che il laboratorio addetto deve assolvere.
Avendo potuto partecipare al grandioso progetto, ho avuto modo di computare i
risultati ottenuti nella mia ricerca personale, volta ad individuare i fattori che
maggiormente hanno influito lo svolgimento della storia del restauro, fortemente
condizionata da cataclismi come i terremoti di Messina e di Avezzano e da eventi
come la prima guerra mondiale; mirata a guardare i restauri effettuati dai restauratori
a stretto contatto con le Sovrintendenze e indirizzata alla creazione di una mappatura
senza margini di errore dell’attività di restauro sull’intero territorio nazionale.
1
CAPITOLO I
PER UNA BREVE STORIA DEL RESTAURO DEI DIPINTI
MOBILI SINO AL 1908
1.1 Scuole di pensiero sul restauro dei dipinti mobili, in rapporto alla geografia
ed alle istituzioni, dai restauri veneziani del 1727 alla Direzione delle Gallerie
Veneziane di Giulio Cantalamessa.
Eugène Viollet-le-Duc nell’osservare l’omonimia in latino di reficere, instaurare,
renovare, chiarisce sin da subito che il loro significato non è restaurare, ma
ristabilire, rifare di nuovo e che sia la parola, che la cosa (ossia la forma d’arte) sono
moderne.
1
Ovviamente per quanto il concetto fosse traslato nella sua forma originaria al
restauro architettonico, non è cosa sbagliata addurre le stesse considerazioni in
merito al restauro delle pitture, che queste siano murali o su supporti mobili.
In Italia, l’arte del restauro la si fa nascere convenzionalmente a Venezia nel pieno
della Repubblica Veneta, nel 1727, come asserito da Pietro Edwards, uno dei
massimi restauratori del Settecento.
Un’affermazione per certi versi da contestualizzare, in quanto può essere presa per
veritiera solo se in qualche modo vogliamo definire l’arte del restauro veneziano
come il preludio di quella italiana: a Napoli vi era una tradizione di restauro più
vecchia di almeno mezzo secolo, che seguiva le direttive dettate da Giacomo Castro.
2
In quella lontana epoca si aveva una scarsa conoscenza dei sistemi e delle pratiche
inerenti al restauro, né si conoscevano gli effetti delle alterazioni cagionate dal tempo
sui dipinti ad olio. Inoltre essendo pressoché sconosciuta la scienza chimica, si
mancava di norme sicure che potessero orientare l’opera del restauratore.
3
1
“Restaurer (…), ce n’est pas l’entretenir, le rèparer ou le refaire, c’est le rètablir dans un état complet
qui peut n’avoir jamais existé à un moment donné”.
E. VIOLLET-LE-DUC, Dictionnaire rasoinné de l’architecture francaise du XI au XVI siécle, Paris,
1854 – 1869.
2
Giacomo di Castro (1597 – 1687) , era un pittore italiano tardo barocco, formatosi presso la scuola
del Caracciolo.
3
G.PIVA, L’arte del restauro, Il restauro dei dipinti nel sistema antico e moderno, Hoepli, Milano;
pag. 5.
2
Per tutti questi motivi, nel corso del Seicento, il restauro delle pitture dei Palazzi
Pubblici di San Marco e di Rialto, a Venezia, consisteva, nel caso di opere sin troppo
deperite, nella loro sostituzione. Nella Libreria Marciana, i tondi di Bernardo Strozzi
e del Padovanino prendevano il posto di quelli di Battista Franco e dello Zelotti;
nella Sala dello Scrutinio venivano rifatte quattro tele di Palma il Giovane, Caliari,
Bassani e Tintoretto.
La necessità di restaurare i quadri del Palazzo Ducale, risale ai primi decenni del
XVIII secolo, quando ormai era evidente che i dipinti mostravano i segni di uno
spaventoso decadimento. A causa di ciò, il Senato invitò l’Ordine dei Pittori a
segnalare quei dipinti che avevano urgente bisogno di restauri, al fine di poter
provvedere tempestivamente e nel migliore dei modi.
Nel 1727, si veniva a stilare un elenco di opere che necessitavano urgentemente di
essere restaurate;
4
per tre di queste, l’Ordine dei Pittori nominò Sebastiano Ricci, per
le restanti cinque, un diverso restauratore per ogni tela. Il giudizio di Edwards sul
restauro dei suoi predecessori è severo, ma sempre documentato e giustificato. Ad
esempio egli rilevava come, nel 1739, Agostino Letterini restaurando i Veronese
della Sala del Consiglio dei X, avendo usato solventi inadatti, fu causa dello
svelamento dei dipinti, che perdevano in maniera irreparabile le finiture a tempera
che si stendevano sopra alla pittura ad olio. Ed ancora, i restauri dei Veronese, non
risultavano, stando ai giudizi di Edwards, meno dannosi di quelli eseguiti sul Tiziano
della Sala delle Quattro porte e sul Paradiso del Tintoretto.
5
Le cause di questi inconvenienti sono riconducibili ad una dicotomia che vede da una
parte la metodologia applicata da ogni restauratore, che tiene segrete le proprie
tecniche, facendo così che non fosse stato possibile unificare una scuola di pensiero,
dall’altra l’adattamento forzato da parte degli artisti a svolgere lavori di restauro,
lavori indegni della loro fama, al fine di compiacere qualche buon cliente.
Sull’onda dei manoscritti già redatti, Edwards, nel manoscritto Dissertazione
preliminare al piano di custodia da istituirsi per la possibile preservazione e per il
miglior mantenimento delle pubbliche pitture, discutendo circa la manutenzione del
Palazzo Ducale, che impediva una buona conservazione dei teleri ivi siti, a cui si
4
Decreto del 19 Giugno 1727.
5
M. CAGIANO DE AZEVEDO, Provvidenze del Senato Veneziano per le opere d’arte, Saggio in
Bollettino dell’Istituto Centrale del Restauro 3 – 4, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1950; pag.
114.
3
aggiungevano i danni da infiltrazione di umidità, dava l’avvio all’attività di
manutenzione e restauro delle pubbliche pitture.
Fu proprio lui, infatti nel 1777, ad esporre al Senato Veneziano, un suo progetto di
Laboratorio di Restauro per i dipinti di proprietà pubblica, che li togliesse dalle mani
di inesperti ed evitasse commerci illeciti; progetto che viene accolto.
6
Il Pubblico Laboratorio di Restauro, trovò collocazione in uno dei refettori ai Santi
Giovanni e Paolo; qui furono adibiti Edwards in qualità di Ispettore e tre restauratori,
proposti dall’Ispettore: Bertani, Dizziani, Baldassini; coadiuvati da quattro aiutanti
da loro scelti, tenuti a rispettare diversi compiti, che spaziavano salla pulitura alla
riparazione delle opere sotto esame.
7
Inoltre i restauratori erano tenuti al lavoro collegiale, anche sullo stesso dipinto.
All’Ispettore spettava stabilire il lavoro necessario su ogni dipinto, esaminare ed
approvare le sostanze da adoperare.
Una volta divenuto il primo Ispettore, nonché già fondatore del Pubblico Laboratorio
di Restauro, Edwards divenne il pioniere ed uno dei massimi espositori della scuola
di pensiero dell’arte del restauro veneziano.
Uno dei pensieri cardine del restauratore riguarda il rapporto con la correzione ed il
ritocco nel restauro integrativo. Egli invita a non correggere in alcun modo il disegno
o la pittura originale, per quanto scorretto o errato; tuttavia egli considera un buon
ritocco quello che, anche se facilmente asportabile, non si distingue dalla parte
originale.
Sul piano della foderatura e del trasporto del colore, è probabile, ma non
documentato, che Edwards utilizzasse sistemi che da circa quarant’anni erano entrate
a far parte della pratica del restauro. Quindi per la foderatura, colla di pasta; per il
trasporto, (che Edwards cerca sempre di evitare per conservare i caratteri estrinsechi
dell’originalità del dipinto), velatura del dipinto e rimozione della tela vecchia
mediante l’umidità, applicandone poi la nuova con della colla; sistemi francesi
descritti dal Pernety nel suo Dictionnaire portatif de Peinture.
6
Delibera del 3 Settembre 1778.
7
I compiti che questi erano tenuti a rispettare erano: Riparare i dipinti, senza pregiudicarne la
verginità; Rimediare ai danni precedentemente inferti ai dipinti da pulitori inesperti; Fermare il colore
smosso e cadente; Raddrizzare le tavole dipinte, per quanto potessero essere curvate e connettere
quelle disgiunte; Impedire infiltrazione di tarli; Trasportare i dipinti da una tavola o tela vecchia su
un’altra nuova; Foderare i dipinti che ne necessitavano; Levare il fumo e lo sporco; Levare i ritocchi
non originali; Rinvenire l’atto originale di tutti i colori alterati; Rimettere le mancanze del colore
scrostato e caduto; Ridipingere i pezzi mancanti come teste, mani, drappi, sempre imitando il carattere
dell’autore; Dare freschezza naturale; Evitare di usare sostanze irreversibili.
4
L’attualità ed il sapore di innovazione apportato da Edwards riguarda il tema delle
vernici e delle puliture.
Il problema delle vernici, toccava molto il restauratore. La premessa è presto detta:
per quanto nell’Abecedario pittorico le vernici elencate sono numerose e molto varie,
gli Accademici Veneti suggerivano vernice di sola acqua ragia e mastice, o una
encausticatura. L’opinione di Edwards però a riguardo, era pessimista; secondo lui le
vernici per quanto necessarie, non sapevano mai dare buon risultato, poiché le
migliori vernici erano quelle dure, che mal si adattavano alla tela. Egli quindi
ritieneva che la vernice ideale sarebbe dovuta essere un mezzo perfettamente
scorrevole, non colorito, flessibile e resistente al calore del sole.
Sulle puliture, il restauratore era contrario ai lavaggi che si usavano ai suoi tempi e
pone due diversi casi in cui doveva essere applicata la pulitura, spiegando come
andava applicata. Nel primo caso, che riguardava le pitture moderne, nel cui colore
sussisteva ancora un buon grado di coesione e tenacità, era permesso trattare tali tele
con un generale lavacro. Nel secondo caso, che riguardava le pitture antiche coperte
da tanto affumicato e tanta sporcizia, che non era possibile a primo acchito
ammirarne la rappresentazione, prima del generale lavacro che serviva a sgrossare la
fuliggine ed a scoprir lo stato del colore sottoposto, venivano richieste operazioni
preliminari atte ad assicurare il colore.
L’Edwards quindi, dopo l’individuazione del caso inerente al dipinto esaminato,
proponeva di lavare il colore con una spugna umida, per quattro o cinque volte, a
distanza di un’ora una dall’altra; poi di distenderci una manteca di uovo sbattuto, da
applicare e lasciare per tre o quattro giorni e di lavare infine con acqua tiepida.
8
Questa grande cautela con cui egli pulisce i dipinti, indica l’abilità dell’Edwards e la
sua profonda conoscenza del restauro; una profonda conoscenza che si amalgamava
alla meticolosità con cui operava: i restauri supervisionati dall’Edwards duravano
mesi, così come i collaudi, che richiedevano una lunga esaminazione prima che le
opere venissero ricollocate.
Nel 1785 l’Edwards presentò un consuntivo del suo laboratorio: furono restaurati ben
405 quadri ed ancora 250 circa, necessitavano di cure.
Negli stessi anni in cui il Laboratorio di Restauro a Venezia si avviava verso risultati
soddisfacenti, nel resto d’Europa, in pieno clima neoclassico, il restauro sembrava
8
M. CAGIANO DE AZEVEDO, Provvidenze del Senato Veneziano per le opere d’arte, Saggio in
Bollettino dell’Istituto Centrale del Restauro 3 – 4, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1950; pag.
116 - 118.
5
dare fiducia ad una serie di norme di buona scuola, dove al quadro rinnovato,
brillante, si preferiva l’austerità del maestro antico; austerità che a volte si otteneva
arrestando la pulitura al momento opportuno ed evitando la vernice.
Questo modo di pensare vedeva protagonisti grandi artisti di impronta neoclassica
del calibro di David e Goya.
9
È sotto questa luce, che diviene comprensibile come, il milanese Carlo Verri, che nel
1782 si era recato in visita al laboratorio di restauro diretto dall’Edwards, lo descriva
come un luogo in cui “si spellavano i dipinti” nonostante l’attenzione ed i buoni
criteri con cui si compiva quell’opera.
Ma per quanto i due pensieri divergessero su qualche concetto, in questi anni il
restauro mette a fuoco quelle idee sul rispetto per le opere su cui si deve intervenire,
che sono evidenti sia nell’attività dell’Edwards a Venezia, sia nel dibattito che nasce
in Francia sul restauro dei dipinti.
Se la tradizione francese vuole trovare i mezzi per garantire una durata illimitata ai
grandi capolavori dell’arte, proprio l’impossibilità di sostituire questo patrimonio, fa
sottolineare l’importanza della manutenzione e della conservazione.
L’Edwards dedicò uno dei suoi testi più importanti, Il piano pratico del 1786, alla
manutenzione ed alla sorveglianza necessarie perché i dipinti in Palazzo Ducale non
venissero danneggiati e non fosse necessario intervenire continuamente con
operazioni di restauro: il restauratore tra le righe del testo mostrava l’importanza che
assumeva il ruolo di un esperto di restauro e conservazione nelle decisioni di tutela
da parte dello Stato.
Il 22 Agosto 1797, a seguito dell’occupazione francese di Venezia, i lavori al
laboratorio venivano interrotti e l’Ispettore riceveva l’ordine di sgomberare
all’istante il refettorio dei Santi Giovanni e Paolo, poiché destinato ad ospedale
militare degli occupanti, non senza danno per le tele, che furono trasferite in una sala
del Palazzo Grimani a San Luca.
9
La denuncia di David, nel 1794 al restauro effettuato sulla Sacra famiglia di Francesco I, ben
denotava una contrarietà di fondo ai ritocchi - a suo avviso sacrileghi - di cui era stato vittima il
dipinto, perdendo la sua caratteristica più peculiare: il colorito sublime di Raffaello.
Ancora Goya, in una lettera sui restauri che aveva esaminato al Buen Ritiro, nel 1801, affrontava i
problemi relativi al restauro ed alla materialità della pittura, ritenendo che neppure gli autori stessi dei
dipinti rivivendo, avrebbero potuto ritoccare i colori delle proprie opere in modo perfetto, che per
effetto del tempo hanno assunto un tono ingiallito.
Questi due esempi, riportano all’idea che l’unicità della pittura nasce dall’intento momentaneo ed
irripetibile dell’artista, non meno che dai materiali che ha usato e dal tempo che li ha alterati
rendendoli irriproducibili.
6
Sotto l’Austria furono compiuti i restauri delle pitture che si potevano ricollocare nei
luoghi di origine, ma l’attività del restauro non fece comunque progressi. Le ulteriori
vicende politiche quindi, portarono allo scioglimento del laboratorio, contribuendo
allo spegnersi di una tradizione del restauro avviata sotto grandi auspici.
Nello stesso anno, lo Stato Pontificio, fu spogliato dei suoi capolavori, col trattato di
Tolentino,
10
in forza del quale, il Papa dovette cedere diverse opere d'arte alla
Francia: oltre cento fra statue e dipinti vennero portati a Parigi.
11
I primi provvedimenti di tutela, furono volti quindi, all’indomani del trattato, ad
arginare l’impoverimento in cui si era trovato il patrimonio artistico con le
requisizioni francesi; con la Restaurazione, l’insperato ritorno delle opere d’arte
sembra aprire a Roma un vero e proprio programma di riqualificazione nella gestione
del patrimonio artistico.
I dipinti restituiti venivano a costituire così, la nuova Pinacoteca Vaticana, istituzione
che si faceva carico di un buon programma di restauri volto a tacere le voci
sviluppate in Francia, per cui a Roma vigesse l’incuria clericale sui dipinti.
Questi interventi vengono effettuati su un campione variegato dei migliori
capolavori di ogni stile.
Tra il 1814 ed il 1823 venivano restaurati dipinti di Guido Reni e Domenichino,
Raffaello e Sebastiano del Piombo, i Caravaggio della Cappella Cerasi a Santa Maria
del Popolo ed i Van Baburen di San Pietro in Montorio, a cura di Vincenzo
Camuccini, nominato Ispettore alle Pubbliche Pitture dal 1814, un incarico per nulla
dissimile a quello che aveva ricoperto l’Edwards a Venezia.
12
La campagna di restauri diretta dal Camuccini, era la campagna di restauri più
organicamente programmata nella prima metà dell’Ottocento.
Èd è proprio l’Ottocento il secolo che vede la compilazione dei primi volumi
dettagliati sul restauro. I trattati del Merimée, del Montabert, il manuale del Bouvier
e quelli del Roret, disseminavano in un gran numero di pagine, un numero scarso di
notizioni veramente utili. Solo con il Vibert, con la sua Scienza della Pittura, vi fu
10
Il trattato di Tolentino (o Pace di Tolentino) fu un accordo diplomatico sottoscritto fra la Francia e
lo Stato Pontificio, firmato nella cittadina marchigiana di Tolentino il 19 febbraio 1797.
Questo trattato fu imposto da Napoleone (all'epoca semplice comandante dell'Armata d'Italia) a papa
Pio VI e completava le clausole del precedente trattato (armistizio di Bologna), fra il Papa e la Francia
rivoluzionaria (cessione del versante appenninico - adriatico dello Stato Pontificio alla Francia).
11
I francesi si riservarono il diritto di entrare in tutti gli edifici (pubblici, privati o religiosi) per
sottrarre le opere. Questa parte del trattato fu estesa con i trattati del 1798 a tutto il territorio italiano.
D.G.CHANDLER, Le campagne di Napoleone, vol. I, 9ª edizione, Milano, 2006, pag. 182.
12
Vincenzo Camuccini (1771 – 1844) era un pittore e restauratore italiano, formatosi presso le scuole
del Corvi e del David.