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Introduzione
Il buddhismo delle origini si presentava come una via universale di liberazione dai
dolori dell'esistenza. Caratterizzato da regole di vita e dottrina morale più che metafisica,
insegnava che la salvezza può ‒ e deve ‒ essere ottenuta mediante l'uso della ragione.
Era certamente una dottrina molto particolare, che attirò una molteplicità di fedeli fin
dalla sua nascita. Il Buddha, infatti, non poneva esoterismi tra i seguaci e l'insegnamento
e non credeva che gli dèi fossero in grado di portare l'essere umano alla salvezza; di
conseguenza non rivolgeva culti a nessuna divinità.
Nel corso della nostra trattazione vedremo la specifica diffusione di questa
filosofia dall'India alla Cina.
Nel primo capitolo introdurremo la storia di nascita del buddhismo nella sua terra
d'origine a partire dalla figura del Buddha, offrendo una breve panoramica della
situazione storica e culturale dell'India a lui contemporanea. Proseguiremo l'analisi
delineando gli aspetti fondamentali della letteratura, della dottrina e dell'organizzazione
monastica. Vedremo come, subito dopo la scomparsa del Buddha, l'originaria unità
dottrinale lascerà il posto al fiorire di molteplici indirizzi. Osserveremo, all'inizio della
nostra era, il prosperare dell'importante Comunità del <<Grande Veicolo>>, la quale
porterà ad un profondo cambiamento della dottrina. Vedremo infine il terzo, ed ultimo,
significativo sviluppo del buddhismo determinato dalla capillare diffusione degli
orientamenti gnostici e soteriologici facenti capo al tantrismo intorno al VII secolo, per
poi osservarne la sparizione dal proprio Paese originario tra la fine del primo millennio e
l'inizio del secondo millennio d.C.
Nel secondo capitolo offriremo una panoramica del pensiero e della cultura cinese
all'epoca dell'arrivo del buddhismo in Cina, nella prima metà del primo secolo d.C.
Delineeremo brevemente i fondamenti delle due scuole più influenti, ovvero confuciana e
taoista, al fine di meglio comprendere con quali filosofie ‒ estremamente radicate ‒ la
filosofia indiana si incontrerà e scontrerà.
Nel terzo capitolo passeremo in rassegna la storia della diffusione del buddhismo
nel Paese, osservando gli sviluppi sotto le dinastie regnanti e sottolineando i cambiamenti
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fondamentali occorsi durante la fase iniziale, di formazione, di sviluppo indipendente fino
al 1911.
Nel quarto capitolo vedremo gli aspetti specifici della diffusione, individuando i
fattori determinanti che modificarono e permearono la dottrina di nuove caratteristiche
uniche ed estranee a quelle di nascita.
Abbiamo individuato nella geografia asiatica un fattore fortemente condizionante la
diffusione del buddhismo, dovuta alle peculiarità delle vie che attraversarono pellegrini e
missionari. Un secondo fattore è rappresentato dalla cultura del Paese d'arrivo, che
tenderà a rigettare con molti argomenti la <<religione straniera>>, perseguitandola e
mettendola persino al bando; vedremo come entrerà in contrasto con la morale
confuciana e come infine trionferà grazie alle similitudini con il taoismo. Un terzo fattore
fondamentale è rappresentato dai traduttori, che furono soprattutto dei mediatori a
nostro parere, in quanto non solo ebbero a tradurre le Sacre Scritture da un codice ad un
altro, ma si trovarono soprattutto davanti all'arduo compito di costruire un metodo di
traduzione per poter rendere i concetti fondamentali della dottrina in una lingua
totalmente diversa da quelle indiane. La traduzione delle scritture non fu solo linguistica,
ma anche e soprattutto culturale.
Nel quinto capitolo, infine, vedremo quali scuole indiane furono accolte sul
territorio cinese. Offriremo un'essenziale descrizione della scuole nate in Cina ed
indipendenti dal buddhismo indiano.
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Nota sulla pronuncia dei termini
Per i termini indiani, riportati in corsivo, si è preferito utilizzare la traslitterazione
scientifica, citando in genere la forma in sanscrito. Laddove il termine in pāli fosse più noto, è
stata riportata tra parentesi la forma sanscrita (abbreviata con scr.), mentre nel caso in cui il
termine fosse noto in entrambe le lingue, la forma pāli appare tra parentesi.
Per la pronuncia dei termini sanscriti e pāli valgono le seguenti indicazioni: ā, ī, ū indicano vocali
lunghe di durata doppia rispetto alle corrispondenti brevi; ai, au, e, o sono dittonghi (e, o da
pronunciare come le corrispondenti chiuse italiane); c è sempre palatale; ḍ, ḍh, ṣ, ṭ, ṭh, ṇ, sono
consonanti retroflesse, pronunciate con la lingua volta all'indietro; g è sempre velare anche
davanti ad e ed i, coi quali suona ghe e ghi; h è sempre aspirata; ḥ è spirante, come la ch del
tedesco; j è come la g palatale italiana, anche davanti ad o e u; ṃ indica un suono nasale; ṅ è la n
velare di ancora, ñ è la n palatale di angelo; ṛ è un suono vocalico, da pronunciarsi come una ri; s è
sempre sorda; ś è una sibilante palatale, resa in italiano con sc; ṣ è una sibilante retroflessa
pronunciata come ś ma con le caratteristiche già spiegate per le retroflesse; y è una semivocale
come la i di ieri;
Per i termini cinesi, anch'essi riportati in corsivo, si è preferito utilizzare la traslitterazione
Hanyu Pinyin, sistema di traslitterazione standard ufficiale della lingua cinese moderna. Nei casi in
cui è stato ritenuto necessario, è stata aggiunta la traduzione giapponese o sanscrita.
Per la pronuncia dei termini Pinyin valgono le seguenti indicazioni: le vocali cinesi sono sei,
ordinate a, o, e, i, u, ü, dove ü suona come la u francese in lune; b e d sono occlusive sorde non
aspirate e suonano rispettivamente come p e t; a loro volta p e t sono delle occlusive sorde
aspirate; g è sempre velare, j è sempre palatale e valgono le stesse regole di pronuncia del
sanscrito; z, c, s sono dentali sorde, dove c suona come la doppia z di pazzia; zh, ch, sh, r sono delle
retroflesse dove zh suona come la g di gente, ch suona come la doppia cc di caccia, sh suona come
la sc di scena e la r suona approssimativamente come la j francese; m e n sono nasali sonore; ng
suona come la -ing inglese, una n pronunciata con il dorso della lingua e la g muta; x è una fricativa
sorda e ha un suono poco più leggero di sh; q è una affricata sorda palatale, pronunciata come ci
in coccio; f è una labiodentale e suona come in fortezza; y è una semivocale palatale e suona come
la i di iena; w è una semivocale bilabiale e suona come una la u di uova;
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1. IL BUDDHISMO INDIANO
1.1. Le origini
1.1.1. Il Buddha
Il buddhismo nasce con la figura storica di colui che fu poi conosciuto come il
Buddha, termine che può essere tradotto come l'<<Illuminato>>. Secondo la tradizione
egli si chiamava Siddhārtha
1
, era un nobile (kṣatriya) del casato dei Gautama, noto anche
come Śākyamuni <<l'asceta fra gli Śākya>> dal nome dal clan che viveva ai piedi
dell'Himalaya, a nord di Benares. Nacque a Kapilavastu, capitale del Kosala, regione che si
estendeva dall'odierno Nepal meridionale fino al Gange. Si presume che la sua nascita
avvenne nell'aprile-maggio 558 a.C. (o nel 567), e morì, o meglio entrò nel parinirvāṇa
(estinzione completa), a Kuśinagara, nel novembre 478 a.C. (o nel 487) all'età di circa
ottant'anni
2
(Eliade, 1980:77). Tuttavia le datazioni sono tutt'altro che certe e rimangono
oggetto di aperto dibattito: quelle appena proposte provengono dalla tradizione
cingalese, la quale adotta la cosiddetta <<cronologia lunga>>. Secondo la <<cronologia
corta>>, invece, la nascita sarebbe avvenuta intorno al 400 a.C., mentre il parinirvāṇa
cadrebbe nel 218 a.C. (Gnoli, 2004a:42).
Secondo alcuni studiosi, tra cui ricordiamo Tucci (2005:47) ed Eliade (1980:77), non
vi è dubbio che Siddhārtha Gautama fosse un personaggio storico, nonostante altri
studiosi accordino la loro "preferenza all'interpretazione mitica" (Coomaraswamy,
1992:16) della sua esistenza. La biografia
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dell'Illuminato subì un processo di
mitologizzazione e ampliamento col passare del tempo, ma iniziò quando egli era ancora
1
Siddhārtha, conosciuto solo in Italia nella grafia sbagliata di Siddhārta a causa di un errore ortografico di
Massimo Mila nella traduzione di "Siddhārtha"di Herman Hesse.
2
Numerosi sono gli studi intorno alle datazioni della vita del Buddha storico, si veda "The Dating of the
Historical Buddha. Die Datierung des Historischen Buddha" di Heinz Bechert, originariamente pubblicato su
"Journal of the Royal Asiatic Society", Serie 3, 6.1 (1996): pp. 57-63.
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Nella seconda metà del XIX secolo gli studiosi europei (Hermann Oldenberg 1854-1920; Èmile Senart 1847-
1928) si interessarono allo studio della vita del Buddha e tentarono di ricostruirla estrapolando informazioni
ritenute storicamente attendibili a partire dai resoconti tradizionali, eliminando gli elementi mitologici.
Tuttavia il racconto tradizionale della vita del Buddha è una "biografia spirituale"; interesse della Comunità
buddhista non è quello di fornire un resoconto degli eventi secondo i principi di storicità elaborati in
Occidente, bensì mantenere un'esemplificazione del suo insegnamento. È sotto questa luce che la biografia
del Buddha deve essere letta.
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in vita. Ricostruiremo ora l'agiografia tradizionale del Buddha in quanto, come sostiene
Eliade, si pone come "l'elemento ispiratore tanto della teologia e della mitologia
buddhistiche che della letteratura devozionale e delle arti plastiche" (1980: 78).
Si narra che il Bodhisattva, <<l'Essere destinato al Risveglio>>, scelse i propri
genitori, ovvero il re Śuddhodana e la regina Mahā Māyā, in quanto dio che dimorava nel
tuṣita, <<il cielo degli esseri felici>>.
Mahā Māyā concepì il principe Siddhārtha in maniera immacolata, sognando un elefante
bianco che le penetrava il corpo attraverso il fianco destro. A Lumbinī, in un giardino, ella
partorì in maniera altrettanto immacolata dal fianco, sostenendosi ad un albero. Il
neonato si alzò in piedi, fece sette passi e proclamò che quella sarebbe stata la sua ultima
nascita. L'avvenimento fu accompagnato da eventi miracolosi: una pioggia lavò il
bambino, la terra tremò, gli dèi presenziarono. La notizia giunse a palazzo. Coloro che
portarono il palanchino decorato per riportare a casa il bambino erano delle potenti
divinità. (Arnold, 1995:5).
Il padre Śuddhodana non si rallegrava della nascita di un bambino annunciato da
un presagio, quale il sogno di sua moglie. Ma, una volta che gli indovini esaminarono il
neonato, trovarono sul suo corpo i sette doni del Mahāpuruṣa, il <<Grande Uomo>>.
Predissero che il neonato sarebbe diventato un sovrano universale (cakravartin) o un
asceta. Vedendo che i segni annunciavano gloria, Śuddhodana decise di dare una grande
festa. Il principe ricevette il nome di Siddhārtha <<colui che ha raggiunto lo scopo>>.
Tuttavia, al fine di evitare che egli lasciasse la vita di corte per dedicarsi alla vita ascetica,
il re decise di tenere lontano dalla sua conoscenza ogni forma di dolore, angoscia o
lamento. (Arnold, ibidem)
Sette giorni dopo Mahā Māyā morì. Siddhārtha fu affidato alla zia Mahā Prajāpatī
per sette anni, anch'essa sposa di Śuddhodana.
Quando il Principe compì l'ottavo anno di età, il re si preoccupò che gli fosse impartita
un'educazione di prim'ordine. Scelse accuratamente i saggi insegnanti, comandando che
il Principe vedesse solo sfarzo e ricchezza e non conoscesse le negatività del mondo.